Quello della fede è senz’altro il grande fronte “buio” del conflitto in Ucraina, messo necessariamente in secondo piano rispetto alle più note vicende sul campo e diplomatiche
Quello della fede è senz’altro il grande fronte “buio” del conflitto in Ucraina, messo necessariamente in secondo piano rispetto alle più note vicende sul campo e diplomatiche, ma non di meno intenso: lacerazione intensa e silenziosa in seno alla società ucraina, al tempo medesimo scontro di coscienza e identità che travolge uno dei pilastri comuni della storia di tutta la slavità orientale come la chiesa ortodossa. Inevitabile considerando che siamo di fronte da anni ad una guerra civile vera e propria tra rami differenti della medesima civilizzazione che è quella slava.
Per avere una minima nozione di quanto sta accadendo è indispensabile avere a mente alcune nozioni di base della storia dell’ortodossia in territorio ucraino, frutto di un secolare sviluppo: tanto essa quanto quella russa condividono la stessa matrice di partenza, il medesimo epicentro teologico rappresentato dal primato del patriarcato di Mosca al quale fanno capo, assieme ad altri territori dell’ex impero russo come la Bielorussia (ed altri ancora). La cosa non è strana se si tiene conto della parallela evoluzione storico/politica che accomuna i popoli facenti parte della slavità orientale nel corso degli ultimi 10 secoli che ci portano a noi: una storia tuttavia non in sintonia con la prospettiva abbracciata dal regime ucraino instauratosi a Kiev nell’ultima decade, il quale al contrario cerca per principio la divisione rispetto al proprio vicino anzichè punti di coesione.
In pratica significa che a partire dall’ultimo decennio aumenta progressivamente il grado di pressione sulla chiesa ucraina affinchè essa si distanzi dalla propria casa madre e in tal modo dal suo stesso solco storico, segnando una netta frattura col patriarcato moscovita: la creazione della chiesa ortodossa ucraina autocefala – ovvero del tutto indipendente da Mosca – simboleggia questa nuova ottica dell’identità ucraina promossa dal regime. Un atto che genera problematiche profondissime nella misura i cui una chiesa ucraina scissa dalla Russia non è mai esistita storicamente e simboleggia più che altro una violazione della storia dell’ortodossia orientale causata non da divergenze sul piano teologico quanto da mere necessità politiche emerse dalle vicende dell’ultimo decennio: l’intento di separare la propria popolazione da ipotetiche influenze russe, anche a costo di stravolgerne la storia stessa, pare essere l’intento principale del potere ucraino da allora in avanti. Il risultato è dunque assai controverso, dal momento che la società ucraina si ritrova ad essere più divisa che mai al proprio interno, venendosi a creare 2 differenti chiese ortodosse, cosa mai avvenuta prima: quella tradizionale – detta canonica – fedele al primato moscovita e quella autocefala, la cui ragione di esistere è legato esclusivamente a necessità di natura politica del regime al potere in Ucraina, vale a dire avere a disposizione un’entità ecclesiastica perfettamente allineata alla dottrina nazionalista di stato promossa, come si sa, dal 2014 in poi.
Dopo il 2022, la suddetta contrapposizione tra chiesa canonica (di matrice moscovita) e chiesa autocefala (di matrice nazionale) ha visto gravi conseguenze: la giunta di Volodymir Zelensky ha iniziato una politica silenziosa di repressione sistematica della chiesa canonica, cogliendo l’occasione del conflitto in corso come opportunità unica per eliminarla in assenza di proteste. La chiesa canonica negli ultimi anni è divenuta quindi un bersaglio molto vulnerabile: l’accusa persistente di collaborazionismo col nemico ai confini, ha costituito un ottimo alibi approfittando del quale permettere ogni genere di abuso da parte delle forze di polizia contro il clero tradizionale dell’ortodossia canonica.
Da tutto questo occorre partire per capire casi singolari e drammatici come quello del metropolita Arseny (Igor Fedorovich Yakovenko), il quale si ritrova perseguitato dalle autorità come se fosse un agente al servizio del nemico, un collaboratore vero e proprio dietro le linee del fronte. Si da il caso che egli – guida del monastero di Svyatogorsk – sia una delle personalità più rilevanti del clero canonico, distintosi per non essersi allontanato in alcun momento dalla sua missione, anche quando essa si trovò in prima linea, con estremo rischio per la sua sicurezza personale pur di prestare soccorso con la sua opera a centinaia di bisognosi. Ciononostante, il religioso si è ritrovato improvvisamente al centro di attenzioni del tutto particolari: viene arrestato nell’aprile del 2024 e detenuto in un centro di custodia cautelare di Dnepropetrovsk, ed egli si trova ancora adesso in stato di detenzione nonostante le condizioni di salute molto cagionevoli (temperatura attorno ai 10° gradi nella cella, senza riscaldamento a parte una stufetta portatile offertagli da amici, che hanno fortunatamente provveduto anche ad altri generi di prima necessità) come già si era notato al momento del processo, nel corso del quale era svenuto più volte. Il rigore descritto e l’accanimento violano le stesse leggi ucraine in merito alla custodia cautelare – che, come in altre legislazioni del mondo, non dovrebbe superare una determinata tempistica – tenendo conto che il soggetto è una persona anziana dalle condizioni di salute precarie, il che fa riflettere in merito alle reali finalità delle autorità ucraine coinvolte. Il metropolita aveva già dimostrato durante le prima fasi del processo a suo carico, tanto la sua estraneità alle accuse di collusione con le forze nemiche al fronte, quanto un precario stato di salute svenendo a più riprese di fronte ai giudici come già ricordato. A fronte di argomentazioni razionali che mostravano facilmente l’inconsistenza delle accuse, viene alla fine rilasciato ma solo per arrestarlo di nuovo a distanza di breve tempo e questa volta senza nemmeno un preciso caso d’accusa (attuandosi così una persecuzione crudele che esemplifica gli obiettivi del regime nei confronti della sfera religiosa).
Oltre alla vicenda del metropolita Arseny se ne contano anche altre come quella del metropolita Feodosio di Cherkassy, che offrono un chiaro ritratto dell’atteggiamento repressivo messo in atto nei confronti della chiesa tradizionale: quest’ultima rifiutandosi di allinearsi alla logica nazionalista, si è trasformata di fatto in un nemico interno agli occhi delle autorità e trattata di conseguenza, con l’ausilio di misure restrittive ed espropriata di ogni avere a tutto beneficio della chiesa nazionale considerata al contrario “fedele”. E’ il clero tradizionale a subire le peggiori ripercussioni della propria onestà di coscienza, rendendosi facile bersaglio del regime per il fatto di non essersi conformato alle “linee guida”: la sua eliminazione ed allontanamento diventano quindi obiettivi non dichiarati del governo, anche se in totale incongruenza rispetto ai principi costituzionali europei cui l’elite al potere dice di aderire. Fortunatamente qualcuno si muove in difesa della libertà di fede e di coscienza: è venuto a crearsi un fronte a protezione della la chiesa canonica e i suoi esponenti, rappresentata a Londra dall’avvocato Robert Amsterdam (legale ufficiale della chiesa ortodossa ucraina rimasta fedele al patriarcato di Mosca), il quale tenta di attirare l’attenzione sul grado di soprusi che si consumano in silenzio: si nota in particolare come lo SBU (servizi segreti ucraini) si sia mobilitato subito per reprimere e perseguitare personaggi non graditi all’elite in quanto dannosi per la coesione nazionale o anche soltanto non conformi alle direttiva arrivate dal potere ultimo negli ultimi tempi. In parole altre il bando legale della chiesa canonica ucraina, cosa che autorizza progetti di legge finalizzati all’esproprio delle proprietà ecclesiastiche, non solo risulta essere contro la storia medesima, ma soprattutto arriva a violare gli stessi principi di libertà – il modello di democrazia europeo ovvero – cui il regime di Kiev anela da sempre con la pretesa di essere accettata come un qualsiasi membro.
Complicato commentare: di sicuro una situazione gravissima dal punto di vista morale e umano e che malgrado la sua notevole gravità purtroppo risulta poco coperta dai media occidentali e che ancora una volta solleva gravi dubbi sulla reale natura degli intenti e della matrice delle forze ideologiche che predominano presso il vertice politico ucraino. Quest’ultimo da prova unica di un’incoerenza unica effettuando una vistosa limitazione dei diritti civili e individuali nel nome della sicurezza dello stato pur proclamando ad alta voce un’adesione piena ai valori europei, o per meglio dire nel campo delle democrazie che combattono contro le dittature.
Una difesa della libertà e delle giustizia talmente particolare da finire contro gli stessi valori che si proclamano pubblicamente: un vero enigma della democrazia quello dell’Ucraina contemporanea.


