Il Belgio, che detiene i fondi congelati presso Euroclear, deve riflettere attentamente su cosa fare. Dare l’uva alla volpe o tenerla per il contadino?
Rubare quando non si può avere
Il celebre apologo di Esopo – ripreso poi da Fedro e divenuto proverbio nell’immaginario europeo – narra la storia di una volpe affamata che, dopo ripetuti tentativi falliti di raggiungere un grappolo d’uva posto troppo in alto, rinuncia affermando che l’uva “tanto non era buona”. Da secoli, il racconto è utilizzato per descrivere un meccanismo psicologico universale: quando si desidera qualcosa che non si può ottenere, si tende a svalutarla per proteggere il proprio amor proprio.
Questa reazione, che la psicologia moderna definisce dissonanza cognitiva, ha due funzioni complementari. Da un lato, attenua la sensazione di fallimento; dall’altro, permette di ricostruire un’immagine di sé coerente e non compromessa dall’insuccesso. In sostanza, la volpe non può ammettere la propria impotenza di fronte all’ostacolo fisico; preferisce quindi riscrivere il significato del suo obiettivo, sostenendo che non valeva la pena raggiungerlo.
Il valore di questa favola sta proprio nella sua capacità di descrivere dinamiche che vanno ben oltre la dimensione individuale. La stessa logica può infatti emergere nei comportamenti collettivi, nelle strategie comunicative e persino nelle scelte politiche, quando gli attori coinvolti si trovano ad affrontare vincoli, limiti o fallimenti che non possono o non vogliono riconoscere apertamente.
Dalla tavola alla geopolitica: la signora Ursula e gli asset congelati
Ora, ben conosciamo la vicenda degli asset finanziari russi congelati in Belgio nella piattaforma Euroclear, oggetto di accanito dibattito già da mesi. Questi soldi sono stati richiesti dalla signora Ursula, Presidente della Commissione Europea, per essere investiti in armi (sia il progetto ReArm Europe che il profetto SAFE) contro la Russia stessa.
È importante ricordare che, sul piano ufficiale, le istituzioni europee non parlano di esproprio o furto, bensì di meccanismi legali che permetterebbero di impiegare gli interessi maturati sugli asset – non il capitale stesso – per sostenere Kiev. Un escamoutage giornalistico davvero interessante, che però non cambia la natura dell’atto.
La signora Ursula dovrebbe aver capito che usare i soldi della Russia contro la Russia non è una buona idea, come non lo sono state le sanzioni e come non è stata una buona idea regalare armi al mattatoio ucraino, per poi ritrovarsi senza. Certo, per una come lei che viene dal mondo delle industrie di armamenti, far girare il mercato è sempre vantaggioso. Ma questa volta la scelta politica diventa una questione di imbarazzo internazionale, molto più di quanto già non lo fosse.
La volpe Ursula non riesce ad arrivare all’uva. Prima di dire che l’uva non è buona (e state tranquilli che ci arriverà) intanto dice che vuole rubarla. Appropriarsi degli asset congelati per sostenere lo sforzo bellico ucraino, presentando tale decisione come un atto “giusto” o “necessario”, proprio come la volpe che definisce acerba l’uva che non può raggiungere, questa è la mossa.
D’altronde, l’Ucraina si avvia verso un inverno rigido, e probabilmente altri ne seguiranno. Secondo le stime più attendibili del Fondo Monetario Internazionale (FMI), nei prossimi due anni il Paese devastato dalla guerra dovrà affrontare un vuoto di bilancio pari a circa 65 miliardi di dollari.
Quasi i due terzi del bilancio nazionale, già messo a dura prova, sono oggi destinati a sostenere un conflitto divenuto una lunga guerra di logoramento per contenere l’avanzata russa. Le necessità quotidiane dei cittadini ucraini – come il pagamento delle pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici – sono coperte in larga parte dagli aiuti esteri dei partner occidentali.
Trump non ha stanziato nuovi finanziamenti per le tasche del kabuki ucraino, costringendo l’UE a colmare il vuoto sul fronte sia militare che finanziario. E quindi? Cosa fare?
Sebbene la Commissione europea abbia promesso di mobilitare fino a 100 miliardi di euro a favore dell’Ucraina a partire dal prossimo bilancio dell’UE, che entrerà in vigore nel 2028, trovare modalità per mantenere un flusso costante di risorse verso Kyiv da qui ad allora si è rivelato tutt’altro che semplice. Ed è qui che entra in gioco il grande “elefante da 300 miliardi di dollari”: per anni la banca centrale russa ha investito le proprie riserve valutarie all’estero in titoli di Stato e altri strumenti finanziari. Questi fondi oggi giacciono congelati presso banche e camere di compensazione in Europa e altrove, bloccati dalle sanzioni occidentali dopo l’invasione su larga scala del 2022.
Da allora, l’Europa è divisa su come gestire queste risorse. Francia e Germania hanno respinto le ripetute pressioni dell’amministrazione Biden e di Polonia, Paesi baltici e nordici affinché tali asset vengano requisiti per finanziare la resistenza ucraina contro Mosca. Essendo proprietà statale, questi fondi – che restano formalmente della Russia, pur essendo inaccessibili – godono dell’immunità dalla confisca secondo il diritto internazionale. Il Cremlino ha dichiarato chiaramente che avvierebbe immediatamente azioni legali contro qualsiasi tentativo di esproprio, molto probabilmente procedendo a sua volta alla confisca delle attività occidentali congelate sul proprio territorio. Parigi e Berlino hanno inoltre espresso timori che una confisca unilaterale di centinaia di miliardi di beni sovrani possa spaventare gli investitori e danneggiare l’attrattività dei mercati finanziari europei. Ma alla volpe Ursula non restano tante altre possibilità: confiscare i beni russi.
Stando a quanto è emerso finora dalla proposta, a Euroclear verrebbe richiesto di fornire all’UE un prestito senza interessi equivalente al valore degli asset congelati – la maggior parte dei quali, nel frattempo, è già stata convertita in liquidità. Di quei 185 miliardi di euro, circa 45 miliardi verrebbero probabilmente impiegati per rimborsare le somme che i Paesi dell’Unione e i loro alleati del G7 hanno già prestato all’Ucraina, utilizzando gli interessi generati da questi fondi immobilizzati. Il resto andrebbe dritto a Kiev….sotto forma di prestito.
Qui si gioca ancora una volta la carta dell’ipocrisia: l’UE fornisce soldi, ma li rivorrà indietro. La volpe Ursula è così furba che sa come approfittarsene della sofferenza di milioni di cittadini ucraini che stanno perdendo una guerra, ed è pronta a fare soldi su di loro.
Certo, l’artificio finanziario inventato per usare quei soldi è davvero intelligente, ma non è una garanzia di successo e, soprattutto, non offre garanzie di difesa.
Poi c’è un altro problema: una parte di quei soldi, 100 miliardi di euro, sono stati richiesti dal governo americano per la ricostruzione di Kiev, secondo quanto discusso nel piano in 28 punti. Tutto ciò apre ad un ulteriore problema: gli Stati europei potrebbero trovarsi a dover rimborsare interamente il presito da 140 miliardi di euro qualora la Russia si rifiutasse di pagare i cosiddetti “danni di guerra”, in quanto unici garanti dell’operazione finanziaria. Il Belgio che detiene con Euroclear i fondi congelati deve riflettere molto bene su cosa fare. Dare l’uva alla volpe o tenerla per il contadino?
La favola della volpe e dell’uva resta un prezioso strumento interpretativo: semplice, universale, capace di illuminare le dinamiche psicologiche che si innestano anche nei sistemi complessi. Vedremo cosa diranno e faranno i leader europei, accecati dal loro fallimento e dal bisogno di salvare almeno una piccola parte dei loro interessi politici prima della prossima tornata elettorale. La favola, tuttavia, ricorda una verità fondamentale: quando un obiettivo diventa difficile da raggiungere, il rischio di riscriverne il significato è sempre dietro l’angolo.


