Israele sta puntando a una guerra su vasta scala in Medio Oriente?
L’Iran sta prendendo in considerazione la possibilità di autorizzare ispettori statunitensi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) a monitorare l’andamento del programma nucleare della Repubblica islamica, se riuscirà a mediare un accordo con Washington. Lo ha affermato il direttore dell’Organizzazione per l’Energia atomica dell’Iran Mohammad Eslami, nel contesto di un miglioramento della situazione negoziale con gli Stati Uniti riconosciuta anche dal presidente Trump. Quest’ultimo, scrive «Axios», avrebbe parallelamente avvertito il primo ministro Netanyahu di non intraprendere alcuna azione che possa mettere a repentaglio le trattative con Teheran. Secondo quanto emerso negli scorsi giorni, l’intelligence statunitense aveva informato la Casa Bianca che Israele stava pianificando un attacco diretto contro le infrastrutture iraniane mirato proprio a sabotare le trattative.
Segno che, all’interno dell’amministrazione statunitense, potrebbe essersi creato consenso generalizzato attorno alle valutazioni formulate dall’Office of the Director of National Intelligence, secondo cui l’arma atomica non rientra nei progetti di Teheran. Nell’Annual Treath Assessment, pubblicato lo scorso marzo, si sostiene che «l’Iran non sta costruendo un’arma nucleare e Khamenei non ha autorizzato la riattivazione del programma di armi nucleari che aveva sospeso nel 2003, sebbene siano con ogni probabilità aumentate le pressioni su di lui affinché lo facesse […]. Khamenei rimane tuttavia il decisore finale riguardo al programma nucleare iraniano», e rimane ancorato al «desiderio di evitare il coinvolgimento dell’Iran in un conflitto diretto e ampliato con gli Stati Uniti e i loro alleati. Gli investimenti iraniani nelle forze armate rappresentano un elemento chiave degli sforzi volti a fronteggiare le minacce incombenti e scoraggiare/difendersi da un attacco da parte degli Stati Uniti o di Israele».
Resta da vedere come reagirà il governo Netanyahu, che stando al «New York Times» starebbe puntando comunque sull’opzione militare anche qualora Washington dovesse raggiungere un’intesa con Teheran, con il palese intento di trascinare gli Stati Uniti nel conflitto. Con il rischio non soltanto di gettare l’intero Medio Oriente nel caos, ma anche di porre il governo Usa di fronte a una decisione difficilissima che potrebbe anche risultare non in linea con le aspettative del governo Netanyahu. Lo suggeriscono anzitutto le rivelazioni dell’emittente israeliana «Channel 12», secondo cui il la Casa Bianca avrebbe ordinato all’esercito statunitense di interrompere il coordinamento con Israele riguardo a un eventuale attacco di quest’ultimo contro i siti nucleari iraniani, oltre che le recenti iniziative assunte dall’amministrazione Trump. Nell’arco di pochi giorni, si è registrata la conclusione delle operazioni militari Usa contro lo Yemen senza che gli Houthi ponessero fine ai loro attacchi contro Israele; la rimozione dal ruolo di consigliere per la Sicurezza Nazionale di un “super-falco” anti-iraniano come Michael Waltz; la cancellazione della visita già programmata in Israele del segretario alla Difesa Pete Hegseth, che ha accompagnato Trump nel suo tour diplomatico nella penisola araba. Gli impegni di investimento negli Stati Uniti assunti dalle controparti saudite, emiratine e qatariote nel corso della visita di Trump sono quasi sicuramente subordinati a una serie di condizioni, tra cui quella che vincola l’amministrazione statunitense a moltiplicare gli sforzi sia per il raggiungimento di un accordo sul nucleare iraniano, sia per scongiurare un attacco israeliano contro la Repubblica Islamica. Secondo alcune confidenze di alto livello raccolte da «Reuters», Trump si sarebbe spinto perfino a sostenere l’avvio del programma nucleare civile messo in cantiere dall’Arabia Saudita indipendentemente dalla disponibilità di quest’ultima a normalizzare le relazioni con Israele. Ma c’è addirittura di più. Fonti interne alla diplomazia statunitense hanno rivelato al «Washington Post» che Trump avrebbe intimato al primo ministro Netanyahu che gli Stati Uniti abbandoneranno Israele se le operazioni militari nella Striscia di Gaza non cesseranno. Una prospettiva che lo Stato ebraico non può assolutamente accettare, al di là delle affermazioni di Netanyahu secondo cui il Paese dovrebbe emanciparsi dal supporto militare statunitense.
Uno studio condotto dal Council on Foreign Relations ha appurato che, tra il 1946 e il 2023, Israele ha ricevuto dagli Usa assistenza finanziaria e – soprattutto – militare per un ammontare di circa 310 miliardi di dollari, e beneficerà, ai sensi di un apposito memorandum d’intesa, di versamenti pari a 4 miliardi di dollari all’anno quantomeno fino al 2028. Dati sbalorditivi, attestanti un flusso di finanziamenti diretti dagli Stati Uniti verso Israele quantificabile in circa 3 miliardi di dollari all’anno, equivalenti a oltre 500 dollari per ogni cittadino israeliano e al 20% circa dei sussidi esteri erogati complessivamente da Washington. Il tutto nonostante Israele rappresenti una potenza economica affermata, dotata di un reddito pro capite paragonabile a quello dell’Italia, della Spagna e della Corea del Sud. Tra il 7 ottobre e il 25 dicembre 2023, Tsahal ha ricevuto ufficialmente dagli Stati Uniti oltre 10.000 tonnellate di attrezzature militari (veicoli corazzati, armi, munizioni, equipaggiamenti, ecc.) trasportate da 244 aerei e 20 navi, a cui vanno sommati ulteriori 2,8 miliardi di dollari di forniture belliche acquistati da Tel Aviv. Uno studio pubblicato nell’ottobre del 2024 dalla Brown University ha appurato che, nei dodici mesi precedenti, Israele aveva beneficiato di sostegno militare statunitense per ameno 17,9 miliardi di dollari, a cui vanno aggiunti 4,86 miliardi richiesti dal finanziamento delle operazioni belliche condotte dalla marina e dall’aeronautica Usa a sostegno di Israele. Uno sganciamento degli Stati Uniti produrrebbe quindi effetti catastrofici sulla capacità di Israele di proseguire il conflitto in corso su più fronti.
Allo stesso tempo, moltiplicando ed esasperando il tenore delle minacce, Israele sta di fatto spingendo l’Iran a riconsiderare il proprio approccio rispetto alla questione nucleare. Lo ha evidenziato senza mezzi termini il consigliere della Guida Suprema Ali Larijani, secondo cui qualsiasi azione militare dovesse essere intrapresa contro l’Iran orienterà inesorabilmente Teheran verso l’atomica. La L’imperativo di anteporre la sopravvivenza stessa della Repubblica Islamica a qualsiasi altra considerazione, decretato a suo tempo dall’Ayatollah Khomeini in persona, apre automaticamente il varco all’adozione di sentenze religiose (fatwa) che di fronte a circostanze di straordinaria gravità vanificano in via provvisoria quelle preesistenti di significato opposto. Compresa quella che vieta la messa a punto dell’arma nucleare.