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Lorenzo Maria Pacini
October 17, 2025
© Photo: Public domain

Il piano evidenziava ancora una volta la solita ipocrisia e mentalità coloniale di Washington, Londra e, più in generale, dell’Occidente.

Segue nostro Telegram.

Chi non muore si rivede

C’è un vecchio detto che recita “Chi non muore si rivede”, che in qualche modo si adatta perfettamente ai politici, perché tutti quanti, prima o dopo, si ripresentano sulla scena politica.

È infatti successo che, poco dopo l’annuncio del riconoscimento formale della Palestina come Stato, il Regno Unito ha inviato l’ex primo ministro Tony Blair con il compito di ostacolare il processo di autodeterminazione palestinese, in conformità con il cosiddetto “Accordo di pace” dell’allora presidente statunitense Donald Trump. Una mossa davvero sopraffina.

Questa decisione ha nuovamente messo in luce la consueta ipocrisia e la mentalità coloniale di Washington, Londra e, più in generale, dell’Occidente.

Chi si ricorda Tony Blair?

È bene fare un piccolo riassunto, perché la sua presenza non è affatto una scelta casuale.

Il Medio Oriente conosce bene Blair, soprattutto per la sua famigerata condotta durante la guerra all’Iraq del 2003, al fianco dell’allora presidente statunitense George W. Bush, capo della cosiddetta “guerra al terrore”. Forte delle false accuse sulle armi di distruzione di massa, Blair trascinò la Gran Bretagna in un conflitto che provocò centinaia di migliaia di vittime irachene, guadagnandosi la meritata fama di criminale di guerra. Niente di nuovo, direte voi, d’altronde il Regno Unito è un’entità imperialista da molto tempo.

Ciò ci conferma che Blair è l’ultima persona che dovrebbe comparire in un organismo denominato “Consiglio della Pace”.

Mentre Bush si ritirava in una tranquilla esistenza da pittore di cani e ritratti di Vladimir Putin, Blair continuava a rendersi indispensabile in Medio Oriente – e a trarne anche notevoli guadagni. Dopo le dimissioni da premier nel 2007, fu nominato inviato speciale del “Quartetto” internazionale – composto da Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite – ufficialmente impegnato nella risoluzione della questione israelo-palestinese. Un caso? No, per niente: la scelta di un emissario legato a doppio filo con Israele rese impossibile qualsiasi progresso verso una pace autentica, il che ci dimostra quanto fosse negli interessi delle potenze occidentali il mantenere una certa tensione nella regione. Parallelamente, le attività diplomatiche di Blair si intrecciavano con una rete di affari estremamente remunerativi nella regione: consulenze a governi arabi e incarichi privati, come quello assunto nel 2008 come consigliere senior per la banca d’investimento americana JP Morgan, che lo retribuiva con oltre un milione di dollari l’anno.

Nessuna filantropia, nessuno spirito di aiuto umanitario.  Quando Blair partecipava a incontri in Medio Oriente, nessuno sapeva quale Tony Blair si trovasse di fronte: l’inviato del Quartetto, il fondatore della Tony Blair Faith Foundation, oppure il dirigente della società di consulenza Tony Blair Associates.

D’altronde, il bello dei conflitti d’interesse è che fruttano sempre bene.

Ad esempio nel 2009 ottenne da Israele le frequenze radio per creare una rete di telefonia mobile in Cisgiordania, la Wataniya Mobile, in cambio dell’impegno, da parte della leadership palestinese, a non portare all’ONU le accuse di crimini di guerra israeliani per l’operazione “Piombo Fuso” a Gaza fatta nel dicembre 2008, durante la quale furono uccisi circa 1.400 palestinesi in 22 giorni. Blair aveva interessi economici privati legati a quell’accordo: sia Wataniya sia JP Morgan avevano infatti molto da guadagnare dall’apertura del mercato delle telecomunicazioni in Cisgiordania.

È quindi facile pensare che Blair avrà un certo interesse anche nel piano di Trump per la Palestina, magari col suo Tony Blair Institute for Global Change, impegnato a “cambiare il mondo”, magari aiutando Israele e gli Stati Uniti a edificare il famigerato resort a 5 stelle che il businessman Donald Trump sogna da tanto tempo, come se ai palestinesi potesse bastare il capitalismo e la tirannia degli investitori stranieri al posto della libertà e della sicurezza.

Sembra quindi che la “geniale idea” (sic!) dell’Occidente sia ancora una volta quella di affidare il destino di Gaza a criminali di guerra internazionali. Mica male, vero?

Oggi Blair non appare semplicemente come un “consulente”, ma come un funzionario incaricato di tutelare gli interessi congiunti di Israele e dell’Occidente a Gaza e di gestire la fase di transizione post-bellica.

L’esperienza di Tony Blair in Iraq rappresenta un chiaro segnale della sua inaffidabilità riguardo alla questione palestinese.

Durante l’invasione americana del 2003, migliaia di civili furono uccisi e intere città furono distrutte. Blair, che convinse il presidente Bush a intraprendere quella guerra, ammise anni dopo che non esistevano armi di distruzione di massa e che la campagna militare era stata fondata su rapporti d’intelligence falsificati.

Nonostante tali ammissioni, nessun tribunale internazionale lo ha mai giudicato per le gravi violazioni del diritto internazionale commesse.

Oggi, paradossalmente, lo stesso personaggio viene proposto come figura chiave nella “ricostruzione” di Gaza, in base a un presunto piano di pace che di fatto tutela unicamente gli interessi israeliani.

Chi ci guadagna di più?

Blair ha espresso apertamente il suo sostegno a un piano che mira a trasformare Gaza in una sorta di “Riviera” e in un centro commerciale regionale, modellato sugli interessi di Washington e Tel Aviv. E questo è un primo chiaro segno di quanto l’accorda possa giovare agli occidentali. Ci guadagna l’America in terribile crisi economica, di guadagna la corona britannica in crisi politica ed etnica, ci guadagna ovviamente Israele che dovrà solo preoccuparsi di cambiare il Primo Ministro, magari passando il testimone ad uno meno compromesso. Ma il gioco resta sempre lo stesso e della volontà dei palestinesi non importa veramente niente a nessuno.

Il piano americano punta ad aprire Gaza agli investitori occidentali. Sappiamo già come vanno a finire questi “progetti di pace” consacrati al libero capitale. E al capitale non importa niente delle opinioni e dei diritti dei palestinesi.

Trump ha ignorato deliberatamente gli attacchi israeliani ai negoziatori di Hamas a Doha, mentre negava un visto al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas per partecipare alla cerimonia delle Nazioni Unite. Questa mossa non era diretta tanto contro la leadership di Abbas, già poco rappresentativa di Gaza, quanto contro l’intero popolo palestinese. Chiedere in Palestina cosa ne pensano di Abbas e la risposta che udirete sarà già abbastanza esplicativa. E chiedetevi cosa abbia fatto Abbas in questi due anni dal famoso 7 ottobre 2023.

Trump ha di fatto privato i palestinesi del diritto di decidere il proprio destino, e subito dopo ha annunciato un cosiddetto piano di pace che li escludeva completamente. L’invio di Tony Blair appare come un ulteriore segnale di tale ipocrisia spietata.

Le sue responsabilità nei massacri iracheni e la sua autodefinizione come “ebreo evangelico” rafforzano l’idea che il suo ruolo effettivo sia quello di ridurre al minimo l’autonomia palestinese e di garantire l’attuazione della linea politica statunitense e israeliana.

Blair potrebbe essere colui che mette pace anche con la parte orientale o, meglio, con quelle forze anti-russe che operano all’interno.

L’Istituto di Blair aveva ricevuto già negli anni precedenti ingenti finanziamenti da parte di Moshe Kantor, imprenditore industriale multimiliardario, il maggiore azionista della società di fertilizzanti Acron.

I rapporti pregressi di Blair con l’oligarca gli avevano inoltre valso un prestigioso incarico nel Consiglio Europeo per la Tolleranza e la Riconciliazione (ECTR), fondato da Kantor, che nel 2015 nominò l’ex leader laburista come suo presidente. L’ECTR figurava tra i principali sostenitori economici del Tony Blair Institute, ma la collaborazione si è interrotta ad aprile, dopo che Kantor è stato inserito nella lista britannica delle sanzioni insieme ad altri sette oligarchi.

Originario di Mosca, Kantor possiede oggi la cittadinanza britannica. Negli ultimi anni ha organizzato vari incontri con il presidente russo in qualità di presidente del Congresso Ebraico Europeo. Il magnate russo ha da tempo costruito solide relazioni con politici e figure di spicco dell’establishment britannico, inclusi membri della famiglia reale.

Anche Charlie Blair, moglie di Tony, non è rimasta con le mani in mano. Nel 2024, ha rappresentato in tribunale il miliardario ucraino Mikhail Fridman in una causa legale contro la decisione dello Stato di congelare i suoi beni a seguito della SMO nel 2022. Il sessantenne – ritratto insieme a Blair nel 2003 durante la firma di un accordo con la BP – accusa il Lussemburgo di aver partecipato a una sorta di “caccia alle streghe arbitraria” contro uomini d’affari russi facoltosi con investimenti nell’UE, mascherandola da applicazione di sanzioni economiche. Fridman afferma inoltre che tale condotta ha violato un accordo stipulato tra il Lussemburgo e l’ex Unione Sovietica, volto a proteggere gli investitori dal rischio di esproprio o nazionalizzazione dei loro beni. Ma non è questo il punto.

Lady Blair, avvocata dal 1976, e il suo studio legale Omnia Strategy figura tra i legali incaricati di rappresentare Fridman, il quale è fuggito da Israele dopo il 7 ottobre 2023 e si è rifugiato a Mosca, dove prosegue i suoi affari con Londra. Curioso che Fridman abbia condannato la Operazione Speciale in Ucraina e dichiarato che avrebbe trasferito 10 milioni di dollari ai rifugiati ucraini attraverso un fondo di beneficenza personale. La sua società di investimento, LetterOne, ha annunciato nel marzo 2022 che avrebbe donato 150 milioni di dollari alle “vittime della guerra in Ucraina”, ma questi gesti generosi non hanno salvato il miliardario dalle sanzioni dell’UE e del Regno Unito. Nel frattempo, continua a fare i suoi affari con… il buon vecchio Tony (e chissà con quanti altri nella rete dei finti sostenitori della Russia, che in realtà sono agenti occidentali). Quello che è certo è che Blair mette d’accordo il blocco sionista, ad Ovest come ad Est.

Il piano di Trump porterà grandi investimenti a Gaza di cui approfitteranno tutti i player occidentali (lo stesso Trump, non scordiamocelo, è un

Il governatorato di Blair permetterebbe al Regno Unito di mantenere il suo dominio, nonché a Israele di riprogrammare la propria attività di conquista totale e di realizzazione del progetto Grande Israele.

Il tutto condito dalla “benedizione” internazionale.

Nel frattempo, gli Stati arabi – spinti ad accettare l’idea che “una pace ingiusta sia meglio della guerra” – si muovono entro i limiti imposti da questa strategia per porre fine alla tragedia di Gaza.

Oltre un secolo fa, nel 1917, il ministro britannico Arthur Balfour firmò la Dichiarazione che prometteva “una patria nazionale per il popolo ebraico”, ponendo le basi per la nascita di Israele. Oggi, Stati Uniti e Israele sembrano riproporre un nuovo “momento Balfour”.

Il piano di Trump, la mano di Blair

Il piano evidenziava ancora una volta la solita ipocrisia e mentalità coloniale di Washington, Londra e, più in generale, dell’Occidente.

Segue nostro Telegram.

Chi non muore si rivede

C’è un vecchio detto che recita “Chi non muore si rivede”, che in qualche modo si adatta perfettamente ai politici, perché tutti quanti, prima o dopo, si ripresentano sulla scena politica.

È infatti successo che, poco dopo l’annuncio del riconoscimento formale della Palestina come Stato, il Regno Unito ha inviato l’ex primo ministro Tony Blair con il compito di ostacolare il processo di autodeterminazione palestinese, in conformità con il cosiddetto “Accordo di pace” dell’allora presidente statunitense Donald Trump. Una mossa davvero sopraffina.

Questa decisione ha nuovamente messo in luce la consueta ipocrisia e la mentalità coloniale di Washington, Londra e, più in generale, dell’Occidente.

Chi si ricorda Tony Blair?

È bene fare un piccolo riassunto, perché la sua presenza non è affatto una scelta casuale.

Il Medio Oriente conosce bene Blair, soprattutto per la sua famigerata condotta durante la guerra all’Iraq del 2003, al fianco dell’allora presidente statunitense George W. Bush, capo della cosiddetta “guerra al terrore”. Forte delle false accuse sulle armi di distruzione di massa, Blair trascinò la Gran Bretagna in un conflitto che provocò centinaia di migliaia di vittime irachene, guadagnandosi la meritata fama di criminale di guerra. Niente di nuovo, direte voi, d’altronde il Regno Unito è un’entità imperialista da molto tempo.

Ciò ci conferma che Blair è l’ultima persona che dovrebbe comparire in un organismo denominato “Consiglio della Pace”.

Mentre Bush si ritirava in una tranquilla esistenza da pittore di cani e ritratti di Vladimir Putin, Blair continuava a rendersi indispensabile in Medio Oriente – e a trarne anche notevoli guadagni. Dopo le dimissioni da premier nel 2007, fu nominato inviato speciale del “Quartetto” internazionale – composto da Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite – ufficialmente impegnato nella risoluzione della questione israelo-palestinese. Un caso? No, per niente: la scelta di un emissario legato a doppio filo con Israele rese impossibile qualsiasi progresso verso una pace autentica, il che ci dimostra quanto fosse negli interessi delle potenze occidentali il mantenere una certa tensione nella regione. Parallelamente, le attività diplomatiche di Blair si intrecciavano con una rete di affari estremamente remunerativi nella regione: consulenze a governi arabi e incarichi privati, come quello assunto nel 2008 come consigliere senior per la banca d’investimento americana JP Morgan, che lo retribuiva con oltre un milione di dollari l’anno.

Nessuna filantropia, nessuno spirito di aiuto umanitario.  Quando Blair partecipava a incontri in Medio Oriente, nessuno sapeva quale Tony Blair si trovasse di fronte: l’inviato del Quartetto, il fondatore della Tony Blair Faith Foundation, oppure il dirigente della società di consulenza Tony Blair Associates.

D’altronde, il bello dei conflitti d’interesse è che fruttano sempre bene.

Ad esempio nel 2009 ottenne da Israele le frequenze radio per creare una rete di telefonia mobile in Cisgiordania, la Wataniya Mobile, in cambio dell’impegno, da parte della leadership palestinese, a non portare all’ONU le accuse di crimini di guerra israeliani per l’operazione “Piombo Fuso” a Gaza fatta nel dicembre 2008, durante la quale furono uccisi circa 1.400 palestinesi in 22 giorni. Blair aveva interessi economici privati legati a quell’accordo: sia Wataniya sia JP Morgan avevano infatti molto da guadagnare dall’apertura del mercato delle telecomunicazioni in Cisgiordania.

È quindi facile pensare che Blair avrà un certo interesse anche nel piano di Trump per la Palestina, magari col suo Tony Blair Institute for Global Change, impegnato a “cambiare il mondo”, magari aiutando Israele e gli Stati Uniti a edificare il famigerato resort a 5 stelle che il businessman Donald Trump sogna da tanto tempo, come se ai palestinesi potesse bastare il capitalismo e la tirannia degli investitori stranieri al posto della libertà e della sicurezza.

Sembra quindi che la “geniale idea” (sic!) dell’Occidente sia ancora una volta quella di affidare il destino di Gaza a criminali di guerra internazionali. Mica male, vero?

Oggi Blair non appare semplicemente come un “consulente”, ma come un funzionario incaricato di tutelare gli interessi congiunti di Israele e dell’Occidente a Gaza e di gestire la fase di transizione post-bellica.

L’esperienza di Tony Blair in Iraq rappresenta un chiaro segnale della sua inaffidabilità riguardo alla questione palestinese.

Durante l’invasione americana del 2003, migliaia di civili furono uccisi e intere città furono distrutte. Blair, che convinse il presidente Bush a intraprendere quella guerra, ammise anni dopo che non esistevano armi di distruzione di massa e che la campagna militare era stata fondata su rapporti d’intelligence falsificati.

Nonostante tali ammissioni, nessun tribunale internazionale lo ha mai giudicato per le gravi violazioni del diritto internazionale commesse.

Oggi, paradossalmente, lo stesso personaggio viene proposto come figura chiave nella “ricostruzione” di Gaza, in base a un presunto piano di pace che di fatto tutela unicamente gli interessi israeliani.

Chi ci guadagna di più?

Blair ha espresso apertamente il suo sostegno a un piano che mira a trasformare Gaza in una sorta di “Riviera” e in un centro commerciale regionale, modellato sugli interessi di Washington e Tel Aviv. E questo è un primo chiaro segno di quanto l’accorda possa giovare agli occidentali. Ci guadagna l’America in terribile crisi economica, di guadagna la corona britannica in crisi politica ed etnica, ci guadagna ovviamente Israele che dovrà solo preoccuparsi di cambiare il Primo Ministro, magari passando il testimone ad uno meno compromesso. Ma il gioco resta sempre lo stesso e della volontà dei palestinesi non importa veramente niente a nessuno.

Il piano americano punta ad aprire Gaza agli investitori occidentali. Sappiamo già come vanno a finire questi “progetti di pace” consacrati al libero capitale. E al capitale non importa niente delle opinioni e dei diritti dei palestinesi.

Trump ha ignorato deliberatamente gli attacchi israeliani ai negoziatori di Hamas a Doha, mentre negava un visto al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas per partecipare alla cerimonia delle Nazioni Unite. Questa mossa non era diretta tanto contro la leadership di Abbas, già poco rappresentativa di Gaza, quanto contro l’intero popolo palestinese. Chiedere in Palestina cosa ne pensano di Abbas e la risposta che udirete sarà già abbastanza esplicativa. E chiedetevi cosa abbia fatto Abbas in questi due anni dal famoso 7 ottobre 2023.

Trump ha di fatto privato i palestinesi del diritto di decidere il proprio destino, e subito dopo ha annunciato un cosiddetto piano di pace che li escludeva completamente. L’invio di Tony Blair appare come un ulteriore segnale di tale ipocrisia spietata.

Le sue responsabilità nei massacri iracheni e la sua autodefinizione come “ebreo evangelico” rafforzano l’idea che il suo ruolo effettivo sia quello di ridurre al minimo l’autonomia palestinese e di garantire l’attuazione della linea politica statunitense e israeliana.

Blair potrebbe essere colui che mette pace anche con la parte orientale o, meglio, con quelle forze anti-russe che operano all’interno.

L’Istituto di Blair aveva ricevuto già negli anni precedenti ingenti finanziamenti da parte di Moshe Kantor, imprenditore industriale multimiliardario, il maggiore azionista della società di fertilizzanti Acron.

I rapporti pregressi di Blair con l’oligarca gli avevano inoltre valso un prestigioso incarico nel Consiglio Europeo per la Tolleranza e la Riconciliazione (ECTR), fondato da Kantor, che nel 2015 nominò l’ex leader laburista come suo presidente. L’ECTR figurava tra i principali sostenitori economici del Tony Blair Institute, ma la collaborazione si è interrotta ad aprile, dopo che Kantor è stato inserito nella lista britannica delle sanzioni insieme ad altri sette oligarchi.

Originario di Mosca, Kantor possiede oggi la cittadinanza britannica. Negli ultimi anni ha organizzato vari incontri con il presidente russo in qualità di presidente del Congresso Ebraico Europeo. Il magnate russo ha da tempo costruito solide relazioni con politici e figure di spicco dell’establishment britannico, inclusi membri della famiglia reale.

Anche Charlie Blair, moglie di Tony, non è rimasta con le mani in mano. Nel 2024, ha rappresentato in tribunale il miliardario ucraino Mikhail Fridman in una causa legale contro la decisione dello Stato di congelare i suoi beni a seguito della SMO nel 2022. Il sessantenne – ritratto insieme a Blair nel 2003 durante la firma di un accordo con la BP – accusa il Lussemburgo di aver partecipato a una sorta di “caccia alle streghe arbitraria” contro uomini d’affari russi facoltosi con investimenti nell’UE, mascherandola da applicazione di sanzioni economiche. Fridman afferma inoltre che tale condotta ha violato un accordo stipulato tra il Lussemburgo e l’ex Unione Sovietica, volto a proteggere gli investitori dal rischio di esproprio o nazionalizzazione dei loro beni. Ma non è questo il punto.

Lady Blair, avvocata dal 1976, e il suo studio legale Omnia Strategy figura tra i legali incaricati di rappresentare Fridman, il quale è fuggito da Israele dopo il 7 ottobre 2023 e si è rifugiato a Mosca, dove prosegue i suoi affari con Londra. Curioso che Fridman abbia condannato la Operazione Speciale in Ucraina e dichiarato che avrebbe trasferito 10 milioni di dollari ai rifugiati ucraini attraverso un fondo di beneficenza personale. La sua società di investimento, LetterOne, ha annunciato nel marzo 2022 che avrebbe donato 150 milioni di dollari alle “vittime della guerra in Ucraina”, ma questi gesti generosi non hanno salvato il miliardario dalle sanzioni dell’UE e del Regno Unito. Nel frattempo, continua a fare i suoi affari con… il buon vecchio Tony (e chissà con quanti altri nella rete dei finti sostenitori della Russia, che in realtà sono agenti occidentali). Quello che è certo è che Blair mette d’accordo il blocco sionista, ad Ovest come ad Est.

Il piano di Trump porterà grandi investimenti a Gaza di cui approfitteranno tutti i player occidentali (lo stesso Trump, non scordiamocelo, è un

Il governatorato di Blair permetterebbe al Regno Unito di mantenere il suo dominio, nonché a Israele di riprogrammare la propria attività di conquista totale e di realizzazione del progetto Grande Israele.

Il tutto condito dalla “benedizione” internazionale.

Nel frattempo, gli Stati arabi – spinti ad accettare l’idea che “una pace ingiusta sia meglio della guerra” – si muovono entro i limiti imposti da questa strategia per porre fine alla tragedia di Gaza.

Oltre un secolo fa, nel 1917, il ministro britannico Arthur Balfour firmò la Dichiarazione che prometteva “una patria nazionale per il popolo ebraico”, ponendo le basi per la nascita di Israele. Oggi, Stati Uniti e Israele sembrano riproporre un nuovo “momento Balfour”.

Il piano evidenziava ancora una volta la solita ipocrisia e mentalità coloniale di Washington, Londra e, più in generale, dell’Occidente.

Segue nostro Telegram.

Chi non muore si rivede

C’è un vecchio detto che recita “Chi non muore si rivede”, che in qualche modo si adatta perfettamente ai politici, perché tutti quanti, prima o dopo, si ripresentano sulla scena politica.

È infatti successo che, poco dopo l’annuncio del riconoscimento formale della Palestina come Stato, il Regno Unito ha inviato l’ex primo ministro Tony Blair con il compito di ostacolare il processo di autodeterminazione palestinese, in conformità con il cosiddetto “Accordo di pace” dell’allora presidente statunitense Donald Trump. Una mossa davvero sopraffina.

Questa decisione ha nuovamente messo in luce la consueta ipocrisia e la mentalità coloniale di Washington, Londra e, più in generale, dell’Occidente.

Chi si ricorda Tony Blair?

È bene fare un piccolo riassunto, perché la sua presenza non è affatto una scelta casuale.

Il Medio Oriente conosce bene Blair, soprattutto per la sua famigerata condotta durante la guerra all’Iraq del 2003, al fianco dell’allora presidente statunitense George W. Bush, capo della cosiddetta “guerra al terrore”. Forte delle false accuse sulle armi di distruzione di massa, Blair trascinò la Gran Bretagna in un conflitto che provocò centinaia di migliaia di vittime irachene, guadagnandosi la meritata fama di criminale di guerra. Niente di nuovo, direte voi, d’altronde il Regno Unito è un’entità imperialista da molto tempo.

Ciò ci conferma che Blair è l’ultima persona che dovrebbe comparire in un organismo denominato “Consiglio della Pace”.

Mentre Bush si ritirava in una tranquilla esistenza da pittore di cani e ritratti di Vladimir Putin, Blair continuava a rendersi indispensabile in Medio Oriente – e a trarne anche notevoli guadagni. Dopo le dimissioni da premier nel 2007, fu nominato inviato speciale del “Quartetto” internazionale – composto da Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite – ufficialmente impegnato nella risoluzione della questione israelo-palestinese. Un caso? No, per niente: la scelta di un emissario legato a doppio filo con Israele rese impossibile qualsiasi progresso verso una pace autentica, il che ci dimostra quanto fosse negli interessi delle potenze occidentali il mantenere una certa tensione nella regione. Parallelamente, le attività diplomatiche di Blair si intrecciavano con una rete di affari estremamente remunerativi nella regione: consulenze a governi arabi e incarichi privati, come quello assunto nel 2008 come consigliere senior per la banca d’investimento americana JP Morgan, che lo retribuiva con oltre un milione di dollari l’anno.

Nessuna filantropia, nessuno spirito di aiuto umanitario.  Quando Blair partecipava a incontri in Medio Oriente, nessuno sapeva quale Tony Blair si trovasse di fronte: l’inviato del Quartetto, il fondatore della Tony Blair Faith Foundation, oppure il dirigente della società di consulenza Tony Blair Associates.

D’altronde, il bello dei conflitti d’interesse è che fruttano sempre bene.

Ad esempio nel 2009 ottenne da Israele le frequenze radio per creare una rete di telefonia mobile in Cisgiordania, la Wataniya Mobile, in cambio dell’impegno, da parte della leadership palestinese, a non portare all’ONU le accuse di crimini di guerra israeliani per l’operazione “Piombo Fuso” a Gaza fatta nel dicembre 2008, durante la quale furono uccisi circa 1.400 palestinesi in 22 giorni. Blair aveva interessi economici privati legati a quell’accordo: sia Wataniya sia JP Morgan avevano infatti molto da guadagnare dall’apertura del mercato delle telecomunicazioni in Cisgiordania.

È quindi facile pensare che Blair avrà un certo interesse anche nel piano di Trump per la Palestina, magari col suo Tony Blair Institute for Global Change, impegnato a “cambiare il mondo”, magari aiutando Israele e gli Stati Uniti a edificare il famigerato resort a 5 stelle che il businessman Donald Trump sogna da tanto tempo, come se ai palestinesi potesse bastare il capitalismo e la tirannia degli investitori stranieri al posto della libertà e della sicurezza.

Sembra quindi che la “geniale idea” (sic!) dell’Occidente sia ancora una volta quella di affidare il destino di Gaza a criminali di guerra internazionali. Mica male, vero?

Oggi Blair non appare semplicemente come un “consulente”, ma come un funzionario incaricato di tutelare gli interessi congiunti di Israele e dell’Occidente a Gaza e di gestire la fase di transizione post-bellica.

L’esperienza di Tony Blair in Iraq rappresenta un chiaro segnale della sua inaffidabilità riguardo alla questione palestinese.

Durante l’invasione americana del 2003, migliaia di civili furono uccisi e intere città furono distrutte. Blair, che convinse il presidente Bush a intraprendere quella guerra, ammise anni dopo che non esistevano armi di distruzione di massa e che la campagna militare era stata fondata su rapporti d’intelligence falsificati.

Nonostante tali ammissioni, nessun tribunale internazionale lo ha mai giudicato per le gravi violazioni del diritto internazionale commesse.

Oggi, paradossalmente, lo stesso personaggio viene proposto come figura chiave nella “ricostruzione” di Gaza, in base a un presunto piano di pace che di fatto tutela unicamente gli interessi israeliani.

Chi ci guadagna di più?

Blair ha espresso apertamente il suo sostegno a un piano che mira a trasformare Gaza in una sorta di “Riviera” e in un centro commerciale regionale, modellato sugli interessi di Washington e Tel Aviv. E questo è un primo chiaro segno di quanto l’accorda possa giovare agli occidentali. Ci guadagna l’America in terribile crisi economica, di guadagna la corona britannica in crisi politica ed etnica, ci guadagna ovviamente Israele che dovrà solo preoccuparsi di cambiare il Primo Ministro, magari passando il testimone ad uno meno compromesso. Ma il gioco resta sempre lo stesso e della volontà dei palestinesi non importa veramente niente a nessuno.

Il piano americano punta ad aprire Gaza agli investitori occidentali. Sappiamo già come vanno a finire questi “progetti di pace” consacrati al libero capitale. E al capitale non importa niente delle opinioni e dei diritti dei palestinesi.

Trump ha ignorato deliberatamente gli attacchi israeliani ai negoziatori di Hamas a Doha, mentre negava un visto al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas per partecipare alla cerimonia delle Nazioni Unite. Questa mossa non era diretta tanto contro la leadership di Abbas, già poco rappresentativa di Gaza, quanto contro l’intero popolo palestinese. Chiedere in Palestina cosa ne pensano di Abbas e la risposta che udirete sarà già abbastanza esplicativa. E chiedetevi cosa abbia fatto Abbas in questi due anni dal famoso 7 ottobre 2023.

Trump ha di fatto privato i palestinesi del diritto di decidere il proprio destino, e subito dopo ha annunciato un cosiddetto piano di pace che li escludeva completamente. L’invio di Tony Blair appare come un ulteriore segnale di tale ipocrisia spietata.

Le sue responsabilità nei massacri iracheni e la sua autodefinizione come “ebreo evangelico” rafforzano l’idea che il suo ruolo effettivo sia quello di ridurre al minimo l’autonomia palestinese e di garantire l’attuazione della linea politica statunitense e israeliana.

Blair potrebbe essere colui che mette pace anche con la parte orientale o, meglio, con quelle forze anti-russe che operano all’interno.

L’Istituto di Blair aveva ricevuto già negli anni precedenti ingenti finanziamenti da parte di Moshe Kantor, imprenditore industriale multimiliardario, il maggiore azionista della società di fertilizzanti Acron.

I rapporti pregressi di Blair con l’oligarca gli avevano inoltre valso un prestigioso incarico nel Consiglio Europeo per la Tolleranza e la Riconciliazione (ECTR), fondato da Kantor, che nel 2015 nominò l’ex leader laburista come suo presidente. L’ECTR figurava tra i principali sostenitori economici del Tony Blair Institute, ma la collaborazione si è interrotta ad aprile, dopo che Kantor è stato inserito nella lista britannica delle sanzioni insieme ad altri sette oligarchi.

Originario di Mosca, Kantor possiede oggi la cittadinanza britannica. Negli ultimi anni ha organizzato vari incontri con il presidente russo in qualità di presidente del Congresso Ebraico Europeo. Il magnate russo ha da tempo costruito solide relazioni con politici e figure di spicco dell’establishment britannico, inclusi membri della famiglia reale.

Anche Charlie Blair, moglie di Tony, non è rimasta con le mani in mano. Nel 2024, ha rappresentato in tribunale il miliardario ucraino Mikhail Fridman in una causa legale contro la decisione dello Stato di congelare i suoi beni a seguito della SMO nel 2022. Il sessantenne – ritratto insieme a Blair nel 2003 durante la firma di un accordo con la BP – accusa il Lussemburgo di aver partecipato a una sorta di “caccia alle streghe arbitraria” contro uomini d’affari russi facoltosi con investimenti nell’UE, mascherandola da applicazione di sanzioni economiche. Fridman afferma inoltre che tale condotta ha violato un accordo stipulato tra il Lussemburgo e l’ex Unione Sovietica, volto a proteggere gli investitori dal rischio di esproprio o nazionalizzazione dei loro beni. Ma non è questo il punto.

Lady Blair, avvocata dal 1976, e il suo studio legale Omnia Strategy figura tra i legali incaricati di rappresentare Fridman, il quale è fuggito da Israele dopo il 7 ottobre 2023 e si è rifugiato a Mosca, dove prosegue i suoi affari con Londra. Curioso che Fridman abbia condannato la Operazione Speciale in Ucraina e dichiarato che avrebbe trasferito 10 milioni di dollari ai rifugiati ucraini attraverso un fondo di beneficenza personale. La sua società di investimento, LetterOne, ha annunciato nel marzo 2022 che avrebbe donato 150 milioni di dollari alle “vittime della guerra in Ucraina”, ma questi gesti generosi non hanno salvato il miliardario dalle sanzioni dell’UE e del Regno Unito. Nel frattempo, continua a fare i suoi affari con… il buon vecchio Tony (e chissà con quanti altri nella rete dei finti sostenitori della Russia, che in realtà sono agenti occidentali). Quello che è certo è che Blair mette d’accordo il blocco sionista, ad Ovest come ad Est.

Il piano di Trump porterà grandi investimenti a Gaza di cui approfitteranno tutti i player occidentali (lo stesso Trump, non scordiamocelo, è un

Il governatorato di Blair permetterebbe al Regno Unito di mantenere il suo dominio, nonché a Israele di riprogrammare la propria attività di conquista totale e di realizzazione del progetto Grande Israele.

Il tutto condito dalla “benedizione” internazionale.

Nel frattempo, gli Stati arabi – spinti ad accettare l’idea che “una pace ingiusta sia meglio della guerra” – si muovono entro i limiti imposti da questa strategia per porre fine alla tragedia di Gaza.

Oltre un secolo fa, nel 1917, il ministro britannico Arthur Balfour firmò la Dichiarazione che prometteva “una patria nazionale per il popolo ebraico”, ponendo le basi per la nascita di Israele. Oggi, Stati Uniti e Israele sembrano riproporre un nuovo “momento Balfour”.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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