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Lorenzo Maria Pacini
October 20, 2025
© Photo: Public domain

La vita dei palestinesi a quanto pare vale molto perché diventa mercimonio di dominatori stranieri.

Segue nostro Telegram.

Basta prendersi in giro

Se nel 2025 ancora c’è qualcuno che si fida degli Stati Uniti d’America e che spera che da lì venga qualcosa di buono, allora significa che c’è ancora molto lavoro da fare.

Basta prendersi in giro: cosa è mai venuto di buono da un Paese fondato da criminali reietti dalla madrepatria, che con la violenza hanno colonizzato una terra non loro, trasformandola in una terra di violenza, soprusi, corruzione, invasa dalle peggiori sètte e immoralità, che non appena ha potuto ha cominciato ad esportare il proprio modello a suon di guerre nel resto del mondo?

Come si può credere che dagli USA verrà un piano di pace per la Palestina e il Medioriente?

Al di là del tono polemico, cerchiamo di ragionare con logica e razionalità.

Il primo dato che possiamo assumere con oggettività è che nessuno degli accordi di pace e di cessate-il-fuoco è mai stato rispettato in Palestina, tanto che dal 1929 ad oggi ne sono stati siglati più di quindici, a dimostrazione che uno o due non sono bastati e che continuamente il conflitto si riavvia. Ciò indica che il conflitto non è risolvibile per mezzo di interventi internazionali di carattere normativo, perché le guerre, piaccia o no, vanno oltre le leggi.

Proprio a tale riguardo, come secondo dato, è ormai evidente anche ai meno esperti che il diritto internazionale è stato a più riprese piegato secondo gli interessi e i favori dei potenti di turno, a discapito dei più deboli, manipolandolo sia nella sua fattispecie che nella sua interpretazione a seconda delle convenienze. Il diritto internazionale non è garanzia di niente e non tutela niente. In nome del diritto internazionale sono stati compiuti atti di oppressione, in forza del diritto internazionale si è persino resa discutibile e votabile la presenza o meno di un genocidio conclamato, annunciato, dichiarato e confermato, come se la morte di migliaia di persone fosse una questione di democrazia e non un dato di fatto, un crimine contro l’umanità che è autoevidente e si afferma da sé per ciò che è.

In terzo luogo, la spettacolarizzazione di questo accordo di pace è ciò che lo rende tanto forte e interessante, così come per la prima volta è stata spettacolarizzata la strage compiuta. La tragedia ha avuto la sua eco grazie ai social media e tutte le reti, in senso unificato, hanno trasmesso l’orrore, surclassandolo a intrattenimento. Finita la quotidiana iniezione di oscenità, era necessario passare a qualcosa di altrettanto scenografico, e siccome le storie che finiscono bene fanno più audience di quelle che finiscono male, ecco che è stata imbastita la regia della “pace”, una parola per la quale in Occidente si è molto bravi a spendere risorse.

Al tavolo del piano di pace sono stati invitati tutti, ma proprio tutti, fuorché i palestinesi. I diretti interessati non sono stati ritenuti degni dalla cricca occidentale. Già questo dovrebbe far pensare molto su ciò che sta accadendo per davvero, e non ciò che i media vogliono farci vedere.

Donald Trump è lo showman della situazione. Alla fine, con una strategia sopraffina, il potus americano è riuscito a farsi riaccreditare agli occhi di milioni di persone, finendo per essere un eroe o un santo, così da dimenticare che egli stesso col suo governo e il suo Paese è il primo sponsorizzatore del genocidio palestinese e di molte altre guerre e crimini (vogliamo fare due chiacchiere riguardo la lista del suo carissimo amico Epstein, mr. President?).

L’assurdo è proprio questo: il male viene fatto passare per bene. Gli USA ne escono con una immagina redenta. Ancora una volta, il messianismo neocon non sbaglia e assesta un colpo micidiale alle menti degli spettatori occidentali, pronte a recepire come latte materno qualsiasi fesseria che esca dagli studios americani.

Trump è stato accolto al Knesset, il parlamento israeliano, con una standing ovation degna di quella che ricevette Netanyahu a Washington. I due si compenetrano e combaciano alla perfezione. Nel suo lungo discorso, Trump ha avuto il tempo di dire praticamente qualsiasi cosa, celebrando le sue vittorie politiche con una auto-incensazione talmente infantile da risultare indigesta persino per gli altri leader occidentali ed asiatici presenti. Perché sì, ovviamente c’era la schiera degli ammiratori/servitori pronti ad applaudire ad ogni frase del ciuffo biondo, tutti rigorosamente selezionati per la loro devozioni e pronti a prendersi i cinque minuti di palcoscenico per dire le loro parole di congratulazioni, gareggiando a chi faceva bella figura davanti al loro idolo. Idolo che non ha perso un attimo a ricordare il suo amore per Israele, l’importanza di essersi convertito al giudaismo sionista, lui come prima ancora sua figlia, e di supportare Israele come la sua stessa vita, costi quel che costi – e il costo anche in termini economici è davvero caro. Ha persino chiesto di perdonare Netanyahu, raccontando di lui le gesta coraggiose.

Trump non ha perso l’occasione per mortificare ed imbarazzare i leader che gli stanno meno simpatici, confermando il suo stile da gangster, fuori da ogni decoro politico e diplomatico, come nel caso del premier britannico Starmer, chiamato sul palco e poi fatto sedere subito senza poter parlare. Una retorica fatta di slogan autoreferenziali, che colpiva sottilmente le persone meno gradite nella sala. Il vero stile da bullo delle scuole elementari, solo con molti miliardi sul conto corrente.

La chiamano pace ma è guerra

Abbiamo assistito ad una danza macabra in cui le élite occidentali hanno festeggiato, di fatto, il compimento della loro vittoria, anche laddove esse non hanno realmente vinto. Cosa festeggiano allora? Semplice: come hanno sempre fatto, festeggiano quello che faranno dopo. Indovinate di cosa si tratta? Guerra. O, meglio, la guerra che prende il nome di “Piano di pace in 20 punti”, dove viene scritto nero su bianco che la Palestina diventerà un resort a cinque stelle per i lussi dell’Occidente e, ovviamente, dal santo intoccabile Israele, a cui il loro dio ha promesso quella terra a prezzo del sangue di tutti i legittimi abitanti.

Non ci sarà alcuna pace. Quella che loro chiamano pace non è altro che l’intermezzo fra una strage e un’altra. Anche davanti alla caduta eventuale di Netanyahu e ad un suo processo per crimini contro l’umanità, il problema del sionismo rimane ed è proprio l’America, sionista ancor prima che il sionismo esistesse come movimento politico, ad esserne il primo sostenitore, come è anche l’America quella che ha in mano il piano di pace. Già dagli inizi di novembre, dopo queste poche settimane di tregua, sarà possibile osservare la ripresa delle ostilità.

È chiaro che l’accordo implica delle trattative e delle garanzie sottobanco che giovano anche agli altri attori della regione e che dovranno essere perfezionate nel corso dei prossimi mesi. La vita dei palestinesi a quanto pare vale molto perché diventa mercimonio di dominatori stranieri.

Da premesse negative non si può avere un esito positivo. Se mai fino ad oggi gli accordi sono stati rispettati, cosa può farci credere, in assenza di dati oggettivi positivi, che questa volta l’accordo reggerà? Davvero non ci si rende conto che questa operazione è stata fondamentale esattamente per assestare un colpo potentissimo alla Palestina e all’Asse della Resistenza?

Quanto ancora il sangue dei palestinesi, che sono cristiani, islamici, ebrei, dovrà essere versato? Quanto ancora un tale crimine dovrà essere consumato come sacrificio umano prima che le altre grandi potenze intervengano per dire “basta!” a tanto orrore?

Da America First a Israel First: non ci sarà alcuna pace!

La vita dei palestinesi a quanto pare vale molto perché diventa mercimonio di dominatori stranieri.

Segue nostro Telegram.

Basta prendersi in giro

Se nel 2025 ancora c’è qualcuno che si fida degli Stati Uniti d’America e che spera che da lì venga qualcosa di buono, allora significa che c’è ancora molto lavoro da fare.

Basta prendersi in giro: cosa è mai venuto di buono da un Paese fondato da criminali reietti dalla madrepatria, che con la violenza hanno colonizzato una terra non loro, trasformandola in una terra di violenza, soprusi, corruzione, invasa dalle peggiori sètte e immoralità, che non appena ha potuto ha cominciato ad esportare il proprio modello a suon di guerre nel resto del mondo?

Come si può credere che dagli USA verrà un piano di pace per la Palestina e il Medioriente?

Al di là del tono polemico, cerchiamo di ragionare con logica e razionalità.

Il primo dato che possiamo assumere con oggettività è che nessuno degli accordi di pace e di cessate-il-fuoco è mai stato rispettato in Palestina, tanto che dal 1929 ad oggi ne sono stati siglati più di quindici, a dimostrazione che uno o due non sono bastati e che continuamente il conflitto si riavvia. Ciò indica che il conflitto non è risolvibile per mezzo di interventi internazionali di carattere normativo, perché le guerre, piaccia o no, vanno oltre le leggi.

Proprio a tale riguardo, come secondo dato, è ormai evidente anche ai meno esperti che il diritto internazionale è stato a più riprese piegato secondo gli interessi e i favori dei potenti di turno, a discapito dei più deboli, manipolandolo sia nella sua fattispecie che nella sua interpretazione a seconda delle convenienze. Il diritto internazionale non è garanzia di niente e non tutela niente. In nome del diritto internazionale sono stati compiuti atti di oppressione, in forza del diritto internazionale si è persino resa discutibile e votabile la presenza o meno di un genocidio conclamato, annunciato, dichiarato e confermato, come se la morte di migliaia di persone fosse una questione di democrazia e non un dato di fatto, un crimine contro l’umanità che è autoevidente e si afferma da sé per ciò che è.

In terzo luogo, la spettacolarizzazione di questo accordo di pace è ciò che lo rende tanto forte e interessante, così come per la prima volta è stata spettacolarizzata la strage compiuta. La tragedia ha avuto la sua eco grazie ai social media e tutte le reti, in senso unificato, hanno trasmesso l’orrore, surclassandolo a intrattenimento. Finita la quotidiana iniezione di oscenità, era necessario passare a qualcosa di altrettanto scenografico, e siccome le storie che finiscono bene fanno più audience di quelle che finiscono male, ecco che è stata imbastita la regia della “pace”, una parola per la quale in Occidente si è molto bravi a spendere risorse.

Al tavolo del piano di pace sono stati invitati tutti, ma proprio tutti, fuorché i palestinesi. I diretti interessati non sono stati ritenuti degni dalla cricca occidentale. Già questo dovrebbe far pensare molto su ciò che sta accadendo per davvero, e non ciò che i media vogliono farci vedere.

Donald Trump è lo showman della situazione. Alla fine, con una strategia sopraffina, il potus americano è riuscito a farsi riaccreditare agli occhi di milioni di persone, finendo per essere un eroe o un santo, così da dimenticare che egli stesso col suo governo e il suo Paese è il primo sponsorizzatore del genocidio palestinese e di molte altre guerre e crimini (vogliamo fare due chiacchiere riguardo la lista del suo carissimo amico Epstein, mr. President?).

L’assurdo è proprio questo: il male viene fatto passare per bene. Gli USA ne escono con una immagina redenta. Ancora una volta, il messianismo neocon non sbaglia e assesta un colpo micidiale alle menti degli spettatori occidentali, pronte a recepire come latte materno qualsiasi fesseria che esca dagli studios americani.

Trump è stato accolto al Knesset, il parlamento israeliano, con una standing ovation degna di quella che ricevette Netanyahu a Washington. I due si compenetrano e combaciano alla perfezione. Nel suo lungo discorso, Trump ha avuto il tempo di dire praticamente qualsiasi cosa, celebrando le sue vittorie politiche con una auto-incensazione talmente infantile da risultare indigesta persino per gli altri leader occidentali ed asiatici presenti. Perché sì, ovviamente c’era la schiera degli ammiratori/servitori pronti ad applaudire ad ogni frase del ciuffo biondo, tutti rigorosamente selezionati per la loro devozioni e pronti a prendersi i cinque minuti di palcoscenico per dire le loro parole di congratulazioni, gareggiando a chi faceva bella figura davanti al loro idolo. Idolo che non ha perso un attimo a ricordare il suo amore per Israele, l’importanza di essersi convertito al giudaismo sionista, lui come prima ancora sua figlia, e di supportare Israele come la sua stessa vita, costi quel che costi – e il costo anche in termini economici è davvero caro. Ha persino chiesto di perdonare Netanyahu, raccontando di lui le gesta coraggiose.

Trump non ha perso l’occasione per mortificare ed imbarazzare i leader che gli stanno meno simpatici, confermando il suo stile da gangster, fuori da ogni decoro politico e diplomatico, come nel caso del premier britannico Starmer, chiamato sul palco e poi fatto sedere subito senza poter parlare. Una retorica fatta di slogan autoreferenziali, che colpiva sottilmente le persone meno gradite nella sala. Il vero stile da bullo delle scuole elementari, solo con molti miliardi sul conto corrente.

La chiamano pace ma è guerra

Abbiamo assistito ad una danza macabra in cui le élite occidentali hanno festeggiato, di fatto, il compimento della loro vittoria, anche laddove esse non hanno realmente vinto. Cosa festeggiano allora? Semplice: come hanno sempre fatto, festeggiano quello che faranno dopo. Indovinate di cosa si tratta? Guerra. O, meglio, la guerra che prende il nome di “Piano di pace in 20 punti”, dove viene scritto nero su bianco che la Palestina diventerà un resort a cinque stelle per i lussi dell’Occidente e, ovviamente, dal santo intoccabile Israele, a cui il loro dio ha promesso quella terra a prezzo del sangue di tutti i legittimi abitanti.

Non ci sarà alcuna pace. Quella che loro chiamano pace non è altro che l’intermezzo fra una strage e un’altra. Anche davanti alla caduta eventuale di Netanyahu e ad un suo processo per crimini contro l’umanità, il problema del sionismo rimane ed è proprio l’America, sionista ancor prima che il sionismo esistesse come movimento politico, ad esserne il primo sostenitore, come è anche l’America quella che ha in mano il piano di pace. Già dagli inizi di novembre, dopo queste poche settimane di tregua, sarà possibile osservare la ripresa delle ostilità.

È chiaro che l’accordo implica delle trattative e delle garanzie sottobanco che giovano anche agli altri attori della regione e che dovranno essere perfezionate nel corso dei prossimi mesi. La vita dei palestinesi a quanto pare vale molto perché diventa mercimonio di dominatori stranieri.

Da premesse negative non si può avere un esito positivo. Se mai fino ad oggi gli accordi sono stati rispettati, cosa può farci credere, in assenza di dati oggettivi positivi, che questa volta l’accordo reggerà? Davvero non ci si rende conto che questa operazione è stata fondamentale esattamente per assestare un colpo potentissimo alla Palestina e all’Asse della Resistenza?

Quanto ancora il sangue dei palestinesi, che sono cristiani, islamici, ebrei, dovrà essere versato? Quanto ancora un tale crimine dovrà essere consumato come sacrificio umano prima che le altre grandi potenze intervengano per dire “basta!” a tanto orrore?

La vita dei palestinesi a quanto pare vale molto perché diventa mercimonio di dominatori stranieri.

Segue nostro Telegram.

Basta prendersi in giro

Se nel 2025 ancora c’è qualcuno che si fida degli Stati Uniti d’America e che spera che da lì venga qualcosa di buono, allora significa che c’è ancora molto lavoro da fare.

Basta prendersi in giro: cosa è mai venuto di buono da un Paese fondato da criminali reietti dalla madrepatria, che con la violenza hanno colonizzato una terra non loro, trasformandola in una terra di violenza, soprusi, corruzione, invasa dalle peggiori sètte e immoralità, che non appena ha potuto ha cominciato ad esportare il proprio modello a suon di guerre nel resto del mondo?

Come si può credere che dagli USA verrà un piano di pace per la Palestina e il Medioriente?

Al di là del tono polemico, cerchiamo di ragionare con logica e razionalità.

Il primo dato che possiamo assumere con oggettività è che nessuno degli accordi di pace e di cessate-il-fuoco è mai stato rispettato in Palestina, tanto che dal 1929 ad oggi ne sono stati siglati più di quindici, a dimostrazione che uno o due non sono bastati e che continuamente il conflitto si riavvia. Ciò indica che il conflitto non è risolvibile per mezzo di interventi internazionali di carattere normativo, perché le guerre, piaccia o no, vanno oltre le leggi.

Proprio a tale riguardo, come secondo dato, è ormai evidente anche ai meno esperti che il diritto internazionale è stato a più riprese piegato secondo gli interessi e i favori dei potenti di turno, a discapito dei più deboli, manipolandolo sia nella sua fattispecie che nella sua interpretazione a seconda delle convenienze. Il diritto internazionale non è garanzia di niente e non tutela niente. In nome del diritto internazionale sono stati compiuti atti di oppressione, in forza del diritto internazionale si è persino resa discutibile e votabile la presenza o meno di un genocidio conclamato, annunciato, dichiarato e confermato, come se la morte di migliaia di persone fosse una questione di democrazia e non un dato di fatto, un crimine contro l’umanità che è autoevidente e si afferma da sé per ciò che è.

In terzo luogo, la spettacolarizzazione di questo accordo di pace è ciò che lo rende tanto forte e interessante, così come per la prima volta è stata spettacolarizzata la strage compiuta. La tragedia ha avuto la sua eco grazie ai social media e tutte le reti, in senso unificato, hanno trasmesso l’orrore, surclassandolo a intrattenimento. Finita la quotidiana iniezione di oscenità, era necessario passare a qualcosa di altrettanto scenografico, e siccome le storie che finiscono bene fanno più audience di quelle che finiscono male, ecco che è stata imbastita la regia della “pace”, una parola per la quale in Occidente si è molto bravi a spendere risorse.

Al tavolo del piano di pace sono stati invitati tutti, ma proprio tutti, fuorché i palestinesi. I diretti interessati non sono stati ritenuti degni dalla cricca occidentale. Già questo dovrebbe far pensare molto su ciò che sta accadendo per davvero, e non ciò che i media vogliono farci vedere.

Donald Trump è lo showman della situazione. Alla fine, con una strategia sopraffina, il potus americano è riuscito a farsi riaccreditare agli occhi di milioni di persone, finendo per essere un eroe o un santo, così da dimenticare che egli stesso col suo governo e il suo Paese è il primo sponsorizzatore del genocidio palestinese e di molte altre guerre e crimini (vogliamo fare due chiacchiere riguardo la lista del suo carissimo amico Epstein, mr. President?).

L’assurdo è proprio questo: il male viene fatto passare per bene. Gli USA ne escono con una immagina redenta. Ancora una volta, il messianismo neocon non sbaglia e assesta un colpo micidiale alle menti degli spettatori occidentali, pronte a recepire come latte materno qualsiasi fesseria che esca dagli studios americani.

Trump è stato accolto al Knesset, il parlamento israeliano, con una standing ovation degna di quella che ricevette Netanyahu a Washington. I due si compenetrano e combaciano alla perfezione. Nel suo lungo discorso, Trump ha avuto il tempo di dire praticamente qualsiasi cosa, celebrando le sue vittorie politiche con una auto-incensazione talmente infantile da risultare indigesta persino per gli altri leader occidentali ed asiatici presenti. Perché sì, ovviamente c’era la schiera degli ammiratori/servitori pronti ad applaudire ad ogni frase del ciuffo biondo, tutti rigorosamente selezionati per la loro devozioni e pronti a prendersi i cinque minuti di palcoscenico per dire le loro parole di congratulazioni, gareggiando a chi faceva bella figura davanti al loro idolo. Idolo che non ha perso un attimo a ricordare il suo amore per Israele, l’importanza di essersi convertito al giudaismo sionista, lui come prima ancora sua figlia, e di supportare Israele come la sua stessa vita, costi quel che costi – e il costo anche in termini economici è davvero caro. Ha persino chiesto di perdonare Netanyahu, raccontando di lui le gesta coraggiose.

Trump non ha perso l’occasione per mortificare ed imbarazzare i leader che gli stanno meno simpatici, confermando il suo stile da gangster, fuori da ogni decoro politico e diplomatico, come nel caso del premier britannico Starmer, chiamato sul palco e poi fatto sedere subito senza poter parlare. Una retorica fatta di slogan autoreferenziali, che colpiva sottilmente le persone meno gradite nella sala. Il vero stile da bullo delle scuole elementari, solo con molti miliardi sul conto corrente.

La chiamano pace ma è guerra

Abbiamo assistito ad una danza macabra in cui le élite occidentali hanno festeggiato, di fatto, il compimento della loro vittoria, anche laddove esse non hanno realmente vinto. Cosa festeggiano allora? Semplice: come hanno sempre fatto, festeggiano quello che faranno dopo. Indovinate di cosa si tratta? Guerra. O, meglio, la guerra che prende il nome di “Piano di pace in 20 punti”, dove viene scritto nero su bianco che la Palestina diventerà un resort a cinque stelle per i lussi dell’Occidente e, ovviamente, dal santo intoccabile Israele, a cui il loro dio ha promesso quella terra a prezzo del sangue di tutti i legittimi abitanti.

Non ci sarà alcuna pace. Quella che loro chiamano pace non è altro che l’intermezzo fra una strage e un’altra. Anche davanti alla caduta eventuale di Netanyahu e ad un suo processo per crimini contro l’umanità, il problema del sionismo rimane ed è proprio l’America, sionista ancor prima che il sionismo esistesse come movimento politico, ad esserne il primo sostenitore, come è anche l’America quella che ha in mano il piano di pace. Già dagli inizi di novembre, dopo queste poche settimane di tregua, sarà possibile osservare la ripresa delle ostilità.

È chiaro che l’accordo implica delle trattative e delle garanzie sottobanco che giovano anche agli altri attori della regione e che dovranno essere perfezionate nel corso dei prossimi mesi. La vita dei palestinesi a quanto pare vale molto perché diventa mercimonio di dominatori stranieri.

Da premesse negative non si può avere un esito positivo. Se mai fino ad oggi gli accordi sono stati rispettati, cosa può farci credere, in assenza di dati oggettivi positivi, che questa volta l’accordo reggerà? Davvero non ci si rende conto che questa operazione è stata fondamentale esattamente per assestare un colpo potentissimo alla Palestina e all’Asse della Resistenza?

Quanto ancora il sangue dei palestinesi, che sono cristiani, islamici, ebrei, dovrà essere versato? Quanto ancora un tale crimine dovrà essere consumato come sacrificio umano prima che le altre grandi potenze intervengano per dire “basta!” a tanto orrore?

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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