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Giacomo Gabellini
August 25, 2025
© Photo: Public domain

Gli Stati Uniti spingono l’India nelle braccia della Russia e della Cina con la loro politica

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Nei giorni scorsi, l’amministrazione Trump ha decretato il raddoppio dei dazi, portati al 50%, nei confronti dell’India. Una decisione coerente con quanto preventivato verso la fine di luglio dallo stesso inquilino della Casa Bianca, il quale aveva ridotto da 50 a «10-12 giorni» la finestra temporale a disposizione di Mosca per adottare un atteggiamento maggiormente costruttivo in sede negoziale con Kiev; al termine di questa scadenza, sarebbero entrate in vigore sanzioni secondarie volte a colpire i principali partner commerciali della Russia. A partire da Cina e India, già identificate dal senatore repubblicano Lindsey Graham – l’autore del controverso Sanctioning Russia Act – come bersagli: «dovrebbero pagare un prezzo per aver sostenuto la macchina da guerra di Putin. Dovremmo schiacciare le loro economie», ha affermato Graham.

Ma a differenza della Cina, nei confronti della quale Trump ha posticipato di 30 giorni l’entrata in vigore dei dazi temendo un effetto boomerang di entità paragonabile a quello subito nelle settimane successive al cosiddetto “Liberation Day”,  l’India è stata investita in pieno e fin da subito dall’offensiva tariffaria statunitense. In parte perché, come affermato dal consigliere della Casa Bianca Peter Navarro, «funge da camera di compensazione globale per il petrolio russo, convertendo il greggio sottoposto a embargo in esportazioni di alto valore e fornendo così a Mosca i dollari di cui ha bisogno». Allo stesso tempo, Nuova Delhi è accusata dall’amministrazione Trump di adottare pratiche commerciali scorrette, che si riflettono un considerevolissimo avanzo nei confronti degli Stati Uniti. Segno che l’attuale governo Usa identifica nei dazi – o nella minaccia di imporre dazi – un formidabile “randello” da impiegare in un’ottica di coercizione geopolitica, oltre che uno strumento di difesa dell’economia nazionale.

Lungi dal piegarsi a questa sorta di “diplomazia del grosso bastone” attualizzata al XXI Secolo, il governo di Nuova Delhi ha tuttavia respinto al mittente il diktat, attraverso una nota diplomatica di irrituale durezza in cui si stigmatizza l’ipocrisia statunitense e si rivendica il diritto sovrano dell’India di approvvigionarsi di energia dai fornitori più convenienti. Parallelamente, il primo ministro Modi ha spedito il suo consigliere per la Sicurezza Nazionale Ajit Doval a Mosca, dove ha discusso con i massimi rappresentanti istituzionali russi l’approfondimento e l’espansione della partnership strategica bilaterale. A margine dell’incontro, nel corso del quale Doval ha esortato Putin – che ha accettato – a visitare l’India entro la fine dell’anno, il segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa Sergeij Šojgu ha dichiarato che «Russia e India sono impegnate a promuovere una cooperazione attiva per formare un nuovo ordine mondiale più giusto e sostenibile, garantire la supremazia del diritto internazionale e combattere congiuntamente le sfide e le minacce moderne». Il viaggio di Doval ha aperto il varco alla visita del ministro degli Esteri indiano Jaishankar, recatosi a sua volta in Russia su invito del vicepremier russo Denis Maturov per presenziare al ventiseiesimo vertice dell’India-Russia Inter-Governmental Commission for Trade, Economic, Scientific, Technological, and Cultural Cooperation (Irigc-Tec). Nel corso dell’evento, Jaishankar ha perorato la causa dell’intensificazione e della diversificazione delle relazioni commerciali tra i due Paesi.

Il consolidamento dei rapporti con la Russia è stato perseguito in parallelo al “recupero” della sponda cinese. Il 19 agosto, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi è atterrato a Nuova Delhi dietro sollecitazione del consigliere Doval, per discutere sia con quest’ultimo che con Jaishankar e Modi questioni cruciali come la risoluzione del contenzioso territoriale incentrato sulla regione Ladakh, al fine di rasserenare in via permanente i rapporti bilaterali. India e Cina «dovrebbero considerarsi reciprocamente partner piuttosto che avversari», ha sottolineato Wang Yi nell’evidenziare la «traiettoria positiva verso la cooperazione» che stanno seguendo le relazioni tra Nuova Delhi e Pechino, con la riattivazione del commercio transfrontaliero e la ripresa dei voli diretti tra i due Paesi. Ma c’è di più. Come riporta l’«Economic Times», «con un importante passo avanti, la Cina ha comunicato di aver rimosso le restrizioni all’esportazione di fertilizzanti, magneti per terre rare e macchine perforatrici per tunnel in India, rispondendo alle principali preoccupazioni sollevate da Nuova Delhi. Questa garanzia è stata fornita dal Ministro degli Esteri cinese Wang Yi durante la sua recente visita in India. Si ritiene che le spedizioni siano già iniziate, con il potenziale di alleviare i colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento per le industrie e i progetti infrastrutturali indiani. L’India aveva espresso forti preoccupazioni nei confronti della Cina, poiché le improvvise restrizioni alla produzione di fertilizzanti avevano avuto un impatto diretto sulla disponibilità di fosfato di ammonio nella stagione Rabi. Allo stesso modo, la Cina aveva sospeso le spedizioni di macchine perforatrici per tunnel destinate a progetti infrastrutturali chiave in India, comprese quelle prodotte da entità straniere nelle unità produttive in Cina. L’industria automobilistica ed elettronica aveva espresso serie preoccupazioni sulle restrizioni cinesi relative a magneti e terre rare, che avrebbero portato a carenze con un potenziale impatto destabilizzante sulla produzione. Queste decisioni erano state dettate da logiche di sicurezza dovute alle crescenti tensioni tra i due Paesi».

Le aperture di Pechino hanno dissodato il terreno per la visita di Stato del primo ministro Modi, il quale ha accettato di tornare in Cina per la prima volta dal 2018 accogliendo l’invito personale rivoltogli dal presidente Xi Jinping a partecipare al vertice annuale della Shanghai Cooperation Organisation di Tianjin. «Dal mio incontro con il Presidente Xi a Kazan lo scorso anno, le relazioni tra India e Cina hanno compiuto progressi costanti, guidati dal rispetto reciproco degli interessi e delle sensibilità. Attendo con impazienza il nostro prossimo incontro a Tianjin, a margine del vertice della Shanghai Cooperation Organisation. Legami stabili, prevedibili e costruttivi tra India e Cina contribuiranno in modo significativo alla pace e alla prosperità sia regionale che globale», ha dichiarato il presidente Modi tramite un post sul suo profilo Twitter/X.

Una volta ripartito dall’India, Wang Yi s è spostato immediatamente a Islamabad per incontrare, nel quadro della sesta tornata del dialogo strategico tra Cina e Pakistan, il suo omologo pakistano Mohammad Ishaq Dar e valutare le opzioni disponibili per rafforzare la stabilità della regione, messa in crisi – anche, ma non solo – dal recente conflitto tra Pakistan e India. Un confronto breve ma intenso, che ha visto il Pakistan avvalersi con successo di radar, sistemi antiaerei e velivoli di fabbricazione cinese  e l’India accusare la Cina di aver attivamente sostenuto Islamabad. Lo straordinario tempismo del vertice assicura alla diplomazia di Pechino l’occasione di accreditarsi come mediatrice e convincere i governi pakistano e indiano a stemperare le tensioni reciproche.

L’unilateralismo statunitense sta insomma spingendo l’India, identificata da tempo da Washington come formidabile contrappeso da valorizzare in funzione anti-cinese, verso un graduale ma significativo riposizionamento strategico. Qualora le tendenze in atto incentivate dall’unilateralismo statunitense dovessero assumere un carattere strutturale, l’India potrebbe trasformarsi in un vertice del “triangolo strategico” immaginato già negli anni ’90 dallo stratega russo Evgenij Primakov, il quale intravedeva nella costruzione di un rapporto di stratta cooperazione tra Russia, Cina e India la chiave di volta per contrastare le ambizioni egemoniche nutrite su scala globale dall’Occidente a guida Usa.

L’aggressività statunitense rivitalizza la “Dottrina Primakov”

Gli Stati Uniti spingono l’India nelle braccia della Russia e della Cina con la loro politica

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Ma a differenza della Cina, nei confronti della quale Trump ha posticipato di 30 giorni l’entrata in vigore dei dazi temendo un effetto boomerang di entità paragonabile a quello subito nelle settimane successive al cosiddetto “Liberation Day”,  l’India è stata investita in pieno e fin da subito dall’offensiva tariffaria statunitense. In parte perché, come affermato dal consigliere della Casa Bianca Peter Navarro, «funge da camera di compensazione globale per il petrolio russo, convertendo il greggio sottoposto a embargo in esportazioni di alto valore e fornendo così a Mosca i dollari di cui ha bisogno». Allo stesso tempo, Nuova Delhi è accusata dall’amministrazione Trump di adottare pratiche commerciali scorrette, che si riflettono un considerevolissimo avanzo nei confronti degli Stati Uniti. Segno che l’attuale governo Usa identifica nei dazi – o nella minaccia di imporre dazi – un formidabile “randello” da impiegare in un’ottica di coercizione geopolitica, oltre che uno strumento di difesa dell’economia nazionale.

Lungi dal piegarsi a questa sorta di “diplomazia del grosso bastone” attualizzata al XXI Secolo, il governo di Nuova Delhi ha tuttavia respinto al mittente il diktat, attraverso una nota diplomatica di irrituale durezza in cui si stigmatizza l’ipocrisia statunitense e si rivendica il diritto sovrano dell’India di approvvigionarsi di energia dai fornitori più convenienti. Parallelamente, il primo ministro Modi ha spedito il suo consigliere per la Sicurezza Nazionale Ajit Doval a Mosca, dove ha discusso con i massimi rappresentanti istituzionali russi l’approfondimento e l’espansione della partnership strategica bilaterale. A margine dell’incontro, nel corso del quale Doval ha esortato Putin – che ha accettato – a visitare l’India entro la fine dell’anno, il segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa Sergeij Šojgu ha dichiarato che «Russia e India sono impegnate a promuovere una cooperazione attiva per formare un nuovo ordine mondiale più giusto e sostenibile, garantire la supremazia del diritto internazionale e combattere congiuntamente le sfide e le minacce moderne». Il viaggio di Doval ha aperto il varco alla visita del ministro degli Esteri indiano Jaishankar, recatosi a sua volta in Russia su invito del vicepremier russo Denis Maturov per presenziare al ventiseiesimo vertice dell’India-Russia Inter-Governmental Commission for Trade, Economic, Scientific, Technological, and Cultural Cooperation (Irigc-Tec). Nel corso dell’evento, Jaishankar ha perorato la causa dell’intensificazione e della diversificazione delle relazioni commerciali tra i due Paesi.

Il consolidamento dei rapporti con la Russia è stato perseguito in parallelo al “recupero” della sponda cinese. Il 19 agosto, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi è atterrato a Nuova Delhi dietro sollecitazione del consigliere Doval, per discutere sia con quest’ultimo che con Jaishankar e Modi questioni cruciali come la risoluzione del contenzioso territoriale incentrato sulla regione Ladakh, al fine di rasserenare in via permanente i rapporti bilaterali. India e Cina «dovrebbero considerarsi reciprocamente partner piuttosto che avversari», ha sottolineato Wang Yi nell’evidenziare la «traiettoria positiva verso la cooperazione» che stanno seguendo le relazioni tra Nuova Delhi e Pechino, con la riattivazione del commercio transfrontaliero e la ripresa dei voli diretti tra i due Paesi. Ma c’è di più. Come riporta l’«Economic Times», «con un importante passo avanti, la Cina ha comunicato di aver rimosso le restrizioni all’esportazione di fertilizzanti, magneti per terre rare e macchine perforatrici per tunnel in India, rispondendo alle principali preoccupazioni sollevate da Nuova Delhi. Questa garanzia è stata fornita dal Ministro degli Esteri cinese Wang Yi durante la sua recente visita in India. Si ritiene che le spedizioni siano già iniziate, con il potenziale di alleviare i colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento per le industrie e i progetti infrastrutturali indiani. L’India aveva espresso forti preoccupazioni nei confronti della Cina, poiché le improvvise restrizioni alla produzione di fertilizzanti avevano avuto un impatto diretto sulla disponibilità di fosfato di ammonio nella stagione Rabi. Allo stesso modo, la Cina aveva sospeso le spedizioni di macchine perforatrici per tunnel destinate a progetti infrastrutturali chiave in India, comprese quelle prodotte da entità straniere nelle unità produttive in Cina. L’industria automobilistica ed elettronica aveva espresso serie preoccupazioni sulle restrizioni cinesi relative a magneti e terre rare, che avrebbero portato a carenze con un potenziale impatto destabilizzante sulla produzione. Queste decisioni erano state dettate da logiche di sicurezza dovute alle crescenti tensioni tra i due Paesi».

Le aperture di Pechino hanno dissodato il terreno per la visita di Stato del primo ministro Modi, il quale ha accettato di tornare in Cina per la prima volta dal 2018 accogliendo l’invito personale rivoltogli dal presidente Xi Jinping a partecipare al vertice annuale della Shanghai Cooperation Organisation di Tianjin. «Dal mio incontro con il Presidente Xi a Kazan lo scorso anno, le relazioni tra India e Cina hanno compiuto progressi costanti, guidati dal rispetto reciproco degli interessi e delle sensibilità. Attendo con impazienza il nostro prossimo incontro a Tianjin, a margine del vertice della Shanghai Cooperation Organisation. Legami stabili, prevedibili e costruttivi tra India e Cina contribuiranno in modo significativo alla pace e alla prosperità sia regionale che globale», ha dichiarato il presidente Modi tramite un post sul suo profilo Twitter/X.

Una volta ripartito dall’India, Wang Yi s è spostato immediatamente a Islamabad per incontrare, nel quadro della sesta tornata del dialogo strategico tra Cina e Pakistan, il suo omologo pakistano Mohammad Ishaq Dar e valutare le opzioni disponibili per rafforzare la stabilità della regione, messa in crisi – anche, ma non solo – dal recente conflitto tra Pakistan e India. Un confronto breve ma intenso, che ha visto il Pakistan avvalersi con successo di radar, sistemi antiaerei e velivoli di fabbricazione cinese  e l’India accusare la Cina di aver attivamente sostenuto Islamabad. Lo straordinario tempismo del vertice assicura alla diplomazia di Pechino l’occasione di accreditarsi come mediatrice e convincere i governi pakistano e indiano a stemperare le tensioni reciproche.

L’unilateralismo statunitense sta insomma spingendo l’India, identificata da tempo da Washington come formidabile contrappeso da valorizzare in funzione anti-cinese, verso un graduale ma significativo riposizionamento strategico. Qualora le tendenze in atto incentivate dall’unilateralismo statunitense dovessero assumere un carattere strutturale, l’India potrebbe trasformarsi in un vertice del “triangolo strategico” immaginato già negli anni ’90 dallo stratega russo Evgenij Primakov, il quale intravedeva nella costruzione di un rapporto di stratta cooperazione tra Russia, Cina e India la chiave di volta per contrastare le ambizioni egemoniche nutrite su scala globale dall’Occidente a guida Usa.

Gli Stati Uniti spingono l’India nelle braccia della Russia e della Cina con la loro politica

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Nei giorni scorsi, l’amministrazione Trump ha decretato il raddoppio dei dazi, portati al 50%, nei confronti dell’India. Una decisione coerente con quanto preventivato verso la fine di luglio dallo stesso inquilino della Casa Bianca, il quale aveva ridotto da 50 a «10-12 giorni» la finestra temporale a disposizione di Mosca per adottare un atteggiamento maggiormente costruttivo in sede negoziale con Kiev; al termine di questa scadenza, sarebbero entrate in vigore sanzioni secondarie volte a colpire i principali partner commerciali della Russia. A partire da Cina e India, già identificate dal senatore repubblicano Lindsey Graham – l’autore del controverso Sanctioning Russia Act – come bersagli: «dovrebbero pagare un prezzo per aver sostenuto la macchina da guerra di Putin. Dovremmo schiacciare le loro economie», ha affermato Graham.

Ma a differenza della Cina, nei confronti della quale Trump ha posticipato di 30 giorni l’entrata in vigore dei dazi temendo un effetto boomerang di entità paragonabile a quello subito nelle settimane successive al cosiddetto “Liberation Day”,  l’India è stata investita in pieno e fin da subito dall’offensiva tariffaria statunitense. In parte perché, come affermato dal consigliere della Casa Bianca Peter Navarro, «funge da camera di compensazione globale per il petrolio russo, convertendo il greggio sottoposto a embargo in esportazioni di alto valore e fornendo così a Mosca i dollari di cui ha bisogno». Allo stesso tempo, Nuova Delhi è accusata dall’amministrazione Trump di adottare pratiche commerciali scorrette, che si riflettono un considerevolissimo avanzo nei confronti degli Stati Uniti. Segno che l’attuale governo Usa identifica nei dazi – o nella minaccia di imporre dazi – un formidabile “randello” da impiegare in un’ottica di coercizione geopolitica, oltre che uno strumento di difesa dell’economia nazionale.

Lungi dal piegarsi a questa sorta di “diplomazia del grosso bastone” attualizzata al XXI Secolo, il governo di Nuova Delhi ha tuttavia respinto al mittente il diktat, attraverso una nota diplomatica di irrituale durezza in cui si stigmatizza l’ipocrisia statunitense e si rivendica il diritto sovrano dell’India di approvvigionarsi di energia dai fornitori più convenienti. Parallelamente, il primo ministro Modi ha spedito il suo consigliere per la Sicurezza Nazionale Ajit Doval a Mosca, dove ha discusso con i massimi rappresentanti istituzionali russi l’approfondimento e l’espansione della partnership strategica bilaterale. A margine dell’incontro, nel corso del quale Doval ha esortato Putin – che ha accettato – a visitare l’India entro la fine dell’anno, il segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa Sergeij Šojgu ha dichiarato che «Russia e India sono impegnate a promuovere una cooperazione attiva per formare un nuovo ordine mondiale più giusto e sostenibile, garantire la supremazia del diritto internazionale e combattere congiuntamente le sfide e le minacce moderne». Il viaggio di Doval ha aperto il varco alla visita del ministro degli Esteri indiano Jaishankar, recatosi a sua volta in Russia su invito del vicepremier russo Denis Maturov per presenziare al ventiseiesimo vertice dell’India-Russia Inter-Governmental Commission for Trade, Economic, Scientific, Technological, and Cultural Cooperation (Irigc-Tec). Nel corso dell’evento, Jaishankar ha perorato la causa dell’intensificazione e della diversificazione delle relazioni commerciali tra i due Paesi.

Il consolidamento dei rapporti con la Russia è stato perseguito in parallelo al “recupero” della sponda cinese. Il 19 agosto, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi è atterrato a Nuova Delhi dietro sollecitazione del consigliere Doval, per discutere sia con quest’ultimo che con Jaishankar e Modi questioni cruciali come la risoluzione del contenzioso territoriale incentrato sulla regione Ladakh, al fine di rasserenare in via permanente i rapporti bilaterali. India e Cina «dovrebbero considerarsi reciprocamente partner piuttosto che avversari», ha sottolineato Wang Yi nell’evidenziare la «traiettoria positiva verso la cooperazione» che stanno seguendo le relazioni tra Nuova Delhi e Pechino, con la riattivazione del commercio transfrontaliero e la ripresa dei voli diretti tra i due Paesi. Ma c’è di più. Come riporta l’«Economic Times», «con un importante passo avanti, la Cina ha comunicato di aver rimosso le restrizioni all’esportazione di fertilizzanti, magneti per terre rare e macchine perforatrici per tunnel in India, rispondendo alle principali preoccupazioni sollevate da Nuova Delhi. Questa garanzia è stata fornita dal Ministro degli Esteri cinese Wang Yi durante la sua recente visita in India. Si ritiene che le spedizioni siano già iniziate, con il potenziale di alleviare i colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento per le industrie e i progetti infrastrutturali indiani. L’India aveva espresso forti preoccupazioni nei confronti della Cina, poiché le improvvise restrizioni alla produzione di fertilizzanti avevano avuto un impatto diretto sulla disponibilità di fosfato di ammonio nella stagione Rabi. Allo stesso modo, la Cina aveva sospeso le spedizioni di macchine perforatrici per tunnel destinate a progetti infrastrutturali chiave in India, comprese quelle prodotte da entità straniere nelle unità produttive in Cina. L’industria automobilistica ed elettronica aveva espresso serie preoccupazioni sulle restrizioni cinesi relative a magneti e terre rare, che avrebbero portato a carenze con un potenziale impatto destabilizzante sulla produzione. Queste decisioni erano state dettate da logiche di sicurezza dovute alle crescenti tensioni tra i due Paesi».

Le aperture di Pechino hanno dissodato il terreno per la visita di Stato del primo ministro Modi, il quale ha accettato di tornare in Cina per la prima volta dal 2018 accogliendo l’invito personale rivoltogli dal presidente Xi Jinping a partecipare al vertice annuale della Shanghai Cooperation Organisation di Tianjin. «Dal mio incontro con il Presidente Xi a Kazan lo scorso anno, le relazioni tra India e Cina hanno compiuto progressi costanti, guidati dal rispetto reciproco degli interessi e delle sensibilità. Attendo con impazienza il nostro prossimo incontro a Tianjin, a margine del vertice della Shanghai Cooperation Organisation. Legami stabili, prevedibili e costruttivi tra India e Cina contribuiranno in modo significativo alla pace e alla prosperità sia regionale che globale», ha dichiarato il presidente Modi tramite un post sul suo profilo Twitter/X.

Una volta ripartito dall’India, Wang Yi s è spostato immediatamente a Islamabad per incontrare, nel quadro della sesta tornata del dialogo strategico tra Cina e Pakistan, il suo omologo pakistano Mohammad Ishaq Dar e valutare le opzioni disponibili per rafforzare la stabilità della regione, messa in crisi – anche, ma non solo – dal recente conflitto tra Pakistan e India. Un confronto breve ma intenso, che ha visto il Pakistan avvalersi con successo di radar, sistemi antiaerei e velivoli di fabbricazione cinese  e l’India accusare la Cina di aver attivamente sostenuto Islamabad. Lo straordinario tempismo del vertice assicura alla diplomazia di Pechino l’occasione di accreditarsi come mediatrice e convincere i governi pakistano e indiano a stemperare le tensioni reciproche.

L’unilateralismo statunitense sta insomma spingendo l’India, identificata da tempo da Washington come formidabile contrappeso da valorizzare in funzione anti-cinese, verso un graduale ma significativo riposizionamento strategico. Qualora le tendenze in atto incentivate dall’unilateralismo statunitense dovessero assumere un carattere strutturale, l’India potrebbe trasformarsi in un vertice del “triangolo strategico” immaginato già negli anni ’90 dallo stratega russo Evgenij Primakov, il quale intravedeva nella costruzione di un rapporto di stratta cooperazione tra Russia, Cina e India la chiave di volta per contrastare le ambizioni egemoniche nutrite su scala globale dall’Occidente a guida Usa.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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