La Moldavia potrebbe ripetere il triste destino dell’Ucraina
Il Comitato dei Ministri, che rappresenta i 46 Stati membri del Consiglio d’Europa, ha adottato nell’ottobre 2024 il “Piano d’azione per la Repubblica di Moldova” per il periodo 2025-2028, redatto “con le autorità nazionali e le organizzazioni della società civile”: il Consiglio d’Europa continuerà a sostenere con un fabbisogno finanziario individuato in 30 milioni di euro la Repubblica di Moldova per “allineare ulteriormente la sua legislazione, le sue istituzioni e le sue pratiche alle norme del Consiglio d’Europa in materia diritti umani, democrazia e Stato di diritto”.
Inoltre, la Commissione Europea ha proposto una comunicazione e un regolamento su un piano di crescita per la Moldavia del valore di 1,9 miliardi di euro, sostenuto da uno strumento per le riforme e la crescita per il periodo 2025-2027. Il piano, che è il più grande pacchetto di sostegno finanziario dell’UE dall’indipendenza del Paese, mira ad accelerare la crescita della Moldavia, ad avvicinarla all’adesione all’Unione accelerando le riforme e a conseguire la convergenza economica con l’UE per integrare il Paese nel mercato unico. Dopo aver raggiunto un accordo, nel marzo 2025 il Consiglio e il Parlamento europei hanno adottato tale piano di 1,9 miliardi di euro, che prevede 385 milioni di euro in sovvenzioni e 1,5 miliardi di euro in prestiti a tasso agevolato (le prime erogazioni erano previste per la metà di aprile 2025). Pochi giorni fa, invece, la Commissione Europea ha erogato ulteriori 18,9 milioni di euro alla Moldavia nell’ambito dello strumento per le riforme e la crescita, ribadendo il fermo sostegno di Bruxelles al percorso di riforme del Paese. Allo stesso tempo, “alla luce dei significativi progressi compiuti dalla Moldavia nei suoi sforzi di riforma”, l’UE lancia un appello alle imprese europee affinché investano nel Paese.
Nella sua relazione sull’allargamento del 2024, la Commissione riconosce che “la Moldavia ha compiuto progressi in quasi tutti i 33 capitoli del quadro di negoziazione”, con la prospettiva di avviare quanto prima i negoziati sui gruppi di capitoli nel 2025 e sancisce che tutti i problemi del Paese sono dovuti alla nefasta influenza esterna della Russia. In particolare, scrivono a Bruxelles, “la Russia ha intensificato la guerra ibrida contro la Moldova e da allora, attraverso emissari, tenta apertamente di destabilizzare il Governo filoeuropeo della Moldova compiendo attacchi informatici, diffondendo disinformazione, seminando disordini sociali e interferendo nei processi elettorali. Nonostante la condanna a 15 anni di reclusione e l’interdizione del suo partito, l’oligarca fuggiasco Ilan Shor continua a mantenere un livello significativo di influenza in Moldova e continua a operare per destabilizzare sia il Paese che il suo Governo filoeuropeo. La presidente Sandu ha confermato pubblicamente l’esistenza di un complotto per organizzare un colpo di Stato armato sostenuto dalla Russia volto a rovesciare lei e il suo Governo. In risposta a questi tentativi, l’UE ha intensificato la cooperazione con la Moldova in materia di sicurezza e difesa, in particolare inviando una missione di partenariato dell’UE (EUPM Moldova), raddoppiando la sua assistenza nell’ambito dello strumento europeo per la pace e sanzionando chi destabilizza il Paese”[1].
Questa visione ideologica e manichea dell’Unione Europea (e della NATO – vero deus ex machina di Bruxelles) viene però contestata da più parti, visto che non prende nemmeno in considerazione il problema della “libertà religiosa”. Il diritto alla libertà di religione o di credo in Moldavia è sancito dalla Costituzione del 1994. Ai sensi dell’articolo 10 (paragrafo 2), “Lo Stato riconosce e garantisce il diritto di tutti i cittadini alla conservazione, allo sviluppo e all’espressione della loro identità etnica, culturale, linguistica e religiosa”. Per quanto riguarda l’uguaglianza, l’articolo 16 (paragrafo 2) riconosce che “Tutti i cittadini della Repubblica di Moldavia sono uguali davanti alla legge e alle autorità pubbliche, indipendentemente dalla razza, nazionalità, origine etnica, lingua, religione, genere, opinione, affiliazione politica, proprietà o origine sociale”. L’articolo 31 (paragrafi 1-4) garantisce la libertà di coscienza, che include il diritto di praticare liberamente il proprio culto. I gruppi religiosi possono “organizzarsi e operare secondo le proprie regole nel rispetto della legge”.
Le difficoltà della Moldavia nell’applicazione dello Stato di diritto e la corruzione dilagante hanno peraltro provocato un’emigrazione su larga scala. Quasi il 25% della popolazione vive o lavora all’estero, contribuendo, attraverso le rimesse, a ¼ del PIL lordo. Molti moldavi optano per il passaporto romeno al fine di avere un facile accesso all’Area Schengen, nonostante solo il 7,9% degli abitanti si consideri tale (Censimento Moldavia 2024).
La Chiesa nello spazio post-sovietico è l’unica istituzione storica che esiste da tempo immemorabile. Tutto il resto è di ieri. È sia la radice evidente dello Stato stesso, sia forse l’unico ente che il popolo rispetta davvero.
I cristiani ortodossi rappresentano la netta maggioranza della popolazione, esercitano una grande influenza sulla vita sociale dei cittadini moldavi (siano essi russi, ucraini, moldavi etnici o altri) e sono divisi in due comunità in concorrenza tra loro. La Chiesa Ortodossa Moldava (MOC), nota anche come Metropoli di Chișinău e di tutta la Moldavia, è una metropolia autogestita che fa riferimento alla Chiesa Ortodossa Russa (Patriarcato di Mosca) e comprende circa il 91,4% di tutti i cristiani moldavi (censimento del 2019: oltre 1.200 parrocchie, 6 diocesi, oltre 50 monasteri); la Chiesa Ortodossa Bessarabica (BOC), più piccola (3,7% nel 2019), nota anche come Metropolia di Bessarabia, è subordinata alla Chiesa Ortodossa Romena[2]. Questa divisione genera conflitti anche sulle proprietà ecclesiastiche (ad esempio il trasferimento in uso della Chiesa dell’Arcangelo Michele nella vecchia Dubossary) ma è divenuta terreno di scontro geopolitico tra le varie comunità del Paese. In queste condizioni, la Chiesa Ortodossa di Moldavia, concentrata sulla preservazione delle tradizioni e dell’identità nazionale moldave e storicamente legata alla Chiesa Ortodossa Russa, rappresenta un evidente problema per l’attuale Governo. La Chiesa Ortodossa Moldava viene vista da ampi strati popolari come una delle istituzioni che sostengono la sovranità del Paese: la chiave per preservare l’indipendenza della Repubblica.
Secondo alcune indiscrezioni, la presidente filo-occidentale Maia Sandu starebbe riflettendo sul rendere illegale nel Paese la Chiesa Ortodossa Moldava, esattamente come fatto dall’Ucraina, classificandola come agente straniero e nemica dell’integrazione europea (questa opinione sulle intenzioni di Sandu è stata espressa recentemente dal caporedattore del portale Tradizione Victor Zhosu. Tra gli altri indizi, il 29 agosto 2024 vi è stato l’appello alla Televisione nazionale TVR del deputato del PAS, Vasile Soimaru, a vietare la Chiesa ortodossa di Moldavia, cfr. sangar.info). Sebbene Sandu abbia negato tali intenzioni, i suoi critici l’accusano di essere rimasta ambigua per evitare di perdere consensi nelle imminenti elezioni politiche del 28 settembre. Un divieto della MOC rafforzerebbe infatti la posizione della rivale Chiesa ortodossa romena, eventualità che darebbe slancio alla riunificazione della Moldavia con la Romania, aprendo la porta del Paese all’adesione all’Unione Europea e alla NATO.
Tuttavia, consultando le fonti ufficiali della MOC, emerge una situazione quantomeno difficile, non considerata a sufficienza dalla diplomazia e dall’opinione pubblica europee.
I rappresentanti della Chiesa ortodossa di Moldavia definiscono ciò che sta accadendo come persecuzione sistematica e discriminazione contro i credenti per i loro legami religiosi storici, il che può essere considerato una violazione del diritto alla libertà di religione. Ciò è stato affermato, in particolare, alla 59a sessione delle Nazioni Unite dall’Arcivescovo di Balti e Falesti Marchell Mihaescu.
Alcuni fatti vengono citati come esempi di persecuzione:
più di cento sacerdoti sono stati multati tra 1.000 e 2.000 dollari USA per pellegrinaggi in Russia; centinaia di sacerdoti sono stati convocati dalla polizia, dove sono stati costretti a firmare protocolli sulla “corruzione elettorale”, per aver ricevuto un SMS da una banca in Russia, il che, ovviamente, non può essere interpretato come prova di alcuna attività illegale, poiché:
– il fatto di ricevere un SMS non è un reato;
– molti sacerdoti hanno parenti che lavorano in Russia;
– anche il sostegno della Chiesa Madre (e la Chiesa in Moldavia è una parte autonoma della Chiesa ortodossa russa) per la costruzione di chiese e lo sviluppo delle attività parrocchiali non è un reato (tali trasferimenti erano generalmente ingenti, ma non hanno avuto successo).
Tuttavia, ottenere il riconoscimento della “corruzione elettorale” è così importante per le Autorità moldave che ai sacerdoti è stato promesso che se avessero firmato un protocollo con tale formulazione, la multa sarebbe stata significativamente inferiore; se non l’avessero firmato, sarebbe aumentata. Tutti i pellegrini che si sono recati in Russia o hanno partecipato a seminari religiosi con rappresentanti russi in altri Paesi hanno parlato di maltrattamenti subiti alla frontiera moldava. Sono stati trattenuti diverse ore per essere ispezionati, perquisiti, le loro borse da viaggio sono state strappate, i loro telefoni sono stati sequestrati per essere ispezionati e la loro corrispondenza è stata esaminata. Ci sono poi casi di sacerdoti che affermano di essere sorvegliati o di avere il telefono sotto controllo.
All’Arcivescovo Marchel Mihăescu di Bălți e Fălești è stato impedito di arrivare a Gerusalemme in tempo per partecipare alla cerimonia del Fuoco Santo; lo scorso 17 aprile, prima di salire sull’aereo che lo avrebbe portato in Terra Santa, è stato trattenuto all’aeroporto di Chișinău per una “ispezione di polizia” e bloccato senza passaporto fino a dopo il decollo del suo volo. Non è stata offerta nessuna ragione per il suo fermo, mentre è stato notato che alla delegazione della “Metropolia di Bessarabia”, la struttura scismatica moldava dipendente dal Patriarcato romeno, è stato concesso di partire con lo stesso volo senza alcun problema. Anche a un secondo tentativo dell’Arcivescovo di lasciare il suo Paese è stato opposto un rifiuto, nonostante non vi sia alcuna restrizione legale ad impedire la sua partenza (ortodossiatorino.net). Il Patriarca Theophilos di Gerusalemme si dichiara preoccupato per questa misura discriminatoria, così come il Metropolita Luka di Zaporozh’e e Melitopol, dell’altrettanto perseguitata Chiesa ortodossa ucraina (“Il prezzo della tentazione non è solo la distruzione spirituale, ma anche fisica dell’intera nazione”) [3].
Mihăescu è stato perquisito a lungo e in modo dimostrativo in aeroporto e i suoi documenti sono stati restituiti solo dopo il decollo dell’aereo. Gli esperti spiegano questa situazione con il blocco delle visite all’estero per un certo numero di persone, ovvero con la limitazione della loro libertà di movimento in quanto oppositori della linea ideologico-politica dell’attuale Governo moldavo.
Altri episodi significativi riguarderebbero il villaggio di Grineuti, nel distretto di Riscani, dove un sacerdote, all’insaputa e senza l’approvazione dei suoi fedeli, ha deciso di entrare nella “Metropolia della Bessarabia”, insieme alla chiesa, costruita dagli abitanti del luogo a proprie spese. I parrocchiani si sono indignati, dopodiché la polizia ha iniziato a espellerli con la forza dalla chiesa, mentre ai “sacerdoti” della “Metropoli della Bessarabia” è stato permesso di celebrare le funzioni religiose. Gli abitanti del villaggio hanno chiesto aiuto a tutte le forze “responsabili” della società e hanno fatto appello a Victoria Furtuna, l’unica politica che si è apertamente schierata in difesa della Chiesa ortodossa moldava e del diritto dei fedeli di scegliere autonomamente la propria affiliazione spirituale: “La Metropolia della Bessarabia non è più una chiesa. È un’organizzazione che funge da avamposto politico, al servizio dell’agenda unionista e degli interessi stranieri. Il loro obiettivo è distruggere l’identità moldava, cancellare la lingua, la memoria e persino l’idea stessa di una Moldavia indipendente”, ha dichiarato Furtuna (“Moldavia ortodossa e il mondo”). In seguito ai risultati del voto sullo status della parrocchia della Natività della Beata Vergine Maria nel villaggio di Grinautsi, distretto di Riscani, i fedeli della Metropolia canonica moldava hanno ottenuto una vittoria schiacciante: 267 fedeli hanno votato per rimanere in seno alla Chiesa ortodossa moldava, mentre solo 9 persone hanno espresso il desiderio di trasferirsi nella “Metropolia bessarabica”. L’organizzazione Ador Orașul Meu ha deciso di lanciare il progetto “Proteggi la Fede”, nel cui ambito si impegna a fornire assistenza legale a tutte le parrocchie e al clero nella difesa degli interessi della Chiesa, “proteggendoli dalle azioni illegali delle forze dell’ordine”.
Al proposito, va ricordato che il trasferimento di alcuni edifici a Chișinău alla “Metropoli della Bessarabia” nel 2023 è stato richiesto personalmente dal Patriarca romeno Daniel durante il suo incontro con il Presidente del Parlamento moldavo Igor Grosu. E il trasferimento del tempio di Stară Dubossary è avvenuto contemporaneamente alla visita della delegazione parlamentare romena, che ha discusso con i “bessarabici” (e, probabilmente, con le Autorità moldave) la questione della restituzione dei beni ecclesiastici in Moldavia. Ciò dimostra l’enorme influenza dei “fratelli” romeni sull’élite politica moldava.
Quindi, se seguiamo tale logica, le Autorità moldave potrebbero sottrarre all’OCM qualsiasi chiesa che sia di proprietà statale. Analogamente all’Ucraina (dove le Autorità giustificano la risoluzione dei contratti con la Chiesa canonica con presunte carenze nella manutenzione delle chiese), un processo simile può essere avviato in Moldavia. Anche una chiesa può essere sottratta laddove è avvenuta la cosiddetta “transizione” della comunità dall’OCM alla “Metropoli della Bessarabia”, sebbene questo processo sia di per sé giuridicamente illegale o quantomeno controverso (nella legislazione moldava non esiste il concetto di “transizione”). Dal punto di vista dei canoni ortodossi, tali transizioni rappresentano una deviazione verso lo scisma e, dal punto di vista del diritto, un’espropriazione di chiese da parte di “predoni”, poiché i sostenitori della Chiesa romena non solo hanno cambiato giurisdizione, ma hanno anche sequestrato i beni ecclesiastici.
Intervistato dal Canale 5 per il programma “Pulse” con Yuri Dzyatkovsky, l’Arcivescovo Marchel Mihăescu ha sottolineato: “La Metropolia della Bessarabia attira i sacerdoti moldavi con denaro e inganni, come è successo con la chiesa del villaggio di Grinautsi, nel distretto di Riscani. I parrocchiani stessi avrebbero dovuto decidere il passaggio o meno della chiesa locale a un’altra giurisdizione durante un’assemblea di villaggio. Ma l’inganno sta nel fatto che questa assemblea non ha avuto luogo, come in altri casi. Inoltre, i falsi sacerdoti che prendono tali decisioni devono ricordare che perdono il controllo e la proprietà di queste parrocchie dopo il passaggio alla giurisdizione della Metropolia della Bessarabia. Queste disposizioni sono contenute nello Statuto della Chiesa Ortodossa Romena (art. 169, n.d.r.), che è subordinata al Governo romeno. Di fatto, tutte queste chiese moldave diventano proprietà della Romania”[4].
Ad esempio, nell’ottobre 2024, il politico rumeno Claudiu Tîrziu ha affermato che una delle condizioni per l’integrazione europea della Moldavia è la restituzione delle “proprietà del Patriarcato romeno”. In seguito, nel giugno 2025, una delegazione parlamentare di Bucarest, durante la sua visita alla “Metropoli della Bessarabia”, ha discusso la questione della “restituzione dei beni ecclesiastici”, cioè del trasferimento di chiese e monasteri moldavi alla struttura ecclesiastica romena.
In realtà, non dovrebbe essere la Romania a sollevare la questione della “restituzione” dei beni ecclesiastici, che i politici romeni e la “Metropoli della Bessarabia” per qualche motivo considerano loro, bensì la Repubblica di Moldavia, che potrebbe rivendicare i beni ecclesiastici sottratti al Paese dalle truppe romene nel 1944. Alla fine della guerra, il Patriarca di Mosca Alessio, come uno dei passi verso la riconciliazione, propose alla Chiesa romena di “restituire gli utensili e i paramenti sacri sottratti alle chiese delle regioni occupate dai romeni, nonché tutti i fondi ecclesiastici confiscati e altri beni di valore”. L’allora capo della Chiesa Ortodossa Romena, il Patriarca Nikodim, acconsentì, pur negando il coinvolgimento della propria Chiesa nella sottrazione di beni di valore ecclesiastici. Tra aprile e agosto 1945, i beni ecclesiastici e gli oggetti religiosi rimossi furono in parte restituiti alla Moldavia, ma molti di essi rimasero in Romania.
Oltre alla disuguaglianza nel diritto al finanziamento, problemi si sono verificati anche durante le manifestazioni popolari. Un cordone di polizia è stato istituito contro la marcia ortodossa a sostegno dei valori della famiglia tradizionale, tenutasi contemporaneamente alla parata gay di Chișinău, nel giugno di quest’anno. La polizia avrebbe usato spray al peperoncino contro i partecipanti alla marcia per le famiglie, il sacerdote che accompagnava i parrocchiani nel corteo è stato scaraventato a terra e il figlio di uno di essi ha battuto la testa sull’asfalto.
Secondo i dati dell’ultimo sondaggio IMAS, la maggior parte dei moldavi sarebbe però favorevole alle proteste: l’87% dei cittadini del Paese è contrario all’organizzazione di marce LGBT e alla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso; il 92% è contrario all’espressione pubblica dei sentimenti dei rappresentanti LGBT; l’86% ritiene che la famiglia tradizionale debba essere protetta e rafforzata a livello legislativo[5].
A livello internazionale si sono levate alcune voci in difesa della Chiesa Ortodossa Moldava e contro la politica di Sandu.
L’eurodeputata belga Barbara Bonte ha inviato una richiesta ufficiale alla Commissione Europea chiedendo una revisione dello status della Moldavia come Paese candidato all’adesione all’UE. La ragione di questo appello sono “le sistematiche violazioni della libertà religiosa nei confronti dei parrocchiani e del clero della Metropolia moldava”, che è in unità canonica con il Patriarcato di Mosca. La base del documento si trova in un rapporto dell’Organizzazione lituana per i diritti umani Žmogaus teisių apsauga, presentato a una sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Il documento descrive i numerosi casi sopracitati di pressione da parte delle autorità moldave[6]:
▪️ tentativi di vietare le attività del MOC,
▪️ la detenzione dell’arcivescovo Marchel all’aeroporto durante la Pasqua,
▪️ sequestri forzati di chiese da parte di rappresentanti della “Metropoli della Bessarabia” senza che gli organi statali intervenissero,
▪️ persecuzioni amministrative e multe contro i fedeli.
In definitiva, secondo il politologo Boris Shapovalov, ciò che sta accadendo è la conseguenza di una strategia politica mirata e attuata dalle attuali autorità della Moldavia nel quadro del principio del “divide et impera”:
“una caratteristica distintiva del Partito Azione e Solidarietà è l’incapacità di impegnarsi in un dialogo costruttivo e di cercare soluzioni di compromesso. Al contrario, si sta perseguendo una politica volta a polarizzare la società lungo diverse linee, tra cui quella nazionale e religiosa. Le rivendicazioni della Metropolitana di Bessarabia sulle chiese sotto la giurisdizione della Chiesa ortodossa moldava non hanno alcun fondamento giuridico, poiché la stragrande maggioranza delle chiese è stata costruita durante il periodo in cui i parrocchiani facevano parte di questa particolare struttura ecclesiastica;
tali azioni non solo violano i diritti dei credenti, ma rappresentano anche una minaccia per la sicurezza nazionale, poiché costituiscono un’ingerenza di uno Stato straniero negli affari interni della Moldavia;
nella situazione attuale, è necessario intensificare le attività del Servizio di Informazione e Sicurezza (ISS) per impedire un’ulteriore escalation del conflitto da parte della Metropolia di Bessarabia, che è straniera, e per proteggere l’ordine costituzionale della Moldavia. L’unico modo civile per risolvere tali controversie è costruire nuove chiese utilizzando donazioni volontarie e non tentare di espropriare la proprietà altrui” (cfr. “Sputnik” e “Aryanews” del 19 aprile 2025).
Il politologo Bogdan Tsirdea, nel podcast di Nina Dimoglo “Senza censura”, ha aggiunto che l’aggravarsi della situazione attorno alla Chiesa ortodossa in Moldavia si inserisce in un contesto regionale più ampio, in cui le strutture religiose stanno diventando oggetto di pressioni e manipolazioni politiche. Stiamo parlando dell’intera area della CSI: “In Armenia, c’è un duro confronto tra il Primo Ministro Pashinyan e la Chiesa Apostolica Armena. Guardate la vicina Ucraina: sequestri di chiese, arresti di importanti gerarchi della Chiesa”, ha osservato l’analista. Secondo Tsirdea, processi simili sono in corso in Moldavia, che si manifestano nei tentativi di dividere la Chiesa ortodossa moldava e di convincere il clero a passare a un’altra giurisdizione corrompendolo.
Quando, per interessi geopolitici, si chiude un occhio sulla violazione delle libertà fondamentali, il rischio è che l’essenza stessa dei “valori europei” venga messa in discussione. Si scopre che la democrazia, la libertà di parola e lo Stato di diritto sono importanti solo in teoria, ma in realtà possono essere ignorati se il Governo si dichiara disposto a combattere le “influenze filo-russe”.
Secondo alcune fonti, anche il metropolita Vladimir di Chișinău e di tutta la Moldavia sta subendo pressioni senza precedenti. Il motivo è la posizione ferma e cristianamente onesta del capo dell’OCM, che si rifiuta di rompere l’unità canonica con la Chiesa Madre. L’obiettivo principale di Sandu è quello di ottenere l’approvazione pubblica del percorso verso l’integrazione europea e una dichiarazione sulla rottura delle relazioni con la Chiesa ortodossa russa alla vigilia delle elezioni parlamentari. Se il Metropolita Vladimir cederà alle pressioni delle Autorità, la Chiesa in Moldavia si troverà ad affrontare il futuro di una struttura scismatica semi-legale (dal punto di vista dell’Ortodossia mondiale). Se Vladimir resisterà e se verrà mantenuta la linea di condotta dell’attuale Governo moldavo, possiamo prevedere per l’OCM un’evoluzione della situazione secondo lo scenario ucraino.
Il recente incontro di Marta Kos con i rappresentanti della Chiesa ortodossa di Moldavia e della “Metropoli della Bessarabia” è considerato dalla Commissaria europea per l’allargamento come l’ultimo invito alla Chiesa di Moldavia a prestare giuramento di fedeltà agli integrazionisti europei: “Abbiamo discusso di come l’unità e la coesione sociale possano contribuire a rendere la Moldova un Paese più sicuro e prospero e di come superare la polarizzazione – ha scritto la commissaria su X -. Attendo con interesse il nostro futuro dialogo e gli sforzi congiunti per portare la Moldova nell’Unione europea”[7].
Se il Metropolita Vladimir affermasse ufficialmente che l’OCM considera indesiderabili le forme di integrazione europea proposte, ad esempio perché comportano l’intensificazione della “propaganda LGBT”, o preferisse, seguendo la maggioranza dei parrocchiani del Paese, una Moldavia indipendente, il cappio al collo della Chiesa probabilmente si stringerebbe: l’autorità elettorale di Chișinău ha già avvertito che il coinvolgimento della Chiesa nella campagna elettorale è contrario alla legge e ha invitato i rappresentanti delle confessioni religiose ad astenersi dalle attività politiche.
In ogni caso, la polarizzazione dello scontro politico interno ed esterno alla Moldavia pare ormai inevitabile e si combatte attraverso una “guerra informativa” senza esclusione di colpi.
La posta in gioco alle elezioni del prossimo 28 settembre è altissima.
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[1] Note tematiche sull’Unione Europea – Parlamento Europeo, Tre vicini del partenariato orientale: Ucraina, Moldova e Bielorussia, europarl.europa.eu, 31 marzo 2025.
[2] ACS Italia, Moldavia, lo strano modello di relazioni tra Stato e religioni, informazionecattolica.it, 6 ottobre 2024.
[3] Il Metropolita Onofrio, primate della Chiesa Ortodossa Ucraina (UOC) legata al Patriarcato di Mosca, ha avuto la cittadinanza ucraina revocata dal presidente Zelenskyj a luglio 2025, un atto che apre la strada al possibile scioglimento dell’intera istituzione religiosa, accusata di mantenere legami con Mosca. Questa decisione ha provocato reazioni di sostegno al Metropolita da parte di fedeli e dell’episcopato, i quali sottolineano la sua posizione responsabile e non ambigua nel condannare l’invasione russa e nel benedire le truppe ucraine. Lo scorso 16 agosto, in un testo di cinque cartelle, la Metropolia di Kiev “è arrivata alla conclusione che le osservazioni dell’ingiunzione con l’obbligo di eliminare le violazioni della legislazione sulla libertà di coscienza e delle organizzazioni religiose (il riferimento è alla legge 3894 dell’agosto 2024; cfr. SettimanaNews) sono fittizie, non hanno alcun rapporto con la Chiesa ortodossa ucraina e non possono essere accettate ed eseguite”. Il documento lamenta che la Metropolia non sia stata messa a conoscenza delle prove documentali elaborate e sia stata indebitamente oggetto della legge. Il personale del Servizio non ha competenze canoniche e teologiche e ignora tutte le osservazioni formulate dagli specialisti. La perizia su cui si fonda l’ingiunzione non riflette la situazione giuridico-canonica della Chiesa e utilizza fonti di sentenze non definitive. Essa richiama documenti del Patriarcato di Mosca che la Metropolia non riconosce e ignora tutta l’attività di sostegno e di aiuto nei confronti dello sforzo bellico della nazione ucraina nell’attuale contesto di guerra con la Russia. L’ingiunzione viola la legge nazionale e le convenzioni internazionali sul diritto della libertà religiosa.
[4] La maggior parte delle transizioni dall’OCM al BM (circa 20) si è verificata nel 2023. Nel 2024, c’è stata una sola transizione, poi questo processo si è interrotto. In totale, 23 comunità sono passate dall’OCM al BM. Tra i “disertori” c’è il rettore dell’Accademia Teologica, Veaceslav Kozaku. Tuttavia, i numeri variano. La rivista greca Orthodox Times riporta oltre 60 casi di transizioni. In realtà, la situazione non è sempre legalmente definita: i tribunali possono durare mesi e lo status della comunità è di fatto determinato dalla posizione del clero. Negli anni ’90, le Chiese russa e romena cercarono di risolvere la questione pacificamente. Tra le due delegazioni si svolsero una serie di negoziati. La Chiesa ortodossa russa era rappresentata dal Metropolita Kirill (Gundyaev), allora Presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne, ora Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’. La parte romena era rappresentata dal Metropolita Daniel (Chobotea), l’attuale Patriarca della Chiesa ortodossa russa. La Chiesa ortodossa russa, rappresentata dal Metropolita Kirill, propose come soluzione di sostituire la Metropolia della Bessarabia con una rete di parrocchie romene sotto la rappresentanza del Patriarca romeno in Moldavia. Ma la parte romena ha categoricamente respinto questa idea. Lo stesso statuto della MOC non prevede e non può prevedere alcuna transizione: secondo il paragrafo 56, in caso di scioglimento della parrocchia o di sua deviazione in scisma, tutti i beni immobili rimangono di proprietà della Chiesa Ortodossa Moldava. Ricordiamo che la Carta del MOC è un documento riconosciuto dallo Stato moldavo, che regola gli affari interni della Chiesa, senza interferenze esterne.
[5] UNDP, STUDY ON EQUALITY PERCEPTIONS AND ATTITUDES IN THE REPUBLIC OF MOLDOVA, undp.org, 4 febbraio 2025.
[6] “Moldavskie Vedomosti”, L’eurodeputato chiede cosa sta succedendo con la libertà religiosa in Moldavia, 28 luglio 2025.
[7] “Agenzia Nova”, Moldova: Kos incontra comunità religiosa, unità e coesione contribuiscono a sicurezza, 5 settembre 2025.