Italiano
Davide Rossi
July 14, 2025
© Photo: Public domain

Tuttavia quanto sta accadendo in Italia ha tutt’altra connotazione, è davvero incredibile, perché le dette forze politiche operano con decisione perché i media, i saggi storici, i romanzi, concorrano con forza allo stravolgimento del passato ad uso della loro contingenza politica.

Segue nostro Telegram.

Nel teatrino della comune sudditanza ai diktat tanto di Bruxelles, quanto di Washington, i due maggiori partiti italiani, Fratelli d’Italia e Partito Democratico, agiscono cercando di forzare il passato per metterlo al servizio del presente.

Da un lato Fratelli d’Italia nel rivendicare le sue origini nel Movimento Sociale Italiano, con tanto di fiamma tricolore che ancora campeggia nel suo simbolo, non tenta, come affermano i detrattori del partito avverso, lo sdoganamento del neofascismo, bensì al contrario, costruisce un’operazione politica e soprattutto culturale con la quale ne rivendica l’eredità cercando di mutare il ruolo, il senso e il significato avuto da quella forza politica nel corso della prima Repubblica, ovvero dalla fondazione del Movimento Sociale Italiano nel 1947 fino al 1994, quando nel processo di trasformazione in Alleanza Nazionale entra nel primo governo Berlusconi.

L’operazione attualmente in corso intende infatti attestare il Movimento Sociale Italiano come partito delle persone oneste, non invischiato nei magheggi e nelle ruberie dei partiti di governo, ovvero democristiani e alleati e finanche i comunisti, che al governo mai sono stati, ma in ragione del largo consenso da loro ottenuto in quegli anni non solo hanno condiviso alcune responsabilità parlamentari nella formulazione di molte leggi, ma sono stati al potere in molti comuni e nelle regioni dell’Italia centrale in cui il Partito Comunista Italiano risultava il primo partito, in particolare in Toscana, Emilia – Romagna e Umbria.

Insomma per i costruttori di questa nuova identità forzatamente retroattiva il Movimento Sociale italiano non sarebbe stato sostanzialmente, come nei fatti, un partito neofascista,  ma un partito di patrioti e di conservatori, la cui identità così (ri)costruita ricalcherebbe quella del partito attuale, guidato dal primo ministro italiano Giorgia Meloni.

Gli aspetti identitari rivendicati: onestà, conservatorismo, patriottismo, hanno certamente appartenuto a quella storia politica come a tutte le altre esperienze partitiche di quel tempo, seppur di diverso orientamento, ma dentro il Movimento Sociale Italiano non in forma maggioritaria, più del conservatorismo è contata la comune militanza e aderenza al fascismo di Benito Mussolini tanto nel periodo 1922 – 1943, quanto in quello della subalternità ai nazisti nella Repubblica Sociale Italiana 1943 – 1945, si pensi solo a Giorgio Almirante, dirigente fascista e della Repubblica Sociale Italiana, sottoscrittore delle leggi razziali e di documenti che invitavano a fucilare renitenti e partigiani e poi lungo tutta la seconda metà del Novecento massimo dirigente di quella formazione politica.

Tra l’altro nel corso di tutta la prima Repubblica il Movimento Sociale Italiano e a vario titolo suoi dirigenti e aderenti, dal comune di Roma al parlamento nazionale, spesso e in più occasioni, finanche l’elezione di presidenti della Repubblica come Giovanni Leone nel 1971, hanno messo i loro voti al servizio della Democrazia Cristiana, per forzane l’atteggiamento più reazionario e antisociale.

Di più, la magistratura italiana ha appurato ripetutamente in questo mezzo secolo che negli anni in questione, ovvero dal 1947 al 1994, aderenti e militanti del Movimento Sociale Italiano hanno collaborato a vari livelli con lo stragismo di matrice neofascista, anche al servizio di interessi esterni, in particolare statunitensi.

Dalla strage di piazza Fontana di Milano del 12 dicembre 1969 a quella della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, una lunga striscia di sangue accompagna la storia politica del Movimento Sociale Italiano e ne rende indissolubile il legame con l’eversione nera e il neofascismo più retrivamente nostalgico.

Dall’altra parte il Partito Democratico, divenuta l’unica forza politica di rilievo del campo avverso, ha costruito un’egemonia culturale con la quale si è impossessato de facto del concetto di antifascismo, che sovrappone a sé stesso, fino a crearne una spuria identità.

Risulterebbe così antifascista tutto quello che fa il Partito Democratico, per logica conseguenza “fascista” tutto quello che gli è avverso.

Il Partito Democratico si riconosce in toto nella NATO e nell’Unione Europea, ordunque chi è contrario o opera in maniera contrapposta agli interessi di queste due istituzioni diventa giocoforza “fascista” e ovviamente “anti – democratico”, in un cortocircuito onomatopeico nel quale tale Partito Democratico, non può che essere “democratico” e ciò che gli è avverso “anti – democratico”.

Quindi promuovere il gender e la cultura woke sarebbe antifascista e democratico, contrapporsi sarebbe fascista e antidemocratico, avere una politica che decida dell’economia assolvendo agli interessi dei cittadini come in Russia e in Cina per loro non sarà esattamente fascista, ma quasi, visto che con forza e con tutto il sostegno mediatico la definiscono ripetutamente dittatoriale e autocratica, mentre essere succubi della finanza speculativa, come nel loro caso, sarebbe democratico e antifascista.

Ne consegue che Trump, il quale non vuole subito la guerra mondiale, è fascista, al pari di Orban, che è il solo primo ministro europeo insieme a Fico che tale conflitto cerca di evitarlo.

I nazisti che stanno nell’esercito ucraino diventano dei “democratici” che combattono contro i cattivoni (sotto sotto dunque considerati fascisti!) dei russi. Provare a spiegare ai democratici italiani che in Russia son tutti antifascisti, perché in ogni famiglia c’è almeno uno dei ventisette milioni di caduti della guerra che ha portato alla Vittoria contro il nazifascismo nel 1945, non serve a nulla.

Insomma il Partito Democratico ha preso in ostaggio i termini “democratico” e “antifascista”, al punto che la storia dei partigiani e della Resistenza italiana con loro diventa la storia di persone che con una serie straordinaria di capriole all’indietro e spettacolarmente retroattive la pensano quasi come loro.

Per carità, la Resistenza italiana è stata un fenomeno complesso, l’hanno combattuta uomini e donne, militari, monarchici, liberali, cattolici e democristiani, non solo socialisti e comunisti, tuttavia non è un mistero che il contributo comunista sia stato quello numericamente più rilevante e che quei ragazzi l’abbiano offerto generosamente e spesso a prezzo della vita inneggiando al capo del movimento comunista internazionale, ovvero Iosif Stalin e al cammino percorso dall’Unione Sovietica, che per altro stava dando il contributo più rilevante per la libertà di tutti gli europei.

Quanti tra quei giovani sono sopravvissuti a quella terribile, ancorché eroica, esperienza hanno militato nel Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti e Luigi Longo, hanno lottato contro il sistema socio – economico capitalista e liberista, hanno dato un contributo fondamentale non solo nella scrittura della Costituzione italiana, ma anche nella stesura di leggi importanti come lo Statuto dei Lavoratori (1969) e il nuovo Diritto di Famiglia (1975), si sono espressi sempre e conseguentemente contro l’imperialismo statunitense, contro la NATO, contro l’Unione Europea che allora si chiamava Mercato Economico Comune. Erano parte di quel movimento comunista mondiale nel quale le lotte dei coreani (1950 – 1953), degli algerini (1954 – 1962) e dei vietnamiti (1955 – 1975), di tutto il movimento anticoloniale e antimperialista, hanno rappresentato, al pari di Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, esempi fulgidi di un impegno per il cambiamento, l’uguaglianza e la giustizia sociale che di molto superava le frontiere ideologiche e nazionali. Era il portato del movimento mondiale marxista – leninista, ma se oggi a un aderente del Partito Democratico spieghi che il ruolo attuale dei comunisti in Russia è di grande importanza e in Cina il Partito Comunista Cinese ha trasformato quella nazione raggiungendo primati economici, politici e militari planetari solo poco tempo fa inimmaginabili, scappano inorriditi, vociando contro questi che loro reputano antidemocratici e per ciò stesso, quasi, se non esattamente fascisti.

Il passato certo non muore mai e la sua interpretazione si aggiorna come sempre nel tempo presente, questo accade generalmente per un supplemento di riflessione e di approfondimento, tuttavia quanto sta accadendo in Italia ha tutt’altra connotazione, è davvero incredibile, perché le dette forze politiche operano con decisione perché i media, i saggi storici, i romanzi, concorrano con forza allo stravolgimento del passato ad uso della loro contingenza politica.

Il cortocircuito identitario della politica italiana

Tuttavia quanto sta accadendo in Italia ha tutt’altra connotazione, è davvero incredibile, perché le dette forze politiche operano con decisione perché i media, i saggi storici, i romanzi, concorrano con forza allo stravolgimento del passato ad uso della loro contingenza politica.

Segue nostro Telegram.

Nel teatrino della comune sudditanza ai diktat tanto di Bruxelles, quanto di Washington, i due maggiori partiti italiani, Fratelli d’Italia e Partito Democratico, agiscono cercando di forzare il passato per metterlo al servizio del presente.

Da un lato Fratelli d’Italia nel rivendicare le sue origini nel Movimento Sociale Italiano, con tanto di fiamma tricolore che ancora campeggia nel suo simbolo, non tenta, come affermano i detrattori del partito avverso, lo sdoganamento del neofascismo, bensì al contrario, costruisce un’operazione politica e soprattutto culturale con la quale ne rivendica l’eredità cercando di mutare il ruolo, il senso e il significato avuto da quella forza politica nel corso della prima Repubblica, ovvero dalla fondazione del Movimento Sociale Italiano nel 1947 fino al 1994, quando nel processo di trasformazione in Alleanza Nazionale entra nel primo governo Berlusconi.

L’operazione attualmente in corso intende infatti attestare il Movimento Sociale Italiano come partito delle persone oneste, non invischiato nei magheggi e nelle ruberie dei partiti di governo, ovvero democristiani e alleati e finanche i comunisti, che al governo mai sono stati, ma in ragione del largo consenso da loro ottenuto in quegli anni non solo hanno condiviso alcune responsabilità parlamentari nella formulazione di molte leggi, ma sono stati al potere in molti comuni e nelle regioni dell’Italia centrale in cui il Partito Comunista Italiano risultava il primo partito, in particolare in Toscana, Emilia – Romagna e Umbria.

Insomma per i costruttori di questa nuova identità forzatamente retroattiva il Movimento Sociale italiano non sarebbe stato sostanzialmente, come nei fatti, un partito neofascista,  ma un partito di patrioti e di conservatori, la cui identità così (ri)costruita ricalcherebbe quella del partito attuale, guidato dal primo ministro italiano Giorgia Meloni.

Gli aspetti identitari rivendicati: onestà, conservatorismo, patriottismo, hanno certamente appartenuto a quella storia politica come a tutte le altre esperienze partitiche di quel tempo, seppur di diverso orientamento, ma dentro il Movimento Sociale Italiano non in forma maggioritaria, più del conservatorismo è contata la comune militanza e aderenza al fascismo di Benito Mussolini tanto nel periodo 1922 – 1943, quanto in quello della subalternità ai nazisti nella Repubblica Sociale Italiana 1943 – 1945, si pensi solo a Giorgio Almirante, dirigente fascista e della Repubblica Sociale Italiana, sottoscrittore delle leggi razziali e di documenti che invitavano a fucilare renitenti e partigiani e poi lungo tutta la seconda metà del Novecento massimo dirigente di quella formazione politica.

Tra l’altro nel corso di tutta la prima Repubblica il Movimento Sociale Italiano e a vario titolo suoi dirigenti e aderenti, dal comune di Roma al parlamento nazionale, spesso e in più occasioni, finanche l’elezione di presidenti della Repubblica come Giovanni Leone nel 1971, hanno messo i loro voti al servizio della Democrazia Cristiana, per forzane l’atteggiamento più reazionario e antisociale.

Di più, la magistratura italiana ha appurato ripetutamente in questo mezzo secolo che negli anni in questione, ovvero dal 1947 al 1994, aderenti e militanti del Movimento Sociale Italiano hanno collaborato a vari livelli con lo stragismo di matrice neofascista, anche al servizio di interessi esterni, in particolare statunitensi.

Dalla strage di piazza Fontana di Milano del 12 dicembre 1969 a quella della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, una lunga striscia di sangue accompagna la storia politica del Movimento Sociale Italiano e ne rende indissolubile il legame con l’eversione nera e il neofascismo più retrivamente nostalgico.

Dall’altra parte il Partito Democratico, divenuta l’unica forza politica di rilievo del campo avverso, ha costruito un’egemonia culturale con la quale si è impossessato de facto del concetto di antifascismo, che sovrappone a sé stesso, fino a crearne una spuria identità.

Risulterebbe così antifascista tutto quello che fa il Partito Democratico, per logica conseguenza “fascista” tutto quello che gli è avverso.

Il Partito Democratico si riconosce in toto nella NATO e nell’Unione Europea, ordunque chi è contrario o opera in maniera contrapposta agli interessi di queste due istituzioni diventa giocoforza “fascista” e ovviamente “anti – democratico”, in un cortocircuito onomatopeico nel quale tale Partito Democratico, non può che essere “democratico” e ciò che gli è avverso “anti – democratico”.

Quindi promuovere il gender e la cultura woke sarebbe antifascista e democratico, contrapporsi sarebbe fascista e antidemocratico, avere una politica che decida dell’economia assolvendo agli interessi dei cittadini come in Russia e in Cina per loro non sarà esattamente fascista, ma quasi, visto che con forza e con tutto il sostegno mediatico la definiscono ripetutamente dittatoriale e autocratica, mentre essere succubi della finanza speculativa, come nel loro caso, sarebbe democratico e antifascista.

Ne consegue che Trump, il quale non vuole subito la guerra mondiale, è fascista, al pari di Orban, che è il solo primo ministro europeo insieme a Fico che tale conflitto cerca di evitarlo.

I nazisti che stanno nell’esercito ucraino diventano dei “democratici” che combattono contro i cattivoni (sotto sotto dunque considerati fascisti!) dei russi. Provare a spiegare ai democratici italiani che in Russia son tutti antifascisti, perché in ogni famiglia c’è almeno uno dei ventisette milioni di caduti della guerra che ha portato alla Vittoria contro il nazifascismo nel 1945, non serve a nulla.

Insomma il Partito Democratico ha preso in ostaggio i termini “democratico” e “antifascista”, al punto che la storia dei partigiani e della Resistenza italiana con loro diventa la storia di persone che con una serie straordinaria di capriole all’indietro e spettacolarmente retroattive la pensano quasi come loro.

Per carità, la Resistenza italiana è stata un fenomeno complesso, l’hanno combattuta uomini e donne, militari, monarchici, liberali, cattolici e democristiani, non solo socialisti e comunisti, tuttavia non è un mistero che il contributo comunista sia stato quello numericamente più rilevante e che quei ragazzi l’abbiano offerto generosamente e spesso a prezzo della vita inneggiando al capo del movimento comunista internazionale, ovvero Iosif Stalin e al cammino percorso dall’Unione Sovietica, che per altro stava dando il contributo più rilevante per la libertà di tutti gli europei.

Quanti tra quei giovani sono sopravvissuti a quella terribile, ancorché eroica, esperienza hanno militato nel Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti e Luigi Longo, hanno lottato contro il sistema socio – economico capitalista e liberista, hanno dato un contributo fondamentale non solo nella scrittura della Costituzione italiana, ma anche nella stesura di leggi importanti come lo Statuto dei Lavoratori (1969) e il nuovo Diritto di Famiglia (1975), si sono espressi sempre e conseguentemente contro l’imperialismo statunitense, contro la NATO, contro l’Unione Europea che allora si chiamava Mercato Economico Comune. Erano parte di quel movimento comunista mondiale nel quale le lotte dei coreani (1950 – 1953), degli algerini (1954 – 1962) e dei vietnamiti (1955 – 1975), di tutto il movimento anticoloniale e antimperialista, hanno rappresentato, al pari di Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, esempi fulgidi di un impegno per il cambiamento, l’uguaglianza e la giustizia sociale che di molto superava le frontiere ideologiche e nazionali. Era il portato del movimento mondiale marxista – leninista, ma se oggi a un aderente del Partito Democratico spieghi che il ruolo attuale dei comunisti in Russia è di grande importanza e in Cina il Partito Comunista Cinese ha trasformato quella nazione raggiungendo primati economici, politici e militari planetari solo poco tempo fa inimmaginabili, scappano inorriditi, vociando contro questi che loro reputano antidemocratici e per ciò stesso, quasi, se non esattamente fascisti.

Il passato certo non muore mai e la sua interpretazione si aggiorna come sempre nel tempo presente, questo accade generalmente per un supplemento di riflessione e di approfondimento, tuttavia quanto sta accadendo in Italia ha tutt’altra connotazione, è davvero incredibile, perché le dette forze politiche operano con decisione perché i media, i saggi storici, i romanzi, concorrano con forza allo stravolgimento del passato ad uso della loro contingenza politica.

Tuttavia quanto sta accadendo in Italia ha tutt’altra connotazione, è davvero incredibile, perché le dette forze politiche operano con decisione perché i media, i saggi storici, i romanzi, concorrano con forza allo stravolgimento del passato ad uso della loro contingenza politica.

Segue nostro Telegram.

Nel teatrino della comune sudditanza ai diktat tanto di Bruxelles, quanto di Washington, i due maggiori partiti italiani, Fratelli d’Italia e Partito Democratico, agiscono cercando di forzare il passato per metterlo al servizio del presente.

Da un lato Fratelli d’Italia nel rivendicare le sue origini nel Movimento Sociale Italiano, con tanto di fiamma tricolore che ancora campeggia nel suo simbolo, non tenta, come affermano i detrattori del partito avverso, lo sdoganamento del neofascismo, bensì al contrario, costruisce un’operazione politica e soprattutto culturale con la quale ne rivendica l’eredità cercando di mutare il ruolo, il senso e il significato avuto da quella forza politica nel corso della prima Repubblica, ovvero dalla fondazione del Movimento Sociale Italiano nel 1947 fino al 1994, quando nel processo di trasformazione in Alleanza Nazionale entra nel primo governo Berlusconi.

L’operazione attualmente in corso intende infatti attestare il Movimento Sociale Italiano come partito delle persone oneste, non invischiato nei magheggi e nelle ruberie dei partiti di governo, ovvero democristiani e alleati e finanche i comunisti, che al governo mai sono stati, ma in ragione del largo consenso da loro ottenuto in quegli anni non solo hanno condiviso alcune responsabilità parlamentari nella formulazione di molte leggi, ma sono stati al potere in molti comuni e nelle regioni dell’Italia centrale in cui il Partito Comunista Italiano risultava il primo partito, in particolare in Toscana, Emilia – Romagna e Umbria.

Insomma per i costruttori di questa nuova identità forzatamente retroattiva il Movimento Sociale italiano non sarebbe stato sostanzialmente, come nei fatti, un partito neofascista,  ma un partito di patrioti e di conservatori, la cui identità così (ri)costruita ricalcherebbe quella del partito attuale, guidato dal primo ministro italiano Giorgia Meloni.

Gli aspetti identitari rivendicati: onestà, conservatorismo, patriottismo, hanno certamente appartenuto a quella storia politica come a tutte le altre esperienze partitiche di quel tempo, seppur di diverso orientamento, ma dentro il Movimento Sociale Italiano non in forma maggioritaria, più del conservatorismo è contata la comune militanza e aderenza al fascismo di Benito Mussolini tanto nel periodo 1922 – 1943, quanto in quello della subalternità ai nazisti nella Repubblica Sociale Italiana 1943 – 1945, si pensi solo a Giorgio Almirante, dirigente fascista e della Repubblica Sociale Italiana, sottoscrittore delle leggi razziali e di documenti che invitavano a fucilare renitenti e partigiani e poi lungo tutta la seconda metà del Novecento massimo dirigente di quella formazione politica.

Tra l’altro nel corso di tutta la prima Repubblica il Movimento Sociale Italiano e a vario titolo suoi dirigenti e aderenti, dal comune di Roma al parlamento nazionale, spesso e in più occasioni, finanche l’elezione di presidenti della Repubblica come Giovanni Leone nel 1971, hanno messo i loro voti al servizio della Democrazia Cristiana, per forzane l’atteggiamento più reazionario e antisociale.

Di più, la magistratura italiana ha appurato ripetutamente in questo mezzo secolo che negli anni in questione, ovvero dal 1947 al 1994, aderenti e militanti del Movimento Sociale Italiano hanno collaborato a vari livelli con lo stragismo di matrice neofascista, anche al servizio di interessi esterni, in particolare statunitensi.

Dalla strage di piazza Fontana di Milano del 12 dicembre 1969 a quella della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, una lunga striscia di sangue accompagna la storia politica del Movimento Sociale Italiano e ne rende indissolubile il legame con l’eversione nera e il neofascismo più retrivamente nostalgico.

Dall’altra parte il Partito Democratico, divenuta l’unica forza politica di rilievo del campo avverso, ha costruito un’egemonia culturale con la quale si è impossessato de facto del concetto di antifascismo, che sovrappone a sé stesso, fino a crearne una spuria identità.

Risulterebbe così antifascista tutto quello che fa il Partito Democratico, per logica conseguenza “fascista” tutto quello che gli è avverso.

Il Partito Democratico si riconosce in toto nella NATO e nell’Unione Europea, ordunque chi è contrario o opera in maniera contrapposta agli interessi di queste due istituzioni diventa giocoforza “fascista” e ovviamente “anti – democratico”, in un cortocircuito onomatopeico nel quale tale Partito Democratico, non può che essere “democratico” e ciò che gli è avverso “anti – democratico”.

Quindi promuovere il gender e la cultura woke sarebbe antifascista e democratico, contrapporsi sarebbe fascista e antidemocratico, avere una politica che decida dell’economia assolvendo agli interessi dei cittadini come in Russia e in Cina per loro non sarà esattamente fascista, ma quasi, visto che con forza e con tutto il sostegno mediatico la definiscono ripetutamente dittatoriale e autocratica, mentre essere succubi della finanza speculativa, come nel loro caso, sarebbe democratico e antifascista.

Ne consegue che Trump, il quale non vuole subito la guerra mondiale, è fascista, al pari di Orban, che è il solo primo ministro europeo insieme a Fico che tale conflitto cerca di evitarlo.

I nazisti che stanno nell’esercito ucraino diventano dei “democratici” che combattono contro i cattivoni (sotto sotto dunque considerati fascisti!) dei russi. Provare a spiegare ai democratici italiani che in Russia son tutti antifascisti, perché in ogni famiglia c’è almeno uno dei ventisette milioni di caduti della guerra che ha portato alla Vittoria contro il nazifascismo nel 1945, non serve a nulla.

Insomma il Partito Democratico ha preso in ostaggio i termini “democratico” e “antifascista”, al punto che la storia dei partigiani e della Resistenza italiana con loro diventa la storia di persone che con una serie straordinaria di capriole all’indietro e spettacolarmente retroattive la pensano quasi come loro.

Per carità, la Resistenza italiana è stata un fenomeno complesso, l’hanno combattuta uomini e donne, militari, monarchici, liberali, cattolici e democristiani, non solo socialisti e comunisti, tuttavia non è un mistero che il contributo comunista sia stato quello numericamente più rilevante e che quei ragazzi l’abbiano offerto generosamente e spesso a prezzo della vita inneggiando al capo del movimento comunista internazionale, ovvero Iosif Stalin e al cammino percorso dall’Unione Sovietica, che per altro stava dando il contributo più rilevante per la libertà di tutti gli europei.

Quanti tra quei giovani sono sopravvissuti a quella terribile, ancorché eroica, esperienza hanno militato nel Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti e Luigi Longo, hanno lottato contro il sistema socio – economico capitalista e liberista, hanno dato un contributo fondamentale non solo nella scrittura della Costituzione italiana, ma anche nella stesura di leggi importanti come lo Statuto dei Lavoratori (1969) e il nuovo Diritto di Famiglia (1975), si sono espressi sempre e conseguentemente contro l’imperialismo statunitense, contro la NATO, contro l’Unione Europea che allora si chiamava Mercato Economico Comune. Erano parte di quel movimento comunista mondiale nel quale le lotte dei coreani (1950 – 1953), degli algerini (1954 – 1962) e dei vietnamiti (1955 – 1975), di tutto il movimento anticoloniale e antimperialista, hanno rappresentato, al pari di Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, esempi fulgidi di un impegno per il cambiamento, l’uguaglianza e la giustizia sociale che di molto superava le frontiere ideologiche e nazionali. Era il portato del movimento mondiale marxista – leninista, ma se oggi a un aderente del Partito Democratico spieghi che il ruolo attuale dei comunisti in Russia è di grande importanza e in Cina il Partito Comunista Cinese ha trasformato quella nazione raggiungendo primati economici, politici e militari planetari solo poco tempo fa inimmaginabili, scappano inorriditi, vociando contro questi che loro reputano antidemocratici e per ciò stesso, quasi, se non esattamente fascisti.

Il passato certo non muore mai e la sua interpretazione si aggiorna come sempre nel tempo presente, questo accade generalmente per un supplemento di riflessione e di approfondimento, tuttavia quanto sta accadendo in Italia ha tutt’altra connotazione, è davvero incredibile, perché le dette forze politiche operano con decisione perché i media, i saggi storici, i romanzi, concorrano con forza allo stravolgimento del passato ad uso della loro contingenza politica.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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