Dal punto di vista popolare, come possano essere compatibili le bandiere della pace ed il riarmo dell’Unione Europea, è più di un mistero, mentre è ormai assodato, da decenni, il globalismo della sinistra ha servito le logiche di annientamento della sovranità nazionale e degli interessi popolari.
Pensare che serva davvero alla pace andare in piazza ad inneggiare all’Europa, anche sventolando bandiere ucraine, proprio nella settimana in cui il Parlamento Ue ha espresso parere favorevole al piano di riarmo da 800 miliardi di euro partorito dalla Commissione non eletta di Bruxelles, è quantomeno ingenuo. Meno ingenuo, è chi ha partorito il tutto. “L’Europa siamo noi”, titola il giorno dopo il quotidiano “La Repubblica”.
La star del momento è il giornalista Michele Serra, colui che dal quotidiano del Gruppo GEDI, ha convocato la piazza romana, Piazza del Popolo, del 15 marzo scorso.
“Non è molto di moda la democrazia nel mondo, ci sono luoghi in cui alle bambine non è concesso andare a scuola, in cui si assassinano gli oppositori, i libri vengono messi al bando, le idee schiacciate, gli omosessuali o i trans sono perseguitati per legge, le persone sono sottoposte al dominio del padrone e all’arbitrio del padre. Qui no, perchè siamo in Europa”. Solita tiritera, nel 2022, molto più in grande, l’ex Commissario Ue Josep Borrell aveva definito il resto del mondo “la giungla”, rispetto al “giardino europeo dove tutto funziona”.
All’appello di Serra hanno risposto artisti, scrittori ed intellettuali nel giro della sinistra istituzionale, che si è tirata dietro i maggiori sindacati e tutto l’universo del suo associazionismo parapolitico, fino al mondo dei supermercati: anche Coop ha rifornito piazza del popolo con autobus pieni zeppi di militanti.
Dal punto di vista popolare, come possano essere compatibili le bandiere della pace ed il riarmo dell’Unione Europea, è più di un mistero, mentre è ormai assodato, da decenni, il globalismo della sinistra – che più e meglio della destra – ha servito le logiche di annientamento della sovranità nazionale e degli interessi popolari.
Secondo una recente indagine di Oxfam Italia uscita ad inizio 2025, il 5% più ricco delle famiglie italiane è titolare del 47,7% della ricchezza nazionale e “possiede quasi il 20% in più dello stock complessivo di ricchezza detenuta dal 90% più povero”. Continua Oxfam: “Ampliando il periodo di osservazione, dalla fine del 2019 fino alla fine di novembre 2024 la ricchezza dei miliardari italiani è cresciuta, in termini reali, di 83,2 miliardi di euro (al ritmo di 46 milioni di euro al giorno) e in questo periodo un nuovo miliardario è apparso sulla scena ogni 7 settimane e mezzo”.
Mentre la precarietà e l’impoverimento diffuso dilagano, saranno contenti gli Agnelli-Elkann editori di Repubblica e de La Stampa, principali azionisti anche della rivista britannica The Economist: la “piazza per l’Europa” è stata una prova di forza (e di sistema), si parla di “successo”, di “onda blu”, di “cinquantamila” presenze.
Diluire e trasformare atti istituzionali formali finalizzati alla guerra (il riarmo UE), legittimandoli con manifestazioni popolari che chiedono “più Europa”, è obiettivamente un risultato mediatico e politico notevole.
Alla manifestazione ha partecipato anche Carlo Calenda, leader di Azione, partito che da poco ha presentato una proposta di legge, che richiama indirettamente i recenti fatti di Romania con l’esclusione del candidato non gradito Georgescu: le elezioni, ache in Italia, potranno essere sospese, in caso di “ingerenze esterne”.
La piazza di Roma, “la piazza per l’Europa”, non è certo patrocinata dalle forze di governo, ma da sindaci di tutta la penisola afferenti a quella sinistra, tinta di blu (comunitario), d’ucraino e di arcobaleno, che non conosce più le parole di grandi personalità del suo passato, oggi più scomode che mai. Come il socialista Lelio Basso, deputato dell’Assemblea Costituente e della Repubblica Italiana, che così interveniva durante il dibattito in parlamento sul Consiglio d’Europa del 13 luglio 1949:
“Stiamo assistendo al passaggio improvviso di quelle borghesie occidentali dal vecchio esasperato nazionalismo, ad un’ondata di cosmopolitismo. Ma così come il sentimento nazionale del proletariato non ha nulla di comune con il nazionalismo della borghesia, così il nostro internazionalismo non ha nulla di comune con questo cosmopolitismo di cui si sente tanto parlare e con il quale si giustificano e si invocano queste unioni europee e queste continue rinunzie alla sovranità nazionale. L’internazionalismo proletario non rinnega il sentimento nazionale, non rinnega la Storia, ma vuol creare le condizioni che permettano alle nazioni diverse di vivere pacificamente insieme. Il cosmopolitismo di oggi che le borghesie nostrane e dell’Europa affrettano è tutt’altra cosa: è rinnegamento dei valori nazionali per fare meglio accettare la dominazione straniera”.
Tra la folla del 15 marzo 2025, a chiedere “più Europa”, c’è anche l’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano e fondatore del PDS Achille Occhetto: “La gente ha capito che al di là delle divisioni bisogna costruire un’Europa unita per realizzare il sogno di Ventotene”.
Achille Occhetto e tutta quella classe dirigente che ha traghettato le classi popolari d’Italia nel mattatoio politico, economico e sociale della globalizzazione conoscono il socialista Lelio Basso?
Continuamo a leggere il suo discorso appassionato del 1949: “Vorrei ricordare in questa nostra discussione le parole che scrisse nel 1941 un eroe ed un martire della Resistenza francese a questo proposito, in una delle riviste più autorevoli della cultura francese, “La Pensée”. Leggo parole che Giorgio Politzer scriveva su un fascicolo clandestino de “La Pensée Libre” nel 1941 e che si attagliano al caso nostro. “Noi non abbiamo bisogno – diceva parlando in polemica con gli hitleriani e interpretando il concetto hitleriano – non abbiano bisogno di tante nazionalità in Europa. La loro esistenza è perfettamente assurda. Dal punto di vista “dell’organizzazione razionale dell’industria” due nazionalità sono sufficienti, una per gli sfruttatori ed una per gli sfruttati, una per i padroni e l’altra per gli schiavi. Francesi, Belgi, Olandesi, Russi, Polacchi, Cechi, Serbi, Bulgari, Sloveni, Croati, Rumeni, Albanesi, Bosniaci, Ungheresi, Turchi, Norvegesi, Svedesi, Danesi, Finlandesi, Portoghesi, Inglesi e anche Italiani e Spagnoli, costituiscono un lusso. È necessario capire. Questi popoli hanno il loro assurdo sentimento nazionale e le loro assurde aspirazioni patriottiche. Poiché è bene il termine “assurdo” che bisogna adoperare. Ne risultano perturbazioni nella produzione, quindi una diminuzione di rendimento…. Le cause di spreco e di “diminuzione di efficienza”, che rappresentano il sentimento nazionale e le aspirazioni patriottiche degli schiavi devono dunque essere eliminate. Per sopprimere le lotte nazionali bisogna sopprimere le nazioni. Bisogna dunque che “la tecnica tedesca di provata superiorità” intervenga per creare, dopo il piatto unico per i tedeschi, la nazionalità unica per i Popoli oppressi. A titolo di consolazione, questa nazionalità unica destinata agli schiavi può chiamarsi “la nuova nazionalità europea”.
Queste parole, scritte nel 1941, si possono applicare perfettamente al caso nostro. Sostituite alla “tecnica tedesca”, “la tecnica americana” e voi avete lo stesso risultato, la stessa coscienza cosmopolita, la stessa coscienza europea che ci viene oggi così caldamente raccomandata. Ecco pertanto la mia conclusione: noi non vogliamo assurdi ritorni al passato. Il processo di concentrazione capitalistica è in atto; il processo di predominio del capitale finanziario segue il suo corso; esso ingigantisce le contraddizioni di classe, ingigantisce le contraddizioni del mondo capitalistico. E noi socialisti siamo la coscienza vivente di queste contraddizioni, che nascono da questo mondo e da questa società. Il capitalismo tende a coprire la sua brutale politica con un’apparenza ideale, cerca di risolvere su questo piano puramente formale le sue interne contraddizioni. Coloro che, coscientemente o incoscientemente, sono al servizio degli interessi del grande capitale, sono sempre pronti a tradurre in linguaggio idealistico le brutali soperchierie e le imprese del capitalismo”.
Michele Serra, nel 2025, continua il suo discorso alla piazza: “La libertà e la pace sono le due madri dalla costruzione europea”; “la guerra non è soltanto il contrario della pace, è anche il contrario della libertà”. E ai politici: “Ai presenti e a chi è assente, e che rispetto, ho solo un piccolo rilievo da muovere: siete troppo intelligenti, cercate per favore di essere un poco più stupidi, come questa piazza che non ha fatto calcoli, che non sa esattamente che cosa si deve fare, ma cerca di farlo lo stesso”. (Applausi, ndr.)
Quindi si convoca mediaticamente una piazza, che poi si materializza sul posto e ovviamente attende istruzioni, una direzione sul che fare, ma poi la si scarica così, appellandosi “ai politici” che restano una entità invisibile rispetto all’idea, al mostro burocratico e presto militocratico europeo, che nasconde sottopelle le proprie innegabili origini angloamericane di occupazione e di dominio.
E’ la libertà occidentale del 2025: l’intellettuale commerciale mandato in vetrina come strumento di un apparato oppressivo ed opprimente che deve essere introvabile, incollocabile, mimetizzato dalla retorica e dalla propaganda. Che vince alla grande.
L’intellettuale, il socialista Basso, nel 1949 aveva invece le idee chiare: “Il nostro compito, il compito di un partito di classe è quello di ritradurre in linguaggio di classe queste contraddizioni del mondo capitalistico, è, per esprimermi con frase marxista, quello di rendere ancora più oppressiva l’oppressione reale, aggiungendosi la coscienza dell’oppressione, di lottare cioè non per contrastare il cammino della storia, ma per fare sfociare le contraddizioni, che lacerano questo mondo, nella loro vera soluzione, per risolverle non sul terreno formale e giuridico, ma sul terreno reale del superamento delle contraddizioni, cioè dell’avvento di una società migliore”.
La Repubblica del 16 marzo 2025, quella del giorno dopo, è un pamphlet di ben 12 pagine, spiccano le dichiarazioni dei presenti, più o meno celebri. Poi tre specchietti informativi rappresentativi dei blocchi sociali di riferimento del quotidiano: la pensionata, l’impiegato, lo studente. Francesco, 23 anni: “Da qui riparte una speranza, ma è inevitabile essere preoccupati. Per questo credo in una difesa comune, nel riarmo funzionale alla deterrenza, nel sostegno all’Ucraina, nel mettere paletti a due superpotenze come Usa e Russia che pensano di poter fare e disfare il nostro destino. Il futuro non è scritto, tocca a noi.”
Come se l’Unione Europea fosse davvero un’entità continentale nata spontaneamente dalle macerie della guerra. Ma la realtà è ben diversa: un mercato unico centralizzato vincolato ai prestiti del Piano Marshall e, al contempo, un contenitore geopolitico in funzione antirussa secondo la dottrina del containment (contenimento), pensata da George Kennan e implemementata a partire dall’amministrazione Truman per tutta la Guerra Fredda.
La prova madre di tutto questo è nella nostra storia recente: dalla caduta dell’URSS, la NATO e la UE si sono espanse fino a ridosso della Russia, di fatto circondandola, incorporando paesi su paesi dell’ex sfera sovietica.
Oggi, proprio mentre Stati Uniti e Gran Bretagna sembrano riposizionarsi diversamente sul nodo gordiano della questione ucraina, mentre l’Unione Europea si prepara a riarmarsi agitando ad acerrimo nemico Vladimir Putin, valgono ancora di più le parole di Antonio Gramsci sul “Grido del Popolo” del 19 gennaio 1918. L’America democratica di Wilson aveva prevalso nelle urne e poi nella prima guerra mondiale. L’intellettuale sardo analizza i rapporti di potere interni a Washington, facendone una impietosa fotografia:
“Woodrow Wilson è arrivato alla presidenza degli Stati Uniti per rappresentarvi gli interessi politici di un ceto capitalista che è la quintessenza del capitalismo: i produttori non protetti, e che non possono essere protetti; gli industriali che esportano, che hanno bisogno di nuovi mercati, che possono essere danneggiati nel loro vigoroso e spontaneo sviluppo dai protezionismi degli altri paesi. La loro ideologia politica è la democrazia liberale e liberista, che nelle penultime elezioni ha sconfitto la democrazia radicale, affaristica, trustaiola, protezionista”.
Gramsci smaschera poi la Società delle Nazioni (che lui chiama “Lega”, ndr), anticamera di un nuovo Ordine Mondiale in vista:
“Rappresenta, per i singoli Stati, quella garanzia di sicurezza e di libertà che corrisponde nel seno di ogni Stato all’habeas corpus per la libertà e la sicurezza individuale dei singoli cittadini. È il grande Stato borghese supernazionale che ha dissolto le barriere doganali, che ha ampliato i mercati, che ha ampliato il respiro della libera concorrenza e permette le grandi imprese, le grandi concentrazioni capitalistiche internazionali”. (..) Nel beato paese di Utopia ha avuto in tutti i tempi diritto di cittadinanza e di libera circolazione il «bel sogno» (come si suol dire) degli Stati Uniti d’Europa e del Mondo. Il «bel sogno» ha fatto ridere i saggi; i critici, i filosofi realisti ne hanno dimostrato l’incongruenza, la fallacia storica. Ed a ragione.”
Chissà se il Sig. Michele Serra, intellettuale, giornalista, scrittore e saggista, colui che da oggi arringa folle e piazze, di fatto, alla prossima guerra dell’Unione Europea contro la Russia, si ricorda ancora di Antonio Gramsci. Visto che, proprio Serra, ha iniziato le sue fortune sul giornale comunista, da Gramsci fondato nel 1924: l’Unità.
Intanto, il riarmo ci costerà debito, sacrifici economici e sociali. Per il profitto di chi le armi le produce, oggi il sogno europeo non lo si può più costruire “con le crisi” (Jean Monnet e Mario Monti docet), ma serve la guerra.
Strano modo per rispettare “le due madri dalla costruzione europea: la libertà e la pace”.