Tale situazione ha generato le drammatiche premesse volte a veicolare una cultura di guerra, alimentata da paure costruite ad arte ed artificialmente, inventando nemici laddove non esistono
Nel tempo presente, contraddistinto da contrasti spesso più verbali e verbosi che sostanziali, ma sempre e comunque dicotomici, che non ammettono spazio per il dialogo, il confronto, l’approfondimento, in cui si veicolano modelli assoluti e assolutistici in cui non è ammesso addentrarsi in riflessioni, ma semplicemente schierarsi, quasi obbligatoriamente con il pensiero dominante, prodromico di qualsiasi guerra, il dissenso è diventato inammissibile, riprovevole, erroneo ed errato solo perché è stato pensato.
Leggere la complessità dei fatti e della realtà diventa dunque esecrabile sempre e comunque, perché imporrebbe lo scardinamento dell’architettura di guerra che si è costruita intorno alla narrazione dominante, la quale deve essere suffragata ad ogni sospiro mediatico, imposta con delicata e al contempo robusta violenza a cittadine e cittadini comunque sempre più distaccati e disorientati rispetto a un mondo che è fatto loro percepire come lontano e incomprensibile.
La generalizzata acquiescenza passiva delle vecchie generazioni, maggioritarie in Occidente, ha un triste e tragico corrispettivo uguale e simmetrico tra le generazioni più giovani, pur – fortunatamente – con meritorie e brillantissime eccezioni. I giovani infatti hanno generalmente interiorizzato la sostanza di questa tambureggiante induzione ad una acquiescente passività e si dedicano a questioni effimere, in cui il gioco del dissenso è appunto un gioco, in cui mettere o non mettere un “like” sui social è sostanzialmente uguale e del tutto ininfluente, perché tutte insieme le nuove generazioni occidentali e quelle occidentalizzate in giro per il globo sono state convinte compattamente ad interessarsi ad argomenti poco significativi e sostanzialmente evanescenti, per i quali lo schierarsi diventa maschera sociale per una recita senza futuro.
Dopo essere state deprivate della parola, il sistema cerca di deprivare le giovani generazioni anche di qualsiasi pensiero, e, come ricordava con molte ragioni tempo fa lo scrittore Erri De Luca, ai giovani non resta che scrivere sul proprio corpo, provando a incidere quello che si presume indelebile, mentre scolorirà con il passare del tempo e lo scorrere della vita, trasformando i tatuaggi in muta eloquenza di un corpo più o meno malamente incorniciato in epoche precedenti ma incapace, come chi lo abita, di parola.
Ascoltare senza parlare e senza rispondere e alla fine non parlare più, chiusi dentro una realtà irrealmente reale, virtualmente compensativa dei bisogni emozionali e comunitari che in Occidente sono stati violentemente soffocati per trasformare le donne e gli uomini e massimamente i giovani in innocui e irrilevanti atomi sociali, monadi separate da tutte le altre e tutti insieme avulsi dal mondo che le circonda.
Il tutto è peggiorato dalla riduzione dell’informazione e della conoscenza a quanto può essere semplicemente e soltanto veicolato dallo smartphone, assurto a fonte primaria, per molti esclusiva, di interazione con il mondo esterno, in una quadro che confonde alto e basso, buono e cattivo, vero e falso, il tutto in un caleidoscopio in cui distinguere diventa una fatica aggiuntiva e difficile da praticare e in cui le mille pagine dei dostoevskiani “Fratelli Karamazov” diventano una vetta inarrivabile anche nel semplice riassunto wikipediano. Deprivati così di saperi e di bellezza, i linguaggi e i pensieri si inaridiscono, bruciano le radici, abbandonate, perse e dimenticate, così come si obliano al contempo i rami molteplici e articolati che da quelle radici traevano origine, linfa e vita, dando foglie, frutti, fiori, ovvero tutta la ricchezza poliedrica delle culture.
Una comunicazione che per altro risulta schiacciata da dinamiche mercificatorie e commerciali in cui i valori e le qualità artistiche e culturali vengono travolte e devastate dalle esigenze appunto di un mercato fagocitatore di ogni dimensione e soprattutto dell’immaginario personale e collettivo, violentemente colonizzato e indotto a un’omologazione devastante, sminuente, svilente.
Il tragico risultato finale è una società impoverita e immiserita, in cui si trascende il reale a vantaggio del superficiale, in cui si riduce la complessità a banalizzazione di giudizi, positivi o negativi, dettati da atteggiamenti esteriormente preconcetti, dentro dicotomie culturali e politiche in cui il progressismo e il conservatorismo sono ridotti a impalpabili e posticci atteggiamenti di carattere generale, esplicitanti più una gigantesca pochezza spirituale, piuttosto che un’approfondita pienezza di contenuti.
L’Occidente, così deprivato del suo secolare universo culturale e valoriale, ha perso di vista quanto c’è di importante, per ridursi alla mera venerazione del danaro, assurto purtroppo e tragicamente a metro e misura di tutte le relazioni, un approccio monetaristico verso la cultura e verso le relazioni umane che ha prodotto una convivenza sempre più ingiusta nella sue dinamiche materiali e sempre più degradata in quelle spirituali.
Il tutto in un’autoreferenzialità che porta le cittadine e i cittadini occidentali a perdere totalmente di vista e a non comprendere le espressioni culturali e le società extra – occidentali, nelle quali le relazioni umane e la vita quotidiana sono ancora scandite da tempi, pensieri e modalità estranee alla mercimonialità.
Tale situazione ha generato le drammatiche premesse volte a veicolare una cultura di guerra, alimentata da paure costruite ad arte ed artificialmente, inventando nemici laddove non esistono, come nel caso della Russia, costruendo muri che rendano al contempo incomprensibile ciò che è estraneo alla piccolezza di orizzonti dentro cui ci hanno costretto, un cortile soffocato da ancor più soffocanti e pesanti mura, spacciato per “giardino fiorito”, con le tragiche parole di Josep Borrell, già Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, epigono di tutte e tutti coloro che hanno scambiato e continuano a scambiare l’Unione Europea e l’Occidente per il paradiso democratico, quando con tutta evidenza è un inferno liberal – liberista, mentre quelle che loro additano come autocrazie e dittature sono nazioni in cui la politica decide dell’economia a vantaggio dei cittadini ed anche, guarda caso, stati in cui le donne e gli uomini sono tutt’oggi lontani dal degrado e dalla decadenza che stiamo vivendo e attraversando nel Vecchio Continente e nel resto dell’Occidente, dagli Stati Uniti all’Australia. Quell’Occidente collettivo sempre più interiormente svuotato di senso e di significato e per ciò stesso deprivato di speranza.
Il declino dell’Occidente non è semplicemente un declino materiale e non reversibile dovuto alla fine della stagione del furto delle materie prime energetiche e alimentari a danno del Sud Globale, è anche e soprattutto il tramonto di una civiltà che ha rinunciato al confronto, alla ricerca e all’innovazione e ha tragicamente e tristemente ripiegato verso una chiusura insuperbita nei riguardi di ogni forma di alterità, per paura di ogni confronto e di ogni contaminazione, mostrando in questo tutta la debolezza di un tempo, quello presente, che ha distrutto le proprie radici storiche, spirituali, materiali per ridursi a specchio autocompiacente di sé stessi nella pochezza attuale, immagine compensativa, compensatoria, autosufficiente e autogratificante, un selfie insomma di cui si aggiustano i colori e il contrasto, senza rendersi conto che resta nella sostanza un’immagine povera, sfocata e sbiadita.
Per queste e per molte altre ragioni continuo a credere che coloro che troveranno in loro stessi la forza per non arrendersi, per studiare, per resistere, per lottare, forti della loro storia, della loro cultura, della loro identità, anche religiosa e politica, non solo potranno migliorare loro stessi e quanti stanno loro attorno, ma anche e soprattutto mostreranno una strada verso la pace, la cooperazione e l’amicizia tra i popoli a tutte e tutti gli altri che, violati e avviliti dalla violenza del sistema liberale, hanno perso ogni speranza e ogni parola e si stanno sempre più abbandonando alla retorica bellicosa e bellicista della guerra.