Italiano
Lorenzo Maria Pacini
December 22, 2025
© Photo: Public domain

Ancora una volta, il benessere dei cittadini ucraini viene messo da parte, dando la precedenza agli interessi delle potenze straniere.

Segue nostro Telegram.

Dunque, ricapitolando…

Donald Trump è stato intervistato dalla giornalista Dasha Burns di Politico. Una lunga conversazione alla Casa Bianca, densa di argomenti, condotta in perfetto stile americano.

Fra le varie cose dette dal Potus, è particolarmente interessante ciò che Trump ha detto riguardo la le elezioni in Ucraina, dopo aver sparato ad altezza uomo sull’Europa. Partiamo proprio da qui.

Questa intervista arriva in un momento delicatissimo per i negoziati in corso, mentre i leader europei continuano a spingere la guerra-senza-fine, preoccupati che il gioco bellico finisca prima di averci guadagnato qualcosa. Nell’intervista, Trump non ha offerto alcuna garanzia agli europei e ha affermato che la Russia si trova chiaramente in una posizione più forte rispetto all’Ucraina. Il tono assertivo con cui ha discusso dell’Europa è apparso in forte contrasto con alcune sue dichiarazioni sui temi interni. Lui e il suo partito hanno affrontato in autunno una serie di battute d’arresto elettorali e un peggioramento del caos al Congresso, mentre gli elettori reagiscono contro l’aumento del costo della vita.

Trump fatica a elaborare un messaggio capace di rispondere a questa nuova situazione: nell’intervista ha valutato l’andamento dell’economia come “A-plus-plus-plus-plus-plus”, ha sostenuto che i prezzi stiano diminuendo ovunque e non ha presentato alcuna proposta concreta per affrontare gli imminenti rincari delle assicurazioni sanitarie (ma, nonostante le crescenti turbolenze interne, Trump rimane comunque una figura senza pari nella politica internazionale).

Negli ultimi giorni, le capitali europee hanno reagito con allarme alla pubblicazione della nuova Strategia di Sicurezza Nazionale di Trump, un documento fortemente provocatorio che pone la sua amministrazione in rotta di collisione con il mainstream politico europeo e promette di “favorire la resistenza” contro l’attuale equilibrio europeo in materia di immigrazione e altre questioni sensibili.

Come se non bastasse, ha esplicitamente detto che, in materia di politica ed elezioni, darà il suo sostegno a chi vuole, fregandosene delle regole della democrazia europea, come d’altronde gli USA fanno da molto prima di Trump. Il bello, però, è arrivato quando la Burns gli ha chiesto qualcosa riguardo le elezioni in Ucraina: qui Trump ha spiegato che si augura che i cittadini possano presto avere elezioni, raccontando della grande quantità di soldi americani dati all’Ucraina e della rivalità viscerale fra Putin e Zelensky.

È curioso che la “colpa” venga dispersa così facilmente. Forse Trump non si ricorda, o non ha voluto raccontare, che la responsabilità del disastro ucraino è anzitutto americana.

Riprendiamo per un attimo lo stratega statunitense Zbigniew Brzezinski. Nella sua visione, esposta in The Grand Chessboard, il controllo dell’Eurasia rappresentava il perno della supremazia globale americana e, all’interno di questa strategia, l’Ucraina assumeva un ruolo essenziale: senza di essa, affermava Brzezinski, la Russia non avrebbe potuto conservare un ruolo imperiale nello spazio post-sovietico.

Per gli USA, l’indipendenza ucraina, dopo il 1991, non è stata solo un processo naturale di disgregazione dell’Unione Sovietica, ma anche come un’opportunità strategica per ridurre l’influenza russa nel suo “estero vicino”. Il progressivo avvicinamento di Kiev alle istituzioni euro-atlantiche — dal partenariato con la NATO ai programmi di cooperazione con l’Unione Europea — è stato una manifestazione pratica di questa impostazione. L’Ucraina è stata progressivamente sottratta alla sfera di influenza russa attraverso un lavoro paziente di sostegno politico, economico e istituzionale da parte occidentale.

A partire dagli anni Duemila, soprattutto dopo la Rivoluzione Arancione del 2004 e ancor più dopo le proteste di Euromaidan del 2013-2014, gli Stati Uniti hanno intensificato il loro coinvolgimento, offrendo programmazione militare, formazione delle forze armate e supporto ai processi di ristrutturazione dello Stato ucraino; hanno modellato artificialmente un’identità nazionale distinta e contrapposta a quella russa, facendo forza sul nazionalismo, sulle interazione con i Paesi vicini e sulle ben finanziate strutture di potere politiche occidentale.

L’arrivo al conflitto del 2022 è stato pilotato millimetricamente, giorno dopo giorno, dalla mano dei gangster americani.

È quindi molto curioso che ora Trump parli di democrazia, quando sono stati gli USA a mettere un comico a governare un Paese (non è stata la prima e non sarà l’ultima volta, vero Donald?).

E se fosse tutto vero?

Se vogliamo ammettere l’onestà delle parole del presidente americano, proviamo allora a considerarle sul piano strettamente politico.

Trump sta dicendo per l’ennesima volta a Zelensky che il suo turno è concluso e che sarebbe l’ora di trovare qualcosa di meglio da fare, anche perché il suo progetto di un nuovo Grand Hotel Ucraina è davvero allettante e vale sicuramente molti più soldi di una guerra ormai divenuta noiosa. Ancora una volta, se Zelensky viene scaricato, ci dovranno pensare i leader europei a portare avanti il conflitto sul fronte orientale.

E se Zelensky fuggisse via? L’Ucraina non è nelle condizioni per avere delle elezioni in tempo di guerra. Resterebbe un vuoto istituzionale che verrebbe sicuramente colmato con qualche altro comico scelto da Londra o Bruxelles, in attesa di veder raso al suolo ciò che resta di Kiev.

In questo senso, le parole di Trump sembrano quasi una sorta di assicurazione sul successo del suo piano: è l’unico ad aver proposto un investimento positivo per l’Ucraina ed è pronto a dare un endorsement a chi riterrà opportuno… ovvero un nuovo leader che sia abile a promuovere gli interessi immobiliari del Potus e la nuova strategia americana anti-europa, insediando una buffer zone proprio nella regione più importante degli ultimi anni.

Forse, in fin dei conti, è meglio così? Forse un candidato gradito a Washington ha più probabilità di riportare la stabilità, rispetto ad uno scelto dai folli politici europei? La domanda resta aperta.

Ancora una volta, il bene dei cittadini ucraini è lasciato da parte, dando predominanza agli interessi di potenze straniere. Ecco il vero volto degli “amici” occidentali.

Elezioni in Ucraina? Parola di Trump

Ancora una volta, il benessere dei cittadini ucraini viene messo da parte, dando la precedenza agli interessi delle potenze straniere.

Segue nostro Telegram.

Dunque, ricapitolando…

Donald Trump è stato intervistato dalla giornalista Dasha Burns di Politico. Una lunga conversazione alla Casa Bianca, densa di argomenti, condotta in perfetto stile americano.

Fra le varie cose dette dal Potus, è particolarmente interessante ciò che Trump ha detto riguardo la le elezioni in Ucraina, dopo aver sparato ad altezza uomo sull’Europa. Partiamo proprio da qui.

Questa intervista arriva in un momento delicatissimo per i negoziati in corso, mentre i leader europei continuano a spingere la guerra-senza-fine, preoccupati che il gioco bellico finisca prima di averci guadagnato qualcosa. Nell’intervista, Trump non ha offerto alcuna garanzia agli europei e ha affermato che la Russia si trova chiaramente in una posizione più forte rispetto all’Ucraina. Il tono assertivo con cui ha discusso dell’Europa è apparso in forte contrasto con alcune sue dichiarazioni sui temi interni. Lui e il suo partito hanno affrontato in autunno una serie di battute d’arresto elettorali e un peggioramento del caos al Congresso, mentre gli elettori reagiscono contro l’aumento del costo della vita.

Trump fatica a elaborare un messaggio capace di rispondere a questa nuova situazione: nell’intervista ha valutato l’andamento dell’economia come “A-plus-plus-plus-plus-plus”, ha sostenuto che i prezzi stiano diminuendo ovunque e non ha presentato alcuna proposta concreta per affrontare gli imminenti rincari delle assicurazioni sanitarie (ma, nonostante le crescenti turbolenze interne, Trump rimane comunque una figura senza pari nella politica internazionale).

Negli ultimi giorni, le capitali europee hanno reagito con allarme alla pubblicazione della nuova Strategia di Sicurezza Nazionale di Trump, un documento fortemente provocatorio che pone la sua amministrazione in rotta di collisione con il mainstream politico europeo e promette di “favorire la resistenza” contro l’attuale equilibrio europeo in materia di immigrazione e altre questioni sensibili.

Come se non bastasse, ha esplicitamente detto che, in materia di politica ed elezioni, darà il suo sostegno a chi vuole, fregandosene delle regole della democrazia europea, come d’altronde gli USA fanno da molto prima di Trump. Il bello, però, è arrivato quando la Burns gli ha chiesto qualcosa riguardo le elezioni in Ucraina: qui Trump ha spiegato che si augura che i cittadini possano presto avere elezioni, raccontando della grande quantità di soldi americani dati all’Ucraina e della rivalità viscerale fra Putin e Zelensky.

È curioso che la “colpa” venga dispersa così facilmente. Forse Trump non si ricorda, o non ha voluto raccontare, che la responsabilità del disastro ucraino è anzitutto americana.

Riprendiamo per un attimo lo stratega statunitense Zbigniew Brzezinski. Nella sua visione, esposta in The Grand Chessboard, il controllo dell’Eurasia rappresentava il perno della supremazia globale americana e, all’interno di questa strategia, l’Ucraina assumeva un ruolo essenziale: senza di essa, affermava Brzezinski, la Russia non avrebbe potuto conservare un ruolo imperiale nello spazio post-sovietico.

Per gli USA, l’indipendenza ucraina, dopo il 1991, non è stata solo un processo naturale di disgregazione dell’Unione Sovietica, ma anche come un’opportunità strategica per ridurre l’influenza russa nel suo “estero vicino”. Il progressivo avvicinamento di Kiev alle istituzioni euro-atlantiche — dal partenariato con la NATO ai programmi di cooperazione con l’Unione Europea — è stato una manifestazione pratica di questa impostazione. L’Ucraina è stata progressivamente sottratta alla sfera di influenza russa attraverso un lavoro paziente di sostegno politico, economico e istituzionale da parte occidentale.

A partire dagli anni Duemila, soprattutto dopo la Rivoluzione Arancione del 2004 e ancor più dopo le proteste di Euromaidan del 2013-2014, gli Stati Uniti hanno intensificato il loro coinvolgimento, offrendo programmazione militare, formazione delle forze armate e supporto ai processi di ristrutturazione dello Stato ucraino; hanno modellato artificialmente un’identità nazionale distinta e contrapposta a quella russa, facendo forza sul nazionalismo, sulle interazione con i Paesi vicini e sulle ben finanziate strutture di potere politiche occidentale.

L’arrivo al conflitto del 2022 è stato pilotato millimetricamente, giorno dopo giorno, dalla mano dei gangster americani.

È quindi molto curioso che ora Trump parli di democrazia, quando sono stati gli USA a mettere un comico a governare un Paese (non è stata la prima e non sarà l’ultima volta, vero Donald?).

E se fosse tutto vero?

Se vogliamo ammettere l’onestà delle parole del presidente americano, proviamo allora a considerarle sul piano strettamente politico.

Trump sta dicendo per l’ennesima volta a Zelensky che il suo turno è concluso e che sarebbe l’ora di trovare qualcosa di meglio da fare, anche perché il suo progetto di un nuovo Grand Hotel Ucraina è davvero allettante e vale sicuramente molti più soldi di una guerra ormai divenuta noiosa. Ancora una volta, se Zelensky viene scaricato, ci dovranno pensare i leader europei a portare avanti il conflitto sul fronte orientale.

E se Zelensky fuggisse via? L’Ucraina non è nelle condizioni per avere delle elezioni in tempo di guerra. Resterebbe un vuoto istituzionale che verrebbe sicuramente colmato con qualche altro comico scelto da Londra o Bruxelles, in attesa di veder raso al suolo ciò che resta di Kiev.

In questo senso, le parole di Trump sembrano quasi una sorta di assicurazione sul successo del suo piano: è l’unico ad aver proposto un investimento positivo per l’Ucraina ed è pronto a dare un endorsement a chi riterrà opportuno… ovvero un nuovo leader che sia abile a promuovere gli interessi immobiliari del Potus e la nuova strategia americana anti-europa, insediando una buffer zone proprio nella regione più importante degli ultimi anni.

Forse, in fin dei conti, è meglio così? Forse un candidato gradito a Washington ha più probabilità di riportare la stabilità, rispetto ad uno scelto dai folli politici europei? La domanda resta aperta.

Ancora una volta, il bene dei cittadini ucraini è lasciato da parte, dando predominanza agli interessi di potenze straniere. Ecco il vero volto degli “amici” occidentali.

Ancora una volta, il benessere dei cittadini ucraini viene messo da parte, dando la precedenza agli interessi delle potenze straniere.

Segue nostro Telegram.

Dunque, ricapitolando…

Donald Trump è stato intervistato dalla giornalista Dasha Burns di Politico. Una lunga conversazione alla Casa Bianca, densa di argomenti, condotta in perfetto stile americano.

Fra le varie cose dette dal Potus, è particolarmente interessante ciò che Trump ha detto riguardo la le elezioni in Ucraina, dopo aver sparato ad altezza uomo sull’Europa. Partiamo proprio da qui.

Questa intervista arriva in un momento delicatissimo per i negoziati in corso, mentre i leader europei continuano a spingere la guerra-senza-fine, preoccupati che il gioco bellico finisca prima di averci guadagnato qualcosa. Nell’intervista, Trump non ha offerto alcuna garanzia agli europei e ha affermato che la Russia si trova chiaramente in una posizione più forte rispetto all’Ucraina. Il tono assertivo con cui ha discusso dell’Europa è apparso in forte contrasto con alcune sue dichiarazioni sui temi interni. Lui e il suo partito hanno affrontato in autunno una serie di battute d’arresto elettorali e un peggioramento del caos al Congresso, mentre gli elettori reagiscono contro l’aumento del costo della vita.

Trump fatica a elaborare un messaggio capace di rispondere a questa nuova situazione: nell’intervista ha valutato l’andamento dell’economia come “A-plus-plus-plus-plus-plus”, ha sostenuto che i prezzi stiano diminuendo ovunque e non ha presentato alcuna proposta concreta per affrontare gli imminenti rincari delle assicurazioni sanitarie (ma, nonostante le crescenti turbolenze interne, Trump rimane comunque una figura senza pari nella politica internazionale).

Negli ultimi giorni, le capitali europee hanno reagito con allarme alla pubblicazione della nuova Strategia di Sicurezza Nazionale di Trump, un documento fortemente provocatorio che pone la sua amministrazione in rotta di collisione con il mainstream politico europeo e promette di “favorire la resistenza” contro l’attuale equilibrio europeo in materia di immigrazione e altre questioni sensibili.

Come se non bastasse, ha esplicitamente detto che, in materia di politica ed elezioni, darà il suo sostegno a chi vuole, fregandosene delle regole della democrazia europea, come d’altronde gli USA fanno da molto prima di Trump. Il bello, però, è arrivato quando la Burns gli ha chiesto qualcosa riguardo le elezioni in Ucraina: qui Trump ha spiegato che si augura che i cittadini possano presto avere elezioni, raccontando della grande quantità di soldi americani dati all’Ucraina e della rivalità viscerale fra Putin e Zelensky.

È curioso che la “colpa” venga dispersa così facilmente. Forse Trump non si ricorda, o non ha voluto raccontare, che la responsabilità del disastro ucraino è anzitutto americana.

Riprendiamo per un attimo lo stratega statunitense Zbigniew Brzezinski. Nella sua visione, esposta in The Grand Chessboard, il controllo dell’Eurasia rappresentava il perno della supremazia globale americana e, all’interno di questa strategia, l’Ucraina assumeva un ruolo essenziale: senza di essa, affermava Brzezinski, la Russia non avrebbe potuto conservare un ruolo imperiale nello spazio post-sovietico.

Per gli USA, l’indipendenza ucraina, dopo il 1991, non è stata solo un processo naturale di disgregazione dell’Unione Sovietica, ma anche come un’opportunità strategica per ridurre l’influenza russa nel suo “estero vicino”. Il progressivo avvicinamento di Kiev alle istituzioni euro-atlantiche — dal partenariato con la NATO ai programmi di cooperazione con l’Unione Europea — è stato una manifestazione pratica di questa impostazione. L’Ucraina è stata progressivamente sottratta alla sfera di influenza russa attraverso un lavoro paziente di sostegno politico, economico e istituzionale da parte occidentale.

A partire dagli anni Duemila, soprattutto dopo la Rivoluzione Arancione del 2004 e ancor più dopo le proteste di Euromaidan del 2013-2014, gli Stati Uniti hanno intensificato il loro coinvolgimento, offrendo programmazione militare, formazione delle forze armate e supporto ai processi di ristrutturazione dello Stato ucraino; hanno modellato artificialmente un’identità nazionale distinta e contrapposta a quella russa, facendo forza sul nazionalismo, sulle interazione con i Paesi vicini e sulle ben finanziate strutture di potere politiche occidentale.

L’arrivo al conflitto del 2022 è stato pilotato millimetricamente, giorno dopo giorno, dalla mano dei gangster americani.

È quindi molto curioso che ora Trump parli di democrazia, quando sono stati gli USA a mettere un comico a governare un Paese (non è stata la prima e non sarà l’ultima volta, vero Donald?).

E se fosse tutto vero?

Se vogliamo ammettere l’onestà delle parole del presidente americano, proviamo allora a considerarle sul piano strettamente politico.

Trump sta dicendo per l’ennesima volta a Zelensky che il suo turno è concluso e che sarebbe l’ora di trovare qualcosa di meglio da fare, anche perché il suo progetto di un nuovo Grand Hotel Ucraina è davvero allettante e vale sicuramente molti più soldi di una guerra ormai divenuta noiosa. Ancora una volta, se Zelensky viene scaricato, ci dovranno pensare i leader europei a portare avanti il conflitto sul fronte orientale.

E se Zelensky fuggisse via? L’Ucraina non è nelle condizioni per avere delle elezioni in tempo di guerra. Resterebbe un vuoto istituzionale che verrebbe sicuramente colmato con qualche altro comico scelto da Londra o Bruxelles, in attesa di veder raso al suolo ciò che resta di Kiev.

In questo senso, le parole di Trump sembrano quasi una sorta di assicurazione sul successo del suo piano: è l’unico ad aver proposto un investimento positivo per l’Ucraina ed è pronto a dare un endorsement a chi riterrà opportuno… ovvero un nuovo leader che sia abile a promuovere gli interessi immobiliari del Potus e la nuova strategia americana anti-europa, insediando una buffer zone proprio nella regione più importante degli ultimi anni.

Forse, in fin dei conti, è meglio così? Forse un candidato gradito a Washington ha più probabilità di riportare la stabilità, rispetto ad uno scelto dai folli politici europei? La domanda resta aperta.

Ancora una volta, il bene dei cittadini ucraini è lasciato da parte, dando predominanza agli interessi di potenze straniere. Ecco il vero volto degli “amici” occidentali.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

See also

See also

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.