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Giacomo Gabellini
July 5, 2025
© Photo: Public domain

Israele non è pronto per una guerra di logoramento?

Segue nostro Telegram.

Lo scorso 22 giugno, subito dopo l’attacco statunitense contro i siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan, il governo di Tel Aviv segnalò a Teheran la propria disponibilità a interrompere la campagna militare contro l’Iran nel caso in cui la Guida Suprema Khamenei avesse posto fine alle ostilità e ricercato una risoluzione del conflitto. Lo ha rivelato il quotidiano «Yedioth Ahronoth» sulla base di confidenze rese da anonimi funzionari israeliani, i quali non hanno tuttavia spiegato le ragioni alla base della presa di posizione del governo di Netanyahu.

Si tratta di una decisione alquanto significativa, tenuto conto che era stato Israele ad aggredire l’Iran nell’ambito di un’operazione (Rising Lion) che aveva preso di mira con raid aerei, atti di sabotaggio e attentati infrastrutture sia militari che civili, alti esponenti dei Pasdaran e delle forze armate, figure di spicco dell’accademia iraniana. Senonché, quello si configurava come un attacco decapitante, inteso a seminare il caos sociale, determinare il rapido collasso della Repubblica Islamica e instaurare un governo allineato (magari, da affidare all’ultimo rampollo della dinastia Pahlavi) disposto ad aderire agli Accordi di Abramo, si è rivelato un piano d’azione che, per quanto egregiamente eseguito, scaturisce da una pianificazione strategica del tutto inadeguata. Lungi dall’alienarle il consenso popolare, l’Operazione Rising Lion ha compattato la società iraniana attorno alla sua guida politica, rafforzandola politicamente. Allo stesso tempo, i decisori israeliani hanno palesemente sottostimato le capacità offensive iraniane, sopravvalutando simmetricamente le potenzialità del sistema di difesa aerea multistratificato che integra Iron Dome, David’s Sling, Arrow-2, Arrow-3, Patriot e Thaad.

La rappresaglia iraniana, dispiegatasi con gradualità sotto il doppio profilo quantitativo e qualitativo dei missili lanciati, ha imposto fin da subito a Israele un ritmo di consumo molto elevato di intercettori destinato a intaccare rapidamente le scorte. Lo ha sottolineato il «Wall Street Journal», che già il 18 giugno segnalava la forte penuria dei pregiati Arrow-2 e Arrow-3, a cui gli Stati Uniti hanno posto parzialmente rimedio attraverso ingenti forniture di Thaad, prelevati direttamente dalle proprie riserve. Secondo «Military Watch Magazine», gli Usa hanno consegnato a Israele una quantità di intercettori Thaad equivalente al 15-20% delle proprie scorte. La rivista stima che Israele abbia impiegato tra i 60 e gli 80 Thaad nel corso di 11 giorni di conflitto, ed evidenzia che si tratta di una cifra alquanto significativa a fronte del loro costo (12-15 milioni per ogni singolo intercettore), del numero limitato di unità disponibili e dell’intensità relativamente ridotta degli attacchi missilistici sferrati dall’Iran. Israele avrebbe insomma “bruciato” in appena 11 giorni tra gli 810 milioni e gli 1,2 miliardi di dollari di intercettori Thaad, che erano per di più coadiuvati nei loro compiti difensivi dai sistemi Sam-3 in dotazione alle cacciatorpediniere statunitensi Aegis. I risultati ottenuti, a dispetto degli elevatissimi tassi di intercettazione antiaerea (oltre il 90%) dichiarati dal Ministero della Difesa di Tel Aviv, sono tutto sommato modesti. Come rileva ancora «Military Watch Magazine», «l’intensità delle ostilità iraniano-israeliane è stata relativamente bassa, con l’Iran che ha lanciato missili balistici a un ritmo modesto, ben al di sotto delle sue effettive capacità, al fine di mantenere una risposta proporzionale agli attacchi israeliani, evitare un’escalation e preservare la capacità di rispondere qualora gli Stati Uniti fossero intervenuti direttamente». Nell’aprile 2021,il Pentagono stimò che l’Iran disponesse di circa 3.000 missili di diversa gittata, ed è praticamente scontato, alla luce del progressivo aumento delle tensioni con Stati Uniti e Israele, che da allora Teheran abbia espanso assai considerevolmente le proprie scorte.

Qualora «l’Iran avesse lanciato attacchi missilistici più intensi, comprensivi di un maggior numero di missili dotati di testate multiple, o avesse sostenuto bombardamenti per un lasso di tempo superiore, il sistema Thaad in Israele avrebbe visto la sua efficacia diminuire rapidamente». I limiti del sistema, osserva con preoccupazione la rivista, hanno implicazioni molto significative per la sua sostenibilità sia in Medio Oriente che a livello globale, dove il Thaad è impiegato per contrastare arsenali di gran lunga più grandi e potenti di quello iraniano. A partire da quelli cinese, ampio e molto assortito, e russo, che integra i vettori più potenti al mondo come i modernissimi l’Orešnik. Ne consegue che «il ritmo a cui Israele ha esaurito l’arsenale di intercettori Thaad, nonostante le condizioni estremamente favorevoli, è di cattivo auspicio per la sostenibilità del sistema in futuri conflitti di media e alta intensità». I rilievi mossi da «Military Watch Magazine» sono largamente condivisi da Brendan Buck del Cato Institute, a detta del quale il trasferimento massiccio di sistemi Thaad a Israele implicherà inesorabilmente il dirottamento di intercettori originariamente destinati all’Ucraina, a Taiwan e al mantenimento del dispositivo militare statunitense all’estero. Segno inequivocabile del fatto che la coperta è troppo corta, nonostante gli Stati Uniti, attestano i dati forniti dal Dipartimento di Stato, devolvano ogni anno 3,4 miliardi di dollari per rafforzare la difesa anti-missilistica di Israele – di 1,3 miliardi dedicati soltanto all’Iron Dome.

Il sistema David’s Sling, sviluppato congiuntamente da Israele e Stati Uniti per abbattere missili, droni e aerei a corto e lungo raggio, costa come minimo – quando lavora a regime più ridotto – 700.000 dollari circa ogni volta che viene attivato. Gli Arrow-2 e Arrow-3, specializzati nella difesa contro missili balistici a lungo raggio che fuoriescono dall’atmosfera terrestre, costano rispettivamente 3 e 4 milioni di dollari per ogni singolo intercettore. Il quotidiano finanziario israeliano «The Markers» ha quantificato l’esborso per la difesa aerea in circa 285 milioni di dollari ogni notte, mentre la stampa egiziana parla di un esborso pari a 725 milioni di dollari per notte. Nel computo delle spese vanno poi considerate le decine di migliaia di dollari per ora necessarie a mantenere in volo ogni singolo caccia (F-15, F-16 e F-35) chiamato a operare nello sterminato spazio aereo che separa Israele dall’Iran, oltre al costo degli ordigni come i Jdam e gli Mk-84 impiegati nel conflitto. Secondo il «Financial Express», Israele ha speso circa 5 miliardi di dollari soltanto nella prima settimana di attacchi contro l’Iran, mentre l’Aaron Institute for Economic Policy ha calcolato che l’esborso avrebbe superato i 12 miliardi di dollari qualora il conflitto si fosse protratto per un mese. Una cifra astronomica, considerato che il bilancio annuale della difesa di Israele ammonta a circa 45 miliardi di dollari.

La scarsità di intercettori a disposizione di Israele, l’accuratezza degli attacchi iraniani (riconosciuta perfino dal noto giornalista israeliano Raviv Drucker) e l’incapacità degli Stati Uniti di ricostituire con il necessario tempismo le scorte in esaurimento del loro principale alleato si sono inoltre tradotti in decine e decine di missili iraniani andati a bersaglio. Tra gli obiettivi colpiti figurano laboratori di ricerca scientifica come il Weizmann Institute di Rehovot e il centro Soroka di Beersheva, edifici militari come la sede del Mossad e il complesso del Ministero della Difesa israeliano, siti economicamente e logisticamente cruciali come la Borsa diamantifera di Tel Aviv, le raffinerie di Haifa e Ashdod, il porto di Haifa, l’aeroporto Ben-Gurion di Tel Aviv.  In particolare, l’Iran ha preso di mira i vari anelli (centri di ricerca, impianti produttivi, facoltà universitarie, ecc.) di cui si compone il “complesso militar-industriale” israeliano, facente capo ai colossi Rafael ed Elbit Systems. Anche i complessi riconducibili ad aziende straniere legate al comparto bellico israeliano sono stati attaccati,  come lo stabilimento per la produzione di chip di Intel presso Kiryat Gat, o le strutture appartenenti a Intel, Microsoft, Google, Apple e Tesla.

La censura militare impedisce a tutt’oggi la formulazione di stime precise circa l’entità dei danni subiti, quantificata provvisoriamente dal Ministero delle Finanza e dall’Agenzia delle Entrate israeliana in 3 miliardi di dollari. Una somma ingente, che non include peraltro i costi necessari alla ricostituzione delle scorte di armi e sistemi di difesa aerea. Naser Abdelkarim, professore di finanza presso l’American University of Palestine, ha sottolineato che gli attacchi hanno avuto un impatto diretto non solo sulle spese militari di Israele, ma anche sulle attività produttive. Durante il conflitto, è stata imposta la chiusura di scuole e attività commerciali non strettamente necessarie, a cui il governo dovrà corrispondere indennizzi pari a 1,5 miliardi di dollari. «Questa è la sfida più grande che il Paese abbia mai affrontato. Non si era ancora registrata una simile mole di distruzione di danni nella storia di Israele», ha dichiarato Shay Aharonovich, il direttore generale dell’Agenzia delle Entrate israeliana incaricata di pagare i risarcimenti. Eyal Shalev, ingegnere strutturale chiamato a valutare i danni arrecati alle infrastrutture civili israeliane, ha riferito al «Wall Street Journal» che «la distruzione causata dai grandi missili balistici è diversa da qualsiasi cosa i miei colleghi abbiano mai visto negli ultimi decenni. Centinaia di edifici sono stati distrutti o gravemente danneggiati e la loro ricostruzione o riparazione costerà centinaia di milioni di dollari». Più di 5.000 persone sono state per di più evacuate dalle loro case a causa dei danni causati dai missili iraniani, e molte di esse sono state ospitate in alberghi a carico dallo Stato.

Per Abdelkarim, il costo totale, diretto e indiretto, potrebbe arrivare addirittura a 20 miliardi di dollari, con conseguente, ulteriore incremento del deficit di bilancio che il governo di Tel Aviv si vedrà costretto a coprire o con tagli alla spesa pubblica, o con un aumento delle tasse, o con nuovo indebitamento. Il Ministero delle Finanze israeliano ha denunciato che le risorse a disposizione si stanno rapidamente esaurendo, dopo aver richiesto il trasferimento di 857 milioni di dollari al Ministero della Difesa da compensare parzialmente mediante tagli di 200 milioni di dollari ai Ministeri della Salute, dell’Istruzione e dei Servizi Sociali.

L’Iran ha in buona sostanza inchiodato Israele a una guerra di logoramento largamente insostenibile e gravida di insidie anche per gli stessi Stati Uniti. Dal punto di vista di Washington, rifornire Israele del materiale militare necessario a fronteggiare un nemico del calibro dell’Iran comporta un’accelerazione potenzialmente fatale del processo di erosione delle riserve strategiche di armi e munizioni avviato con lo scoppio del conflitto russo-ucraino e aggravato dall’intervento in Yemen. L’offensiva contro gli Houthi ha richiesto l’impiego di missili da crociera Tomahawk e Jassm, bombe plananti a guida satellitare Jsow, bombardieri stealth B-2 Spirit, una portaerei, diversi squadroni di caccia e sistemi di difesa aerea. A dispetto di un simile dispiegamento di forze, riportava il «New York Times» lo scorso aprile sulla base di confidenze rese da anonimi funzionari del Pentagono, «l’esercito statunitense ha conseguito risultati limitati», e vertici della Us Navy e la Marina e del Comando Indo-Pacifico erano «molto preoccupati per la velocità con cui l’esercito sta consumando munizioni in Yemen». In particolare, ha rilevato Jim Fein della Heritage Foundation, molte delle munizioni impiegate nelle operazioni in Yemen «risulterebbero cruciali in una guerra contro la Cina […]. Gli Houthi rappresentano una minaccia relativamente piccola, meno avanzata e meno letale della Cina, eppure si sono dimostrati un problema persistente per gli Stati Uniti e i loro alleati. Se servono centinaia di missili per smorzare gli attacchi degli Houthi – con scarso successo – ce ne vorranno ancora di più per affrontare la minaccia cinese».

La logica inesorabile della guerra di attrito

Israele non è pronto per una guerra di logoramento?

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Lo scorso 22 giugno, subito dopo l’attacco statunitense contro i siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan, il governo di Tel Aviv segnalò a Teheran la propria disponibilità a interrompere la campagna militare contro l’Iran nel caso in cui la Guida Suprema Khamenei avesse posto fine alle ostilità e ricercato una risoluzione del conflitto. Lo ha rivelato il quotidiano «Yedioth Ahronoth» sulla base di confidenze rese da anonimi funzionari israeliani, i quali non hanno tuttavia spiegato le ragioni alla base della presa di posizione del governo di Netanyahu.

Si tratta di una decisione alquanto significativa, tenuto conto che era stato Israele ad aggredire l’Iran nell’ambito di un’operazione (Rising Lion) che aveva preso di mira con raid aerei, atti di sabotaggio e attentati infrastrutture sia militari che civili, alti esponenti dei Pasdaran e delle forze armate, figure di spicco dell’accademia iraniana. Senonché, quello si configurava come un attacco decapitante, inteso a seminare il caos sociale, determinare il rapido collasso della Repubblica Islamica e instaurare un governo allineato (magari, da affidare all’ultimo rampollo della dinastia Pahlavi) disposto ad aderire agli Accordi di Abramo, si è rivelato un piano d’azione che, per quanto egregiamente eseguito, scaturisce da una pianificazione strategica del tutto inadeguata. Lungi dall’alienarle il consenso popolare, l’Operazione Rising Lion ha compattato la società iraniana attorno alla sua guida politica, rafforzandola politicamente. Allo stesso tempo, i decisori israeliani hanno palesemente sottostimato le capacità offensive iraniane, sopravvalutando simmetricamente le potenzialità del sistema di difesa aerea multistratificato che integra Iron Dome, David’s Sling, Arrow-2, Arrow-3, Patriot e Thaad.

La rappresaglia iraniana, dispiegatasi con gradualità sotto il doppio profilo quantitativo e qualitativo dei missili lanciati, ha imposto fin da subito a Israele un ritmo di consumo molto elevato di intercettori destinato a intaccare rapidamente le scorte. Lo ha sottolineato il «Wall Street Journal», che già il 18 giugno segnalava la forte penuria dei pregiati Arrow-2 e Arrow-3, a cui gli Stati Uniti hanno posto parzialmente rimedio attraverso ingenti forniture di Thaad, prelevati direttamente dalle proprie riserve. Secondo «Military Watch Magazine», gli Usa hanno consegnato a Israele una quantità di intercettori Thaad equivalente al 15-20% delle proprie scorte. La rivista stima che Israele abbia impiegato tra i 60 e gli 80 Thaad nel corso di 11 giorni di conflitto, ed evidenzia che si tratta di una cifra alquanto significativa a fronte del loro costo (12-15 milioni per ogni singolo intercettore), del numero limitato di unità disponibili e dell’intensità relativamente ridotta degli attacchi missilistici sferrati dall’Iran. Israele avrebbe insomma “bruciato” in appena 11 giorni tra gli 810 milioni e gli 1,2 miliardi di dollari di intercettori Thaad, che erano per di più coadiuvati nei loro compiti difensivi dai sistemi Sam-3 in dotazione alle cacciatorpediniere statunitensi Aegis. I risultati ottenuti, a dispetto degli elevatissimi tassi di intercettazione antiaerea (oltre il 90%) dichiarati dal Ministero della Difesa di Tel Aviv, sono tutto sommato modesti. Come rileva ancora «Military Watch Magazine», «l’intensità delle ostilità iraniano-israeliane è stata relativamente bassa, con l’Iran che ha lanciato missili balistici a un ritmo modesto, ben al di sotto delle sue effettive capacità, al fine di mantenere una risposta proporzionale agli attacchi israeliani, evitare un’escalation e preservare la capacità di rispondere qualora gli Stati Uniti fossero intervenuti direttamente». Nell’aprile 2021,il Pentagono stimò che l’Iran disponesse di circa 3.000 missili di diversa gittata, ed è praticamente scontato, alla luce del progressivo aumento delle tensioni con Stati Uniti e Israele, che da allora Teheran abbia espanso assai considerevolmente le proprie scorte.

Qualora «l’Iran avesse lanciato attacchi missilistici più intensi, comprensivi di un maggior numero di missili dotati di testate multiple, o avesse sostenuto bombardamenti per un lasso di tempo superiore, il sistema Thaad in Israele avrebbe visto la sua efficacia diminuire rapidamente». I limiti del sistema, osserva con preoccupazione la rivista, hanno implicazioni molto significative per la sua sostenibilità sia in Medio Oriente che a livello globale, dove il Thaad è impiegato per contrastare arsenali di gran lunga più grandi e potenti di quello iraniano. A partire da quelli cinese, ampio e molto assortito, e russo, che integra i vettori più potenti al mondo come i modernissimi l’Orešnik. Ne consegue che «il ritmo a cui Israele ha esaurito l’arsenale di intercettori Thaad, nonostante le condizioni estremamente favorevoli, è di cattivo auspicio per la sostenibilità del sistema in futuri conflitti di media e alta intensità». I rilievi mossi da «Military Watch Magazine» sono largamente condivisi da Brendan Buck del Cato Institute, a detta del quale il trasferimento massiccio di sistemi Thaad a Israele implicherà inesorabilmente il dirottamento di intercettori originariamente destinati all’Ucraina, a Taiwan e al mantenimento del dispositivo militare statunitense all’estero. Segno inequivocabile del fatto che la coperta è troppo corta, nonostante gli Stati Uniti, attestano i dati forniti dal Dipartimento di Stato, devolvano ogni anno 3,4 miliardi di dollari per rafforzare la difesa anti-missilistica di Israele – di 1,3 miliardi dedicati soltanto all’Iron Dome.

Il sistema David’s Sling, sviluppato congiuntamente da Israele e Stati Uniti per abbattere missili, droni e aerei a corto e lungo raggio, costa come minimo – quando lavora a regime più ridotto – 700.000 dollari circa ogni volta che viene attivato. Gli Arrow-2 e Arrow-3, specializzati nella difesa contro missili balistici a lungo raggio che fuoriescono dall’atmosfera terrestre, costano rispettivamente 3 e 4 milioni di dollari per ogni singolo intercettore. Il quotidiano finanziario israeliano «The Markers» ha quantificato l’esborso per la difesa aerea in circa 285 milioni di dollari ogni notte, mentre la stampa egiziana parla di un esborso pari a 725 milioni di dollari per notte. Nel computo delle spese vanno poi considerate le decine di migliaia di dollari per ora necessarie a mantenere in volo ogni singolo caccia (F-15, F-16 e F-35) chiamato a operare nello sterminato spazio aereo che separa Israele dall’Iran, oltre al costo degli ordigni come i Jdam e gli Mk-84 impiegati nel conflitto. Secondo il «Financial Express», Israele ha speso circa 5 miliardi di dollari soltanto nella prima settimana di attacchi contro l’Iran, mentre l’Aaron Institute for Economic Policy ha calcolato che l’esborso avrebbe superato i 12 miliardi di dollari qualora il conflitto si fosse protratto per un mese. Una cifra astronomica, considerato che il bilancio annuale della difesa di Israele ammonta a circa 45 miliardi di dollari.

La scarsità di intercettori a disposizione di Israele, l’accuratezza degli attacchi iraniani (riconosciuta perfino dal noto giornalista israeliano Raviv Drucker) e l’incapacità degli Stati Uniti di ricostituire con il necessario tempismo le scorte in esaurimento del loro principale alleato si sono inoltre tradotti in decine e decine di missili iraniani andati a bersaglio. Tra gli obiettivi colpiti figurano laboratori di ricerca scientifica come il Weizmann Institute di Rehovot e il centro Soroka di Beersheva, edifici militari come la sede del Mossad e il complesso del Ministero della Difesa israeliano, siti economicamente e logisticamente cruciali come la Borsa diamantifera di Tel Aviv, le raffinerie di Haifa e Ashdod, il porto di Haifa, l’aeroporto Ben-Gurion di Tel Aviv.  In particolare, l’Iran ha preso di mira i vari anelli (centri di ricerca, impianti produttivi, facoltà universitarie, ecc.) di cui si compone il “complesso militar-industriale” israeliano, facente capo ai colossi Rafael ed Elbit Systems. Anche i complessi riconducibili ad aziende straniere legate al comparto bellico israeliano sono stati attaccati,  come lo stabilimento per la produzione di chip di Intel presso Kiryat Gat, o le strutture appartenenti a Intel, Microsoft, Google, Apple e Tesla.

La censura militare impedisce a tutt’oggi la formulazione di stime precise circa l’entità dei danni subiti, quantificata provvisoriamente dal Ministero delle Finanza e dall’Agenzia delle Entrate israeliana in 3 miliardi di dollari. Una somma ingente, che non include peraltro i costi necessari alla ricostituzione delle scorte di armi e sistemi di difesa aerea. Naser Abdelkarim, professore di finanza presso l’American University of Palestine, ha sottolineato che gli attacchi hanno avuto un impatto diretto non solo sulle spese militari di Israele, ma anche sulle attività produttive. Durante il conflitto, è stata imposta la chiusura di scuole e attività commerciali non strettamente necessarie, a cui il governo dovrà corrispondere indennizzi pari a 1,5 miliardi di dollari. «Questa è la sfida più grande che il Paese abbia mai affrontato. Non si era ancora registrata una simile mole di distruzione di danni nella storia di Israele», ha dichiarato Shay Aharonovich, il direttore generale dell’Agenzia delle Entrate israeliana incaricata di pagare i risarcimenti. Eyal Shalev, ingegnere strutturale chiamato a valutare i danni arrecati alle infrastrutture civili israeliane, ha riferito al «Wall Street Journal» che «la distruzione causata dai grandi missili balistici è diversa da qualsiasi cosa i miei colleghi abbiano mai visto negli ultimi decenni. Centinaia di edifici sono stati distrutti o gravemente danneggiati e la loro ricostruzione o riparazione costerà centinaia di milioni di dollari». Più di 5.000 persone sono state per di più evacuate dalle loro case a causa dei danni causati dai missili iraniani, e molte di esse sono state ospitate in alberghi a carico dallo Stato.

Per Abdelkarim, il costo totale, diretto e indiretto, potrebbe arrivare addirittura a 20 miliardi di dollari, con conseguente, ulteriore incremento del deficit di bilancio che il governo di Tel Aviv si vedrà costretto a coprire o con tagli alla spesa pubblica, o con un aumento delle tasse, o con nuovo indebitamento. Il Ministero delle Finanze israeliano ha denunciato che le risorse a disposizione si stanno rapidamente esaurendo, dopo aver richiesto il trasferimento di 857 milioni di dollari al Ministero della Difesa da compensare parzialmente mediante tagli di 200 milioni di dollari ai Ministeri della Salute, dell’Istruzione e dei Servizi Sociali.

L’Iran ha in buona sostanza inchiodato Israele a una guerra di logoramento largamente insostenibile e gravida di insidie anche per gli stessi Stati Uniti. Dal punto di vista di Washington, rifornire Israele del materiale militare necessario a fronteggiare un nemico del calibro dell’Iran comporta un’accelerazione potenzialmente fatale del processo di erosione delle riserve strategiche di armi e munizioni avviato con lo scoppio del conflitto russo-ucraino e aggravato dall’intervento in Yemen. L’offensiva contro gli Houthi ha richiesto l’impiego di missili da crociera Tomahawk e Jassm, bombe plananti a guida satellitare Jsow, bombardieri stealth B-2 Spirit, una portaerei, diversi squadroni di caccia e sistemi di difesa aerea. A dispetto di un simile dispiegamento di forze, riportava il «New York Times» lo scorso aprile sulla base di confidenze rese da anonimi funzionari del Pentagono, «l’esercito statunitense ha conseguito risultati limitati», e vertici della Us Navy e la Marina e del Comando Indo-Pacifico erano «molto preoccupati per la velocità con cui l’esercito sta consumando munizioni in Yemen». In particolare, ha rilevato Jim Fein della Heritage Foundation, molte delle munizioni impiegate nelle operazioni in Yemen «risulterebbero cruciali in una guerra contro la Cina […]. Gli Houthi rappresentano una minaccia relativamente piccola, meno avanzata e meno letale della Cina, eppure si sono dimostrati un problema persistente per gli Stati Uniti e i loro alleati. Se servono centinaia di missili per smorzare gli attacchi degli Houthi – con scarso successo – ce ne vorranno ancora di più per affrontare la minaccia cinese».

Israele non è pronto per una guerra di logoramento?

Segue nostro Telegram.

Lo scorso 22 giugno, subito dopo l’attacco statunitense contro i siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan, il governo di Tel Aviv segnalò a Teheran la propria disponibilità a interrompere la campagna militare contro l’Iran nel caso in cui la Guida Suprema Khamenei avesse posto fine alle ostilità e ricercato una risoluzione del conflitto. Lo ha rivelato il quotidiano «Yedioth Ahronoth» sulla base di confidenze rese da anonimi funzionari israeliani, i quali non hanno tuttavia spiegato le ragioni alla base della presa di posizione del governo di Netanyahu.

Si tratta di una decisione alquanto significativa, tenuto conto che era stato Israele ad aggredire l’Iran nell’ambito di un’operazione (Rising Lion) che aveva preso di mira con raid aerei, atti di sabotaggio e attentati infrastrutture sia militari che civili, alti esponenti dei Pasdaran e delle forze armate, figure di spicco dell’accademia iraniana. Senonché, quello si configurava come un attacco decapitante, inteso a seminare il caos sociale, determinare il rapido collasso della Repubblica Islamica e instaurare un governo allineato (magari, da affidare all’ultimo rampollo della dinastia Pahlavi) disposto ad aderire agli Accordi di Abramo, si è rivelato un piano d’azione che, per quanto egregiamente eseguito, scaturisce da una pianificazione strategica del tutto inadeguata. Lungi dall’alienarle il consenso popolare, l’Operazione Rising Lion ha compattato la società iraniana attorno alla sua guida politica, rafforzandola politicamente. Allo stesso tempo, i decisori israeliani hanno palesemente sottostimato le capacità offensive iraniane, sopravvalutando simmetricamente le potenzialità del sistema di difesa aerea multistratificato che integra Iron Dome, David’s Sling, Arrow-2, Arrow-3, Patriot e Thaad.

La rappresaglia iraniana, dispiegatasi con gradualità sotto il doppio profilo quantitativo e qualitativo dei missili lanciati, ha imposto fin da subito a Israele un ritmo di consumo molto elevato di intercettori destinato a intaccare rapidamente le scorte. Lo ha sottolineato il «Wall Street Journal», che già il 18 giugno segnalava la forte penuria dei pregiati Arrow-2 e Arrow-3, a cui gli Stati Uniti hanno posto parzialmente rimedio attraverso ingenti forniture di Thaad, prelevati direttamente dalle proprie riserve. Secondo «Military Watch Magazine», gli Usa hanno consegnato a Israele una quantità di intercettori Thaad equivalente al 15-20% delle proprie scorte. La rivista stima che Israele abbia impiegato tra i 60 e gli 80 Thaad nel corso di 11 giorni di conflitto, ed evidenzia che si tratta di una cifra alquanto significativa a fronte del loro costo (12-15 milioni per ogni singolo intercettore), del numero limitato di unità disponibili e dell’intensità relativamente ridotta degli attacchi missilistici sferrati dall’Iran. Israele avrebbe insomma “bruciato” in appena 11 giorni tra gli 810 milioni e gli 1,2 miliardi di dollari di intercettori Thaad, che erano per di più coadiuvati nei loro compiti difensivi dai sistemi Sam-3 in dotazione alle cacciatorpediniere statunitensi Aegis. I risultati ottenuti, a dispetto degli elevatissimi tassi di intercettazione antiaerea (oltre il 90%) dichiarati dal Ministero della Difesa di Tel Aviv, sono tutto sommato modesti. Come rileva ancora «Military Watch Magazine», «l’intensità delle ostilità iraniano-israeliane è stata relativamente bassa, con l’Iran che ha lanciato missili balistici a un ritmo modesto, ben al di sotto delle sue effettive capacità, al fine di mantenere una risposta proporzionale agli attacchi israeliani, evitare un’escalation e preservare la capacità di rispondere qualora gli Stati Uniti fossero intervenuti direttamente». Nell’aprile 2021,il Pentagono stimò che l’Iran disponesse di circa 3.000 missili di diversa gittata, ed è praticamente scontato, alla luce del progressivo aumento delle tensioni con Stati Uniti e Israele, che da allora Teheran abbia espanso assai considerevolmente le proprie scorte.

Qualora «l’Iran avesse lanciato attacchi missilistici più intensi, comprensivi di un maggior numero di missili dotati di testate multiple, o avesse sostenuto bombardamenti per un lasso di tempo superiore, il sistema Thaad in Israele avrebbe visto la sua efficacia diminuire rapidamente». I limiti del sistema, osserva con preoccupazione la rivista, hanno implicazioni molto significative per la sua sostenibilità sia in Medio Oriente che a livello globale, dove il Thaad è impiegato per contrastare arsenali di gran lunga più grandi e potenti di quello iraniano. A partire da quelli cinese, ampio e molto assortito, e russo, che integra i vettori più potenti al mondo come i modernissimi l’Orešnik. Ne consegue che «il ritmo a cui Israele ha esaurito l’arsenale di intercettori Thaad, nonostante le condizioni estremamente favorevoli, è di cattivo auspicio per la sostenibilità del sistema in futuri conflitti di media e alta intensità». I rilievi mossi da «Military Watch Magazine» sono largamente condivisi da Brendan Buck del Cato Institute, a detta del quale il trasferimento massiccio di sistemi Thaad a Israele implicherà inesorabilmente il dirottamento di intercettori originariamente destinati all’Ucraina, a Taiwan e al mantenimento del dispositivo militare statunitense all’estero. Segno inequivocabile del fatto che la coperta è troppo corta, nonostante gli Stati Uniti, attestano i dati forniti dal Dipartimento di Stato, devolvano ogni anno 3,4 miliardi di dollari per rafforzare la difesa anti-missilistica di Israele – di 1,3 miliardi dedicati soltanto all’Iron Dome.

Il sistema David’s Sling, sviluppato congiuntamente da Israele e Stati Uniti per abbattere missili, droni e aerei a corto e lungo raggio, costa come minimo – quando lavora a regime più ridotto – 700.000 dollari circa ogni volta che viene attivato. Gli Arrow-2 e Arrow-3, specializzati nella difesa contro missili balistici a lungo raggio che fuoriescono dall’atmosfera terrestre, costano rispettivamente 3 e 4 milioni di dollari per ogni singolo intercettore. Il quotidiano finanziario israeliano «The Markers» ha quantificato l’esborso per la difesa aerea in circa 285 milioni di dollari ogni notte, mentre la stampa egiziana parla di un esborso pari a 725 milioni di dollari per notte. Nel computo delle spese vanno poi considerate le decine di migliaia di dollari per ora necessarie a mantenere in volo ogni singolo caccia (F-15, F-16 e F-35) chiamato a operare nello sterminato spazio aereo che separa Israele dall’Iran, oltre al costo degli ordigni come i Jdam e gli Mk-84 impiegati nel conflitto. Secondo il «Financial Express», Israele ha speso circa 5 miliardi di dollari soltanto nella prima settimana di attacchi contro l’Iran, mentre l’Aaron Institute for Economic Policy ha calcolato che l’esborso avrebbe superato i 12 miliardi di dollari qualora il conflitto si fosse protratto per un mese. Una cifra astronomica, considerato che il bilancio annuale della difesa di Israele ammonta a circa 45 miliardi di dollari.

La scarsità di intercettori a disposizione di Israele, l’accuratezza degli attacchi iraniani (riconosciuta perfino dal noto giornalista israeliano Raviv Drucker) e l’incapacità degli Stati Uniti di ricostituire con il necessario tempismo le scorte in esaurimento del loro principale alleato si sono inoltre tradotti in decine e decine di missili iraniani andati a bersaglio. Tra gli obiettivi colpiti figurano laboratori di ricerca scientifica come il Weizmann Institute di Rehovot e il centro Soroka di Beersheva, edifici militari come la sede del Mossad e il complesso del Ministero della Difesa israeliano, siti economicamente e logisticamente cruciali come la Borsa diamantifera di Tel Aviv, le raffinerie di Haifa e Ashdod, il porto di Haifa, l’aeroporto Ben-Gurion di Tel Aviv.  In particolare, l’Iran ha preso di mira i vari anelli (centri di ricerca, impianti produttivi, facoltà universitarie, ecc.) di cui si compone il “complesso militar-industriale” israeliano, facente capo ai colossi Rafael ed Elbit Systems. Anche i complessi riconducibili ad aziende straniere legate al comparto bellico israeliano sono stati attaccati,  come lo stabilimento per la produzione di chip di Intel presso Kiryat Gat, o le strutture appartenenti a Intel, Microsoft, Google, Apple e Tesla.

La censura militare impedisce a tutt’oggi la formulazione di stime precise circa l’entità dei danni subiti, quantificata provvisoriamente dal Ministero delle Finanza e dall’Agenzia delle Entrate israeliana in 3 miliardi di dollari. Una somma ingente, che non include peraltro i costi necessari alla ricostituzione delle scorte di armi e sistemi di difesa aerea. Naser Abdelkarim, professore di finanza presso l’American University of Palestine, ha sottolineato che gli attacchi hanno avuto un impatto diretto non solo sulle spese militari di Israele, ma anche sulle attività produttive. Durante il conflitto, è stata imposta la chiusura di scuole e attività commerciali non strettamente necessarie, a cui il governo dovrà corrispondere indennizzi pari a 1,5 miliardi di dollari. «Questa è la sfida più grande che il Paese abbia mai affrontato. Non si era ancora registrata una simile mole di distruzione di danni nella storia di Israele», ha dichiarato Shay Aharonovich, il direttore generale dell’Agenzia delle Entrate israeliana incaricata di pagare i risarcimenti. Eyal Shalev, ingegnere strutturale chiamato a valutare i danni arrecati alle infrastrutture civili israeliane, ha riferito al «Wall Street Journal» che «la distruzione causata dai grandi missili balistici è diversa da qualsiasi cosa i miei colleghi abbiano mai visto negli ultimi decenni. Centinaia di edifici sono stati distrutti o gravemente danneggiati e la loro ricostruzione o riparazione costerà centinaia di milioni di dollari». Più di 5.000 persone sono state per di più evacuate dalle loro case a causa dei danni causati dai missili iraniani, e molte di esse sono state ospitate in alberghi a carico dallo Stato.

Per Abdelkarim, il costo totale, diretto e indiretto, potrebbe arrivare addirittura a 20 miliardi di dollari, con conseguente, ulteriore incremento del deficit di bilancio che il governo di Tel Aviv si vedrà costretto a coprire o con tagli alla spesa pubblica, o con un aumento delle tasse, o con nuovo indebitamento. Il Ministero delle Finanze israeliano ha denunciato che le risorse a disposizione si stanno rapidamente esaurendo, dopo aver richiesto il trasferimento di 857 milioni di dollari al Ministero della Difesa da compensare parzialmente mediante tagli di 200 milioni di dollari ai Ministeri della Salute, dell’Istruzione e dei Servizi Sociali.

L’Iran ha in buona sostanza inchiodato Israele a una guerra di logoramento largamente insostenibile e gravida di insidie anche per gli stessi Stati Uniti. Dal punto di vista di Washington, rifornire Israele del materiale militare necessario a fronteggiare un nemico del calibro dell’Iran comporta un’accelerazione potenzialmente fatale del processo di erosione delle riserve strategiche di armi e munizioni avviato con lo scoppio del conflitto russo-ucraino e aggravato dall’intervento in Yemen. L’offensiva contro gli Houthi ha richiesto l’impiego di missili da crociera Tomahawk e Jassm, bombe plananti a guida satellitare Jsow, bombardieri stealth B-2 Spirit, una portaerei, diversi squadroni di caccia e sistemi di difesa aerea. A dispetto di un simile dispiegamento di forze, riportava il «New York Times» lo scorso aprile sulla base di confidenze rese da anonimi funzionari del Pentagono, «l’esercito statunitense ha conseguito risultati limitati», e vertici della Us Navy e la Marina e del Comando Indo-Pacifico erano «molto preoccupati per la velocità con cui l’esercito sta consumando munizioni in Yemen». In particolare, ha rilevato Jim Fein della Heritage Foundation, molte delle munizioni impiegate nelle operazioni in Yemen «risulterebbero cruciali in una guerra contro la Cina […]. Gli Houthi rappresentano una minaccia relativamente piccola, meno avanzata e meno letale della Cina, eppure si sono dimostrati un problema persistente per gli Stati Uniti e i loro alleati. Se servono centinaia di missili per smorzare gli attacchi degli Houthi – con scarso successo – ce ne vorranno ancora di più per affrontare la minaccia cinese».

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July 3, 2025

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