Come il Benin è diventato un centro di cooperazione internazionale contro il terrorismo e un pioniere del panafricanismo
Nella lotta contro il terrorismo e l’estremismo violento, il Benin è sostenuto da numerosi partner.
Il 27 febbraio 2025 le sue Forze armate hanno concluso un programma di cooperazione con gli Stati Uniti che ha individuato cinque assi: sicurezza interna, intelligence, salute, logistica e antiterrorismo. Gli U.S.A. hanno già fornito al Benin veicoli blindati, apparecchiature di comunicazione, equipaggiamento individuale e stanno intervenendo per curare ed evacuare i soldati feriti al fronte.
Inoltre, il Benin ha ricevuto lo scorso 6 marzo un aereo di sorveglianza e ricognizione offerto dall’Unione Europea che verrà utilizzato per l’operazione Mirador.
La minaccia terroristica incombe ancora in BENIN: le FDS sono state vittime di due attacchi con ordigni esplosivi improvvisati, il 3 marzo a Yangouali e il 26 febbraio a Kantoro. Fonti militari affermano di aver neutralizzato diversi terroristi.
Nell’ambito della lotta al terrorismo, l’ambizione delle Forze di difesa e sicurezza (FDS) entro il 2030 è quella di aumentare, tra le altre cose, la propria forza nell’aviazione, nell’intelligence e di creare proprie forze speciali.
Ciò avviene anche e soprattutto dopo gli attacchi terroristici che hanno preso di mira l’esercito beninese nella regione dall’inizio dell’anno e che hanno causato almeno 45 morti tra i soldati: quello dell’8 gennaio a Point Triple da una parte – 35 morti -, quello del 14 febbraio nel parco W dall’altra – sei morti secondo fonti beninesi, otto se si crede al Gruppo di supporto all’Islam e ai musulmani (JNIM) che ha rivendicato l’attacco -, e infine quello del 21 gennaio a Tamaloussi, di cui si è avuto notizia solo recentemente – che avrebbe causato cinque morti -, senza contare un altro attentato respinto nei giorni scorsi.
La difficile situazione spiega il secondo viaggio in pochi mesi del maggiore generale Fructueux Gbaguidi nel Benin settentrionale (e di cui non si conosce la durata), essendovi già stato a fine dicembre.
Il nuovo supporto occidentale è arrivato poco dopo l’annuncio che il Benin, nell’ambito di una partnership con la Repubblica Popolare Cinese, dal 22 febbraio 2025 avrebbe ospitato un distaccamento di addestramento operativo composto da 12 tecnici cinesi incaricati di inquadrare il personale del 1° Battaglione di artiglieria mista e della Direzione delle attrezzature delle Forze armate di Cotonou. Questa missione, che si è conclusa il 7 marzo, aveva l’obiettivo di trasmettere competenze essenziali sull’utilizzo e la manutenzione dei nuovi pezzi di artiglieria offerti dalla Cina nel 2024. L’artiglieria, arma strategica con capacità decisive sul campo di battaglia, svolge un ruolo cruciale nella protezione delle truppe e nella neutralizzazione delle minacce nemiche. Questa formazione avviene in un momento chiave per le Forze armate del Benin, che si trovano ad affrontare attacchi terroristici nel nord del Paese.
Il rafforzamento delle capacità operative dell’esercito beninese rientra in una più ampia dinamica di diversificazione e intensificazione della cooperazione militare, per rispondere al meglio alle sfide contemporanee in materia di sicurezza.
Secondo i dati riportati pochi giorni fa dall’Indice Globale sul Terrorismo 2025 (Global Terrorism Index – GTI) la regione africana del Sahel è diventata “l’epicentro del terrorismo globale” e per la prima volta rappresenta “oltre la metà di tutti i decessi legati al terrorismo”. La fascia del Sahel si estende dalla costa occidentale dell’Africa verso est attraversando tutto il continente; il GTI vi include in particolare 10 Paesi: Burkina Faso, Mali, Niger, Camerun, Guinea, Gambia, Senegal, Nigeria, Ciad e Mauritania.
In questa vastissima zona semiarida a sud del Sahara, secondo i dati del GTI, lo scorso anno in seguito ad attacchi terroristici di gruppi islamisti hanno perso la vita 3.885 persone su un totale mondiale di 7.555.
Il rapporto aggiunge che mentre la cifra globale di vittime del terrorismo è diminuita rispetto a un picco di 11.000 nel 2015, la cifra per il Sahel è aumentata dal 2019 di circa dieci volte, poiché i gruppi estremisti “continuano a spostare la loro attenzione” verso questa regione.
La maggioranza delle azioni terroristiche è stata messa in atto da due organizzazioni: il gruppo Stato islamico nel Sahel (IS-Sahel) e il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (GSIM), un ramo di al-Qaida e secondo gli analisti, nel processo di occupazione territoriale e di influenza politica, i gruppi jihadisti sono in competizione tra loro, finanziandosi anche attraverso la riscossione della Zakat, rapimenti a scopo di riscatto e furti di bestiame. Come si legge nel rapporto: “il traffico di droga rappresenta una delle attività più redditizie dal punto di vista finanziario legate al terrorismo nel Sahel”. Anche l’estrazione non regolamentata di risorse come oro e altri minerali contribuisce ad alimentare l’insicurezza generale, dato che i gruppi islamisti sono in lizza per impossessarsene.
Nonostante l’ingerenza storica dell’Occidente, il Benin è da anni al centro dei progetti panafricanisti, al punto di aver dato vita nel 2007 a Ohuida al Comopa (Congresso Mondiale del Panafricanismo) di cui ha ospitato i lavori nel 2015. L’attivista panafricanista naturalizzato francese Kemi Seba, di origine beninesi, ha annunciato la sua candidatura alle elezioni presidenziali del Benin nel 2026.
Soltanto pochi mesi fa, il 28 settembre 2024, il ministro degli Esteri del Benin, Shegun Bakari, ha riecheggiato la visione del presidente Patrice Talon. In un discorso lungimirante, ha espresso con delicatezza i problemi di sicurezza nell’Africa occidentale e una nuova dinamica panafricana, ribadendo al contempo l’impegno del Benin nel sostenere una rinascita culturale e politica del continente africano. Bakari ha delineato un panafricanismo audace e pragmatico, che va oltre i soliti discorsi. L’annuncio chiave del suo intervento è stata la revoca dei visti per tutti i cittadini africani, una misura con cui il Benin si posiziona come pioniere di un’Africa unita, offrendo una risposta concreta all’eterna aspirazione all’integrazione continentale.
Un altro punto di forza del suo discorso è stata la decisione di rendere la nazionalità beninese accessibile a tutti gli afrodiscendenti che ne facciano richiesta. Questa misura segna una svolta nei rapporti tra il Benin e i suoi figli separati, in particolare quelli coinvolti nella tratta transatlantica degli schiavi; porta con sé un potenziale di riconciliazione e di rafforzamento dei legami con la diaspora, che potrebbe stimolare le dinamiche sociali, politiche ed economiche del continente.
Il fatto che il Benin sia rimasto negli anni l’avanguardia culturale del panafricanismo spiega forse l’insistenza dei gruppi terroristici ad agire contro la sua sovranità e la stessa decisione di Cotonou di diversificare l’assistenza militare necessaria a combattere questa piaga.