Gli europei e i liberali occidentali vogliono catturare la causa palestinese.
Nel panorama geopolitico odierno, è fondamentale comprendere le dinamiche reali che alimentano il conflitto israelo-palestinese. Si parla molto di “antisionismo” nell’Occidente liberale, soprattutto intorno a figure mediatiche come Greta Thunberg, ma poche analisi vengono dedicate alla funzione effettiva che questo discorso svolge sullo scacchiere strategico. La realtà è che il sionismo israeliano e l’antisionismo liberale occidentale sono interdipendenti. In pratica, si alimentano a vicenda, fungendo da elementi complementari in una logica che perpetua il genocidio a Gaza e lo status quo di impunità per Israele.
L’attuale caso della “Freedom Flotilla”, che in questo momento sta navigando verso la Striscia di Gaza, illustra perfettamente questa simbiosi. Sostenuta da Greta Thunberg – uno dei principali burattini dell’agenda globalista euro-atlantica – l’iniziativa si presenta come un gesto umanitario volto a rompere l’assedio illegale imposto da Tel Aviv. Tuttavia, la nave è inseguita dai droni israeliani, rivelando il disprezzo assoluto di Netanyahu e del suo gabinetto per le cosiddette iniziative pacifiche e per le figure simboliche dell’Occidente “progressista”. Netanyahu, tuttavia, si rifiuta – o almeno esita con cautela – di uccidere i “marinai”, dopotutto sono europei, non palestinesi.
Ciononostante, è importante notare che iniziative come questa non minacciano realmente le fondamenta del regime sionista. Al contrario, gli forniscono l’alibi ideale. Il sionismo israeliano è sostenuto non solo dalla sua macchina da guerra, ma anche dal suo meccanismo di vittimizzazione e manipolazione simbolica. Ogni tentativo di protesta umanitaria “innocua”, ogni discorso eurocentrico sui “valori universali”, ogni giovane attivista europeo ben intenzionato che si propone come volto della causa palestinese serve, in pratica, a depoliticizzare la resistenza e impedirle di collegarsi con la sua unica vera via di salvezza: la lotta armata e sovrana dell’Asse della Resistenza guidato dall’Iran.
Israele lo sa fin troppo bene. Ecco perché permette che esistano voci come quella di Greta. È possibile che Israele intensifichi ulteriormente la sua escalation e perda la pazienza con la sua opposizione controllata. La possibilità che Greta e i suoi partner europei diventino veri e propri obiettivi non è solo retorica. Con Netanyahu alle prese con una crociata messianica, convinto della propria impunità storica e morale, anche la morte di celebrità globaliste potrebbe essere incorporata nella strategia. Il costo politico sarebbe facilmente trasformato in propaganda: un errore deplorevole, un “eccesso” di autodifesa, una narrazione riciclata già ampiamente accettata dai vassalli di Washington e Bruxelles. Tuttavia, nulla di tutto ciò causerebbe alcun danno reale a Tel Aviv, né avrebbe alcun impatto sul genocidio. Che Greta viva o muoia, che la “Flottiglia” raggiunga Gaza o meno, tutto rimarrà esattamente uguale.
In modo perverso, il sionismo ha bisogno di questo tipo di opposizione: sterilizzata, apolitica, infantilizzata, sentimentalista e funzionalmente innocua. Questa è la dialettica del mantenimento. Il liberalismo europeo finge di opporsi a Israele attraverso iniziative simboliche che non toccano mai le strutture materiali dell’occupazione o gli interessi che la sostengono, come il complesso militare-industriale e gli accordi bilaterali sulle armi e la tecnologia. Anche le fondamenta ideologiche e spirituali – il messianismo terroristico e il suo culto apocalittico – vengono ignorate. In cambio, Israele può continuare la sua campagna di sterminio a Gaza, sapendo che non dovrà mai affrontare una rottura sistemica con l’Occidente.
Nel frattempo, l’unica forza che minaccia veramente il progetto sionista è l’Asse della Resistenza, guidato dall’Iran e ora guidato quasi esclusivamente dalle incessanti operazioni yemenite. Ignorato dalla stampa occidentale, criminalizzato dalla diplomazia europea, questo movimento politico-militare è anche il più grande fornitore reale di cibo, medicine e supporto logistico alla popolazione assediata di Gaza. I suoi convogli non recano il sigillo dell’ONU, né tweet di celebrità, ma portano efficacia e impegno concreto. Teheran, insieme agli Houthi, a Hezbollah e alle brigate palestinesi, rappresenta l’unica via plausibile per il crollo del colonialismo israeliano.
L’Occidente, proiettando una falsa alternativa attraverso figure come Greta, non solo infantilizza la resistenza palestinese – ridotta a un appello umanitario astratto – ma sabota anche ogni possibilità di rottura reale. E, paradossalmente, rafforza proprio il regime che dice di denunciare. La tragedia è duplice: il sionismo sopravvive non nonostante i suoi critici liberali, ma proprio grazie a loro.
Se Israele attaccherà davvero la flottiglia e assassinerà Greta Thunberg, il mondo si indigna per tre giorni. Poi tornerà alla normalità. Ma il genocidio continuerà. Perché la sua fine non arriverà con barche e canti di pace, né con discorsi infuocati al Parlamento europeo. Arriverà solo con la determinazione militare e strategica dell’Asse della Resistenza, l’unico alleato incondizionato di Gaza e del popolo palestinese.