Nonostante Hamas abbia accettato una nuova proposta di tregua presentata dai mediatori di Egitto e Qatar – l’intesa ricalca a grandi linee lo schema degli accordi precedenti
Nonostante Hamas abbia accettato una nuova proposta di tregua presentata dai mediatori di Egitto e Qatar – l’intesa ricalca a grandi linee lo schema degli accordi precedenti: cessate il fuoco di 60 giorni con Israele, restituzione di metà degli ostaggi ancora detenuti a Gaza, rilascio di parte dei prigionieri palestinesi – il Ministro della Difesa Israel Katz ha approvato i piani delle Forze di difesa (IDF) israeliane per una nuova e definitiva operazione per occupare il cuore urbano della Striscia di Gaza (Gaza City).
Decine di migliaia di riservisti israeliani, stando ai piani dello Stato Maggiore approvati dal Governo di Tel Aviv, saranno richiamati per l’offensiva contro Hamas a Gaza City. Non si tratterà però di una mobilitazione immediata, ma di un’operazione programmata in diverse ondate. La maggior parte – circa 40.000-50.000 riservisti – avrebbero ricevuto l’ordine di presentarsi in servizio il 2 settembre. Un’altra ondata si dispiegherà tra novembre e dicembre, e una terza tra febbraio e marzo 2026. L’IDF, inoltre, ha inoltre dichiarato di voler estendere di altri 30-40 giorni il servizio per circa 20.000 riservisti, il che porterebbe il numero totale di riservisti pronti per l’offensiva a circa 130.000.
Le truppe sioniste avrebbero già preso il controllo della periferia di Gaza e avvertito ospedali e organizzazioni umanitarie nel nord della Striscia di organizzare l’evacuazione. Secondo fonti dei media israeliani, l’operazione contro la città di Gaza comincerà appunto con l’evacuazione dei civili, poi l’esercito circonderà tutta la città e comincerà a occuparla gradualmente, attaccando anche le zone e i quartieri dove i soldati non sono ancora entrati.
L’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Turk, dopo che è stata confermata la carestia a Gaza City e nell’area circostante con il rapporto dell’Ipc -il sistema globale di monitoraggio della fame sostenuto dalle Nazioni Unite – ha lanciato l’allarme sul dramma delle vite di 132.000 bimbi sotto i cinque anni che sono a rischio a causa della malnutrizione. L’ONU punta direttamente il dito contro il blocco degli aiuti da parte di Israele e ribadisce: “Il tempo del dibattito e dell’esitazione è passato, la fame è presente e si sta diffondendo rapidamente”. La portata della tragedia non sembra sfiorare le autorità religiose sioniste; nelle scorse settimane alcuni noti rabbini israeliani come Ronen Shaulov hanno dichiarato che:
“Tutti i bambini di Gaza devono morire di fame. È una vergogna e un disonore che nel nostro Paese si parli ancora dei bambini affamati di Gaza. È una vergogna e un disonore che la gente in pochi mesi abbia dimenticato quello che abbiamo passato il 7 ottobre”.
“Tutti gli abitanti di Gaza e tutti i bambini di Gaza dovrebbero morire di fame per quello che i cittadini di Gaza stanno facendo ora agli ostaggi”.
“Li stanno facendo morire di fame e li stanno maltrattando, e non dimenticate che quelli che sono a Gaza, quelli che soffocano e affamano gli ostaggi, una volta erano bambini”.
“A Gaza nessuno è innocente, sono tutti coinvolti … Solo uno stupido, un odiatore di Israele, ha pietà per i futuri terroristi, anche se oggi sono ancora giovani e affamati, spero. Che muoiano di fame. E se qualcuno ha qualcosa da ridire su quello che ho detto, è un problema suo”[1] …
Contemporaneamente, il Governo israeliano ha approvato in via definitiva il progetto di costruzione di una nuova colonia che dividerebbe in due la Cisgiordania, cioè uno dei territori, assieme alla Striscia di Gaza, su cui si dovrebbe basare un eventuale Stato palestinese. La proposta di insediamento approvata nei giorni scorsi dal Ministero della Difesa israeliano consiste in un piano per costruire 3.400 nuove unità abitative in una zona nota come E1, un’area di terra di circa 4,6 miglia quadrate che separa Gerusalemme dall’insediamento israeliano di Maale Adumim. L’area E1 è particolarmente significativa, poiché è una delle ultime zone che collega le città palestinesi di Ramallah a nord e Betlemme a sud, entrambe in Cisgiordania. I beduini – discendenti di gruppi storicamente semi-nomadi, molti dei quali vivono nelle aree agricole della Cisgiordania e che attualmente risiedono nella zona – hanno dichiarato di aver già ricevuto l’ordine di andarsene. Atallah Al-Jahelin, rappresentante della comunità beduina di Jabal Al-Baba, a ovest di Maale Adumim, ha affermato che gli abitanti del posto hanno ricevuto notifica dei lavori di demolizione previsti. L’E1 è designata come parte dell’Area C, il che significa che Israele ne ha il pieno controllo civile e di sicurezza. Circa il 60% della Cisgiordania è designato come Area C, mentre solo il 18% è classificato come Area A, il che significa che è sotto il pieno controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Secondo la Comunità Internazionale la divisione della Cisgiordania comprometterebbe dunque la possibilità futura di una risoluzione delle ostilità con la creazione di due Stati indipendenti. Almeno 21 Paesi tra cui Gran Bretagna, Francia, Australia, Canada e Italia ne chiedono l’immediata revoca condannandola come una inaccettabile violazione del diritto internazionale, mentre l’Egitto ha messo in stato di allerta il proprio esercito e ha schierato alcune truppe alla frontiera. Anche l’Unione Europea ha esortato Israele a desistere dal portare avanti questa decisione ma nessuna sanzione contro Tel Aviv è in vista. Il Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha giustamente sottolineato che l’Europa continua a perdere tempo sulla questione dello Stato palestinese finchè non rimarrà nulla da riconoscere.
Tutto quello che sta accadendo oggi trova però le sue radici in un passato più o meno recente.
Se l’ideologia sionista continua rimanere a fondamento della sovrastruttura razzista e suprematista dello Stato di Israele, la sua evoluzione bellica è stata alimentata da un significativo progetto elaborato nel 2020 dalla Forze Armate israeliane: il Momentum Plan, “Andare all’attacco”, che segna un cambiamento radicale nella dottrina militare di Tel Aviv. Questo documento dimostra che le IDF sono giunte a considerare la principale minaccia per Israele come proveniente da forze “asimmetriche”, un concetto emerso in un contesto di “chiara supremazia militare israeliana contro tutti gli eserciti convenzionali confinanti”. Da allora, tuttavia, l’Iran ha sfidato la supremazia militare di Israele sia direttamente che indirettamente. Gli arsenali dei proxy iraniani ai confini di Israele hanno richiesto che il nemico venisse ridefinito come “esercito terroristico”. Pertanto, la minaccia per Israele è cresciuta significativamente e ha cambiato natura. Il quadro teorico del “Concetto Operativo per la Vittoria” delle IDF, che è alla base del Piano Pluriennale “Momentum” del 2020, definisce la nuova realtà di Israele, delinea un approccio aggiornato “per una vittoria decisiva” contro avversari capaci e fornisce uno schema teorico e pratico per i necessari requisiti di progettazione delle forze.
Tale strategia volta all’annientamento definitivo dell’avversario mette la parola “fine” a qualsiasi prospettiva dei due Stati per due popoli e rilancia, almeno teoricamente, l’unica soluzione politica possibile: quella di uno Stato unico per tutte le etnie e confessioni religiose presenti in Palestina, con la conditio sine qua non della liquidazione dell’ideologia sionista.
[1] Alessandro Di Battista, Cosa predicano diversi rabbini in Israele, Substack, 6 agosto 2025.