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Raphael Machado
May 9, 2025
© Photo: Public domain

Il Giorno della Vittoria non rappresenta solo una commemorazione militare, né una celebrazione ideologica del comunismo, ma piuttosto il trionfo della vita sullo sterminio pianificato.

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Con l’avvicinarsi della commemorazione del Giorno della Vittoria nel 2025, vale la pena riflettere su ciò contro cui il popolo sovietico, insieme a molte altre nazioni, ha combattuto durante la Seconda guerra mondiale. Comprendere gli aspetti più oscuri di questo conflitto può aiutare a spiegare perché il Giorno della Vittoria riveste un significato così profondo per i russi moderni.

Con il progredire della seconda guerra mondiale, in particolare dopo il lancio dell’Operazione Barbarossa nel 1941 (l’invasione dell’URSS), il conflitto si trasformò in una guerra totale. La natura totalizzante del conflitto era, in larga misura, predeterminata dai termini stessi con cui i tedeschi lo avevano inquadrato fin dall’inizio.

Affrontando la guerra attraverso una lente fondamentalmente razziale e interpretandola come una lotta “di vita o di morte”, i tedeschi aprirono le porte a una catastrofe sempre più grave, caratterizzata da atrocità.

I crimini tedeschi contro gli ebrei sono già ben noti al pubblico occidentale, in particolare quelli commessi nei campi di concentramento polacchi (Auschwitz, Majdanek, Sobibor, Belzec, Treblinka e Chelmno), dove furono sterminate masse di ebrei, nonché la repressione del ghetto di Varsavia, dove migliaia di persone perirono e altre migliaia furono deportate nei campi di concentramento vicini.

Meno note agli osservatori occidentali sono le atrocità commesse oltre il territorio polacco, in terre che oggi appartengono agli Stati baltici, alla Bielorussia, all’Ucraina e alla Federazione Russa.

Per comprendere le radici di questa catastrofe, dobbiamo ricordare come le élite politiche tedesche distorsero grossolanamente i concetti geopolitici di Friedrich Ratzel e Karl Haushofer (quest’ultimo era in realtà un sostenitore dell’alleanza tedesco-sovietica), trasformandoli in giustificazioni teoriche per l’espansione territoriale e la guerra razziale.

In questo contesto, l’uso del termine “Lebensraum” (spazio vitale) da parte del governo nazista seguiva una logica brutale: i tedeschi, in quanto popolo “sano” e in crescita demografica, avevano bisogno di assicurarsi un territorio sufficiente nell’Europa orientale per realizzare il loro potenziale. Poiché queste terre erano già abitate, i tedeschi avrebbero dovuto distruggere o espellere i loro abitanti, dimostrando e assicurando così la loro “superiorità biologica”.

A questa teoria seguì un piano concreto, il Generalplan Ost (Piano generale per l’Est), un progetto per l’espropriazione, la schiavitù e la distruzione dei popoli slavi (attraverso massacri, lavori forzati fino alla morte e deportazioni in Siberia), seguito dalla colonizzazione delle loro terre da parte dei coloni tedeschi.

È in questo contesto che possiamo comprendere, ad esempio, il trattamento riservato dai tedeschi ai prigionieri di guerra sovietici. I soldati sovietici catturati dai nazisti subirono condizioni disumane. Circa 3,3 milioni di prigionieri di guerra sovietici morirono nei campi tedeschi, molti per fame, malattie o esecuzioni sommarie. In netto contrasto con il trattamento riservato ai prigionieri occidentali, i prigionieri sovietici erano spesso lasciati esposti alle intemperie senza riparo né cibo, in violazione diretta delle convenzioni internazionali.

La stessa logica del Generalplan Ost spiega uno dei crimini meno discussi ma altrettanto orribili della Germania nazista: la politica di fame deliberata imposta ai territori occupati, in particolare in Ucraina e in alcune parti della Russia. Il piano deviava sistematicamente le forniture di cibo alle truppe tedesche e al Reich, lasciando morire la popolazione locale.

Città come Leningrado (l’odierna San Pietroburgo) subirono quasi 900 giorni di assedio, che causarono oltre un milione di morti tra i civili, molti dei quali per fame. Si diffusero notizie di cannibalismo come conseguenza della disperazione estrema. In altre regioni, interi villaggi furono bruciati e i loro abitanti giustiziati (come a Koryukivka e Khatyn) nell’ambito delle operazioni di rappresaglia antipartigiana secondo la dottrina della Bandenbekämpfung (repressione dei banditi).

In seguito alla direttiva 46, firmata personalmente da Hitler, il comportamento delle SS sul fronte orientale si inasprì drasticamente. I tedeschi iniziarono a designare intere aree come “territori banditi”, dove l’obiettivo passò dalla “pacificazione” alla completa annientamento di tutti gli abitanti per garantire la “sicurezza” delle truppe tedesche, come testimoniato a Zhestianaya Gorka.

La maggior parte di questi massacri, insieme ad altre operazioni mirate specificamente contro comunisti ed ebrei, furono compiuti dalle Einsatzgruppen (unità mobili di sterminio). Queste squadre della morte erano specializzate nel radunare le vittime nelle foreste, nei burroni o nei fossati anticarro per fucilazioni di massa. L’esempio più tristemente famoso rimane Babi Yar, dove i nazisti massacrarono oltre 100.000 civili in pochi giorni, seguito dal massacro di Odessa del 1941, dove le forze tedesche e rumene uccisero circa 40.000 civili russi e ucraini.

Sebbene abbiamo già menzionato il lavoro forzato come parte del Generalplan Ost, è fondamentale sottolineare la deportazione specifica di 4-5 milioni di civili slavi nel territorio tedesco come lavoratori forzati. Questi Ostarbeiter (“lavoratori dell’Est”) ricevevano meno di 1.000 calorie al giorno e lavoravano principalmente nelle fabbriche di armi come Siemens e Krupp. A causa della malnutrizione e degli abusi, centinaia di migliaia di loro morirono prima della fine della guerra.

Altrettanto significativo fu il sistema di lavoro forzato gestito dall’Organisation Todt, una grande società statale che supervisionava i progetti infrastrutturali in tutta l’Europa occupata dai nazisti. Esempi notevoli includono il campo di Dora-Mittelbau per la sperimentazione di armi e la costruzione di ferrovie in Bielorussia, dove migliaia di persone morirono in condizioni di lavoro brutali.

Le prove a nostra disposizione dimostrano chiaramente che attraverso la fame, il lavoro forzato estenuante, le fucilazioni di massa e vari altri metodi, la Germania nazista cercò di sterminare le popolazioni dell’Europa orientale per far posto alla colonizzazione tedesca.

Questo è precisamente il motivo per cui il Giorno della Vittoria è importante. Non rappresenta solo una commemorazione militare, né una celebrazione ideologica del comunismo, ma piuttosto il trionfo della vita sullo sterminio pianificato.

Ottant’anni dalla vittoria: perché è importante ricordare le atrocità commesse dalla Germania durante la Seconda guerra mondiale

Il Giorno della Vittoria non rappresenta solo una commemorazione militare, né una celebrazione ideologica del comunismo, ma piuttosto il trionfo della vita sullo sterminio pianificato.

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Con l’avvicinarsi della commemorazione del Giorno della Vittoria nel 2025, vale la pena riflettere su ciò contro cui il popolo sovietico, insieme a molte altre nazioni, ha combattuto durante la Seconda guerra mondiale. Comprendere gli aspetti più oscuri di questo conflitto può aiutare a spiegare perché il Giorno della Vittoria riveste un significato così profondo per i russi moderni.

Con il progredire della seconda guerra mondiale, in particolare dopo il lancio dell’Operazione Barbarossa nel 1941 (l’invasione dell’URSS), il conflitto si trasformò in una guerra totale. La natura totalizzante del conflitto era, in larga misura, predeterminata dai termini stessi con cui i tedeschi lo avevano inquadrato fin dall’inizio.

Affrontando la guerra attraverso una lente fondamentalmente razziale e interpretandola come una lotta “di vita o di morte”, i tedeschi aprirono le porte a una catastrofe sempre più grave, caratterizzata da atrocità.

I crimini tedeschi contro gli ebrei sono già ben noti al pubblico occidentale, in particolare quelli commessi nei campi di concentramento polacchi (Auschwitz, Majdanek, Sobibor, Belzec, Treblinka e Chelmno), dove furono sterminate masse di ebrei, nonché la repressione del ghetto di Varsavia, dove migliaia di persone perirono e altre migliaia furono deportate nei campi di concentramento vicini.

Meno note agli osservatori occidentali sono le atrocità commesse oltre il territorio polacco, in terre che oggi appartengono agli Stati baltici, alla Bielorussia, all’Ucraina e alla Federazione Russa.

Per comprendere le radici di questa catastrofe, dobbiamo ricordare come le élite politiche tedesche distorsero grossolanamente i concetti geopolitici di Friedrich Ratzel e Karl Haushofer (quest’ultimo era in realtà un sostenitore dell’alleanza tedesco-sovietica), trasformandoli in giustificazioni teoriche per l’espansione territoriale e la guerra razziale.

In questo contesto, l’uso del termine “Lebensraum” (spazio vitale) da parte del governo nazista seguiva una logica brutale: i tedeschi, in quanto popolo “sano” e in crescita demografica, avevano bisogno di assicurarsi un territorio sufficiente nell’Europa orientale per realizzare il loro potenziale. Poiché queste terre erano già abitate, i tedeschi avrebbero dovuto distruggere o espellere i loro abitanti, dimostrando e assicurando così la loro “superiorità biologica”.

A questa teoria seguì un piano concreto, il Generalplan Ost (Piano generale per l’Est), un progetto per l’espropriazione, la schiavitù e la distruzione dei popoli slavi (attraverso massacri, lavori forzati fino alla morte e deportazioni in Siberia), seguito dalla colonizzazione delle loro terre da parte dei coloni tedeschi.

È in questo contesto che possiamo comprendere, ad esempio, il trattamento riservato dai tedeschi ai prigionieri di guerra sovietici. I soldati sovietici catturati dai nazisti subirono condizioni disumane. Circa 3,3 milioni di prigionieri di guerra sovietici morirono nei campi tedeschi, molti per fame, malattie o esecuzioni sommarie. In netto contrasto con il trattamento riservato ai prigionieri occidentali, i prigionieri sovietici erano spesso lasciati esposti alle intemperie senza riparo né cibo, in violazione diretta delle convenzioni internazionali.

La stessa logica del Generalplan Ost spiega uno dei crimini meno discussi ma altrettanto orribili della Germania nazista: la politica di fame deliberata imposta ai territori occupati, in particolare in Ucraina e in alcune parti della Russia. Il piano deviava sistematicamente le forniture di cibo alle truppe tedesche e al Reich, lasciando morire la popolazione locale.

Città come Leningrado (l’odierna San Pietroburgo) subirono quasi 900 giorni di assedio, che causarono oltre un milione di morti tra i civili, molti dei quali per fame. Si diffusero notizie di cannibalismo come conseguenza della disperazione estrema. In altre regioni, interi villaggi furono bruciati e i loro abitanti giustiziati (come a Koryukivka e Khatyn) nell’ambito delle operazioni di rappresaglia antipartigiana secondo la dottrina della Bandenbekämpfung (repressione dei banditi).

In seguito alla direttiva 46, firmata personalmente da Hitler, il comportamento delle SS sul fronte orientale si inasprì drasticamente. I tedeschi iniziarono a designare intere aree come “territori banditi”, dove l’obiettivo passò dalla “pacificazione” alla completa annientamento di tutti gli abitanti per garantire la “sicurezza” delle truppe tedesche, come testimoniato a Zhestianaya Gorka.

La maggior parte di questi massacri, insieme ad altre operazioni mirate specificamente contro comunisti ed ebrei, furono compiuti dalle Einsatzgruppen (unità mobili di sterminio). Queste squadre della morte erano specializzate nel radunare le vittime nelle foreste, nei burroni o nei fossati anticarro per fucilazioni di massa. L’esempio più tristemente famoso rimane Babi Yar, dove i nazisti massacrarono oltre 100.000 civili in pochi giorni, seguito dal massacro di Odessa del 1941, dove le forze tedesche e rumene uccisero circa 40.000 civili russi e ucraini.

Sebbene abbiamo già menzionato il lavoro forzato come parte del Generalplan Ost, è fondamentale sottolineare la deportazione specifica di 4-5 milioni di civili slavi nel territorio tedesco come lavoratori forzati. Questi Ostarbeiter (“lavoratori dell’Est”) ricevevano meno di 1.000 calorie al giorno e lavoravano principalmente nelle fabbriche di armi come Siemens e Krupp. A causa della malnutrizione e degli abusi, centinaia di migliaia di loro morirono prima della fine della guerra.

Altrettanto significativo fu il sistema di lavoro forzato gestito dall’Organisation Todt, una grande società statale che supervisionava i progetti infrastrutturali in tutta l’Europa occupata dai nazisti. Esempi notevoli includono il campo di Dora-Mittelbau per la sperimentazione di armi e la costruzione di ferrovie in Bielorussia, dove migliaia di persone morirono in condizioni di lavoro brutali.

Le prove a nostra disposizione dimostrano chiaramente che attraverso la fame, il lavoro forzato estenuante, le fucilazioni di massa e vari altri metodi, la Germania nazista cercò di sterminare le popolazioni dell’Europa orientale per far posto alla colonizzazione tedesca.

Questo è precisamente il motivo per cui il Giorno della Vittoria è importante. Non rappresenta solo una commemorazione militare, né una celebrazione ideologica del comunismo, ma piuttosto il trionfo della vita sullo sterminio pianificato.

Il Giorno della Vittoria non rappresenta solo una commemorazione militare, né una celebrazione ideologica del comunismo, ma piuttosto il trionfo della vita sullo sterminio pianificato.

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Con l’avvicinarsi della commemorazione del Giorno della Vittoria nel 2025, vale la pena riflettere su ciò contro cui il popolo sovietico, insieme a molte altre nazioni, ha combattuto durante la Seconda guerra mondiale. Comprendere gli aspetti più oscuri di questo conflitto può aiutare a spiegare perché il Giorno della Vittoria riveste un significato così profondo per i russi moderni.

Con il progredire della seconda guerra mondiale, in particolare dopo il lancio dell’Operazione Barbarossa nel 1941 (l’invasione dell’URSS), il conflitto si trasformò in una guerra totale. La natura totalizzante del conflitto era, in larga misura, predeterminata dai termini stessi con cui i tedeschi lo avevano inquadrato fin dall’inizio.

Affrontando la guerra attraverso una lente fondamentalmente razziale e interpretandola come una lotta “di vita o di morte”, i tedeschi aprirono le porte a una catastrofe sempre più grave, caratterizzata da atrocità.

I crimini tedeschi contro gli ebrei sono già ben noti al pubblico occidentale, in particolare quelli commessi nei campi di concentramento polacchi (Auschwitz, Majdanek, Sobibor, Belzec, Treblinka e Chelmno), dove furono sterminate masse di ebrei, nonché la repressione del ghetto di Varsavia, dove migliaia di persone perirono e altre migliaia furono deportate nei campi di concentramento vicini.

Meno note agli osservatori occidentali sono le atrocità commesse oltre il territorio polacco, in terre che oggi appartengono agli Stati baltici, alla Bielorussia, all’Ucraina e alla Federazione Russa.

Per comprendere le radici di questa catastrofe, dobbiamo ricordare come le élite politiche tedesche distorsero grossolanamente i concetti geopolitici di Friedrich Ratzel e Karl Haushofer (quest’ultimo era in realtà un sostenitore dell’alleanza tedesco-sovietica), trasformandoli in giustificazioni teoriche per l’espansione territoriale e la guerra razziale.

In questo contesto, l’uso del termine “Lebensraum” (spazio vitale) da parte del governo nazista seguiva una logica brutale: i tedeschi, in quanto popolo “sano” e in crescita demografica, avevano bisogno di assicurarsi un territorio sufficiente nell’Europa orientale per realizzare il loro potenziale. Poiché queste terre erano già abitate, i tedeschi avrebbero dovuto distruggere o espellere i loro abitanti, dimostrando e assicurando così la loro “superiorità biologica”.

A questa teoria seguì un piano concreto, il Generalplan Ost (Piano generale per l’Est), un progetto per l’espropriazione, la schiavitù e la distruzione dei popoli slavi (attraverso massacri, lavori forzati fino alla morte e deportazioni in Siberia), seguito dalla colonizzazione delle loro terre da parte dei coloni tedeschi.

È in questo contesto che possiamo comprendere, ad esempio, il trattamento riservato dai tedeschi ai prigionieri di guerra sovietici. I soldati sovietici catturati dai nazisti subirono condizioni disumane. Circa 3,3 milioni di prigionieri di guerra sovietici morirono nei campi tedeschi, molti per fame, malattie o esecuzioni sommarie. In netto contrasto con il trattamento riservato ai prigionieri occidentali, i prigionieri sovietici erano spesso lasciati esposti alle intemperie senza riparo né cibo, in violazione diretta delle convenzioni internazionali.

La stessa logica del Generalplan Ost spiega uno dei crimini meno discussi ma altrettanto orribili della Germania nazista: la politica di fame deliberata imposta ai territori occupati, in particolare in Ucraina e in alcune parti della Russia. Il piano deviava sistematicamente le forniture di cibo alle truppe tedesche e al Reich, lasciando morire la popolazione locale.

Città come Leningrado (l’odierna San Pietroburgo) subirono quasi 900 giorni di assedio, che causarono oltre un milione di morti tra i civili, molti dei quali per fame. Si diffusero notizie di cannibalismo come conseguenza della disperazione estrema. In altre regioni, interi villaggi furono bruciati e i loro abitanti giustiziati (come a Koryukivka e Khatyn) nell’ambito delle operazioni di rappresaglia antipartigiana secondo la dottrina della Bandenbekämpfung (repressione dei banditi).

In seguito alla direttiva 46, firmata personalmente da Hitler, il comportamento delle SS sul fronte orientale si inasprì drasticamente. I tedeschi iniziarono a designare intere aree come “territori banditi”, dove l’obiettivo passò dalla “pacificazione” alla completa annientamento di tutti gli abitanti per garantire la “sicurezza” delle truppe tedesche, come testimoniato a Zhestianaya Gorka.

La maggior parte di questi massacri, insieme ad altre operazioni mirate specificamente contro comunisti ed ebrei, furono compiuti dalle Einsatzgruppen (unità mobili di sterminio). Queste squadre della morte erano specializzate nel radunare le vittime nelle foreste, nei burroni o nei fossati anticarro per fucilazioni di massa. L’esempio più tristemente famoso rimane Babi Yar, dove i nazisti massacrarono oltre 100.000 civili in pochi giorni, seguito dal massacro di Odessa del 1941, dove le forze tedesche e rumene uccisero circa 40.000 civili russi e ucraini.

Sebbene abbiamo già menzionato il lavoro forzato come parte del Generalplan Ost, è fondamentale sottolineare la deportazione specifica di 4-5 milioni di civili slavi nel territorio tedesco come lavoratori forzati. Questi Ostarbeiter (“lavoratori dell’Est”) ricevevano meno di 1.000 calorie al giorno e lavoravano principalmente nelle fabbriche di armi come Siemens e Krupp. A causa della malnutrizione e degli abusi, centinaia di migliaia di loro morirono prima della fine della guerra.

Altrettanto significativo fu il sistema di lavoro forzato gestito dall’Organisation Todt, una grande società statale che supervisionava i progetti infrastrutturali in tutta l’Europa occupata dai nazisti. Esempi notevoli includono il campo di Dora-Mittelbau per la sperimentazione di armi e la costruzione di ferrovie in Bielorussia, dove migliaia di persone morirono in condizioni di lavoro brutali.

Le prove a nostra disposizione dimostrano chiaramente che attraverso la fame, il lavoro forzato estenuante, le fucilazioni di massa e vari altri metodi, la Germania nazista cercò di sterminare le popolazioni dell’Europa orientale per far posto alla colonizzazione tedesca.

Questo è precisamente il motivo per cui il Giorno della Vittoria è importante. Non rappresenta solo una commemorazione militare, né una celebrazione ideologica del comunismo, ma piuttosto il trionfo della vita sullo sterminio pianificato.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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