L’Iran definisce Israele il principale ostacolo alla non proliferazione nucleare. Storia del programma nucleare di Israele di Giacomo Gabellini.
Lo scorso 19 aprile, nel pieno delle trattative tra le autorità statunitensi e iraniane per la definizione di un accordo sullo spinoso tema del nucleare iraniano, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha sottolineato «la natura pacifica» del programma nucleare iraniano e riaffermato l’opposizione di Teheran alle armi di distruzione di massa «in linea con i suoi valori religiosi e nazionali e con la sua dottrina di difesa». Araghchi ha quindi identificato nello Stato d’Israele «l’unico ostacolo» alla trasformazione del Medio Oriente in un’area libera da armi nucleari. Le esternazioni del ministro degli Esteri di Teheran miravano a richiamare l’attenzione generale su una realtà di fatto ormai nota praticamente a tutti, anche se mai formalmente riconosciuta dalle autorità di Tel Aviv: il possesso dell’arma atomica da parte di Israele. Una storia che risale al 1952, quando, ad appena quattro anni di distanza dalla nascita dello Stato israeliano, prese avvio il programma nucleare di Tel Aviv, grazie soprattutto agli sforzi profusi in proposito dal chimico di fama internazionale Ernst David Bergmann. Bergmann aveva affinato le proprie competenze presso l’istituto di chimica organica Emil Fischer di Berlino, dove aveva avuto modo di stringere rapporti con professionisti di settore molto vicini a personalità di spicco della scienza come Ernest Rutherford e Marie Curie. Suo padre era uno dei più influenti rabbini di tutta la Germania, nonché amico intimo del biochimico Chaim Weizmann che qualche decennio dopo sarebbe diventato il primo presidente israeliano.
Stando alle ricerche di alcuni studiosi, fu proprio Weizmann a reclutare Bergmann per conto dell’Haganah (organizzazione paramilitare ebraica operante in Palestina durante il mandato britannico), che nel 1936 lo aveva incaricato di assoldare uno scienziato in grado di fornire supporto tecnico per la messa a punto di una nuova tipologia di esplosivo da impiegare per la guerra contro gli arabi e le forze colonialiste britanniche. In seguito alla fondazione di Israele, Bergmann fu posto alle dipendenze del Ministero della Difesa, a capo della commissione per l’energia atomica creata per volontà del premier David Ben-Gurion e del suo giovane braccio destro Shimon Peres dopo che Robert Oppenheimer, John Von Neumann ed altri scienziati connessi al Progetto Manhattan avevano declinato la proposta di dedicarsi alla ricerca in Israele. All’epoca, Ben-Gurion e Peres erano fermamente convinti che il neonato Stato ebraico non sarebbe riuscito a garantire le propria sicurezza in assenza di un formidabile deterrente strategico. Conformemente a questa impostazione, Bergmann manifestò le proprie preoccupazioni riguardo la sicurezza nazionale attraverso una lettera in cui si diceva convinto «che lo Stato di Israele ha bisogno di un programma di ricerca per l’autodifesa rivolto a impedire che qualcuno ci trasformi nuovamente in agnelli destinati al mattatoio».
Lo stesso gruppo di lavoro guidato da Bergmann, di cui facevano parte “mostri sacri” della scienza del calibro di Niels Bohr, Amos Deshalit e Aharon Katchalsky, fu incaricato dal Ministero della Difesa di Tel Aviv di avviare le prime prospezioni nel Deserto del Negev per verificare l’eventuale presenza di uranio. Riuscirono a reperire solo alcuni minerali contenenti questa sostanza radioattiva, per estrarre la quale fu escogitato uno speciale procedimento chimico che andava ad appaiarsi al nuovo metodo di produzione dell’acqua pesante, che funge normalmente da stabilizzatore nei reattori nucleari. Gli scienziati israeliani misero a punto questa tecnica di fabbricazione dell’acqua pesante basandosi sull’esperienza maturata in Francia, dove avevano collaborato con personale locale alla costruzione di un reattore e di un impianto di trattamento presso Marcoule; un’esperienza poi rivelatasi molto utile per la messa a punto della force de frappe.
Tel Aviv pensò quindi di far valere i buoni rapporti con Parigi maturati grazie alla cooperazione nucleare dei primi anni ‘50 per chiedere alle autorità francesi di fornire un reattore ad acqua pesante. L’Eliseo comunicò il proprio assenso nell’autunno del 1956, dopo aver concordato con Tel Aviv l’operazione militare contro l’Egitto del colonnello Gamal Abdel Nasser. Nonostante l’operazione militare si fosse risolta in una clamorosa débâcle, Parigi decise comunque di protrarre la cooperazione con Tel Aviv inviando propri scienziati a lavorare fianco a fianco con i loro colleghi israeliani per la costruzione di un reattore nucleare di 24 megawatt in un bunker sotterraneo edificato presso Dimona, nel deserto del Negev. Le componenti necessarie alla realizzazione del reattore furono reperite sul mercato nero tramite alcuni contrabbandieri di fiducia su ordine diretto di alti funzionari del governo di Parigi, che per far arrivare il materiale in Israele senza destare troppi sospetti dichiararono alle dogane che si trattava di parti di un impianto di dissalazione da costruire in America Latina.
La segretezza era un punto fondamentale dell’accordo di collaborazione franco-israeliano, al punto da indurre le autorità di Tel Aviv a incaricare, nel 1957, il funzionario dello Shin Bet Benjamin Blumberg di creare una sezione dei servizi di intelligence apposita, il Lekem. A questo “ufficio per le relazioni scientifiche” era stato affidato anche il compito di mettere le mani sulle tecnologie e i materiali necessari a fabbricare armi atomiche “in maniera discreta”. Un compito che il Lekem eseguì in maniera magistrale, dapprima ottenendo circa 200 tonnellate di ossido di uranio di origine congolese acquistate in Belgio da una società milanese di facciata, e successivamente sottraendo 266 kg di uranio altamente arricchito – sufficiente a fabbricare 11 ordigni nucleari – dai depositi della compagnia statunitense Numec. L’azienda fu sottoposta a una serie di indagini dell’Fbi per via dei numerosi ospiti francesi e soprattutto israeliani – tra cui il futuro direttore del Lekem Rafi Eitan e il futuro direttore dello Shin Bet Avraham Bendor – che arrivavano a visitarne gli stabilimenti. Va evidenziato il fatto che la Numec era di proprietà di Zalman Shapiro, il chimico ebreo dell’Ohio collocato su posizioni ardentemente filosioniste che aveva fornito un contributo cruciale allo sviluppo del primo sottomarino a propulsione nucleare (lo Uss Nautilus).
Il Lekem, la cui costituzione era sfuggita persino alla Cia, suggerì al governo di Tel Aviv di mentire agli Stati Uniti riguardo alle intenzioni israeliane circa la tecnologia nucleare. I dirigenti dello Stato ebraico seguirono il consiglio, spiegando agli interlocutori statunitensi che il grande dispiegamento di mezzi quali escavatori, trivelle e autotreni nel bel mezzo del Negev che un U-2 statunitense aveva fotografato durante una ricognizione, era in realtà finalizzato alla costruzione prima di una fabbrica di materiale tessile, poi di una fattoria agricola e infine di un centro di ricerca metallurgica. Parallelamente, Tel Aviv contattò con estrema discrezione le autorità norvegesi, che nel 1959 accettarono di vendere sottobanco notevoli quantità di acqua pesante nel quadro di un contratto che obbligava Israele ad impiegare il materiale solo ed esclusivamente a scopi civili e autorizzava personale norvegese ad ispezionare anche a sorpresa le strutture israeliane per verificare il rispetto di tutti i vincoli concordati.
Il presidente De Gaulle, cercando di evitare di esporsi ad attacchi interni ed esterni mentre portava avanti il delicatissimo processo di decolonizzazione che sarebbe culminato con la concessione dell’indipendenza all’Algeria, intimò al primo ministro David Ben-Gurion di rivelare pubblicamente l’esistenza del programma nucleare israeliano minacciando di interrompere la consegna del materiale necessario per completare la costruzione del reattore di Dimona e di un impianto d rigenerazione in caso di rifiuto di Tel Aviv. Di fronte alla tenacia dell’Eliseo, fu concordata una soluzione di compromesso, in base alla quale la Francia avrebbe fornito tutto l’occorrente al completamento della centrale e Israele, come contropartita, avrebbe rivelato apertamente i dettagli relativi al proprio programma nucleare impegnandosi al contempo ad arricchire l’uranio a scopi strettamente civili. Con ogni probabilità, il governo di Parigi era però consapevole che Tel Aviv avesse già varcato il limite che separa la ricerca civile da quella militare, giocando anche sulla estrema labilità di questo confine. «Occorre comprendere che sviluppando l’energia atomica a scopi pacifici si compie un passo decisivo verso la definizione dell’opzione nucleare. Non esistono due tipi distinti di energie atomiche», affermò Ernst David Bergmann dopo aver abbandonato il proprio incarico al Ministero della Difesa israeliano.
L’annuncio di David Ben-Gurion che rivelava l’esistenza del programma nucleare israeliano e del reattore da 24 megawatt, che in realtà erano ormai 70, suscitò grande clamore, spingendo gli Usa, che in precedenza avevano rifiutato la proposta israeliana di includere lo Stato ebraico nel proprio ombrello nucleare e imposto una sorta di embargo sulle forniture militari a tutti gli Stati del Medio Oriente, a richiedere ufficialmente a Tel Aviv di sottoporre l’impianto di Dimona a ispezioni internazionali. Il governo israeliano accolse la proposta, a patto che la centrale fosse stata ispezionata solo ed esclusivamente da personale Usa, che avrebbe poi comunicato al pubblico generale i risultati. L’accordo favorì la successiva sottoscrizione del programma congiunto a scopi civili denominato Atoms for Peace, nell’ambito del quale il governo Eisenhower fornì supporto tecnico agli specialisti israeliani per la costruzione di un mini-reattore per la ricerca presso Nahal Soreq, a sud di Tel Aviv. Nell’arco di sette anni di ispezioni (1962-1969), gli osservatori statunitensi, tra i più autorevoli esperti in materia a livello mondiale, si rivelarono «così ignoranti o disonesti da non accorgersi che i locali che visitavano sono una messinscena, con false strumentazioni che mimano processi inesistenti del nucleare civile, e che sotto il pavimento c’è un enorme bunker a otto piani dove si costruiscono le armi nucleari. In base ai risultati delle ispezioni, sia il presidente Lyndon Johnson che il presidente De Gaulle assicurano ufficialmente che l’impianto viene usato solo a scopi pacifici […]. L’impianto di Dimona viene così completato e, probabilmente nel 1966, comincia a produrre armi nucleari […]. Nel 1967, Israele ha già probabilmente almeno due bome nucleari, che schiera segretamente nella Guerra dei Sei Giorni».