Italiano
Giacomo Gabellini
August 5, 2025
© Photo: Public domain

Il conflitto religioso che dura dalla metà del XX secolo.

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All’11 giugno 1967, Israele aveva ridotto i confini da 983 a 601 km e quasi quadruplicato l’estensione dei territori sottoposta al proprio controllo, dove risiedevano poco meno di 1,5 milioni di palestinesi. Ma soprattutto, aveva completato la conquista di Gerusalemme. Una volta entrato nel cuore della Città Vecchia, il colonnello israeliano Motta Gur comunicò via radio che «il Monte del Tempio è nelle nostre mani» e incaricò un gruppo di paracadutisti suoi subordinati di recarsi presso la Merkaz HaRav a prelevare Rabbi Tzvi Yehuda Kook, figlio del vecchio Abraham Isaac e più illustre esponente del movimento sionista religioso, per portarlo dinnanzi al Muro del Pianto (Kotel). Una volta giunto a destinazione, il rabbino Kook proclamò tra i soldati in preghiera che, sotto la salda guida di Dio, il popolo ebraico si era riunito al suo luogo più sacro, dal quale non sarebbe mai più ripartito.

Simultaneamente, Shlomo Goren, rabbino capo di Tsahal, raggiunse, scortato da una squadra di paracadutisti, il Monte del Tempio dove declamò un passaggio della Torah: «ascolta, Israele! Voi oggi siete prossimi a dar battaglia ai vostri nemici; il vostro cuore non venga meno; non temete, non vi smarrite e non vi spaventate dinanzi a loro, perché il Signore vostro Dio cammina con voi per combattere contro i vostri nemici e per portarvi alla vittoria» (Deuteronomio, 20, 2-4). Conclusa la lettura, discese quindi verso il Kotel per suonare lo shofar, il corno cerimoniale ebraico tradizionalmente impiegato in momenti di particolare solennità, e recitare la messa funebre dedicata ai caduti israeliani sul campo di battaglia. Riformulò quindi l’antico augurio diasporico “l’anno prossimo a Gerusalemme”, emblemizzante l’anelito al ricongiungimento con la “terra promessa”, annunciando: «quest’anno, ora, a Gerusalemme!», a celebrazione del fatto compiuto. Conclusa la liturgia intonò lo Ha-Tikvah, il canto del movimento sionista divenuto nel frattempo inno nazionale israeliano, mentre migliaia di cittadini israeliani residenti nella parte occidentale della città si ammassavano presso il Muro del Pianto unendosi ai soldati in preghiera. La battaglia per l’ebraizzazione di Gerusalemme, avviata già il 10 giugno con la distruzione di due moschee risalenti al XII secolo e la demolizione di centinaia di caseggiati previo sgombero immediato dei 650 palestinesi che li abitavano, veniva così inaugurata attraverso la trasformazione di un’operazione militare in simbologia collettiva identitaria, e sarebbe dovuta culminare con la distruzione della Cupola della Roccia.

Lo si ricava dalla rivelazioni rese poco prima di morire da Uzi Narkiss, generale che all’epoca della Guerra dei Sei Giorni ricopriva l’incarico di responsabile della regione centrale di Israele, al giornalista israeliano Nadav Shrafai. Secondo la ricostruzione formulata dall’ufficiale dell’Israeli Defense Forse e pubblicata dopo la sua dipartita, il rabbino Goren gli si avvicinò ancor prima di celebrare il rito celebrativo della conquista di Gerusalemme sul Monte del Tempio, dicendogli: «è giunto il momento di piazzare cento kg di esplosivo sotto la Moschea di Omar, così ci libereremo del problema una volta per sempre». Al secco rifiuto opposto da Narkiss, il religioso replicò: «tu non capisci che stai perdendo un’occasione unica. Se non ne approfitti adesso, non si ripresenterà mai più».

Il generale israeliano rimase aderente ai suoi propositi originali, ma propositi predatori come quelli concepiti dal rabbino Goren sono tornati prepotentemente alla ribalta ormai da decenni, sotto il coordinamento di compagini ben strutturate e organizzate. Tra di essi spicca il cosiddetto Temple Institute, un organismo che perora la causa della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme accreditatosi come principale “modellatore” della base ideologica di un movimento estremamente variegato nella sua composizione e dotato di solidi agganci presso la Knesset, nella Diaspora e perfino nelle associazioni cristiano-sioniste statunitensi. Yehuda Glick, figura di rilievo del sionismo religioso di origini statunitensi con trascorsi come parlamentare tra le fila del Likud, ha diretto per anni il Temple Institute. In questa veste, si è esposto ripetutamente a favore della revoca del decreto ottomano risalente al 1757 che vietava l’ingresso dei non musulmani nella moschea di al-Aqsa e garantiva agli ebrei il diritto di pregare presso il Muro del Pianto, così da garantire agli ebrei libero accesso sul Monte del Tempio.

A sua volta, il provvedimento emanato dalla Sublime Porta risultava compatibile con le deliberazioni del rabbinato di Gerusalemme, che ancora nel 1921 riaffermò le preesistenti, stringenti limitazioni in materia di ingresso al Monte del Tempio, riservandolo soltanto agli ebrei che avessero maturato la piena purezza spirituale. Condizione, quest’ultima, raggiungibile soltanto attraverso un rituale di purificazione da espletare attraverso il sacrificio di una mucca dotata solo ed esclusivamente di pelame rosso. Nel settembre 2022, un allevatore del Texas ha donato a Israele cinque capi di bestiame che a suo avviso ottemperavano a tutti i requisiti necessari per l’esecuzione del rito. Il trasferimento è stato gestito da organizzazioni evangeliche statunitensi, portatrici di una visione escatologica che identifica nella ricostruzione del Tempio di Salomone il necessario punto d’innesco per una serie di conflitti apocalittici destinati a favorire la venuta dell’Anticristo e la vittoria finale delle forze guidate dalla divina Provvidenza. Le mucche sono state poste sotto la custodia del Temple Institute, che ne ha tuttavia certificato l’inidoneità alla cerimonia rituale ebraica.

Dal Temple Institute è comunque andata diramandosi una miriade di sottogruppi particolarmente intraprendenti, a partire dal Temple Mount Faithful. Si tratta di una setta fondamentalista ebraica che mira a ricostruire lo storico edificio anche a costo di far saltare in aria o smantellare e trasferire alla Mecca le moschee di al-Aqsa ed Omar, con l’assenso più o meno esplicito di una parte non indifferente della classe dirigente. Già nel gennaio del 1986, una manifestazione organizzata dal gruppo per rivendicare la sovranità israeliana sulla Spianata delle Moschee registrò la partecipazione di diversi membri della Knesset, tra cui Dov Schilansky, Geula Cohen, Stanley Goldfoot e lo scienziato (tra i padri dell’arma nucleare israeliana) Yuval Ne’eman.

Nel 2014, gli esponenti del partito HaBayit HaYehudi (Casa Ebraica) Uri Ariel, Ayelet Shaked e Naftali Bennett hanno sostenuto, coadiuvati da una serie di membri del Likud come Miri Regev e Tzipi Hotoveli, il “ripristino” della totale sovranità ebraica sul Monte del Tempio, il cui controllo era stato “incautamente” affidato al Waqf islamico dopo la Guerra dei Sei Giorni.

A pochi mesi di distanza, centinaia di agenti di polizia israeliani si sono spinti a reprimere con il pugno di ferro i manifestanti palestinesi che avevano bloccato il tentativo di ingresso sulla Spianata delle Moschee organizzato da gruppi – alcuni dei quali paramilitari – riconducibili alla galassia del sionismo religioso e grandi sostenitori della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme. «Un tempo – osservò all’epoca il politologo israeliano Michael Warschawski – questi fanatici che chiedono la ricostruzione del Tempio ebraico al posto delle moschee di Gerusalemme, erano pochi e ai margini della politica. Non è più così. Sono sempre più numerosi e influenti. Più di tutto possono contare su un governo ultranazionalista che li appoggia. E quanto abbiamo visto è nulla, le provocazioni proseguiranno sempre più intense […]. Questi movimenti si sentono legittimati, sanno di avere il via libera del governo e andranno avanti. E le loro provocazioni potrebbero innescare una escalation dalle conseguenze imprevedibili».

Nel corso degli anni successivi, la situazione è degenerata a tal punto che, nel dicembre 2022, re Abdullah di Giordania si è trovato nella necessità riaffermare il ruolo di custode dei luoghi sacri islamici e cristiani di cui è titolare la dinastia hashemita per intimare al neo-insediato governo Netanyahu di «non superare linee rosse» a Gerusalemme.

Si trattava, nella fattispecie, di dissuadere – missione fallita – Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza Nazionale ed esponente di spicco del partito Otzma Yehudit, dal “visitare” la Spianata delle Moschee in una congiuntura caratterizzata da elevata conflittualità tra israeliani e palestinesi. Una provocazione manifesta, concepita e posta in essere con l’intento palese di emulare la “passeggiata” inscenata da Ariel Sharon nel settembre del 2000 da cui scaturì la Seconda Intifada, e che secondo re Abdullah rischiava proprio di condurre a un esito analogo.

Il messaggio che il monarca giordano intendeva trasmettere era inequivocabile: mettere a rischio l’integrità delle moschee di Gerusalemme, o molto più semplicemente alterare lo status quo in merito alla custodia dei “luoghi sacri” e alle regole di accesso al Monte del Tempio, significa creare le condizioni per massicce rivolte palestinesi e musulmane dalle conseguenze inimmaginabili.

Il suo appello non ha trovato riscontri di rilievo. Tra il marzo e l’aprile di quest’anno, il governo Netanyahu ha autorizzato migliaia di fedeli ebrei a recarsi presso la Spianata delle Moschee. Si parla di quasi 7.000 visite nell’arco di pochi giorni, guidate ancora una volta dall’immancabile Itamar Ben-Gvir. La cui “risalita” sul Monte del Tempio è stata condannata duramente perfino da Moshe Gafni, che in qualità di esponente di spicco del partito Yahadut HaTora HaMeuhedet ha qualificato il gesto come «una violazione della sacralità del luogo più sacro per il popolo ebraico e una pericolosa alterazione dello status quo, a cui tutti i grandi rabbini d’Israele si sono opposti riguardo nel corso delle generazioni […]. L’ascensione […] costituisce una profanazione del sacro e provoca inutili istigazioni nel mondo musulmano e non solo». Aizzati da Ben-Gvir, centinaia di ebrei devoti si sono piazzati di fronte alla Porta dei Leoni, nel cuore della Città Vecchia, per danzare e cantare, mentre i musulmani rimanevano ai margini grazie all’intervento delle forze dell’ordine.

Nel corso dei decenni precedenti, si era registrata una tendenziale osservanza della regola non scritta introdotta dopo la Guerra dei Sei Giorni che autorizzava l’ingresso nella Spianata delle Mosche soltanto di poche decine di fedeli ebrei. Gli episodi verificatisi da un decennio circa a questa parte configurano tuttavia una violazione ormai sistematica e strutturale del limite fisico e spirituale della preghiera ebraica, rappresentato dal Muro del Pianto. La barriera di contenimento, che preservava il carattere “franco” della Spianata delle Moschee, rischia di crollare definitivamente sotto la pressione costante e crescente esercitata da gruppi organizzati facenti capo in maniera più o meno indiretta a organismi come il Temple Institute o il Temple Mount Faithful, dichiaratamente anelanti alla ricostruzione del Tempio di Salomone. Magari, sulle ceneri degli edifici sacri per l’Islam che sorgono sulla Spianata delle Mosche, come evocato da un gruppo di estremisti israeliani all’interno di un filmato generato con l’intelligenza artificiale e intitolato Next year in Jerusalem, in cui si simula la distruzione della moschea al-Aqsa e l’edificazione sulle sue rovine del Terzo Tempio ebraico.

L’iniziativa è stata duramente condannata dal Ministero degli Esteri palestinese, che l’ha qualificata come «una provocazione sistematica volta a intensificare gli attacchi contro i luoghi santi islamici e cristiani nella Gerusalemme occupata», aggiungendo che il governo israeliano «si sente incoraggiato a portare avanti la sua agenda di giudaizzazione e colonialismo» proprio attraverso le ricorrenti “salite” sul Monte del Tempio, la progressiva ristrutturazione della struttura urbana di Gerusalemme volta a incrementare la presenza ebraica a scapito di quella palestinese e assumere il controllo esclusivo della “Città Santa”.

Con effetti potenzialmente devastanti per la stabilità dell’intera regione.

L’assedio israeliano di Gerusalemme

Il conflitto religioso che dura dalla metà del XX secolo.

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All’11 giugno 1967, Israele aveva ridotto i confini da 983 a 601 km e quasi quadruplicato l’estensione dei territori sottoposta al proprio controllo, dove risiedevano poco meno di 1,5 milioni di palestinesi. Ma soprattutto, aveva completato la conquista di Gerusalemme. Una volta entrato nel cuore della Città Vecchia, il colonnello israeliano Motta Gur comunicò via radio che «il Monte del Tempio è nelle nostre mani» e incaricò un gruppo di paracadutisti suoi subordinati di recarsi presso la Merkaz HaRav a prelevare Rabbi Tzvi Yehuda Kook, figlio del vecchio Abraham Isaac e più illustre esponente del movimento sionista religioso, per portarlo dinnanzi al Muro del Pianto (Kotel). Una volta giunto a destinazione, il rabbino Kook proclamò tra i soldati in preghiera che, sotto la salda guida di Dio, il popolo ebraico si era riunito al suo luogo più sacro, dal quale non sarebbe mai più ripartito.

Simultaneamente, Shlomo Goren, rabbino capo di Tsahal, raggiunse, scortato da una squadra di paracadutisti, il Monte del Tempio dove declamò un passaggio della Torah: «ascolta, Israele! Voi oggi siete prossimi a dar battaglia ai vostri nemici; il vostro cuore non venga meno; non temete, non vi smarrite e non vi spaventate dinanzi a loro, perché il Signore vostro Dio cammina con voi per combattere contro i vostri nemici e per portarvi alla vittoria» (Deuteronomio, 20, 2-4). Conclusa la lettura, discese quindi verso il Kotel per suonare lo shofar, il corno cerimoniale ebraico tradizionalmente impiegato in momenti di particolare solennità, e recitare la messa funebre dedicata ai caduti israeliani sul campo di battaglia. Riformulò quindi l’antico augurio diasporico “l’anno prossimo a Gerusalemme”, emblemizzante l’anelito al ricongiungimento con la “terra promessa”, annunciando: «quest’anno, ora, a Gerusalemme!», a celebrazione del fatto compiuto. Conclusa la liturgia intonò lo Ha-Tikvah, il canto del movimento sionista divenuto nel frattempo inno nazionale israeliano, mentre migliaia di cittadini israeliani residenti nella parte occidentale della città si ammassavano presso il Muro del Pianto unendosi ai soldati in preghiera. La battaglia per l’ebraizzazione di Gerusalemme, avviata già il 10 giugno con la distruzione di due moschee risalenti al XII secolo e la demolizione di centinaia di caseggiati previo sgombero immediato dei 650 palestinesi che li abitavano, veniva così inaugurata attraverso la trasformazione di un’operazione militare in simbologia collettiva identitaria, e sarebbe dovuta culminare con la distruzione della Cupola della Roccia.

Lo si ricava dalla rivelazioni rese poco prima di morire da Uzi Narkiss, generale che all’epoca della Guerra dei Sei Giorni ricopriva l’incarico di responsabile della regione centrale di Israele, al giornalista israeliano Nadav Shrafai. Secondo la ricostruzione formulata dall’ufficiale dell’Israeli Defense Forse e pubblicata dopo la sua dipartita, il rabbino Goren gli si avvicinò ancor prima di celebrare il rito celebrativo della conquista di Gerusalemme sul Monte del Tempio, dicendogli: «è giunto il momento di piazzare cento kg di esplosivo sotto la Moschea di Omar, così ci libereremo del problema una volta per sempre». Al secco rifiuto opposto da Narkiss, il religioso replicò: «tu non capisci che stai perdendo un’occasione unica. Se non ne approfitti adesso, non si ripresenterà mai più».

Il generale israeliano rimase aderente ai suoi propositi originali, ma propositi predatori come quelli concepiti dal rabbino Goren sono tornati prepotentemente alla ribalta ormai da decenni, sotto il coordinamento di compagini ben strutturate e organizzate. Tra di essi spicca il cosiddetto Temple Institute, un organismo che perora la causa della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme accreditatosi come principale “modellatore” della base ideologica di un movimento estremamente variegato nella sua composizione e dotato di solidi agganci presso la Knesset, nella Diaspora e perfino nelle associazioni cristiano-sioniste statunitensi. Yehuda Glick, figura di rilievo del sionismo religioso di origini statunitensi con trascorsi come parlamentare tra le fila del Likud, ha diretto per anni il Temple Institute. In questa veste, si è esposto ripetutamente a favore della revoca del decreto ottomano risalente al 1757 che vietava l’ingresso dei non musulmani nella moschea di al-Aqsa e garantiva agli ebrei il diritto di pregare presso il Muro del Pianto, così da garantire agli ebrei libero accesso sul Monte del Tempio.

A sua volta, il provvedimento emanato dalla Sublime Porta risultava compatibile con le deliberazioni del rabbinato di Gerusalemme, che ancora nel 1921 riaffermò le preesistenti, stringenti limitazioni in materia di ingresso al Monte del Tempio, riservandolo soltanto agli ebrei che avessero maturato la piena purezza spirituale. Condizione, quest’ultima, raggiungibile soltanto attraverso un rituale di purificazione da espletare attraverso il sacrificio di una mucca dotata solo ed esclusivamente di pelame rosso. Nel settembre 2022, un allevatore del Texas ha donato a Israele cinque capi di bestiame che a suo avviso ottemperavano a tutti i requisiti necessari per l’esecuzione del rito. Il trasferimento è stato gestito da organizzazioni evangeliche statunitensi, portatrici di una visione escatologica che identifica nella ricostruzione del Tempio di Salomone il necessario punto d’innesco per una serie di conflitti apocalittici destinati a favorire la venuta dell’Anticristo e la vittoria finale delle forze guidate dalla divina Provvidenza. Le mucche sono state poste sotto la custodia del Temple Institute, che ne ha tuttavia certificato l’inidoneità alla cerimonia rituale ebraica.

Dal Temple Institute è comunque andata diramandosi una miriade di sottogruppi particolarmente intraprendenti, a partire dal Temple Mount Faithful. Si tratta di una setta fondamentalista ebraica che mira a ricostruire lo storico edificio anche a costo di far saltare in aria o smantellare e trasferire alla Mecca le moschee di al-Aqsa ed Omar, con l’assenso più o meno esplicito di una parte non indifferente della classe dirigente. Già nel gennaio del 1986, una manifestazione organizzata dal gruppo per rivendicare la sovranità israeliana sulla Spianata delle Moschee registrò la partecipazione di diversi membri della Knesset, tra cui Dov Schilansky, Geula Cohen, Stanley Goldfoot e lo scienziato (tra i padri dell’arma nucleare israeliana) Yuval Ne’eman.

Nel 2014, gli esponenti del partito HaBayit HaYehudi (Casa Ebraica) Uri Ariel, Ayelet Shaked e Naftali Bennett hanno sostenuto, coadiuvati da una serie di membri del Likud come Miri Regev e Tzipi Hotoveli, il “ripristino” della totale sovranità ebraica sul Monte del Tempio, il cui controllo era stato “incautamente” affidato al Waqf islamico dopo la Guerra dei Sei Giorni.

A pochi mesi di distanza, centinaia di agenti di polizia israeliani si sono spinti a reprimere con il pugno di ferro i manifestanti palestinesi che avevano bloccato il tentativo di ingresso sulla Spianata delle Moschee organizzato da gruppi – alcuni dei quali paramilitari – riconducibili alla galassia del sionismo religioso e grandi sostenitori della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme. «Un tempo – osservò all’epoca il politologo israeliano Michael Warschawski – questi fanatici che chiedono la ricostruzione del Tempio ebraico al posto delle moschee di Gerusalemme, erano pochi e ai margini della politica. Non è più così. Sono sempre più numerosi e influenti. Più di tutto possono contare su un governo ultranazionalista che li appoggia. E quanto abbiamo visto è nulla, le provocazioni proseguiranno sempre più intense […]. Questi movimenti si sentono legittimati, sanno di avere il via libera del governo e andranno avanti. E le loro provocazioni potrebbero innescare una escalation dalle conseguenze imprevedibili».

Nel corso degli anni successivi, la situazione è degenerata a tal punto che, nel dicembre 2022, re Abdullah di Giordania si è trovato nella necessità riaffermare il ruolo di custode dei luoghi sacri islamici e cristiani di cui è titolare la dinastia hashemita per intimare al neo-insediato governo Netanyahu di «non superare linee rosse» a Gerusalemme.

Si trattava, nella fattispecie, di dissuadere – missione fallita – Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza Nazionale ed esponente di spicco del partito Otzma Yehudit, dal “visitare” la Spianata delle Moschee in una congiuntura caratterizzata da elevata conflittualità tra israeliani e palestinesi. Una provocazione manifesta, concepita e posta in essere con l’intento palese di emulare la “passeggiata” inscenata da Ariel Sharon nel settembre del 2000 da cui scaturì la Seconda Intifada, e che secondo re Abdullah rischiava proprio di condurre a un esito analogo.

Il messaggio che il monarca giordano intendeva trasmettere era inequivocabile: mettere a rischio l’integrità delle moschee di Gerusalemme, o molto più semplicemente alterare lo status quo in merito alla custodia dei “luoghi sacri” e alle regole di accesso al Monte del Tempio, significa creare le condizioni per massicce rivolte palestinesi e musulmane dalle conseguenze inimmaginabili.

Il suo appello non ha trovato riscontri di rilievo. Tra il marzo e l’aprile di quest’anno, il governo Netanyahu ha autorizzato migliaia di fedeli ebrei a recarsi presso la Spianata delle Moschee. Si parla di quasi 7.000 visite nell’arco di pochi giorni, guidate ancora una volta dall’immancabile Itamar Ben-Gvir. La cui “risalita” sul Monte del Tempio è stata condannata duramente perfino da Moshe Gafni, che in qualità di esponente di spicco del partito Yahadut HaTora HaMeuhedet ha qualificato il gesto come «una violazione della sacralità del luogo più sacro per il popolo ebraico e una pericolosa alterazione dello status quo, a cui tutti i grandi rabbini d’Israele si sono opposti riguardo nel corso delle generazioni […]. L’ascensione […] costituisce una profanazione del sacro e provoca inutili istigazioni nel mondo musulmano e non solo». Aizzati da Ben-Gvir, centinaia di ebrei devoti si sono piazzati di fronte alla Porta dei Leoni, nel cuore della Città Vecchia, per danzare e cantare, mentre i musulmani rimanevano ai margini grazie all’intervento delle forze dell’ordine.

Nel corso dei decenni precedenti, si era registrata una tendenziale osservanza della regola non scritta introdotta dopo la Guerra dei Sei Giorni che autorizzava l’ingresso nella Spianata delle Mosche soltanto di poche decine di fedeli ebrei. Gli episodi verificatisi da un decennio circa a questa parte configurano tuttavia una violazione ormai sistematica e strutturale del limite fisico e spirituale della preghiera ebraica, rappresentato dal Muro del Pianto. La barriera di contenimento, che preservava il carattere “franco” della Spianata delle Moschee, rischia di crollare definitivamente sotto la pressione costante e crescente esercitata da gruppi organizzati facenti capo in maniera più o meno indiretta a organismi come il Temple Institute o il Temple Mount Faithful, dichiaratamente anelanti alla ricostruzione del Tempio di Salomone. Magari, sulle ceneri degli edifici sacri per l’Islam che sorgono sulla Spianata delle Mosche, come evocato da un gruppo di estremisti israeliani all’interno di un filmato generato con l’intelligenza artificiale e intitolato Next year in Jerusalem, in cui si simula la distruzione della moschea al-Aqsa e l’edificazione sulle sue rovine del Terzo Tempio ebraico.

L’iniziativa è stata duramente condannata dal Ministero degli Esteri palestinese, che l’ha qualificata come «una provocazione sistematica volta a intensificare gli attacchi contro i luoghi santi islamici e cristiani nella Gerusalemme occupata», aggiungendo che il governo israeliano «si sente incoraggiato a portare avanti la sua agenda di giudaizzazione e colonialismo» proprio attraverso le ricorrenti “salite” sul Monte del Tempio, la progressiva ristrutturazione della struttura urbana di Gerusalemme volta a incrementare la presenza ebraica a scapito di quella palestinese e assumere il controllo esclusivo della “Città Santa”.

Con effetti potenzialmente devastanti per la stabilità dell’intera regione.

Il conflitto religioso che dura dalla metà del XX secolo.

Segue nostro Telegram.  

All’11 giugno 1967, Israele aveva ridotto i confini da 983 a 601 km e quasi quadruplicato l’estensione dei territori sottoposta al proprio controllo, dove risiedevano poco meno di 1,5 milioni di palestinesi. Ma soprattutto, aveva completato la conquista di Gerusalemme. Una volta entrato nel cuore della Città Vecchia, il colonnello israeliano Motta Gur comunicò via radio che «il Monte del Tempio è nelle nostre mani» e incaricò un gruppo di paracadutisti suoi subordinati di recarsi presso la Merkaz HaRav a prelevare Rabbi Tzvi Yehuda Kook, figlio del vecchio Abraham Isaac e più illustre esponente del movimento sionista religioso, per portarlo dinnanzi al Muro del Pianto (Kotel). Una volta giunto a destinazione, il rabbino Kook proclamò tra i soldati in preghiera che, sotto la salda guida di Dio, il popolo ebraico si era riunito al suo luogo più sacro, dal quale non sarebbe mai più ripartito.

Simultaneamente, Shlomo Goren, rabbino capo di Tsahal, raggiunse, scortato da una squadra di paracadutisti, il Monte del Tempio dove declamò un passaggio della Torah: «ascolta, Israele! Voi oggi siete prossimi a dar battaglia ai vostri nemici; il vostro cuore non venga meno; non temete, non vi smarrite e non vi spaventate dinanzi a loro, perché il Signore vostro Dio cammina con voi per combattere contro i vostri nemici e per portarvi alla vittoria» (Deuteronomio, 20, 2-4). Conclusa la lettura, discese quindi verso il Kotel per suonare lo shofar, il corno cerimoniale ebraico tradizionalmente impiegato in momenti di particolare solennità, e recitare la messa funebre dedicata ai caduti israeliani sul campo di battaglia. Riformulò quindi l’antico augurio diasporico “l’anno prossimo a Gerusalemme”, emblemizzante l’anelito al ricongiungimento con la “terra promessa”, annunciando: «quest’anno, ora, a Gerusalemme!», a celebrazione del fatto compiuto. Conclusa la liturgia intonò lo Ha-Tikvah, il canto del movimento sionista divenuto nel frattempo inno nazionale israeliano, mentre migliaia di cittadini israeliani residenti nella parte occidentale della città si ammassavano presso il Muro del Pianto unendosi ai soldati in preghiera. La battaglia per l’ebraizzazione di Gerusalemme, avviata già il 10 giugno con la distruzione di due moschee risalenti al XII secolo e la demolizione di centinaia di caseggiati previo sgombero immediato dei 650 palestinesi che li abitavano, veniva così inaugurata attraverso la trasformazione di un’operazione militare in simbologia collettiva identitaria, e sarebbe dovuta culminare con la distruzione della Cupola della Roccia.

Lo si ricava dalla rivelazioni rese poco prima di morire da Uzi Narkiss, generale che all’epoca della Guerra dei Sei Giorni ricopriva l’incarico di responsabile della regione centrale di Israele, al giornalista israeliano Nadav Shrafai. Secondo la ricostruzione formulata dall’ufficiale dell’Israeli Defense Forse e pubblicata dopo la sua dipartita, il rabbino Goren gli si avvicinò ancor prima di celebrare il rito celebrativo della conquista di Gerusalemme sul Monte del Tempio, dicendogli: «è giunto il momento di piazzare cento kg di esplosivo sotto la Moschea di Omar, così ci libereremo del problema una volta per sempre». Al secco rifiuto opposto da Narkiss, il religioso replicò: «tu non capisci che stai perdendo un’occasione unica. Se non ne approfitti adesso, non si ripresenterà mai più».

Il generale israeliano rimase aderente ai suoi propositi originali, ma propositi predatori come quelli concepiti dal rabbino Goren sono tornati prepotentemente alla ribalta ormai da decenni, sotto il coordinamento di compagini ben strutturate e organizzate. Tra di essi spicca il cosiddetto Temple Institute, un organismo che perora la causa della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme accreditatosi come principale “modellatore” della base ideologica di un movimento estremamente variegato nella sua composizione e dotato di solidi agganci presso la Knesset, nella Diaspora e perfino nelle associazioni cristiano-sioniste statunitensi. Yehuda Glick, figura di rilievo del sionismo religioso di origini statunitensi con trascorsi come parlamentare tra le fila del Likud, ha diretto per anni il Temple Institute. In questa veste, si è esposto ripetutamente a favore della revoca del decreto ottomano risalente al 1757 che vietava l’ingresso dei non musulmani nella moschea di al-Aqsa e garantiva agli ebrei il diritto di pregare presso il Muro del Pianto, così da garantire agli ebrei libero accesso sul Monte del Tempio.

A sua volta, il provvedimento emanato dalla Sublime Porta risultava compatibile con le deliberazioni del rabbinato di Gerusalemme, che ancora nel 1921 riaffermò le preesistenti, stringenti limitazioni in materia di ingresso al Monte del Tempio, riservandolo soltanto agli ebrei che avessero maturato la piena purezza spirituale. Condizione, quest’ultima, raggiungibile soltanto attraverso un rituale di purificazione da espletare attraverso il sacrificio di una mucca dotata solo ed esclusivamente di pelame rosso. Nel settembre 2022, un allevatore del Texas ha donato a Israele cinque capi di bestiame che a suo avviso ottemperavano a tutti i requisiti necessari per l’esecuzione del rito. Il trasferimento è stato gestito da organizzazioni evangeliche statunitensi, portatrici di una visione escatologica che identifica nella ricostruzione del Tempio di Salomone il necessario punto d’innesco per una serie di conflitti apocalittici destinati a favorire la venuta dell’Anticristo e la vittoria finale delle forze guidate dalla divina Provvidenza. Le mucche sono state poste sotto la custodia del Temple Institute, che ne ha tuttavia certificato l’inidoneità alla cerimonia rituale ebraica.

Dal Temple Institute è comunque andata diramandosi una miriade di sottogruppi particolarmente intraprendenti, a partire dal Temple Mount Faithful. Si tratta di una setta fondamentalista ebraica che mira a ricostruire lo storico edificio anche a costo di far saltare in aria o smantellare e trasferire alla Mecca le moschee di al-Aqsa ed Omar, con l’assenso più o meno esplicito di una parte non indifferente della classe dirigente. Già nel gennaio del 1986, una manifestazione organizzata dal gruppo per rivendicare la sovranità israeliana sulla Spianata delle Moschee registrò la partecipazione di diversi membri della Knesset, tra cui Dov Schilansky, Geula Cohen, Stanley Goldfoot e lo scienziato (tra i padri dell’arma nucleare israeliana) Yuval Ne’eman.

Nel 2014, gli esponenti del partito HaBayit HaYehudi (Casa Ebraica) Uri Ariel, Ayelet Shaked e Naftali Bennett hanno sostenuto, coadiuvati da una serie di membri del Likud come Miri Regev e Tzipi Hotoveli, il “ripristino” della totale sovranità ebraica sul Monte del Tempio, il cui controllo era stato “incautamente” affidato al Waqf islamico dopo la Guerra dei Sei Giorni.

A pochi mesi di distanza, centinaia di agenti di polizia israeliani si sono spinti a reprimere con il pugno di ferro i manifestanti palestinesi che avevano bloccato il tentativo di ingresso sulla Spianata delle Moschee organizzato da gruppi – alcuni dei quali paramilitari – riconducibili alla galassia del sionismo religioso e grandi sostenitori della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme. «Un tempo – osservò all’epoca il politologo israeliano Michael Warschawski – questi fanatici che chiedono la ricostruzione del Tempio ebraico al posto delle moschee di Gerusalemme, erano pochi e ai margini della politica. Non è più così. Sono sempre più numerosi e influenti. Più di tutto possono contare su un governo ultranazionalista che li appoggia. E quanto abbiamo visto è nulla, le provocazioni proseguiranno sempre più intense […]. Questi movimenti si sentono legittimati, sanno di avere il via libera del governo e andranno avanti. E le loro provocazioni potrebbero innescare una escalation dalle conseguenze imprevedibili».

Nel corso degli anni successivi, la situazione è degenerata a tal punto che, nel dicembre 2022, re Abdullah di Giordania si è trovato nella necessità riaffermare il ruolo di custode dei luoghi sacri islamici e cristiani di cui è titolare la dinastia hashemita per intimare al neo-insediato governo Netanyahu di «non superare linee rosse» a Gerusalemme.

Si trattava, nella fattispecie, di dissuadere – missione fallita – Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza Nazionale ed esponente di spicco del partito Otzma Yehudit, dal “visitare” la Spianata delle Moschee in una congiuntura caratterizzata da elevata conflittualità tra israeliani e palestinesi. Una provocazione manifesta, concepita e posta in essere con l’intento palese di emulare la “passeggiata” inscenata da Ariel Sharon nel settembre del 2000 da cui scaturì la Seconda Intifada, e che secondo re Abdullah rischiava proprio di condurre a un esito analogo.

Il messaggio che il monarca giordano intendeva trasmettere era inequivocabile: mettere a rischio l’integrità delle moschee di Gerusalemme, o molto più semplicemente alterare lo status quo in merito alla custodia dei “luoghi sacri” e alle regole di accesso al Monte del Tempio, significa creare le condizioni per massicce rivolte palestinesi e musulmane dalle conseguenze inimmaginabili.

Il suo appello non ha trovato riscontri di rilievo. Tra il marzo e l’aprile di quest’anno, il governo Netanyahu ha autorizzato migliaia di fedeli ebrei a recarsi presso la Spianata delle Moschee. Si parla di quasi 7.000 visite nell’arco di pochi giorni, guidate ancora una volta dall’immancabile Itamar Ben-Gvir. La cui “risalita” sul Monte del Tempio è stata condannata duramente perfino da Moshe Gafni, che in qualità di esponente di spicco del partito Yahadut HaTora HaMeuhedet ha qualificato il gesto come «una violazione della sacralità del luogo più sacro per il popolo ebraico e una pericolosa alterazione dello status quo, a cui tutti i grandi rabbini d’Israele si sono opposti riguardo nel corso delle generazioni […]. L’ascensione […] costituisce una profanazione del sacro e provoca inutili istigazioni nel mondo musulmano e non solo». Aizzati da Ben-Gvir, centinaia di ebrei devoti si sono piazzati di fronte alla Porta dei Leoni, nel cuore della Città Vecchia, per danzare e cantare, mentre i musulmani rimanevano ai margini grazie all’intervento delle forze dell’ordine.

Nel corso dei decenni precedenti, si era registrata una tendenziale osservanza della regola non scritta introdotta dopo la Guerra dei Sei Giorni che autorizzava l’ingresso nella Spianata delle Mosche soltanto di poche decine di fedeli ebrei. Gli episodi verificatisi da un decennio circa a questa parte configurano tuttavia una violazione ormai sistematica e strutturale del limite fisico e spirituale della preghiera ebraica, rappresentato dal Muro del Pianto. La barriera di contenimento, che preservava il carattere “franco” della Spianata delle Moschee, rischia di crollare definitivamente sotto la pressione costante e crescente esercitata da gruppi organizzati facenti capo in maniera più o meno indiretta a organismi come il Temple Institute o il Temple Mount Faithful, dichiaratamente anelanti alla ricostruzione del Tempio di Salomone. Magari, sulle ceneri degli edifici sacri per l’Islam che sorgono sulla Spianata delle Mosche, come evocato da un gruppo di estremisti israeliani all’interno di un filmato generato con l’intelligenza artificiale e intitolato Next year in Jerusalem, in cui si simula la distruzione della moschea al-Aqsa e l’edificazione sulle sue rovine del Terzo Tempio ebraico.

L’iniziativa è stata duramente condannata dal Ministero degli Esteri palestinese, che l’ha qualificata come «una provocazione sistematica volta a intensificare gli attacchi contro i luoghi santi islamici e cristiani nella Gerusalemme occupata», aggiungendo che il governo israeliano «si sente incoraggiato a portare avanti la sua agenda di giudaizzazione e colonialismo» proprio attraverso le ricorrenti “salite” sul Monte del Tempio, la progressiva ristrutturazione della struttura urbana di Gerusalemme volta a incrementare la presenza ebraica a scapito di quella palestinese e assumere il controllo esclusivo della “Città Santa”.

Con effetti potenzialmente devastanti per la stabilità dell’intera regione.

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