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Giulio Chinappi
September 8, 2025
© Photo: Public domain

L’80° anniversario dell’indipendenza offre l’occasione per tracciare un bilancio di ottant’anni di politica estera vietnamita, mostrando come la diplomazia sia divenuta pilastro strategico nel corso del tempo, passando dalla sopravvivenza alla proiezione regionale e globale, sempre sotto la guida del Partito Comunista.

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La storia della diplomazia vietnamita è una storia di adattamento permanente. Nata in condizioni estremamente difficili, con il giovane Stato che nel 1945 dovette confrontarsi subito con l’occupazione straniera e con l’urgenza del riconoscimento internazionale, la pratica della politica estera ha accompagnato passo dopo passo la costruzione dello Stato e la protezione della sua sovranità. Già nelle prime fasi, la lezione di Hồ Chí Minh fu chiara: la diplomazia non è un semplice complemento delle operazioni militari, ma uno strumento insostituibile per ottenere spazi di manovra, alleanze, tregue e tempo politico. I negoziati del 1946 e, più tardi, gli accordi di Ginevra del 1954 e di Parigi del 1973 illustrano come la dialettica tra resistenza armata e ragionamento diplomatico abbia consentito al Paese di trasformare vittorie militari in risultati politici di lungo periodo.

Dopo l’indipendenza, la seconda metà del Novecento è stata segnata da un doppio movimento: consolidamento interno e ricerca di legittimità esterna. In seguito alla riunificazione del 1975, poi, la priorità divenne la ricostruzione e la normalizzazione internazionale, ma fu solo con l’avvio delle politiche di Đổi Mới (Rinnovamento), nel 1986, che la diplomazia assunse una veste nuova e decisiva per lo sviluppo economico. Le riforme economiche, infatti, non furono un avvenimento esclusivamente interno, ma avvennero in congiunzione con l’apertura al mondo, la negoziazione di condizioni per gli investimenti stranieri, l’accesso ai mercati e, soprattutto, la riscrittura di relazioni bilaterali e multilaterali che potessero sostenere una crescita stabile. Le riforme aprirono dunque la strada all’ingresso nell’ASEAN nel 1995, alla normalizzazione delle relazioni con i paesi occidentali e, infine, l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2007, tutte tappe che hanno segnato la transizione del Paese da soggetto in gran parte isolato a attore inserito nelle reti economiche globali.

Nel corso degli ultimi decenni, la diplomazia vietnamita ha consolidato una strategia che fonde principi costanti e approcci flessibili. Il principio costante è la difesa degli interessi fondamentali della Patria: sovranità, unità territoriale e indipendenza. L’approccio flessibile si traduce invece nella diversificazione dei partner, nel multilateralismo e nella capacità di negoziare contemporaneamente e con equilibrio rapporti con tutte le principali grandi potenze. Questa duplice caratteristica ha permesso a Hà Nội di sviluppare partenariati strategici globali con tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma senza sacrificare l’autonomia strategica: un equilibrio politico che è stato spesso definito come la capacità di bilanciare, più che allinearsi. È una strategia che ha finito per aumentare il peso negoziale del Việt Nam in molte sedi multilaterali, tanto da permettergli candidature e ruoli di rilievo, compresa la ripetuta elezione a membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

In aggiunta, vale la pena sottolineare che un elemento cruciale della svolta diplomatica è stato l’impiego della cosiddetta diplomazia economica. Incentivare investimenti, attrarre tecnologia e aprire nuovi mercati sono diventati obiettivi sistematici della politica estera vietnamita. Negli ultimi anni, in particolare, il Việt Nam ha firmato numerosi accordi di libero scambio, ha integrato le catene globali del valore e si è collocato come hub produttivo regionale. La dimensione economica non è però separata dalla politica, in quanto la capacità di negoziare condizioni favorevoli per investimenti e progetti infrastrutturali ha richiesto una diplomazia capace di tessere relazioni stabili e affidabili con governi e imprese internazionali.

Il ruolo delle istituzioni politiche e, in primo luogo, del Partito Comunista è centrale in questa narrazione. La diplomazia vietnamita non è mai stata lasciata al solo apparato ministeriale, in quanto la regia del Partito ha assicurato continuità di visione, coordinamento tra attori interni e un rapido adattamento alle nuove priorità strategiche. Il principio della cooperazione stretta tra diplomazia del Partito, diplomazia dello Stato e diplomazia popolare è divenuto una formula pratica per allineare obiettivi politici, economici e culturali. Questo modello ha permesso di trasformare le visite di Stato, i vertici multilaterali e le iniziative culturali in strumenti coerenti di politica estera, sfruttando la centralità politica del Partito per dare impulso e sostenibilità ai progetti internazionali.

Negli ultimi anni, poi, con l’accresciuta complessità geopolitica dell’Indo-Pacifico, la diplomazia vietnamita ha dovuto ulteriormente innalzare la propria sofisticazione strategica. La gestione dei rapporti con la Cina è l’esempio più emblematico di questa complessità, con Pechino che è un partner economico fondamentale per il Việt Nam, con il quale tuttavia permangono le tensioni relative al Mar Cinese Meridionale. Hà Nội ha dunque sviluppato un approccio duplice: intensificazione della cooperazione economica e infrastrutturale, insieme a un rafforzamento della capacità negoziale e a una più attenta tutela degli interessi marittimi. Saper mantenere relazioni robuste con la Cina, senza diventare dipendenti e preservando la propria sovranità, è stata e resta una sfida diplomatica che richiede equilibrio, pazienza e senso di lunga scadenza.

Contestualmente, il Việt Nam ha lavorato per rafforzare legami con altri attori regionali e globali, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, passando per Giappone, Corea del Sud, Russia e gli altri membri dell’ASEAN. Come sottolineato in precedenza, la pluralità dei partner è voluta, in quanto essa amplia lo spazio di manovra strategico e garantisce resilienza economica e politica. Il Paese ha inoltre incrementato il proprio ruolo in organismi multilaterali, utilizzando tali piattaforme per promuovere una visione di governance internazionale fondata sul diritto e sulla cooperazione. Il sostegno ai processi multilaterali e la partecipazione attiva in istituzioni globali hanno contribuito a elevare la reputazione internazionale del Việt Nam, proiettandolo come interlocutore responsabile e pragmatico.

Oggi, infine, la modernizzazione della diplomazia passa anche per nuovi strumenti. La digitalizzazione, la diplomazia pubblica, la capacità di comunicare efficacemente in contesti globali competitivi sono diventati elementi imprescindibili. Il governo ha investito nella formazione di nuove generazioni di diplomatici, capaci di muoversi tanto nelle sfere tradizionali della negoziazione quanto nei nuovi spazi della diplomazia tecnologica e culturale. La protezione dei cittadini all’estero, il rafforzamento dei servizi consolari e il potenziamento della rete di ambasciate e missioni sono componenti pratiche di questa strategia più ampia.

Ottant’anni di diplomazia vietnamita, tra continuità strategica e trasformazioni pragmatiche

L’80° anniversario dell’indipendenza offre l’occasione per tracciare un bilancio di ottant’anni di politica estera vietnamita, mostrando come la diplomazia sia divenuta pilastro strategico nel corso del tempo, passando dalla sopravvivenza alla proiezione regionale e globale, sempre sotto la guida del Partito Comunista.

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La storia della diplomazia vietnamita è una storia di adattamento permanente. Nata in condizioni estremamente difficili, con il giovane Stato che nel 1945 dovette confrontarsi subito con l’occupazione straniera e con l’urgenza del riconoscimento internazionale, la pratica della politica estera ha accompagnato passo dopo passo la costruzione dello Stato e la protezione della sua sovranità. Già nelle prime fasi, la lezione di Hồ Chí Minh fu chiara: la diplomazia non è un semplice complemento delle operazioni militari, ma uno strumento insostituibile per ottenere spazi di manovra, alleanze, tregue e tempo politico. I negoziati del 1946 e, più tardi, gli accordi di Ginevra del 1954 e di Parigi del 1973 illustrano come la dialettica tra resistenza armata e ragionamento diplomatico abbia consentito al Paese di trasformare vittorie militari in risultati politici di lungo periodo.

Dopo l’indipendenza, la seconda metà del Novecento è stata segnata da un doppio movimento: consolidamento interno e ricerca di legittimità esterna. In seguito alla riunificazione del 1975, poi, la priorità divenne la ricostruzione e la normalizzazione internazionale, ma fu solo con l’avvio delle politiche di Đổi Mới (Rinnovamento), nel 1986, che la diplomazia assunse una veste nuova e decisiva per lo sviluppo economico. Le riforme economiche, infatti, non furono un avvenimento esclusivamente interno, ma avvennero in congiunzione con l’apertura al mondo, la negoziazione di condizioni per gli investimenti stranieri, l’accesso ai mercati e, soprattutto, la riscrittura di relazioni bilaterali e multilaterali che potessero sostenere una crescita stabile. Le riforme aprirono dunque la strada all’ingresso nell’ASEAN nel 1995, alla normalizzazione delle relazioni con i paesi occidentali e, infine, l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2007, tutte tappe che hanno segnato la transizione del Paese da soggetto in gran parte isolato a attore inserito nelle reti economiche globali.

Nel corso degli ultimi decenni, la diplomazia vietnamita ha consolidato una strategia che fonde principi costanti e approcci flessibili. Il principio costante è la difesa degli interessi fondamentali della Patria: sovranità, unità territoriale e indipendenza. L’approccio flessibile si traduce invece nella diversificazione dei partner, nel multilateralismo e nella capacità di negoziare contemporaneamente e con equilibrio rapporti con tutte le principali grandi potenze. Questa duplice caratteristica ha permesso a Hà Nội di sviluppare partenariati strategici globali con tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma senza sacrificare l’autonomia strategica: un equilibrio politico che è stato spesso definito come la capacità di bilanciare, più che allinearsi. È una strategia che ha finito per aumentare il peso negoziale del Việt Nam in molte sedi multilaterali, tanto da permettergli candidature e ruoli di rilievo, compresa la ripetuta elezione a membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

In aggiunta, vale la pena sottolineare che un elemento cruciale della svolta diplomatica è stato l’impiego della cosiddetta diplomazia economica. Incentivare investimenti, attrarre tecnologia e aprire nuovi mercati sono diventati obiettivi sistematici della politica estera vietnamita. Negli ultimi anni, in particolare, il Việt Nam ha firmato numerosi accordi di libero scambio, ha integrato le catene globali del valore e si è collocato come hub produttivo regionale. La dimensione economica non è però separata dalla politica, in quanto la capacità di negoziare condizioni favorevoli per investimenti e progetti infrastrutturali ha richiesto una diplomazia capace di tessere relazioni stabili e affidabili con governi e imprese internazionali.

Il ruolo delle istituzioni politiche e, in primo luogo, del Partito Comunista è centrale in questa narrazione. La diplomazia vietnamita non è mai stata lasciata al solo apparato ministeriale, in quanto la regia del Partito ha assicurato continuità di visione, coordinamento tra attori interni e un rapido adattamento alle nuove priorità strategiche. Il principio della cooperazione stretta tra diplomazia del Partito, diplomazia dello Stato e diplomazia popolare è divenuto una formula pratica per allineare obiettivi politici, economici e culturali. Questo modello ha permesso di trasformare le visite di Stato, i vertici multilaterali e le iniziative culturali in strumenti coerenti di politica estera, sfruttando la centralità politica del Partito per dare impulso e sostenibilità ai progetti internazionali.

Negli ultimi anni, poi, con l’accresciuta complessità geopolitica dell’Indo-Pacifico, la diplomazia vietnamita ha dovuto ulteriormente innalzare la propria sofisticazione strategica. La gestione dei rapporti con la Cina è l’esempio più emblematico di questa complessità, con Pechino che è un partner economico fondamentale per il Việt Nam, con il quale tuttavia permangono le tensioni relative al Mar Cinese Meridionale. Hà Nội ha dunque sviluppato un approccio duplice: intensificazione della cooperazione economica e infrastrutturale, insieme a un rafforzamento della capacità negoziale e a una più attenta tutela degli interessi marittimi. Saper mantenere relazioni robuste con la Cina, senza diventare dipendenti e preservando la propria sovranità, è stata e resta una sfida diplomatica che richiede equilibrio, pazienza e senso di lunga scadenza.

Contestualmente, il Việt Nam ha lavorato per rafforzare legami con altri attori regionali e globali, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, passando per Giappone, Corea del Sud, Russia e gli altri membri dell’ASEAN. Come sottolineato in precedenza, la pluralità dei partner è voluta, in quanto essa amplia lo spazio di manovra strategico e garantisce resilienza economica e politica. Il Paese ha inoltre incrementato il proprio ruolo in organismi multilaterali, utilizzando tali piattaforme per promuovere una visione di governance internazionale fondata sul diritto e sulla cooperazione. Il sostegno ai processi multilaterali e la partecipazione attiva in istituzioni globali hanno contribuito a elevare la reputazione internazionale del Việt Nam, proiettandolo come interlocutore responsabile e pragmatico.

Oggi, infine, la modernizzazione della diplomazia passa anche per nuovi strumenti. La digitalizzazione, la diplomazia pubblica, la capacità di comunicare efficacemente in contesti globali competitivi sono diventati elementi imprescindibili. Il governo ha investito nella formazione di nuove generazioni di diplomatici, capaci di muoversi tanto nelle sfere tradizionali della negoziazione quanto nei nuovi spazi della diplomazia tecnologica e culturale. La protezione dei cittadini all’estero, il rafforzamento dei servizi consolari e il potenziamento della rete di ambasciate e missioni sono componenti pratiche di questa strategia più ampia.

L’80° anniversario dell’indipendenza offre l’occasione per tracciare un bilancio di ottant’anni di politica estera vietnamita, mostrando come la diplomazia sia divenuta pilastro strategico nel corso del tempo, passando dalla sopravvivenza alla proiezione regionale e globale, sempre sotto la guida del Partito Comunista.

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La storia della diplomazia vietnamita è una storia di adattamento permanente. Nata in condizioni estremamente difficili, con il giovane Stato che nel 1945 dovette confrontarsi subito con l’occupazione straniera e con l’urgenza del riconoscimento internazionale, la pratica della politica estera ha accompagnato passo dopo passo la costruzione dello Stato e la protezione della sua sovranità. Già nelle prime fasi, la lezione di Hồ Chí Minh fu chiara: la diplomazia non è un semplice complemento delle operazioni militari, ma uno strumento insostituibile per ottenere spazi di manovra, alleanze, tregue e tempo politico. I negoziati del 1946 e, più tardi, gli accordi di Ginevra del 1954 e di Parigi del 1973 illustrano come la dialettica tra resistenza armata e ragionamento diplomatico abbia consentito al Paese di trasformare vittorie militari in risultati politici di lungo periodo.

Dopo l’indipendenza, la seconda metà del Novecento è stata segnata da un doppio movimento: consolidamento interno e ricerca di legittimità esterna. In seguito alla riunificazione del 1975, poi, la priorità divenne la ricostruzione e la normalizzazione internazionale, ma fu solo con l’avvio delle politiche di Đổi Mới (Rinnovamento), nel 1986, che la diplomazia assunse una veste nuova e decisiva per lo sviluppo economico. Le riforme economiche, infatti, non furono un avvenimento esclusivamente interno, ma avvennero in congiunzione con l’apertura al mondo, la negoziazione di condizioni per gli investimenti stranieri, l’accesso ai mercati e, soprattutto, la riscrittura di relazioni bilaterali e multilaterali che potessero sostenere una crescita stabile. Le riforme aprirono dunque la strada all’ingresso nell’ASEAN nel 1995, alla normalizzazione delle relazioni con i paesi occidentali e, infine, l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2007, tutte tappe che hanno segnato la transizione del Paese da soggetto in gran parte isolato a attore inserito nelle reti economiche globali.

Nel corso degli ultimi decenni, la diplomazia vietnamita ha consolidato una strategia che fonde principi costanti e approcci flessibili. Il principio costante è la difesa degli interessi fondamentali della Patria: sovranità, unità territoriale e indipendenza. L’approccio flessibile si traduce invece nella diversificazione dei partner, nel multilateralismo e nella capacità di negoziare contemporaneamente e con equilibrio rapporti con tutte le principali grandi potenze. Questa duplice caratteristica ha permesso a Hà Nội di sviluppare partenariati strategici globali con tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma senza sacrificare l’autonomia strategica: un equilibrio politico che è stato spesso definito come la capacità di bilanciare, più che allinearsi. È una strategia che ha finito per aumentare il peso negoziale del Việt Nam in molte sedi multilaterali, tanto da permettergli candidature e ruoli di rilievo, compresa la ripetuta elezione a membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

In aggiunta, vale la pena sottolineare che un elemento cruciale della svolta diplomatica è stato l’impiego della cosiddetta diplomazia economica. Incentivare investimenti, attrarre tecnologia e aprire nuovi mercati sono diventati obiettivi sistematici della politica estera vietnamita. Negli ultimi anni, in particolare, il Việt Nam ha firmato numerosi accordi di libero scambio, ha integrato le catene globali del valore e si è collocato come hub produttivo regionale. La dimensione economica non è però separata dalla politica, in quanto la capacità di negoziare condizioni favorevoli per investimenti e progetti infrastrutturali ha richiesto una diplomazia capace di tessere relazioni stabili e affidabili con governi e imprese internazionali.

Il ruolo delle istituzioni politiche e, in primo luogo, del Partito Comunista è centrale in questa narrazione. La diplomazia vietnamita non è mai stata lasciata al solo apparato ministeriale, in quanto la regia del Partito ha assicurato continuità di visione, coordinamento tra attori interni e un rapido adattamento alle nuove priorità strategiche. Il principio della cooperazione stretta tra diplomazia del Partito, diplomazia dello Stato e diplomazia popolare è divenuto una formula pratica per allineare obiettivi politici, economici e culturali. Questo modello ha permesso di trasformare le visite di Stato, i vertici multilaterali e le iniziative culturali in strumenti coerenti di politica estera, sfruttando la centralità politica del Partito per dare impulso e sostenibilità ai progetti internazionali.

Negli ultimi anni, poi, con l’accresciuta complessità geopolitica dell’Indo-Pacifico, la diplomazia vietnamita ha dovuto ulteriormente innalzare la propria sofisticazione strategica. La gestione dei rapporti con la Cina è l’esempio più emblematico di questa complessità, con Pechino che è un partner economico fondamentale per il Việt Nam, con il quale tuttavia permangono le tensioni relative al Mar Cinese Meridionale. Hà Nội ha dunque sviluppato un approccio duplice: intensificazione della cooperazione economica e infrastrutturale, insieme a un rafforzamento della capacità negoziale e a una più attenta tutela degli interessi marittimi. Saper mantenere relazioni robuste con la Cina, senza diventare dipendenti e preservando la propria sovranità, è stata e resta una sfida diplomatica che richiede equilibrio, pazienza e senso di lunga scadenza.

Contestualmente, il Việt Nam ha lavorato per rafforzare legami con altri attori regionali e globali, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, passando per Giappone, Corea del Sud, Russia e gli altri membri dell’ASEAN. Come sottolineato in precedenza, la pluralità dei partner è voluta, in quanto essa amplia lo spazio di manovra strategico e garantisce resilienza economica e politica. Il Paese ha inoltre incrementato il proprio ruolo in organismi multilaterali, utilizzando tali piattaforme per promuovere una visione di governance internazionale fondata sul diritto e sulla cooperazione. Il sostegno ai processi multilaterali e la partecipazione attiva in istituzioni globali hanno contribuito a elevare la reputazione internazionale del Việt Nam, proiettandolo come interlocutore responsabile e pragmatico.

Oggi, infine, la modernizzazione della diplomazia passa anche per nuovi strumenti. La digitalizzazione, la diplomazia pubblica, la capacità di comunicare efficacemente in contesti globali competitivi sono diventati elementi imprescindibili. Il governo ha investito nella formazione di nuove generazioni di diplomatici, capaci di muoversi tanto nelle sfere tradizionali della negoziazione quanto nei nuovi spazi della diplomazia tecnologica e culturale. La protezione dei cittadini all’estero, il rafforzamento dei servizi consolari e il potenziamento della rete di ambasciate e missioni sono componenti pratiche di questa strategia più ampia.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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