Il New York Times scrive del coinvolgimento diretto delle forze armate statunitensi nel conflitto in Ucraina.
Nei giorni scorsi, il «New York Times» ha pubblicato una lunga e dettagliatissima inchiesta basata su centinaia di interviste rilasciate da funzionari sia statunitensi che ucraini, da cui è emerso che il Pentagono, la Nato e gli apparati di intelligence occidentali rappresentano la «spina dorsale delle operazioni militari ucraine». La ricostruzione porta il livello di coinvolgimento degli Stati Uniti e dei loro satelliti nel conflitto russo-ucraino molto al di sopra di quanto emerga dalle forniture di materiale bellico per 66,5 miliardi di dollari consegnate a Kiev, comprensive secondo i dati del Dipartimento della Difesa (aggiornati a gennaio) di oltre 500 milioni tra proiettili per armi leggere e granate, 10.000 sistemi anticarro Javelin, 3.000 sistemi antiaerei Stinger, 272 obici, 76 carri armati, 40 sistemi di artiglieria ad alta mobilità, 20 elicotteri Mi-17 e tre batterie di difesa aerea Patriot.
Il «New York Times» menziona in proposito Dragon, la task force formata da ufficiali ucraini e della Nato che aveva come centro di comando la base statunitense di Wiesbaden, in Germania, e si fondava su una «partnership in materia di intelligence, strategia, pianificazione e tecnologia i cui meccanismi interni erano visibili solo a una ristretta cerchia di funzionari americani e alleati», e destinata ad affermarsi come «l’arma segreta in quello che l’amministrazione Biden ha definito come uno sforzo necessario a salvare l’Ucraina e proteggere l’ordine impostosi a partire dal secondo dopoguerra».
Questo strettissimo rapporto di collaborazione era andato sviluppandosi attorno alla relazione speciale, basata sulla fiducia reciproca, instaurata tra il generale ucraino Mykhaylo Zabrodskyi e lo statunitense Christopher Donahue, a capo del 18° corpo aviotrasportato. «Non ti mentirò mai. Se menti a me, è finita», avrebbe messo in chiaro nel loro primo incontro Donahue a Zabrodskyi, il quale gli avrebbe risposto di pensarla «esattamente allo stesso modo». Ogni mattina, ufficiali ucraini e statunitensi si riunivano per designare i bersagli più redditizi, definiti “punti di interesse” allo scopo di evitare qualsiasi ammissione di coinvolgimento diretto statunitense nel conflitto. Tutti i successi ottenuti, dall’affondamento della Moskva al bombardamento del quartier generale della 58a armata, passando per la distruzione del deposito di munizioni di Toropets, sarebbero da ricondurre agli Stati Uniti e ai loro principali partner integrati nella Nato sia quanto a designazione dell’obiettivo, sia in materia di determinazione delle modalità operative da impiegare. Lo si evince da quanto confidato al quotidiano statunitense da un alto funzionario dell’intelligence europea, il quale ha spiegato di essere rimasto sorpreso dal livello di coinvolgimento dei suoi colleghi dell’Alleanza Atlantica nella «catena di morte» ucraina.
L’idea di fondo consisteva nel trasformare il rapporto di collaborazione istituito sotto la supervisione di Zabrodskyi e Donahue nel motore pulsante dello sforzo bellico sostenuto dall’Ucraina, da sfruttare come “testuggine” per sferrare un colpo decisivo alla Russia nell’ambito di un esperimento bellico volto a innovare l’approccio adottato in Afghanistan e in Iraq, verso un modello di guerra a distanza – o per procura.
Così, nella prima fase della guerra, «un colpo vincente dopo l’altro, sferrati con successo grazie al coraggio e alla destrezza ucraini ma anche all’incompetenza russa, quell’ambizione da sfavoriti sembrava sempre più a portata di mano».
Senonché, con il passare del tempo, gli ufficiali ucraini avrebbero iniziato a manifestare crescente insofferenza nei confronti degli atteggiamenti autoritari e paternalistici tenuti dai loro omologhi statunitensi, che a loro volta «non riuscivano a capire perché gli ucraini non si limitassero ad accettare i loro buoni consigli». Mentre gli statunitensi «si concentravano su obiettivi misurati e raggiungibili, gli ucraini andavano continuamente alla ricerca della grande vittoria […] e consideravano gli statunitensi come un freno […]. Anche se condividevano quella speranza di vittoria, gli statunitensi volevano in primo luogo assicurarsi che gli ucraini non perdessero la guerra».
Quanto più gli ucraini conquistavano maggiore autonomia nell’ambito della partnership bilaterale, tanto più tendevano a «mantenere segrete le loro intenzioni. Erano perennemente inalberati perché gli statunitensi non potevano, o non volevano, consegnare loro tutte le armi e le altre attrezzature necessarie. Gli statunitensi, a loro volta, erano indispettiti nei confronti di quelle che percepivano come richieste irragionevoli degli ucraini e per la loro riluttanza ad assumere misure politicamente rischiose per rafforzare le loro forze numericamente inferiori». Il riferimento è all’abbassamento dell’età minima per l’arrolamento da 25 a 18 anni, che sia l’amministrazione Biden che quella guidata da Donald Trump hanno continuamente esortato Kiev ad attuare, ma senza successo.
A livello tattico, sostiene il «New York Times», la partnership «ha prodotto un trionfo dopo l’’altro». Eppure, verso la metà del 2023, nel momento cruciale della guerra che vedeva gli ucraini sferrare una controffensiva per costruire uno slancio vittorioso dopo i successi del primo anno, «la strategia ideata a Wiesbaden è caduta vittima della politica interna ucraina». La rivalità tra il presidente Volodymyr Zelensky e il Capo di Stato Maggiore – nonché suo potenziale avversario politico – Valerj Zalužny, sfociata con l’indebolimento di quest’ultimo e poi con la sua destituzione, viene posta dal quotidiano statunitense all’origine della decisione suicida e completamente riconducibile a Kiev di «riversare enormi quantità di uomini e risorse in una campagna inutile per riconquistare la città di Bakhmut. Nel giro di pochi mesi, l’intera controffensiva si è conclusa con un fallimento nato morto».
A dispetto del suo graduale sfaldamento, la partnership tra l’Ucraina, gli Stati Uniti e gli altri Paesi membri della Nato ha continuato a «operare all’ombra della più profonda paura geopolitica, data dalla possibilità che il presidente Putin la considerasse alla stregua di una violazione di una linea rossa e desse infine seguito alle sue minacce nucleari». La storia della partnership «mostra quanto gli americani e i loro alleati a volte si siano avvicinati a quella linea rossa, come eventi sempre più terribili li abbiano costretti – secondo alcuni troppo lentamente – a spingerla verso un terreno più pericoloso e come abbiano attentamente ideato protocolli per rimanere dalla parte della sicurezza. Di volta in volta, l’amministrazione Biden ha autorizzato operazioni clandestine che aveva precedentemente proibito. I consiglieri militari statunitensi sono stati inviati a Kiev e in seguito autorizzati ad avvicinarsi ai combattimenti. Ufficiali militari e della Cia a Wiesbaden hanno aiutato a pianificare e supportare una campagna di attacchi ucraini nella Crimea, incorporata dalla Russia fin dal 2014. Infine, i militari e poi la Cia hanno ricevuto il via libera per consentire attacchi mirati nelle profondità della Russia stessa».
Secondo il «New York Times», «l’Ucraina è stata, su una scala più ampia, una rivincita nel contesto di una lunga storia di guerre per procura tra Stati Uniti e Russia: il Vietnam negli anni ’60, l’Afghanistan negli anni ’80, la Siria tre decenni dopo». In realtà, risulta persino riduttivo considerare il conflitto russo-ucraino come una guerra per procura degli Stati Unti e della Nato contro la Russia, visto il livello di integrazione delle forze armate e d’intelligence ucraine nelle strutture occidentali.
Un risultato notevole, giunto a coronamento di un lungo processo di assimilazione dell’Ucraina su cui lo stesso «New York Times» aveva acceso i riflettori nel febbraio del 2024, attraverso un’inchiesta focalizzata nelle fasi immediatamente successive al colpo di Stato di Jevromajdan. All’epoca, gli Stati Uniti non si limitarono a gestire la “transizione” verso un governo più allineato rispetto a quello di Viktor Janukovyč, ma si adoperarono simultaneamente a trasformare l’Ucraina in una sorta di distaccamento avanzato della Cia, che procedette fin da subito all’addestramento di personale ucraino poi inquadrato nel Distaccamento 2245. L’intelligence statunitense avrebbe in altri termini formato un’intera generazione di agenti, analisti e ufficiali del Gru – tra cui Kyrylo Budanov, attuale direttore dell’Hru – in grado di spacciarsi per russi, operanti «ovunque i russi abbiano una presenza significativa» e facenti seppur indirettamente capo a Langley. Sempre nell’ambito del programma, la Cia impiantò ben 12 basi segrete nei territori ucraini situati in prossimità del confine con la Federazione Russa, di cui si sarebbe servita a conflitto in corso per «fornire dati di ricognizione necessari agli attacchi missilistici mirati, tracciare i movimenti delle truppe russe e mantenere le reti di spionaggio». L’attivismo statunitense – e britannico – in Ucraina non era passato inosservato all’intelligence russa, che ne avrebbe informato il presidente Putin inducendolo, sostiene il quotidiano sulla base di confidenze rese da un alto funzionario europeo, a valutare l’opportunità di avviare l’Operazione Militare Speciale già nel 2021.
Il quadro dipinto dal «New York Times» è stato arricchito di ulteriori particolari dalla «Abc», che in un’inchiesta parallela fondata anch’essa su dichiarazioni rese da anonimi funzionari statunitensi e ucraini ha affermato che gli sforzi di Washington per “allevare” l’Ucraina erano andati intensificandosi a partire dal 2015, a seguito di una visita a Washington da parte dell’allora direttore dell’Hur Valeriy Kondratyuk. Lo scopo del viaggio consisteva nel consegnare all’intelligence statunitense un’enorme mole di documenti segreti (piani militari, schemi e specifiche di armamenti segreti, ecc.) redatti da personale ucraino grazie ai legami personali e professionali intrattenuti nel corso di decenni di cooperazione con i russi. Acquisito il materiale, la Cia inviò a Kiev un nuovo capocentro, denominato Santa, con l’incarico di approfondire la cooperazione bilaterale e addestrare nuove leve, da reclutare tassativamente nella fascia di popolazione d’età inferiore ai 30 anni perché non influenzato dal passato sovietico. La «Abc» scrive che, dopo una fase di stretta e intensa cooperazione, la frenetica intraprendenza delle unità ucraine – a partire dal Distaccamento 2245 – cominciò a risultare indigesta ai vertici dell’intelligence statunitense, che vietarono ai loro agenti sul campo di «fornire assistenza agli ucraini impegnati in operazioni letali o di sabotaggio contro la Russia» per evitare sgradevoli e pericolosi inconvenienti come quello verificatosi nel 2016. All’epoca, gli operativi inquadrati nel Distaccamento 2245 condussero una incursione in Crimea con l’obiettivo di piazzare esplosivi in una base di elicotteri, ma furono scoperti dai russi e si videro costretti a battere disordinatamente in ritirata lasciando sul campo diversi effettivi. Le reazioni stizzite del presidente Obama e del suo vice Biden portarono al licenziamento di Kondratyuk, ma non alla sospensione della partnership che continuò invece a rafforzarsi fino a raggiungere il culmine in seguito allo scatenamento dell’Operazione Militare Speciale. Dopo il febbraio 2022, gran parte dei limiti cautelativi che gli Stati Uniti si erano auto-imposti per non deteriorare eccessivamente le relazioni con la Russia venne meno, ponendo la Cia nelle condizioni di garantire agli ucraini assistenza in materia di ricerca e designazione degli obiettivi.
Le inchieste realizzate dal «New York Times» e dalla «Abc» rivelano urbi et orbi sia la lunga “gestazione” atlantista dell’Ucraina, sia l’altissimo livello di coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto, attraverso una narrazione che fa ricadere sugli ucraini le responsabilità della disfatta. Lo sforzo ricostruttivo che ne scaturisce va quindi per un verso a minimizzare l’impatto della sconfitta strategica subita dagli Stati Uniti sul campo di battaglia ucraino, e per l’altro a inficiare gli sforzi profusi dall’amministrazione Trump intesi a riqualificare gli Usa come mediatori super partes in vista di un disimpegno che risulti il meno traumatico possibile. Che garantisca, cioè, la possibilità di sfruttare il dossier ucraino come leva negoziale per ricucire i rapporti con Mosca, attutendo nei limiti del possibile le devastanti ripercussioni di credibilità e autorevolezza derivanti dall’abbandono di un Paese “formato” ad hoc per combattere una guerra per procura contro la Russia.