Italiano
Lorenzo Maria Pacini
September 13, 2025
© Photo: Public domain

Charlie è morto con le sue idee, per le sue idee, e, forse, perché a qualcuno faceva comodo sacrificare lui.

Segue nostro Telegram. 

Premessa

Questo articolo non intende esprimere giudizi sulla persona di Charlie Kirk, ucciso il 10 settembre 2025 a Orem, nello Utah, Stati Uniti d’America, durante un comizio politico, colpito da un proiettile esploso da un cecchino situato a distanza.

L’analisi effettuata riguarda i fatti, i dati disponibili e, soprattutto, la dimensione informativa dell’evento. Non troverete tifoserie pro o contro, né tantomeno sensazionalismi o emozioni scomposte.

Probabilmente leggerete alcune cose che daranno fastidio, ma non temete, prima o poi la verità verrà a galla… oppure no.

Esprimiamo per Charlie Kirk e la sua famiglia condoglianze.

Chi fu Charlie Kirk

Charles James “Charlie” Kirk è nato il 14 ottobre 1993 ad Arlington Heights, Illinois, negli Stati Uniti, e cresciuto nei sobborghi di Arlington Heights e Prospect Heights. I suoi genitori svolgono ruoli modesti: la madre è consigliera nel campo della salute mentale; il padre è architetto. Fin da giovane Kirk è stato membro degli Scouts degli Stati Uniti, dove ha raggiunto il grado di Eagle Scout.

Dopo la scuola superiore Wheeling High School, frequentò l’Harper College, un community college in Illinois, ma non portò a termine un titolo di laurea. Scelse di dedicarsi completamente all’attivismo politico, lasciando gli studi universitari. Durante il liceo già si muoveva politicamente: da studente sostenne la campagna per il Senato di Mark Kirk (senatore repubblicano, non imparentato) in Illinois. Inoltre, nel suo anno da senior al liceo prese posizione su questioni locali  e scrisse un articolo per Breitbart News criticando quello che lui percepiva come bias liberale nei libri scolastici.

Bill Montgomery, attivista conservatore associato al movimento Tea Party, fu una figura importante per Kirk: lo conobbe tramite eventi politici giovanili come il Youth Empowerment Day e divenne un mentore nella fase iniziale. Altri donatori conservatori e figure influenti nell’ala destra del partito Repubblicano lo hanno sostenuto, come Foster Friess. Nel corso degli anni Kirk è diventato strettamente associato al movimento conservatore MAGA e al Presidente Donald Trump. Pur non essendo inizialmente un forte sostenitore personale, man mano che Trump saliva nella politica, Kirk allineò le sue attività con esse.

Il suo scopo principale era quello di attrarre sempre più giovani, uomini e donne, verso il voto a destra. Diffondere idee conservatrici all’interno dei campus universitari, contrastare quelle che lui e l’intero universo trumpiano consideravano deviazioni delle ideologie progressiste e quella “propaganda di sinistra” che citava di frequente.

A 18 anni, grazie ai finanziamenti del suo mentore Bill Montgomery, fondò Turning Point USA un’organizzazione creata con l’obiettivo di girare nei college americani e avvicinare più studenti possibili alla destra libertaria statunitense. Le sue doti dialettiche, dimostrate in anni di dibattiti e interventi pubblici, ne hanno consolidato la notorietà, la popolarità e l’appoggio sia tra i giovani che tra un pubblico più maturo.

Con il tempo, TpUSA si è trasformata in una presenza costante nelle università americane, con sezioni diffuse in molti campus: organizza eventi con ospiti conservatori, costruisce una rete nazionale per i leader studenteschi di quell’area politica, individua potenziali elettori “patriottici” e, di fatto, svolge un ruolo assimilabile a una campagna elettorale permanente, una militanza politica vecchio stile.

Parallelamente è cresciuto anche il flusso di donazioni – sia di piccolo che di grande importo – a favore dell’organizzazione. Nel 2012, primo anno, l’incasso fu di 78.890 dollari: una cifra relativamente contenuta nel panorama delle organizzazioni politiche americane, ma significativa se si considera che si trattava di un’iniziativa appena nata, guidata da un 18enne quasi sconosciuto. Da lì in avanti, la crescita è stata continua ed esponenziale.

Nel 2015 l’associazione dichiarò entrate per 2,05 milioni di dollari; nel 2017 il dato superava già gli 8 milioni; nel 2019 il bilancio toccava i 28,6 milioni. Nel 2022 le entrate superarono gli 80 milioni, fino ad arrivare, nel 2024, a poco meno di 85 milioni di dollari. Essendo una realtà non profit, il 99,2% di questi introiti proveniva da contributi e donazioni, a fronte però di spese altrettanto consistenti, che nel 2024 ammontavano a circa 81 milioni.

I dati disponibili mostrano come, nel 2024, i principali compensi erogati da TpUSA siano andati a sette dirigenti, tra cui il manager John McGovern (circa 420mila dollari) e lo stesso presidente Charles Kirk (quasi 286mila dollari). L’elenco ufficiale dei finanziatori non è pubblico, ma negli anni i fondi sono arrivati da ricche famiglie repubblicane, esponenti del GOP, politici nazionali, fondazioni di orientamento libertario e conservatore.

Un esempio è il Donors Trust, che protegge l’anonimato dei propri sostenitori e che ha versato all’organizzazione 906mila dollari. Nel 2022, invece, ben 8 milioni sono stati donati dalla Lynde and Harry Bradley Foundation, una delle fondazioni più attive nel supporto al sionismo e nella lotta ideologica contro l’Islam. Inoltre, i grandi eventi di fundraising organizzati da Kirk hanno raccolto migliaia di partecipanti, disposti a pagare cifre di diverse migliaia di dollari per prendere parte alle serate.

Fra le interessanti attività di Kirk c’è la Professor Watchlist e lo School Board Watchlist, che segnalano professori o consigli scolastici ritenuti “di sinistra”, contrari ai valori conservatori, una sorta di lista di proscrizione in perfetto stile Neocon americano. Il solito soft power culturale statunitense, niente di nuovo.

Ovviamente, per ragioni generazionali – era un Millennial rivolto a un pubblico Gen Z – aveva dato il via ad una sua carriera mediatica, con il The Charlie Kirk Show e la tournée You’re Being Brainwashed Tour, due armi mediatiche ben calibrate per diffondere la narrativa Neocon, calcando i temi caldi del mondo conservatore: famiglia, patria, etnia, liberalismo.

Purtroppo, per Charlie la vita si è conclusa con un tragico attentato mentre parlava ai giovani, facendo ciò che amava.

Il sostegno a Israele, l’odio al mondo arabo

Proprio riguardo il mondo Neocon, Charlie non mancava di assolvere in pieno tutti i requisiti necessari.

La fissazione per il messianismo “à l’americaine” era una costante dei suoi interventi, sia in pubblico che sui social media.

Israele era una questione esistenziale, come si addice ad ogni Protestante Evangelico, convinti come sono di dover combattere per la ricostruzione del Tempio a Gerusalemme affinché possa tornare finalmente Cristo il Messia, giustificando quindi l’entità sionista e i suoi crimini come “mali necessari”. Non a caso, alla sua morte il primo sostegno è arrivato proprio da Bibi Netanyahu e da veri commentatori sionisti, sia in America che all’

Il 29 luglio scorso aveva dedicato un intero episodio del suo talk show al “debunking” della notizia che Israele stava affamando Gaza, sostenendo che non solo fosse tutto falso, ma che si trattasse di una fake news diffusa dai media islamici per attaccare “l’Asse del Bene” USA-Israele.

Il suo personale legame con Israele lo aveva portato addirittura ad una sorta di conversione: “Israel changed my life. Strengthened my faith, made the Bible pop into reality, and gave me the most precious memories with Erika”. Poco importa se il Talmud su Gesù Cristo ci sputa sopra, a lui interessava essere un buon cristiano americano. Durante una visita a Gerusalemme nel 2019 ha detto: “I’m very pro-Israel … and my whole life I have defended Israel.” Nell’agosto 2025 ha detto: “I have a bulletproof resumé showing my defense of Israel … I believe in the scriptural land rights given to Israel. I believe in fulfilment of prophecy”, e ha aggiunto che avrebbe “fight for” Israel.

Si è opposto a una legge bipartisan per estendere le norme anti-BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni verso Israele), sostenendo che possa alimentare antisemitismo o narrazioni che “Israele controlla il governo USA”.

Ha appoggiato la repressione repubblicana delle proteste filopalestinesi del 2024 nei campus universitari e nell’aprile 2025 ha respinto gli sforzi dell’amministrazione Trump di punire gli studenti filopalestinesi nei campus come un attacco alla libertà di parola, accusando ovviamente i filopalestinesi di “antisemitismo”. In maniera molto intelligente, si era però opposto al coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra Iran-Israele.[192]

Sebbene Kirk fosse un convinto difensore di Israele, condivideva infatti anche alcune opinioni critiche sul governo israeliano. Poco dopo gli attacchi del 7 ottobre aveva promosso una teoria – tutta americana – secondo cui il governo israeliano sapeva che Hamas avrebbe lanciato l’attacco e che Netanyahu lo aveva permesso come parte di un piano per rimanere al potere. Poco prima della sua morte, aveva persino osato affermare che Jeffrey Epstein fosse stato un agente dei servizi segreti israeliani. Effettivamente è proprio dopo queste affermazioni ed una non chiara revisione sulle sue posizioni sioniste che Kirk è stato assassinato.

Evidentemente, per il “buon cristiano” Charlie i palestinesi non godevano degli stessi diritti umani degli altri, indistintamente fra uomini, donne e bambini, perché, si sa, la colpa è loro che occupano una terra che per biblico mandato dal Dio dell’Antico Testamento – lo stesso che ordinava agli israeliti di invadere e sterminare quelle terre? – appartiene agli ebrei, ma non a tutti, a quelli sionisti ovviamente, quelli che hanno capito come deve andare il mondo.

Una ipocrisia, questa, perfettamente americana, perfettamente politica. Non si è dimostrato diverso da nessuno dei suoi camerati di partito o politici anche di noto nome, da Trump ai suoi predecessori.

Kirk, da buon figlio della psy-op nota come 9/11, non poteva non essere anti islamico e anti arabo. Forse nemmeno sapeva la differenza fra le due cose. In compenso si dichiarava contrario all’antisemitismo, non sapendo che anche gli arabi sono semiti, ma poco importa, negli Stati Uniti la verità dei fatti è sempre contata poco.

Assad, per esempio, era appellato come “un animale”, a cui augurava di finire come le presunte vittime civili del suo cosiddetto regime dittatoriale. Similmente avveniva riguardo l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran. Insomma, tutto quello che era “quella roba araba là, dove la gente ha la barba e il turbante in testa” era da fare fuori, insegnandogli la democrazia a suon di bombe.

La sua partecipazione alle conferenze anti-islamiche, come quella del ACT For America, era un’attività ordinaria. A quale pro? Alla dottrina militare conservatrice che considera la distruzione di Paesi che si trovano a 8000 chilometri di distanza una questione di “sicurezza nazionale”, è ovvio. Chi di voi non si sente minacciato da qualcuno che vive dall’altra parte del mondo? Se questo qualcuno, poi, ha un sacco di petrolio, meglio ancora.

Armi per tutti

Le armi, in tutto ciò, giocano un ruolo pedagogico.

Nel 2023, una settimana dopo che tre bambini erano stati uccisi in una sparatoria a scuola a Nashville, aveva detto che i morti per le armi da fuoco sono “purtroppo” il prezzo che gli americano pagano per il II Emendamento, ma un prezzo “degno”.

Anche in questo caso, niente di nuovo sul fronte americano: il possesso di armi è uno dei principi “sacri” per una nazione nata sulla guerra e sulla violenza, che dalla sua fondazione ha diffuso nel mondo solo guerre e morte. Il mondo conservatore ha sempre fatto delle armi un cavallo di battaglia, nonostante siano proprio le armi a causare ogni anno la morte di più di 2.500 bambini, con una media di 200 sparatorie ogni anno nelle scuole, superando le 18.000 vittime di media all’anno per sparatorie da parte di civili armati. Se non si sapesse che è l’America, si dovrebbe pensare, a buon senso, che si tratta di un Paese in una costante guerra civile, legalizzata in Costituzione. Un modello di civiltà da esportare, no?

Quello che è avvenuto nello Utah, per quanto tragico, è uno scenario fin troppo usuale negli Stati Uniti. Il problema sono sì le armi, come dice la sinistra Dem, ma anche gli americani in generale, perché le armi non si sparano da sole. Un Paese che legalizza la possibilità di uccidere in grande libertà in qualsiasi momento da parte di chiunque, non può che aspettarsi una marea di morti.

“Alcune morti legate alle armi ogni anno sono un prezzo accettabile per preservare il Second Amendment e altri diritti dati da Dio”, ripeteva a un Faith Event di TpUSA nel 2023. Diritti dati da Dio. Questo è lo spirito da patriota americano. Il diritto di uccidere, di educare alla violenza, di imporre morte, distruzione, egemonia in tutto il mondo, perché ci si sente investiti dal mandato divino. “Avere cittadini armati ha un prezzo – diceva – ed è parte della libertà”, invitando a portare armi con sé persino al supermercato, come aveva affermato in un episodio di ottobre 2023 del suo talk show.

Chissà se Charlie era davvero tanto contento di far vivere i suoi figli in un Paese in cui vivere una sparatoria mentre sei a scuola è una cosa considerata “normale”, o andando a comprare il gelato trovi qualche cliente con un fucile carico in spalla. Era questo il futuro che veniva predicato per i giovani d’America.

Perché Charlie si definiva un pro-life, anche se, logica linguistica alla mano, era più un pro-birth che un pro life. La vita o la difendi tutta, o altrimenti difenderla solo all’inizio per poi liberalizzarne la distruzione, e addirittura considerare alcune vite più dignitose di altre, non è molto coerente. Certamente la sua attività politica a favore dei cosiddetti “valori tradizionali” è stata eccezionale. Ma di quali valori parliamo? Qui la confusione regna, perché la perversione dell’ontologia e della epistemologia dei valori “tradizionali” è al centro della manipolazione morale della politica americana. Un inganno, questo, che vedo ora molti cristiani, soprattutto cattolici, piangere per la morte di Charlie. Perché occorre analizzare bene di quali valori stiamo veramente parlando: i valori dell’America, del cristianesimo sionista neocon, non hanno niente a che fare col Vangelo e con Cristo.

L’omicidio per decapitazione e alcuni dati oscuri

Al di là di come la si pensi, quello che è successo a Charlie è una tragedia. Questa tipologia di attentati con omicidio, però, non è affatto per dilettanti. Non entreremo nel dettaglio tecnico di quanto accaduto, perché ancora mancano molti dati e i servizi federali non hanno ancora rilasciato informazioni rilevanti. Si sa che il cecchino era piuttosto lontano e che ha colpito al collo.

Una decapitazione, letteralmente. Un colpo che ha un enorme effetto mediatico, perché produce molto sangue. Decapitare come si decapita un condannato a morte o un avversario politico. Chi ha organizzato questo, lo ha fatto con uno scopo ben preciso.

Non è facile colpire in un punto così ristretto del corpo da una tale distanza, tanto che i primi commentatori militari che hanno visionato le riprese del tragico evento, hanno commentato che si trattasse sicuramente di un tiratore addestrato, che ha seguito una tipologia di esecuzione che ricorda molto quello delle forze speciali e dei servizi segreti.

Perché, infatti, decapitare davanti alle videocamere? Semplice: perché si vuole dare un messaggio, lasciare un segno e scatenare una reazione.

Non a caso, tutta la modalità è stata pressoché identica a quella del presunto attentato a Donald Trump. Vi ricordate, quando gli venne sparato un colpo che “miracolosamente” deviò e colpì l’orecchio, mentre lui alzava la mano vittorioso con i fotografi pronti a immortalare la posa del secolo? Stessa dinamica: comizio politico, molta gente, grande effetto per i mass media. I mandanti e gli esecutori di questo atto infame sapevano benissimo cosa stavano facendo.

È curioso anche che la città dove si svolgeva l’evento, Orem, sia una cittadini ci grande importanza per il mondo ebraico sionista e per le comunità dei mormoni, già nota per essere molto pericolosa per la criminalità e le sparatorie. Orem, in ebraico, secondo la gematria cabalistica, ha un valore particolare. La somma delle lettere Alef, Vav, Resh e Mem porta il numero 247, il numero del “passo prima del compimento”, e la parola Orem significa “Luce che si incarna nel mondo”, non a caso quella di Lucifero, il portatore di Luce.

Astrologicamente, l’evento è accaduto fra due eclissi che portano enorme scompiglio (7 settembre e 21 settembre) con enormi conseguenze sull’ampliamento della violenza globale e forti instabilità. La congiunzione selezionata, che qui non riportiamo per necessità di brevità, considerando l’omicidio al giorno 10 settembre ore 12:23 PM MDT, vedo una lezione collettiva che spingerà ad una analisi del mondo interno, in modo analitico, con una forte escalation collettiva e reazioni forti, date dalla sensazione di mancanza di protezione e radicamento, che invocano la difesa dei valori e della terra. Tutto ciò con un rischio di strumentalizzazione e distorsione dei messaggi, discussi in maniera massiccia e quindi non chiara e attenta, aumentato la dicotomia contrastante fra critica e polemica. L’azione violenta assume una cornice simbolica di giustizia percepita in maniera disarmonica, polarizzandone le conseguenze in senso politico. E, ancora, la fine di un ciclo di forte intensità, che si conclude in maniera drammatica con conseguenze fatali, date anche dal prevedibile atto improvviso all’interno di una comunità ampia.

È un passaggio epocale fra dinamiche di potere, che con questo sacrificio umano viene inaugurato, con un effetto collettivo che i mandanti dell’omicidio conoscevano già in precedenza. Charlie non è stato ucciso a caso.

La chance politica di Trump

Sangue versato che chiama altro sangue. Adesso Donald Trump ha un assist importante per adottare politiche già preannunciate, scansandosi dai Dem che politicamente ne escono molto indeboliti. La prima impressione narrativa è stata infatti quella di un omicidio in odio alle idee. Trump ora potrà potenziare la politiche di controllo e sorveglianza, velocizzando la repressione nei confronti degli avversari, della criminalità organizzata, dell’immigrazione clandestina e delle politiche della sinistra americana.

L’evento si colloca a distanza di pochi giorni dall’omicidio della ragazza ucraina Iryna Zarutska, che ha suscitato forte rabbia ed ha innalzato il clima di tensione, culminato con l’attentato a Charlie, proprio alle porte dell’11 settembre.

Tre giorni di fuoco. Tre giorni di sangue, Tre giorni di vendetta.

Politicamente parlando, adesso Trump ha una legittimazione popolare ben diversa da prima e potrà cavalcare l’onda della rabbia e del malcontento. La necessaria, come più volte spiegato, guerra civile negli USA potrebbe essere alle porte. Una guerra che è già presente da anni ma tenuta sotto traccia, senza spazio mediatico, in un Paese al collasso.

L’America sta pagando il prezzo – karma, vogliamo chiamarlo così? – delle sue azioni, in tutti i livelli della società, anche nei suoi omini politici.

Senza la distruzione del sistema americano, non potrà mai sorgere una civiltà americana.

Le prossime mosse di Trump per la situazione domestica saranno determinanti anche per quelle all’esterno. Il mondo sta osservando l’accaduto.

Mr President ha già commentato a più riprese il tragico evento, assicurando che Charlie sarà premiato come eroe nazionale, mossa che consolida un fronte MAGA molto diviso e in conflitto, riaffermando il dominio di Trump in una condizione di “emergenza”.

Il valore di questo evento nell’infowarfare statunitense

Cerchiamo ora, in conclusione, di dare una rapida ma precisa lettura dell’evento sotto il profilo dell’infowarfare. Attenzione, non si tratta di soffermarsi sulla cronaca e nemmeno sulla morale di essa, bensì di comprendere come funziona, in una logica di guerra, quanto accaduto. Gli USA amano questo genere di eventi, ne hanno spesso inventati a tavolino. La dimensione cognitiva è al cuore di almeno 70 anni di modo di fare guerra.

Charlie rappresenta il soggetto perfetto per una cosa del genere: era giovane, sposato, padre di famiglia, aveva molto seguito fra i giovani, era un patriota americano, sosteneva il Presidente, credeva nei “valori” fondativi degli Stati Uniti d’America. Il curriculum perfetto. Uccidere Charlie significava attaccare un certo modello di America, un certo pensiero, un condensato di idee nobili e coraggiose, in un mondo occidentale in rovina e declino inesorabile.

La gestione del frame comunicativo sta avvenendo secondo schemi piuttosto classici. Il colpevole c’è e non c’è, è un ragazzo giovane e malato psichiatrico, poi è un transessuale impazzito, poi ancora un anziano deluso. Non è importante chi è, è importante che si mantenga la tensione alta, andando a caccia del sospettato. Tutta la popolazione deve restare in allerta, con un livello di cortisolo sufficientemente stressante da abbassare le difese cognitive e lasciar entrare le informazioni selezionate dai costruttori della narrativa.

Guardate, ad esempio, il mondo cristiano, anche in Europa: tutti fan di Charlie, all’improvviso, in una sorta di isteria collettiva, commentata da chiunque, con produzione di materiale multimediale in sovrabbondanza. Una rapida saturazione dell’infosfera. Charlie è divenuto un santo, addirittura un martire, scomodando quindi una vasta gamma di emozioni e di idee nell’immaginario collettivo. Con così tanto materiale, è facilissimo lavorare nella manipolazione.

Charlie viene usato come modello-eroe-martire, in una condizione di imminente collasso o rivoluzione, dove la dicotomia delle visioni politiche viene rapidamente esasperata fino all’insostenibilità, mantenendosi sempre sul bordo del perimetro, laddove la gente crede di avere il controllo e di poter fuoriuscire ma in realtà è ancora dentro alla gabbia cognitiva. I fanatismi vengono accentuati: o pro o contro, esattamente come succede sempre.

Il coinvolgimento di influencers, politici e specifici gruppi topici è fondamentale per definire i contorni e riempire di contenuti il frame narrativo. Ce ne è per tutti, non preoccupatevi. Charlie in ogni caso verrà celebrato, sia dai “lovers” che dagli “haters”, rientrando subito nelle categorie gestite dal potere. L’effettiva cattura del vero attentatore, la eventuale pista israeliana o ucraina o americana, sono tutti dettagli secondari che potranno essere amministrati comodamente in un secondo momento.

È incredibile anche come la notizia abbia affetto rapidamente i media europei, diventando l’argomento principale. In Paesi come l’Italia, affetta da un senso di inferiorità e di servilismo nei confronti degli USA, tutti hanno cominciato a parlare solo di quello, dimostrando che le notizie americane valgono più di quelle italiane. Evidentemente c’è così molta povertà di argomenti.

Imbarazzante anche come il mondo cattolico abbia sentito l’urgenza di ergere un americano a modello dei propri valori, aizzando battaglie contro i suoi aguzzini, anche se nessuno li ha ancora identificati e, probabilmente, saranno ancora una volta gli stessi uomini del sistema che poi i cattolici stessi vanno a votare. Di esempi di questo tipo ne abbiamo a bizzeffe. Curioso, però, che non abbiano speso tanta fatica per denunciare il genocidio dei palestinesi, molti dei quali sono cristiani cattolici e coi quali c’è una continuità di modelli di civiltà, preferendo invece dei protestanti neocon sionisti dall’altra parte del mondo, distanti anni luce di civiltà.

Con questa mossa, piaccia o no, gli USA fanno un balzo avanti nel contesto internazionale e si rendono trendsetter rispetto alla soluzione di un problema che affligge molti Stati dell’Occidente. Charlie verrà usato come icona di un certo tipo di valori e di una battaglia contro un altro tipo di valori. È un simbolo, e i simboli controllano l’immaginario e il linguaggio con cui costruiamo le nostre idee, i ragionamenti, i paradigmi percettivi con cui interpretiamo la realtà.

Nelle prossime ore vedremo la saturazione nei media mainstream, ma anche sui social network e nella contro-informazione. Molti attori politici sfrutteranno la notizia, soprattutto i candidati per le posizioni importanti. Vedremo anche NGO e Think Tank rilasciare report e analisi per legittimare la versione del discorso, sia a favore Charlie che contro Charlie, o meglio ciò che adesso lui rappresenta. La narrativa Dem / progressista si scontrerà con quella Rep / MAGA. La parola “verità” muterà molto la sua struttura.

Massima amplificazione dei diversi frame, martirologia politica del dramma, un setting degli argomenti da far passare sotto traccia e, ovviamente, una miriade di piccole psy-op interne, che avranno effetti nella legislazione, nella mobilitazione elettorale e nella percezione della vita americana.

La logica della guerra a stelle e strisce – quella con cui si sovvertono gli Stati, si schiacciano le culture e si sovvertono i sistemi –  non mancherà di farsi sentire anche stavolta. Charlie è morto con le sue idee, per le sue idee, e, forse, perché a qualcuno faceva comodo sacrificare lui.

Se vuoi chiamare sangue, se vuoi la guerra, devi dichiarare guerra. E forse ci siamo già.

Thank you, Mr. Charlie!

Charlie è morto con le sue idee, per le sue idee, e, forse, perché a qualcuno faceva comodo sacrificare lui.

Segue nostro Telegram. 

Premessa

Questo articolo non intende esprimere giudizi sulla persona di Charlie Kirk, ucciso il 10 settembre 2025 a Orem, nello Utah, Stati Uniti d’America, durante un comizio politico, colpito da un proiettile esploso da un cecchino situato a distanza.

L’analisi effettuata riguarda i fatti, i dati disponibili e, soprattutto, la dimensione informativa dell’evento. Non troverete tifoserie pro o contro, né tantomeno sensazionalismi o emozioni scomposte.

Probabilmente leggerete alcune cose che daranno fastidio, ma non temete, prima o poi la verità verrà a galla… oppure no.

Esprimiamo per Charlie Kirk e la sua famiglia condoglianze.

Chi fu Charlie Kirk

Charles James “Charlie” Kirk è nato il 14 ottobre 1993 ad Arlington Heights, Illinois, negli Stati Uniti, e cresciuto nei sobborghi di Arlington Heights e Prospect Heights. I suoi genitori svolgono ruoli modesti: la madre è consigliera nel campo della salute mentale; il padre è architetto. Fin da giovane Kirk è stato membro degli Scouts degli Stati Uniti, dove ha raggiunto il grado di Eagle Scout.

Dopo la scuola superiore Wheeling High School, frequentò l’Harper College, un community college in Illinois, ma non portò a termine un titolo di laurea. Scelse di dedicarsi completamente all’attivismo politico, lasciando gli studi universitari. Durante il liceo già si muoveva politicamente: da studente sostenne la campagna per il Senato di Mark Kirk (senatore repubblicano, non imparentato) in Illinois. Inoltre, nel suo anno da senior al liceo prese posizione su questioni locali  e scrisse un articolo per Breitbart News criticando quello che lui percepiva come bias liberale nei libri scolastici.

Bill Montgomery, attivista conservatore associato al movimento Tea Party, fu una figura importante per Kirk: lo conobbe tramite eventi politici giovanili come il Youth Empowerment Day e divenne un mentore nella fase iniziale. Altri donatori conservatori e figure influenti nell’ala destra del partito Repubblicano lo hanno sostenuto, come Foster Friess. Nel corso degli anni Kirk è diventato strettamente associato al movimento conservatore MAGA e al Presidente Donald Trump. Pur non essendo inizialmente un forte sostenitore personale, man mano che Trump saliva nella politica, Kirk allineò le sue attività con esse.

Il suo scopo principale era quello di attrarre sempre più giovani, uomini e donne, verso il voto a destra. Diffondere idee conservatrici all’interno dei campus universitari, contrastare quelle che lui e l’intero universo trumpiano consideravano deviazioni delle ideologie progressiste e quella “propaganda di sinistra” che citava di frequente.

A 18 anni, grazie ai finanziamenti del suo mentore Bill Montgomery, fondò Turning Point USA un’organizzazione creata con l’obiettivo di girare nei college americani e avvicinare più studenti possibili alla destra libertaria statunitense. Le sue doti dialettiche, dimostrate in anni di dibattiti e interventi pubblici, ne hanno consolidato la notorietà, la popolarità e l’appoggio sia tra i giovani che tra un pubblico più maturo.

Con il tempo, TpUSA si è trasformata in una presenza costante nelle università americane, con sezioni diffuse in molti campus: organizza eventi con ospiti conservatori, costruisce una rete nazionale per i leader studenteschi di quell’area politica, individua potenziali elettori “patriottici” e, di fatto, svolge un ruolo assimilabile a una campagna elettorale permanente, una militanza politica vecchio stile.

Parallelamente è cresciuto anche il flusso di donazioni – sia di piccolo che di grande importo – a favore dell’organizzazione. Nel 2012, primo anno, l’incasso fu di 78.890 dollari: una cifra relativamente contenuta nel panorama delle organizzazioni politiche americane, ma significativa se si considera che si trattava di un’iniziativa appena nata, guidata da un 18enne quasi sconosciuto. Da lì in avanti, la crescita è stata continua ed esponenziale.

Nel 2015 l’associazione dichiarò entrate per 2,05 milioni di dollari; nel 2017 il dato superava già gli 8 milioni; nel 2019 il bilancio toccava i 28,6 milioni. Nel 2022 le entrate superarono gli 80 milioni, fino ad arrivare, nel 2024, a poco meno di 85 milioni di dollari. Essendo una realtà non profit, il 99,2% di questi introiti proveniva da contributi e donazioni, a fronte però di spese altrettanto consistenti, che nel 2024 ammontavano a circa 81 milioni.

I dati disponibili mostrano come, nel 2024, i principali compensi erogati da TpUSA siano andati a sette dirigenti, tra cui il manager John McGovern (circa 420mila dollari) e lo stesso presidente Charles Kirk (quasi 286mila dollari). L’elenco ufficiale dei finanziatori non è pubblico, ma negli anni i fondi sono arrivati da ricche famiglie repubblicane, esponenti del GOP, politici nazionali, fondazioni di orientamento libertario e conservatore.

Un esempio è il Donors Trust, che protegge l’anonimato dei propri sostenitori e che ha versato all’organizzazione 906mila dollari. Nel 2022, invece, ben 8 milioni sono stati donati dalla Lynde and Harry Bradley Foundation, una delle fondazioni più attive nel supporto al sionismo e nella lotta ideologica contro l’Islam. Inoltre, i grandi eventi di fundraising organizzati da Kirk hanno raccolto migliaia di partecipanti, disposti a pagare cifre di diverse migliaia di dollari per prendere parte alle serate.

Fra le interessanti attività di Kirk c’è la Professor Watchlist e lo School Board Watchlist, che segnalano professori o consigli scolastici ritenuti “di sinistra”, contrari ai valori conservatori, una sorta di lista di proscrizione in perfetto stile Neocon americano. Il solito soft power culturale statunitense, niente di nuovo.

Ovviamente, per ragioni generazionali – era un Millennial rivolto a un pubblico Gen Z – aveva dato il via ad una sua carriera mediatica, con il The Charlie Kirk Show e la tournée You’re Being Brainwashed Tour, due armi mediatiche ben calibrate per diffondere la narrativa Neocon, calcando i temi caldi del mondo conservatore: famiglia, patria, etnia, liberalismo.

Purtroppo, per Charlie la vita si è conclusa con un tragico attentato mentre parlava ai giovani, facendo ciò che amava.

Il sostegno a Israele, l’odio al mondo arabo

Proprio riguardo il mondo Neocon, Charlie non mancava di assolvere in pieno tutti i requisiti necessari.

La fissazione per il messianismo “à l’americaine” era una costante dei suoi interventi, sia in pubblico che sui social media.

Israele era una questione esistenziale, come si addice ad ogni Protestante Evangelico, convinti come sono di dover combattere per la ricostruzione del Tempio a Gerusalemme affinché possa tornare finalmente Cristo il Messia, giustificando quindi l’entità sionista e i suoi crimini come “mali necessari”. Non a caso, alla sua morte il primo sostegno è arrivato proprio da Bibi Netanyahu e da veri commentatori sionisti, sia in America che all’

Il 29 luglio scorso aveva dedicato un intero episodio del suo talk show al “debunking” della notizia che Israele stava affamando Gaza, sostenendo che non solo fosse tutto falso, ma che si trattasse di una fake news diffusa dai media islamici per attaccare “l’Asse del Bene” USA-Israele.

Il suo personale legame con Israele lo aveva portato addirittura ad una sorta di conversione: “Israel changed my life. Strengthened my faith, made the Bible pop into reality, and gave me the most precious memories with Erika”. Poco importa se il Talmud su Gesù Cristo ci sputa sopra, a lui interessava essere un buon cristiano americano. Durante una visita a Gerusalemme nel 2019 ha detto: “I’m very pro-Israel … and my whole life I have defended Israel.” Nell’agosto 2025 ha detto: “I have a bulletproof resumé showing my defense of Israel … I believe in the scriptural land rights given to Israel. I believe in fulfilment of prophecy”, e ha aggiunto che avrebbe “fight for” Israel.

Si è opposto a una legge bipartisan per estendere le norme anti-BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni verso Israele), sostenendo che possa alimentare antisemitismo o narrazioni che “Israele controlla il governo USA”.

Ha appoggiato la repressione repubblicana delle proteste filopalestinesi del 2024 nei campus universitari e nell’aprile 2025 ha respinto gli sforzi dell’amministrazione Trump di punire gli studenti filopalestinesi nei campus come un attacco alla libertà di parola, accusando ovviamente i filopalestinesi di “antisemitismo”. In maniera molto intelligente, si era però opposto al coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra Iran-Israele.[192]

Sebbene Kirk fosse un convinto difensore di Israele, condivideva infatti anche alcune opinioni critiche sul governo israeliano. Poco dopo gli attacchi del 7 ottobre aveva promosso una teoria – tutta americana – secondo cui il governo israeliano sapeva che Hamas avrebbe lanciato l’attacco e che Netanyahu lo aveva permesso come parte di un piano per rimanere al potere. Poco prima della sua morte, aveva persino osato affermare che Jeffrey Epstein fosse stato un agente dei servizi segreti israeliani. Effettivamente è proprio dopo queste affermazioni ed una non chiara revisione sulle sue posizioni sioniste che Kirk è stato assassinato.

Evidentemente, per il “buon cristiano” Charlie i palestinesi non godevano degli stessi diritti umani degli altri, indistintamente fra uomini, donne e bambini, perché, si sa, la colpa è loro che occupano una terra che per biblico mandato dal Dio dell’Antico Testamento – lo stesso che ordinava agli israeliti di invadere e sterminare quelle terre? – appartiene agli ebrei, ma non a tutti, a quelli sionisti ovviamente, quelli che hanno capito come deve andare il mondo.

Una ipocrisia, questa, perfettamente americana, perfettamente politica. Non si è dimostrato diverso da nessuno dei suoi camerati di partito o politici anche di noto nome, da Trump ai suoi predecessori.

Kirk, da buon figlio della psy-op nota come 9/11, non poteva non essere anti islamico e anti arabo. Forse nemmeno sapeva la differenza fra le due cose. In compenso si dichiarava contrario all’antisemitismo, non sapendo che anche gli arabi sono semiti, ma poco importa, negli Stati Uniti la verità dei fatti è sempre contata poco.

Assad, per esempio, era appellato come “un animale”, a cui augurava di finire come le presunte vittime civili del suo cosiddetto regime dittatoriale. Similmente avveniva riguardo l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran. Insomma, tutto quello che era “quella roba araba là, dove la gente ha la barba e il turbante in testa” era da fare fuori, insegnandogli la democrazia a suon di bombe.

La sua partecipazione alle conferenze anti-islamiche, come quella del ACT For America, era un’attività ordinaria. A quale pro? Alla dottrina militare conservatrice che considera la distruzione di Paesi che si trovano a 8000 chilometri di distanza una questione di “sicurezza nazionale”, è ovvio. Chi di voi non si sente minacciato da qualcuno che vive dall’altra parte del mondo? Se questo qualcuno, poi, ha un sacco di petrolio, meglio ancora.

Armi per tutti

Le armi, in tutto ciò, giocano un ruolo pedagogico.

Nel 2023, una settimana dopo che tre bambini erano stati uccisi in una sparatoria a scuola a Nashville, aveva detto che i morti per le armi da fuoco sono “purtroppo” il prezzo che gli americano pagano per il II Emendamento, ma un prezzo “degno”.

Anche in questo caso, niente di nuovo sul fronte americano: il possesso di armi è uno dei principi “sacri” per una nazione nata sulla guerra e sulla violenza, che dalla sua fondazione ha diffuso nel mondo solo guerre e morte. Il mondo conservatore ha sempre fatto delle armi un cavallo di battaglia, nonostante siano proprio le armi a causare ogni anno la morte di più di 2.500 bambini, con una media di 200 sparatorie ogni anno nelle scuole, superando le 18.000 vittime di media all’anno per sparatorie da parte di civili armati. Se non si sapesse che è l’America, si dovrebbe pensare, a buon senso, che si tratta di un Paese in una costante guerra civile, legalizzata in Costituzione. Un modello di civiltà da esportare, no?

Quello che è avvenuto nello Utah, per quanto tragico, è uno scenario fin troppo usuale negli Stati Uniti. Il problema sono sì le armi, come dice la sinistra Dem, ma anche gli americani in generale, perché le armi non si sparano da sole. Un Paese che legalizza la possibilità di uccidere in grande libertà in qualsiasi momento da parte di chiunque, non può che aspettarsi una marea di morti.

“Alcune morti legate alle armi ogni anno sono un prezzo accettabile per preservare il Second Amendment e altri diritti dati da Dio”, ripeteva a un Faith Event di TpUSA nel 2023. Diritti dati da Dio. Questo è lo spirito da patriota americano. Il diritto di uccidere, di educare alla violenza, di imporre morte, distruzione, egemonia in tutto il mondo, perché ci si sente investiti dal mandato divino. “Avere cittadini armati ha un prezzo – diceva – ed è parte della libertà”, invitando a portare armi con sé persino al supermercato, come aveva affermato in un episodio di ottobre 2023 del suo talk show.

Chissà se Charlie era davvero tanto contento di far vivere i suoi figli in un Paese in cui vivere una sparatoria mentre sei a scuola è una cosa considerata “normale”, o andando a comprare il gelato trovi qualche cliente con un fucile carico in spalla. Era questo il futuro che veniva predicato per i giovani d’America.

Perché Charlie si definiva un pro-life, anche se, logica linguistica alla mano, era più un pro-birth che un pro life. La vita o la difendi tutta, o altrimenti difenderla solo all’inizio per poi liberalizzarne la distruzione, e addirittura considerare alcune vite più dignitose di altre, non è molto coerente. Certamente la sua attività politica a favore dei cosiddetti “valori tradizionali” è stata eccezionale. Ma di quali valori parliamo? Qui la confusione regna, perché la perversione dell’ontologia e della epistemologia dei valori “tradizionali” è al centro della manipolazione morale della politica americana. Un inganno, questo, che vedo ora molti cristiani, soprattutto cattolici, piangere per la morte di Charlie. Perché occorre analizzare bene di quali valori stiamo veramente parlando: i valori dell’America, del cristianesimo sionista neocon, non hanno niente a che fare col Vangelo e con Cristo.

L’omicidio per decapitazione e alcuni dati oscuri

Al di là di come la si pensi, quello che è successo a Charlie è una tragedia. Questa tipologia di attentati con omicidio, però, non è affatto per dilettanti. Non entreremo nel dettaglio tecnico di quanto accaduto, perché ancora mancano molti dati e i servizi federali non hanno ancora rilasciato informazioni rilevanti. Si sa che il cecchino era piuttosto lontano e che ha colpito al collo.

Una decapitazione, letteralmente. Un colpo che ha un enorme effetto mediatico, perché produce molto sangue. Decapitare come si decapita un condannato a morte o un avversario politico. Chi ha organizzato questo, lo ha fatto con uno scopo ben preciso.

Non è facile colpire in un punto così ristretto del corpo da una tale distanza, tanto che i primi commentatori militari che hanno visionato le riprese del tragico evento, hanno commentato che si trattasse sicuramente di un tiratore addestrato, che ha seguito una tipologia di esecuzione che ricorda molto quello delle forze speciali e dei servizi segreti.

Perché, infatti, decapitare davanti alle videocamere? Semplice: perché si vuole dare un messaggio, lasciare un segno e scatenare una reazione.

Non a caso, tutta la modalità è stata pressoché identica a quella del presunto attentato a Donald Trump. Vi ricordate, quando gli venne sparato un colpo che “miracolosamente” deviò e colpì l’orecchio, mentre lui alzava la mano vittorioso con i fotografi pronti a immortalare la posa del secolo? Stessa dinamica: comizio politico, molta gente, grande effetto per i mass media. I mandanti e gli esecutori di questo atto infame sapevano benissimo cosa stavano facendo.

È curioso anche che la città dove si svolgeva l’evento, Orem, sia una cittadini ci grande importanza per il mondo ebraico sionista e per le comunità dei mormoni, già nota per essere molto pericolosa per la criminalità e le sparatorie. Orem, in ebraico, secondo la gematria cabalistica, ha un valore particolare. La somma delle lettere Alef, Vav, Resh e Mem porta il numero 247, il numero del “passo prima del compimento”, e la parola Orem significa “Luce che si incarna nel mondo”, non a caso quella di Lucifero, il portatore di Luce.

Astrologicamente, l’evento è accaduto fra due eclissi che portano enorme scompiglio (7 settembre e 21 settembre) con enormi conseguenze sull’ampliamento della violenza globale e forti instabilità. La congiunzione selezionata, che qui non riportiamo per necessità di brevità, considerando l’omicidio al giorno 10 settembre ore 12:23 PM MDT, vedo una lezione collettiva che spingerà ad una analisi del mondo interno, in modo analitico, con una forte escalation collettiva e reazioni forti, date dalla sensazione di mancanza di protezione e radicamento, che invocano la difesa dei valori e della terra. Tutto ciò con un rischio di strumentalizzazione e distorsione dei messaggi, discussi in maniera massiccia e quindi non chiara e attenta, aumentato la dicotomia contrastante fra critica e polemica. L’azione violenta assume una cornice simbolica di giustizia percepita in maniera disarmonica, polarizzandone le conseguenze in senso politico. E, ancora, la fine di un ciclo di forte intensità, che si conclude in maniera drammatica con conseguenze fatali, date anche dal prevedibile atto improvviso all’interno di una comunità ampia.

È un passaggio epocale fra dinamiche di potere, che con questo sacrificio umano viene inaugurato, con un effetto collettivo che i mandanti dell’omicidio conoscevano già in precedenza. Charlie non è stato ucciso a caso.

La chance politica di Trump

Sangue versato che chiama altro sangue. Adesso Donald Trump ha un assist importante per adottare politiche già preannunciate, scansandosi dai Dem che politicamente ne escono molto indeboliti. La prima impressione narrativa è stata infatti quella di un omicidio in odio alle idee. Trump ora potrà potenziare la politiche di controllo e sorveglianza, velocizzando la repressione nei confronti degli avversari, della criminalità organizzata, dell’immigrazione clandestina e delle politiche della sinistra americana.

L’evento si colloca a distanza di pochi giorni dall’omicidio della ragazza ucraina Iryna Zarutska, che ha suscitato forte rabbia ed ha innalzato il clima di tensione, culminato con l’attentato a Charlie, proprio alle porte dell’11 settembre.

Tre giorni di fuoco. Tre giorni di sangue, Tre giorni di vendetta.

Politicamente parlando, adesso Trump ha una legittimazione popolare ben diversa da prima e potrà cavalcare l’onda della rabbia e del malcontento. La necessaria, come più volte spiegato, guerra civile negli USA potrebbe essere alle porte. Una guerra che è già presente da anni ma tenuta sotto traccia, senza spazio mediatico, in un Paese al collasso.

L’America sta pagando il prezzo – karma, vogliamo chiamarlo così? – delle sue azioni, in tutti i livelli della società, anche nei suoi omini politici.

Senza la distruzione del sistema americano, non potrà mai sorgere una civiltà americana.

Le prossime mosse di Trump per la situazione domestica saranno determinanti anche per quelle all’esterno. Il mondo sta osservando l’accaduto.

Mr President ha già commentato a più riprese il tragico evento, assicurando che Charlie sarà premiato come eroe nazionale, mossa che consolida un fronte MAGA molto diviso e in conflitto, riaffermando il dominio di Trump in una condizione di “emergenza”.

Il valore di questo evento nell’infowarfare statunitense

Cerchiamo ora, in conclusione, di dare una rapida ma precisa lettura dell’evento sotto il profilo dell’infowarfare. Attenzione, non si tratta di soffermarsi sulla cronaca e nemmeno sulla morale di essa, bensì di comprendere come funziona, in una logica di guerra, quanto accaduto. Gli USA amano questo genere di eventi, ne hanno spesso inventati a tavolino. La dimensione cognitiva è al cuore di almeno 70 anni di modo di fare guerra.

Charlie rappresenta il soggetto perfetto per una cosa del genere: era giovane, sposato, padre di famiglia, aveva molto seguito fra i giovani, era un patriota americano, sosteneva il Presidente, credeva nei “valori” fondativi degli Stati Uniti d’America. Il curriculum perfetto. Uccidere Charlie significava attaccare un certo modello di America, un certo pensiero, un condensato di idee nobili e coraggiose, in un mondo occidentale in rovina e declino inesorabile.

La gestione del frame comunicativo sta avvenendo secondo schemi piuttosto classici. Il colpevole c’è e non c’è, è un ragazzo giovane e malato psichiatrico, poi è un transessuale impazzito, poi ancora un anziano deluso. Non è importante chi è, è importante che si mantenga la tensione alta, andando a caccia del sospettato. Tutta la popolazione deve restare in allerta, con un livello di cortisolo sufficientemente stressante da abbassare le difese cognitive e lasciar entrare le informazioni selezionate dai costruttori della narrativa.

Guardate, ad esempio, il mondo cristiano, anche in Europa: tutti fan di Charlie, all’improvviso, in una sorta di isteria collettiva, commentata da chiunque, con produzione di materiale multimediale in sovrabbondanza. Una rapida saturazione dell’infosfera. Charlie è divenuto un santo, addirittura un martire, scomodando quindi una vasta gamma di emozioni e di idee nell’immaginario collettivo. Con così tanto materiale, è facilissimo lavorare nella manipolazione.

Charlie viene usato come modello-eroe-martire, in una condizione di imminente collasso o rivoluzione, dove la dicotomia delle visioni politiche viene rapidamente esasperata fino all’insostenibilità, mantenendosi sempre sul bordo del perimetro, laddove la gente crede di avere il controllo e di poter fuoriuscire ma in realtà è ancora dentro alla gabbia cognitiva. I fanatismi vengono accentuati: o pro o contro, esattamente come succede sempre.

Il coinvolgimento di influencers, politici e specifici gruppi topici è fondamentale per definire i contorni e riempire di contenuti il frame narrativo. Ce ne è per tutti, non preoccupatevi. Charlie in ogni caso verrà celebrato, sia dai “lovers” che dagli “haters”, rientrando subito nelle categorie gestite dal potere. L’effettiva cattura del vero attentatore, la eventuale pista israeliana o ucraina o americana, sono tutti dettagli secondari che potranno essere amministrati comodamente in un secondo momento.

È incredibile anche come la notizia abbia affetto rapidamente i media europei, diventando l’argomento principale. In Paesi come l’Italia, affetta da un senso di inferiorità e di servilismo nei confronti degli USA, tutti hanno cominciato a parlare solo di quello, dimostrando che le notizie americane valgono più di quelle italiane. Evidentemente c’è così molta povertà di argomenti.

Imbarazzante anche come il mondo cattolico abbia sentito l’urgenza di ergere un americano a modello dei propri valori, aizzando battaglie contro i suoi aguzzini, anche se nessuno li ha ancora identificati e, probabilmente, saranno ancora una volta gli stessi uomini del sistema che poi i cattolici stessi vanno a votare. Di esempi di questo tipo ne abbiamo a bizzeffe. Curioso, però, che non abbiano speso tanta fatica per denunciare il genocidio dei palestinesi, molti dei quali sono cristiani cattolici e coi quali c’è una continuità di modelli di civiltà, preferendo invece dei protestanti neocon sionisti dall’altra parte del mondo, distanti anni luce di civiltà.

Con questa mossa, piaccia o no, gli USA fanno un balzo avanti nel contesto internazionale e si rendono trendsetter rispetto alla soluzione di un problema che affligge molti Stati dell’Occidente. Charlie verrà usato come icona di un certo tipo di valori e di una battaglia contro un altro tipo di valori. È un simbolo, e i simboli controllano l’immaginario e il linguaggio con cui costruiamo le nostre idee, i ragionamenti, i paradigmi percettivi con cui interpretiamo la realtà.

Nelle prossime ore vedremo la saturazione nei media mainstream, ma anche sui social network e nella contro-informazione. Molti attori politici sfrutteranno la notizia, soprattutto i candidati per le posizioni importanti. Vedremo anche NGO e Think Tank rilasciare report e analisi per legittimare la versione del discorso, sia a favore Charlie che contro Charlie, o meglio ciò che adesso lui rappresenta. La narrativa Dem / progressista si scontrerà con quella Rep / MAGA. La parola “verità” muterà molto la sua struttura.

Massima amplificazione dei diversi frame, martirologia politica del dramma, un setting degli argomenti da far passare sotto traccia e, ovviamente, una miriade di piccole psy-op interne, che avranno effetti nella legislazione, nella mobilitazione elettorale e nella percezione della vita americana.

La logica della guerra a stelle e strisce – quella con cui si sovvertono gli Stati, si schiacciano le culture e si sovvertono i sistemi –  non mancherà di farsi sentire anche stavolta. Charlie è morto con le sue idee, per le sue idee, e, forse, perché a qualcuno faceva comodo sacrificare lui.

Se vuoi chiamare sangue, se vuoi la guerra, devi dichiarare guerra. E forse ci siamo già.

Charlie è morto con le sue idee, per le sue idee, e, forse, perché a qualcuno faceva comodo sacrificare lui.

Segue nostro Telegram. 

Premessa

Questo articolo non intende esprimere giudizi sulla persona di Charlie Kirk, ucciso il 10 settembre 2025 a Orem, nello Utah, Stati Uniti d’America, durante un comizio politico, colpito da un proiettile esploso da un cecchino situato a distanza.

L’analisi effettuata riguarda i fatti, i dati disponibili e, soprattutto, la dimensione informativa dell’evento. Non troverete tifoserie pro o contro, né tantomeno sensazionalismi o emozioni scomposte.

Probabilmente leggerete alcune cose che daranno fastidio, ma non temete, prima o poi la verità verrà a galla… oppure no.

Esprimiamo per Charlie Kirk e la sua famiglia condoglianze.

Chi fu Charlie Kirk

Charles James “Charlie” Kirk è nato il 14 ottobre 1993 ad Arlington Heights, Illinois, negli Stati Uniti, e cresciuto nei sobborghi di Arlington Heights e Prospect Heights. I suoi genitori svolgono ruoli modesti: la madre è consigliera nel campo della salute mentale; il padre è architetto. Fin da giovane Kirk è stato membro degli Scouts degli Stati Uniti, dove ha raggiunto il grado di Eagle Scout.

Dopo la scuola superiore Wheeling High School, frequentò l’Harper College, un community college in Illinois, ma non portò a termine un titolo di laurea. Scelse di dedicarsi completamente all’attivismo politico, lasciando gli studi universitari. Durante il liceo già si muoveva politicamente: da studente sostenne la campagna per il Senato di Mark Kirk (senatore repubblicano, non imparentato) in Illinois. Inoltre, nel suo anno da senior al liceo prese posizione su questioni locali  e scrisse un articolo per Breitbart News criticando quello che lui percepiva come bias liberale nei libri scolastici.

Bill Montgomery, attivista conservatore associato al movimento Tea Party, fu una figura importante per Kirk: lo conobbe tramite eventi politici giovanili come il Youth Empowerment Day e divenne un mentore nella fase iniziale. Altri donatori conservatori e figure influenti nell’ala destra del partito Repubblicano lo hanno sostenuto, come Foster Friess. Nel corso degli anni Kirk è diventato strettamente associato al movimento conservatore MAGA e al Presidente Donald Trump. Pur non essendo inizialmente un forte sostenitore personale, man mano che Trump saliva nella politica, Kirk allineò le sue attività con esse.

Il suo scopo principale era quello di attrarre sempre più giovani, uomini e donne, verso il voto a destra. Diffondere idee conservatrici all’interno dei campus universitari, contrastare quelle che lui e l’intero universo trumpiano consideravano deviazioni delle ideologie progressiste e quella “propaganda di sinistra” che citava di frequente.

A 18 anni, grazie ai finanziamenti del suo mentore Bill Montgomery, fondò Turning Point USA un’organizzazione creata con l’obiettivo di girare nei college americani e avvicinare più studenti possibili alla destra libertaria statunitense. Le sue doti dialettiche, dimostrate in anni di dibattiti e interventi pubblici, ne hanno consolidato la notorietà, la popolarità e l’appoggio sia tra i giovani che tra un pubblico più maturo.

Con il tempo, TpUSA si è trasformata in una presenza costante nelle università americane, con sezioni diffuse in molti campus: organizza eventi con ospiti conservatori, costruisce una rete nazionale per i leader studenteschi di quell’area politica, individua potenziali elettori “patriottici” e, di fatto, svolge un ruolo assimilabile a una campagna elettorale permanente, una militanza politica vecchio stile.

Parallelamente è cresciuto anche il flusso di donazioni – sia di piccolo che di grande importo – a favore dell’organizzazione. Nel 2012, primo anno, l’incasso fu di 78.890 dollari: una cifra relativamente contenuta nel panorama delle organizzazioni politiche americane, ma significativa se si considera che si trattava di un’iniziativa appena nata, guidata da un 18enne quasi sconosciuto. Da lì in avanti, la crescita è stata continua ed esponenziale.

Nel 2015 l’associazione dichiarò entrate per 2,05 milioni di dollari; nel 2017 il dato superava già gli 8 milioni; nel 2019 il bilancio toccava i 28,6 milioni. Nel 2022 le entrate superarono gli 80 milioni, fino ad arrivare, nel 2024, a poco meno di 85 milioni di dollari. Essendo una realtà non profit, il 99,2% di questi introiti proveniva da contributi e donazioni, a fronte però di spese altrettanto consistenti, che nel 2024 ammontavano a circa 81 milioni.

I dati disponibili mostrano come, nel 2024, i principali compensi erogati da TpUSA siano andati a sette dirigenti, tra cui il manager John McGovern (circa 420mila dollari) e lo stesso presidente Charles Kirk (quasi 286mila dollari). L’elenco ufficiale dei finanziatori non è pubblico, ma negli anni i fondi sono arrivati da ricche famiglie repubblicane, esponenti del GOP, politici nazionali, fondazioni di orientamento libertario e conservatore.

Un esempio è il Donors Trust, che protegge l’anonimato dei propri sostenitori e che ha versato all’organizzazione 906mila dollari. Nel 2022, invece, ben 8 milioni sono stati donati dalla Lynde and Harry Bradley Foundation, una delle fondazioni più attive nel supporto al sionismo e nella lotta ideologica contro l’Islam. Inoltre, i grandi eventi di fundraising organizzati da Kirk hanno raccolto migliaia di partecipanti, disposti a pagare cifre di diverse migliaia di dollari per prendere parte alle serate.

Fra le interessanti attività di Kirk c’è la Professor Watchlist e lo School Board Watchlist, che segnalano professori o consigli scolastici ritenuti “di sinistra”, contrari ai valori conservatori, una sorta di lista di proscrizione in perfetto stile Neocon americano. Il solito soft power culturale statunitense, niente di nuovo.

Ovviamente, per ragioni generazionali – era un Millennial rivolto a un pubblico Gen Z – aveva dato il via ad una sua carriera mediatica, con il The Charlie Kirk Show e la tournée You’re Being Brainwashed Tour, due armi mediatiche ben calibrate per diffondere la narrativa Neocon, calcando i temi caldi del mondo conservatore: famiglia, patria, etnia, liberalismo.

Purtroppo, per Charlie la vita si è conclusa con un tragico attentato mentre parlava ai giovani, facendo ciò che amava.

Il sostegno a Israele, l’odio al mondo arabo

Proprio riguardo il mondo Neocon, Charlie non mancava di assolvere in pieno tutti i requisiti necessari.

La fissazione per il messianismo “à l’americaine” era una costante dei suoi interventi, sia in pubblico che sui social media.

Israele era una questione esistenziale, come si addice ad ogni Protestante Evangelico, convinti come sono di dover combattere per la ricostruzione del Tempio a Gerusalemme affinché possa tornare finalmente Cristo il Messia, giustificando quindi l’entità sionista e i suoi crimini come “mali necessari”. Non a caso, alla sua morte il primo sostegno è arrivato proprio da Bibi Netanyahu e da veri commentatori sionisti, sia in America che all’

Il 29 luglio scorso aveva dedicato un intero episodio del suo talk show al “debunking” della notizia che Israele stava affamando Gaza, sostenendo che non solo fosse tutto falso, ma che si trattasse di una fake news diffusa dai media islamici per attaccare “l’Asse del Bene” USA-Israele.

Il suo personale legame con Israele lo aveva portato addirittura ad una sorta di conversione: “Israel changed my life. Strengthened my faith, made the Bible pop into reality, and gave me the most precious memories with Erika”. Poco importa se il Talmud su Gesù Cristo ci sputa sopra, a lui interessava essere un buon cristiano americano. Durante una visita a Gerusalemme nel 2019 ha detto: “I’m very pro-Israel … and my whole life I have defended Israel.” Nell’agosto 2025 ha detto: “I have a bulletproof resumé showing my defense of Israel … I believe in the scriptural land rights given to Israel. I believe in fulfilment of prophecy”, e ha aggiunto che avrebbe “fight for” Israel.

Si è opposto a una legge bipartisan per estendere le norme anti-BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni verso Israele), sostenendo che possa alimentare antisemitismo o narrazioni che “Israele controlla il governo USA”.

Ha appoggiato la repressione repubblicana delle proteste filopalestinesi del 2024 nei campus universitari e nell’aprile 2025 ha respinto gli sforzi dell’amministrazione Trump di punire gli studenti filopalestinesi nei campus come un attacco alla libertà di parola, accusando ovviamente i filopalestinesi di “antisemitismo”. In maniera molto intelligente, si era però opposto al coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra Iran-Israele.[192]

Sebbene Kirk fosse un convinto difensore di Israele, condivideva infatti anche alcune opinioni critiche sul governo israeliano. Poco dopo gli attacchi del 7 ottobre aveva promosso una teoria – tutta americana – secondo cui il governo israeliano sapeva che Hamas avrebbe lanciato l’attacco e che Netanyahu lo aveva permesso come parte di un piano per rimanere al potere. Poco prima della sua morte, aveva persino osato affermare che Jeffrey Epstein fosse stato un agente dei servizi segreti israeliani. Effettivamente è proprio dopo queste affermazioni ed una non chiara revisione sulle sue posizioni sioniste che Kirk è stato assassinato.

Evidentemente, per il “buon cristiano” Charlie i palestinesi non godevano degli stessi diritti umani degli altri, indistintamente fra uomini, donne e bambini, perché, si sa, la colpa è loro che occupano una terra che per biblico mandato dal Dio dell’Antico Testamento – lo stesso che ordinava agli israeliti di invadere e sterminare quelle terre? – appartiene agli ebrei, ma non a tutti, a quelli sionisti ovviamente, quelli che hanno capito come deve andare il mondo.

Una ipocrisia, questa, perfettamente americana, perfettamente politica. Non si è dimostrato diverso da nessuno dei suoi camerati di partito o politici anche di noto nome, da Trump ai suoi predecessori.

Kirk, da buon figlio della psy-op nota come 9/11, non poteva non essere anti islamico e anti arabo. Forse nemmeno sapeva la differenza fra le due cose. In compenso si dichiarava contrario all’antisemitismo, non sapendo che anche gli arabi sono semiti, ma poco importa, negli Stati Uniti la verità dei fatti è sempre contata poco.

Assad, per esempio, era appellato come “un animale”, a cui augurava di finire come le presunte vittime civili del suo cosiddetto regime dittatoriale. Similmente avveniva riguardo l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran. Insomma, tutto quello che era “quella roba araba là, dove la gente ha la barba e il turbante in testa” era da fare fuori, insegnandogli la democrazia a suon di bombe.

La sua partecipazione alle conferenze anti-islamiche, come quella del ACT For America, era un’attività ordinaria. A quale pro? Alla dottrina militare conservatrice che considera la distruzione di Paesi che si trovano a 8000 chilometri di distanza una questione di “sicurezza nazionale”, è ovvio. Chi di voi non si sente minacciato da qualcuno che vive dall’altra parte del mondo? Se questo qualcuno, poi, ha un sacco di petrolio, meglio ancora.

Armi per tutti

Le armi, in tutto ciò, giocano un ruolo pedagogico.

Nel 2023, una settimana dopo che tre bambini erano stati uccisi in una sparatoria a scuola a Nashville, aveva detto che i morti per le armi da fuoco sono “purtroppo” il prezzo che gli americano pagano per il II Emendamento, ma un prezzo “degno”.

Anche in questo caso, niente di nuovo sul fronte americano: il possesso di armi è uno dei principi “sacri” per una nazione nata sulla guerra e sulla violenza, che dalla sua fondazione ha diffuso nel mondo solo guerre e morte. Il mondo conservatore ha sempre fatto delle armi un cavallo di battaglia, nonostante siano proprio le armi a causare ogni anno la morte di più di 2.500 bambini, con una media di 200 sparatorie ogni anno nelle scuole, superando le 18.000 vittime di media all’anno per sparatorie da parte di civili armati. Se non si sapesse che è l’America, si dovrebbe pensare, a buon senso, che si tratta di un Paese in una costante guerra civile, legalizzata in Costituzione. Un modello di civiltà da esportare, no?

Quello che è avvenuto nello Utah, per quanto tragico, è uno scenario fin troppo usuale negli Stati Uniti. Il problema sono sì le armi, come dice la sinistra Dem, ma anche gli americani in generale, perché le armi non si sparano da sole. Un Paese che legalizza la possibilità di uccidere in grande libertà in qualsiasi momento da parte di chiunque, non può che aspettarsi una marea di morti.

“Alcune morti legate alle armi ogni anno sono un prezzo accettabile per preservare il Second Amendment e altri diritti dati da Dio”, ripeteva a un Faith Event di TpUSA nel 2023. Diritti dati da Dio. Questo è lo spirito da patriota americano. Il diritto di uccidere, di educare alla violenza, di imporre morte, distruzione, egemonia in tutto il mondo, perché ci si sente investiti dal mandato divino. “Avere cittadini armati ha un prezzo – diceva – ed è parte della libertà”, invitando a portare armi con sé persino al supermercato, come aveva affermato in un episodio di ottobre 2023 del suo talk show.

Chissà se Charlie era davvero tanto contento di far vivere i suoi figli in un Paese in cui vivere una sparatoria mentre sei a scuola è una cosa considerata “normale”, o andando a comprare il gelato trovi qualche cliente con un fucile carico in spalla. Era questo il futuro che veniva predicato per i giovani d’America.

Perché Charlie si definiva un pro-life, anche se, logica linguistica alla mano, era più un pro-birth che un pro life. La vita o la difendi tutta, o altrimenti difenderla solo all’inizio per poi liberalizzarne la distruzione, e addirittura considerare alcune vite più dignitose di altre, non è molto coerente. Certamente la sua attività politica a favore dei cosiddetti “valori tradizionali” è stata eccezionale. Ma di quali valori parliamo? Qui la confusione regna, perché la perversione dell’ontologia e della epistemologia dei valori “tradizionali” è al centro della manipolazione morale della politica americana. Un inganno, questo, che vedo ora molti cristiani, soprattutto cattolici, piangere per la morte di Charlie. Perché occorre analizzare bene di quali valori stiamo veramente parlando: i valori dell’America, del cristianesimo sionista neocon, non hanno niente a che fare col Vangelo e con Cristo.

L’omicidio per decapitazione e alcuni dati oscuri

Al di là di come la si pensi, quello che è successo a Charlie è una tragedia. Questa tipologia di attentati con omicidio, però, non è affatto per dilettanti. Non entreremo nel dettaglio tecnico di quanto accaduto, perché ancora mancano molti dati e i servizi federali non hanno ancora rilasciato informazioni rilevanti. Si sa che il cecchino era piuttosto lontano e che ha colpito al collo.

Una decapitazione, letteralmente. Un colpo che ha un enorme effetto mediatico, perché produce molto sangue. Decapitare come si decapita un condannato a morte o un avversario politico. Chi ha organizzato questo, lo ha fatto con uno scopo ben preciso.

Non è facile colpire in un punto così ristretto del corpo da una tale distanza, tanto che i primi commentatori militari che hanno visionato le riprese del tragico evento, hanno commentato che si trattasse sicuramente di un tiratore addestrato, che ha seguito una tipologia di esecuzione che ricorda molto quello delle forze speciali e dei servizi segreti.

Perché, infatti, decapitare davanti alle videocamere? Semplice: perché si vuole dare un messaggio, lasciare un segno e scatenare una reazione.

Non a caso, tutta la modalità è stata pressoché identica a quella del presunto attentato a Donald Trump. Vi ricordate, quando gli venne sparato un colpo che “miracolosamente” deviò e colpì l’orecchio, mentre lui alzava la mano vittorioso con i fotografi pronti a immortalare la posa del secolo? Stessa dinamica: comizio politico, molta gente, grande effetto per i mass media. I mandanti e gli esecutori di questo atto infame sapevano benissimo cosa stavano facendo.

È curioso anche che la città dove si svolgeva l’evento, Orem, sia una cittadini ci grande importanza per il mondo ebraico sionista e per le comunità dei mormoni, già nota per essere molto pericolosa per la criminalità e le sparatorie. Orem, in ebraico, secondo la gematria cabalistica, ha un valore particolare. La somma delle lettere Alef, Vav, Resh e Mem porta il numero 247, il numero del “passo prima del compimento”, e la parola Orem significa “Luce che si incarna nel mondo”, non a caso quella di Lucifero, il portatore di Luce.

Astrologicamente, l’evento è accaduto fra due eclissi che portano enorme scompiglio (7 settembre e 21 settembre) con enormi conseguenze sull’ampliamento della violenza globale e forti instabilità. La congiunzione selezionata, che qui non riportiamo per necessità di brevità, considerando l’omicidio al giorno 10 settembre ore 12:23 PM MDT, vedo una lezione collettiva che spingerà ad una analisi del mondo interno, in modo analitico, con una forte escalation collettiva e reazioni forti, date dalla sensazione di mancanza di protezione e radicamento, che invocano la difesa dei valori e della terra. Tutto ciò con un rischio di strumentalizzazione e distorsione dei messaggi, discussi in maniera massiccia e quindi non chiara e attenta, aumentato la dicotomia contrastante fra critica e polemica. L’azione violenta assume una cornice simbolica di giustizia percepita in maniera disarmonica, polarizzandone le conseguenze in senso politico. E, ancora, la fine di un ciclo di forte intensità, che si conclude in maniera drammatica con conseguenze fatali, date anche dal prevedibile atto improvviso all’interno di una comunità ampia.

È un passaggio epocale fra dinamiche di potere, che con questo sacrificio umano viene inaugurato, con un effetto collettivo che i mandanti dell’omicidio conoscevano già in precedenza. Charlie non è stato ucciso a caso.

La chance politica di Trump

Sangue versato che chiama altro sangue. Adesso Donald Trump ha un assist importante per adottare politiche già preannunciate, scansandosi dai Dem che politicamente ne escono molto indeboliti. La prima impressione narrativa è stata infatti quella di un omicidio in odio alle idee. Trump ora potrà potenziare la politiche di controllo e sorveglianza, velocizzando la repressione nei confronti degli avversari, della criminalità organizzata, dell’immigrazione clandestina e delle politiche della sinistra americana.

L’evento si colloca a distanza di pochi giorni dall’omicidio della ragazza ucraina Iryna Zarutska, che ha suscitato forte rabbia ed ha innalzato il clima di tensione, culminato con l’attentato a Charlie, proprio alle porte dell’11 settembre.

Tre giorni di fuoco. Tre giorni di sangue, Tre giorni di vendetta.

Politicamente parlando, adesso Trump ha una legittimazione popolare ben diversa da prima e potrà cavalcare l’onda della rabbia e del malcontento. La necessaria, come più volte spiegato, guerra civile negli USA potrebbe essere alle porte. Una guerra che è già presente da anni ma tenuta sotto traccia, senza spazio mediatico, in un Paese al collasso.

L’America sta pagando il prezzo – karma, vogliamo chiamarlo così? – delle sue azioni, in tutti i livelli della società, anche nei suoi omini politici.

Senza la distruzione del sistema americano, non potrà mai sorgere una civiltà americana.

Le prossime mosse di Trump per la situazione domestica saranno determinanti anche per quelle all’esterno. Il mondo sta osservando l’accaduto.

Mr President ha già commentato a più riprese il tragico evento, assicurando che Charlie sarà premiato come eroe nazionale, mossa che consolida un fronte MAGA molto diviso e in conflitto, riaffermando il dominio di Trump in una condizione di “emergenza”.

Il valore di questo evento nell’infowarfare statunitense

Cerchiamo ora, in conclusione, di dare una rapida ma precisa lettura dell’evento sotto il profilo dell’infowarfare. Attenzione, non si tratta di soffermarsi sulla cronaca e nemmeno sulla morale di essa, bensì di comprendere come funziona, in una logica di guerra, quanto accaduto. Gli USA amano questo genere di eventi, ne hanno spesso inventati a tavolino. La dimensione cognitiva è al cuore di almeno 70 anni di modo di fare guerra.

Charlie rappresenta il soggetto perfetto per una cosa del genere: era giovane, sposato, padre di famiglia, aveva molto seguito fra i giovani, era un patriota americano, sosteneva il Presidente, credeva nei “valori” fondativi degli Stati Uniti d’America. Il curriculum perfetto. Uccidere Charlie significava attaccare un certo modello di America, un certo pensiero, un condensato di idee nobili e coraggiose, in un mondo occidentale in rovina e declino inesorabile.

La gestione del frame comunicativo sta avvenendo secondo schemi piuttosto classici. Il colpevole c’è e non c’è, è un ragazzo giovane e malato psichiatrico, poi è un transessuale impazzito, poi ancora un anziano deluso. Non è importante chi è, è importante che si mantenga la tensione alta, andando a caccia del sospettato. Tutta la popolazione deve restare in allerta, con un livello di cortisolo sufficientemente stressante da abbassare le difese cognitive e lasciar entrare le informazioni selezionate dai costruttori della narrativa.

Guardate, ad esempio, il mondo cristiano, anche in Europa: tutti fan di Charlie, all’improvviso, in una sorta di isteria collettiva, commentata da chiunque, con produzione di materiale multimediale in sovrabbondanza. Una rapida saturazione dell’infosfera. Charlie è divenuto un santo, addirittura un martire, scomodando quindi una vasta gamma di emozioni e di idee nell’immaginario collettivo. Con così tanto materiale, è facilissimo lavorare nella manipolazione.

Charlie viene usato come modello-eroe-martire, in una condizione di imminente collasso o rivoluzione, dove la dicotomia delle visioni politiche viene rapidamente esasperata fino all’insostenibilità, mantenendosi sempre sul bordo del perimetro, laddove la gente crede di avere il controllo e di poter fuoriuscire ma in realtà è ancora dentro alla gabbia cognitiva. I fanatismi vengono accentuati: o pro o contro, esattamente come succede sempre.

Il coinvolgimento di influencers, politici e specifici gruppi topici è fondamentale per definire i contorni e riempire di contenuti il frame narrativo. Ce ne è per tutti, non preoccupatevi. Charlie in ogni caso verrà celebrato, sia dai “lovers” che dagli “haters”, rientrando subito nelle categorie gestite dal potere. L’effettiva cattura del vero attentatore, la eventuale pista israeliana o ucraina o americana, sono tutti dettagli secondari che potranno essere amministrati comodamente in un secondo momento.

È incredibile anche come la notizia abbia affetto rapidamente i media europei, diventando l’argomento principale. In Paesi come l’Italia, affetta da un senso di inferiorità e di servilismo nei confronti degli USA, tutti hanno cominciato a parlare solo di quello, dimostrando che le notizie americane valgono più di quelle italiane. Evidentemente c’è così molta povertà di argomenti.

Imbarazzante anche come il mondo cattolico abbia sentito l’urgenza di ergere un americano a modello dei propri valori, aizzando battaglie contro i suoi aguzzini, anche se nessuno li ha ancora identificati e, probabilmente, saranno ancora una volta gli stessi uomini del sistema che poi i cattolici stessi vanno a votare. Di esempi di questo tipo ne abbiamo a bizzeffe. Curioso, però, che non abbiano speso tanta fatica per denunciare il genocidio dei palestinesi, molti dei quali sono cristiani cattolici e coi quali c’è una continuità di modelli di civiltà, preferendo invece dei protestanti neocon sionisti dall’altra parte del mondo, distanti anni luce di civiltà.

Con questa mossa, piaccia o no, gli USA fanno un balzo avanti nel contesto internazionale e si rendono trendsetter rispetto alla soluzione di un problema che affligge molti Stati dell’Occidente. Charlie verrà usato come icona di un certo tipo di valori e di una battaglia contro un altro tipo di valori. È un simbolo, e i simboli controllano l’immaginario e il linguaggio con cui costruiamo le nostre idee, i ragionamenti, i paradigmi percettivi con cui interpretiamo la realtà.

Nelle prossime ore vedremo la saturazione nei media mainstream, ma anche sui social network e nella contro-informazione. Molti attori politici sfrutteranno la notizia, soprattutto i candidati per le posizioni importanti. Vedremo anche NGO e Think Tank rilasciare report e analisi per legittimare la versione del discorso, sia a favore Charlie che contro Charlie, o meglio ciò che adesso lui rappresenta. La narrativa Dem / progressista si scontrerà con quella Rep / MAGA. La parola “verità” muterà molto la sua struttura.

Massima amplificazione dei diversi frame, martirologia politica del dramma, un setting degli argomenti da far passare sotto traccia e, ovviamente, una miriade di piccole psy-op interne, che avranno effetti nella legislazione, nella mobilitazione elettorale e nella percezione della vita americana.

La logica della guerra a stelle e strisce – quella con cui si sovvertono gli Stati, si schiacciano le culture e si sovvertono i sistemi –  non mancherà di farsi sentire anche stavolta. Charlie è morto con le sue idee, per le sue idee, e, forse, perché a qualcuno faceva comodo sacrificare lui.

Se vuoi chiamare sangue, se vuoi la guerra, devi dichiarare guerra. E forse ci siamo già.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

See also

September 13, 2025

See also

September 13, 2025
The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.