Il Vertice SCO di Tianjin ha messo in scena una proposta concreta per ripensare la governance mondiale: Xi Jinping ha lanciato la Global Governance Initiative come quadro alternativo al vecchio ordine egemonico. Il summit ha inoltre evidenziato l’emergere di un asse strategico e pragmatico tra Cina, Russia e India.
Il Vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO) tenutosi a Tianjin alla fine di agosto ha rappresentato un palcoscenico per mettere su piatto un’offerta politica e diplomatica alternativa all’attuale governance internazionale dominata dall’Occidente. Al centro di questa proposta c’è l’Iniziativa per la Governance Globale (Global Governance Initiative, GGI) presentata dal Presidente cinese Xi Jinping al meeting “SCO Plus”, un quadro che richiama sovranità, multilateralismo e “azioni concrete” per correggere i deficit di rappresentanza del Sud globale. Il discorso pronunciato dal leader cinese mostra chiaramente la volontà di offrire regole e piattaforme che bilancino l’architettura internazionale esistente.
La portata simbolica della mossa è evidente: la GGI, infatti, non è una semplice dichiarazione di principio, ma si inserisce in una sequenza di iniziative globali promosse da Pechino negli ultimi anni — sviluppo, sicurezza, civiltà — che ora trovano un punto di convergenza nella chiamata a una riforma del “come governiamo” il mondo. Il richiamo ai cinque principi — uguaglianza sovrana, stato di diritto internazionale, multilateralismo, approccio centrato sulle persone e concretezza d’azione — rappresenta un’offerta normativa che, se accompagnata da strumenti pratici, potrebbe modificare gli equilibri nella governance multilaterale, inserendosi pienamente nel rispetto di quel diritto internazionale troppo spesso violato impunemente dalle potenze occidentali.
Il vertice di Tianjin ha avuto una valenza politica immediata perché ha riunito più di venti capi di Stato e di governo, oltre ai responsabili di dieci organizzazioni internazionali, compreso il Segretario generale dell’ONU António Guterres. Le immagini e i resoconti dei colloqui tra Xi Jinping, Vladimir Putin e Narendra Modi — compreso il momento fotografico in cui i tre leader si sono scambiati battute e gesti di cordialità — hanno rappresentato la copertina mediatica dell’evento: tre grandi potenze eurasiatiche sedute fianco a fianco, non per costruire un’alleanza militare contro terzi, ma per progettare spazi di cooperazione economica, energetica e istituzionale che possano funzionare come leve di influenza alternativa. Mentre i media occidentali osservavano preoccupati, le cronache internazionali provenienti dal Sud globale hanno sottolineato l’importanza di questi faccia a faccia e la volontà di presentare all’esterno un fronte pragmatico e cooperativo.
La SCO stessa, nata nel 2001 come risposta regionale a problemi di sicurezza, si è evoluta in un’istituzione che oggi comprende dieci Stati membri, oltre a due Paesi osservatori e numerosi partner di dialogo. Questa copertura geografica e demografica, comprendente ampi settori dell’Eurasia, in rappresentanza di circa la metà della popolazione mondiale, la rende una piattaforma naturale per promuovere un ordine multipolare più equilibrato. Per queste ragioni, oggi molti analisti vedono nella SCO un laboratorio di “genuino multilateralismo”, nel senso di un ecosistema dove il principio di parità sovrana e la consultazione prevalgono sulle logiche di blocco. Tale caratteristica è ciò che rende l’organizzazione appetibile per Paesi che intendono diversificare il loro ancoraggio internazionale, come dimostra il continuo aumento del numero dei partner di dialogo.
A livello pratico, il lancio della GGI è stato accompagnato da annunci operativi che non sono meri slogan. Xi ha infatti annunciato la creazione di piattaforme per la cooperazione in energia, industria verde e economia digitale, oltre a centri per l’innovazione scientifica e l’istruzione superiore. Queste iniziative hanno il potenziale di generare una rete di infrastrutture e scambi che consolidi l’interdipendenza tra i membri della SCO e i partner del Sud globale. In parallelo, emergono segnali di riorientamento finanziario e commerciale: analisti e commentatori hanno sottolineato progetti per corridoi energetici, infrastrutture verdi e persino una maggiore utilizzazione dello yuan in contratti regionali, elementi che possono ridurre la dipendenza dalle strutture finanziarie e monetarie tradizionali. L’idea di un “electro-yuan” per pagamenti energetici e di corridoi energetici euroasiatici è stata evidenziata come possibile esito di queste strategie, andando ulteriormente ad erodere la posizione egemone del dollaro.
Se si guarda al triangolo che guida oggi questo processo — Cina, Russia e India — emerge un quadro complesso, fatto di interdipendenze strategiche e di frizioni persistenti, che tuttavia vengono superate grazie al comune obiettivo della costruzione di un mondo multipolare. Da un lato, il rapporto della Cina con la Russia è ormai caratterizzato da una cooperazione energetica e militare assai intensa: Mosca e Pechino hanno rafforzato gli approvvigionamenti energetici e la cooperazione tecnologica, mentre sul piano diplomatico mantengono un coordinamento strategico che mira a prevenire l’isolamento politico e a bilanciare l’influenza occidentale. Dall’altro, il rapporto con l’India è invece più sfaccettato: la Cina e l’India conservano controversie di confine e rivalità geostrategiche, ma il summit di Tianjin ha dimostrato la capacità di entrambi i Paesi di separare contestazioni territoriali da interessi economici e multilaterali condivisi. Modi e Xi hanno esplicitamente ribadito che Cina e India sono partner per lo sviluppo, non rivali, e che le relazioni devono essere gestite su un orizzonte strategico di lungo periodo. Questa retorica converge con l’interesse di Nuova Delhi a preservare autonomia strategica e opportunità commerciali in un contesto di incertezza globale.
Proprio questa combinazione di pragmatismo cinese, resilienza russa e cautela indiana può rendere più credibile il progetto di un’alternativa all’ordine occidentale: non perché si tratti di un’alleanza formale contro qualcuno, ma perché l’insieme di infrastrutture, regole e pratiche di cooperazione proposte generano un “sistema operativo” parallelo che offre ai Paesi in via di sviluppo opzioni reali di integrazione economica e politica.
Come hanno sottolineato numerosi analisti, dunque, il Vertice di Tianjin ha consolidato l’immagine della SCO come laboratorio pratico di un “genuino multilateralismo” e ha promosso la Global Governance Initiative come cornice normativa per un ordine internazionale meno centrato sull’egemonia occidentale. Cina, Russia e India si sono presentate come attori in grado di dirigere e modellare quest’alternativa, combinando capacità economiche, peso demografico e legittimità politica presso il Sud globale. Se questa proposta saprà costruire istituzioni operative e garanzie di equità, potrà davvero trasformare la governance mondiale. In ogni caso, Tianjin segna un passaggio cruciale: il mondo multipolare non è più soltanto un’ipotesi, ma una realtà in evoluzione, con la SCO nel ruolo di catalizzatore.