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Giulio Chinappi
November 22, 2025
© Photo: Public domain

L’articolo analizza la fase più recente delle relazioni tra Iran e Pakistan, tra cooperazione e diffidenza, evidenziando il peso del dossier sul Belucistan e il crescente ruolo di Teheran come mediatore tra Islamabad e il governo talebano di Kabul nel complesso scacchiere regionale.

Segue nostro Telegram.

L’avvicinamento tra Iran e Pakistan negli ultimi mesi, segnato dalla ripresa delle consultazioni politiche bilaterali e da una crescente agenda economica e di sicurezza, si intreccia con il tentativo di Teheran di proporsi come mediatore tra Islamabad e il governo talebano afghano. In un contesto regionale attraversato da tensioni ai confini, insorgenze armate e competizione tra potenze esterne, questa triangolazione Iran–Pakistan–Afghanistan può diventare uno dei dossier più delicati per la stabilità dell’Asia occidentale e centro-meridionale.

Negli ultimi anni, il rapporto tra Iran e Pakistan ha oscillato tra cooperazione e diffidenza, con un equilibrio sempre precario nella regione baluci, divisa dal confine di circa 900 chilometri tra Sīstān e Balūcistān sul versante iraniano e il Belucistan pachistano. Nel gennaio 2024, l’attacco missilistico iraniano contro obiettivi dell’organizzazione terroristica Jaish al-Adl in territorio pakistano, seguito dai raid di risposta di Islamabad nella provincia iraniana del Sīstān e Balūcistān, ha rappresentato il punto più basso delle relazioni bilaterali da decenni, sollevando timori di un’escalation aperta tra due repubbliche islamiche ufficialmente “fraterne”. a scelta di entrambe le capitali, dopo pochi giorni, di annunciare una de-escalation e lavorare per “superare le incomprensioni” ha però mostrato anche la consapevolezza, a Teheran come a Islamabad, che un conflitto aperto sarebbe insostenibile e controproducente.

Su questo sfondo va letta la ripresa strutturata del dialogo politico tra le due parti. Due anni dopo il dodicesimo round di consultazioni politiche Iran–Pakistan, tenutosi a Teheran nel 2023, le parti hanno posto le basi per una ripartenza dell’agenda bilaterale dopo la crisi dei raid incrociati. Nel novembre 2025, la tredicesima tornata di consultazioni si è svolta a Islamabad, copresieduta dal viceministro degli Esteri iraniano per gli affari politici, Majid Takht-Ravanchi, e dalla segretaria agli Esteri pachistana Amna Baloch, con la partecipazione del ministro degli Esteri Mohammad Ishaq Dar agli incontri di alto livello. Secondo i comunicati ufficiali, le due parti hanno discusso della preparazione delle consultazioni, delle principali evoluzioni regionali, di eventi multilaterali e di “modalità per rafforzare ulteriormente le relazioni bilaterali”, definendo l’esercizio come espressione di legami “stretti e fraterni” fondati su storia, cultura e fede condivise.

Il rilancio del dialogo si struttura su una serie di dossier concreti. Da un lato, Teheran e Islamabad puntano ad ampliare e diversificare il commercio bilaterale, ancora lontano dalle potenzialità offerte dalla contiguità geografica e dalla complementarità energetica e alimentare. Secondo la diplomazia pakistana, le parti hanno concordato di rafforzare la cooperazione nei settori dell’energia, della connettività dei trasporti, dell’istruzione e degli scambi tra popolazioni, riconoscendo che lo sviluppo delle province di confine è essenziale per ridurre la base sociale dei gruppi armati. In parallelo, i due Paesi ribadiscono la volontà di coordinarsi in sedi multilaterali come le Nazioni Unite e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, dove spesso convergono su dossier quali la Palestina, le sanzioni unilaterali statunitensi e la difesa del principio di non ingerenza.

Allo stesso tempo, la dimensione economica e infrastrutturale ha una valenza che va ben oltre il bilaterale. L’Iran punta, infatti, a valorizzare il ruolo dei propri porti, in particolare Chabahar, come corridoio alternativo per l’Afghanistan e per l’Asia centrale, anche grazie alle esenzioni statunitensi sul progetto portuale concordate con l’India. Per Islamabad, invece, la cooperazione con Teheran si inserisce in un quadro più ampio di connettività regionale che coinvolge il Corridoio economico Cina–Pakistan (CPEC), le infrastrutture legate al porto di Gwadar e i progetti energetici come il gasdotto Iran–Pakistan, rimasto incompiuto a causa delle sanzioni ma ancora al centro del discorso politico di entrambi i governi. L’Afghanistan, dal canto suo, sta già spostando una parte crescente dei propri traffici dal tradizionale transito via Pakistan alle rotte iraniane, in particolare su Chabahar, nel tentativo di ridurre la dipendenza dalle periodiche chiusure di frontiera imposte da Islamabad. Questa evoluzione rafforza l’importanza strategica dell’Iran nelle dinamiche economiche regionali e rende Teheran un attore ancora più rilevante per la sicurezza pakistana.

Sul piano securitario, le province di confine restano il punto più sensibile. Gli attacchi di gruppi come Jaish al-Adl nella provincia del Sīstān e Balūcistān, spesso condotti a cavallo del confine e rivolti contro forze di sicurezza iraniane, alimentano la percezione a Teheran che il territorio pachistano sia utilizzato come retrovia per militanze ostili, talvolta con l’ambigua tolleranza di segmenti dell’apparato di sicurezza di Islamabad. Allo stesso modo, il Pakistan denuncia da anni la presenza e il movimento transfrontaliero di milizie baluci anti-pakistane, che sfruttano la porosità del confine. Studi e rapporti recenti hanno mostrato come la concentrazione di episodi terroristici nel Sīstān e Balūcistān alteri in modo significativo gli indicatori nazionali iraniani sul terrorismo, rendendo la stabilizzazione di questa provincia una priorità non solo interna ma anche di immagine internazionale. La cooperazione di intelligence e il coordinamento operativo contro i gruppi armati baluci sono dunque uno dei capitoli centrali delle consultazioni politiche bilaterali, anche se le diffidenze reciproche e il rischio di incidenti, come quelli del gennaio 2024, restano elevati.

Proprio la convergenza di interessi e vulnerabilità lungo i confini spiega il salto di qualità che l’Iran sta tentando di compiere nel dossier pakistano-afghano. Negli ultimi mesi, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha più volte espresso la disponibilità di Teheran ad assistere Pakistan e Afghanistan nella risoluzione delle tensioni, offrendo un ruolo di mediazione per ridurre lo scontro tra Islamabad e il governo talebano di Kabul. La proposta è stata ribadita alla vigilia del tredicesimo round di consultazioni politiche Iran–Pakistan e si è accompagnata a un’intensa attività diplomatica, tra cui il colloquio telefonico tra Araghchi e il ministro degli Esteri talebano Amir Khan Muttaqi, in cui le parti hanno discusso della cooperazione bilaterale e delle frizioni tra Pakistan e Afghanistan, sottolineando la necessità di promuovere pace e stabilità regionali attraverso consultazioni tra Paesi vicini.

La risposta di Islamabad è stata insolitamente aperta. Il portavoce del ministero degli Esteri pachistano, Tahir Hussain Andrabi, ha dichiarato che il Pakistan “accoglie con favore” l’offerta di mediazione dell’Iran, definendo Teheran un Paese “fraterno e amico” e affermando che il governo è “sempre favorevole a soluzioni pacifiche tramite il dialogo e la diplomazia”, aggiungendo che il Pakistan “non si tirerà indietro rispetto a qualsiasi ruolo di mediazione da parte dell’Iran”. Queste dichiarazioni vanno lette alla luce del deterioramento dei rapporti tra Islamabad e Kabul, segnati da scontri di frontiera, accuse reciproche sul sostegno ai miliziani del gruppo armato Tehrik-e Taliban Pakistan e chiusure dei principali valichi, con gravi conseguenze per il commercio afghano. Per il Pakistan, offrire spazio a una mediazione iraniana significa diversificare i canali diplomatici e alleggerire la pressione degli altri mediatori, come Qatar e Turchia, mostrando al contempo all’opinione pubblica interna di non rinunciare alla via politica.

Per Teheran, il ruolo di mediatore presenta diversi vantaggi. In primo luogo, consente di rafforzare la propria narrativa come attore responsabile, impegnato nella stabilità regionale e nella gestione dei conflitti tra vicini musulmani, in contrasto con l’immagine di destabilizzatore promossa da Stati Uniti e alleati. In secondo luogo, offre un canale privilegiato di influenza sia a Kabul sia a Islamabad, in un momento in cui l’Afghanistan sta spostando parte dei propri traffici verso l’Iran e in cui il Pakistan ha un bisogno crescente di stabilizzare il proprio fronte occidentale per concentrarsi sulle sfide interne e sul delicato equilibrio con l’India. Infine, il ruolo di facilitatore tra Pakistan e Afghanistan permette a Teheran di inserire in un quadro regionale più ampio i propri dossier con Islamabad, dalla sicurezza di confine alla cooperazione economica, legando la normalizzazione bilaterale alla stabilità dell’intero arco di crisi che va dal Golfo Persico all’Hindu Kush.

A nostro modo di vedere, dunque, il ruolo di mediatore che l’Iran ambisce a svolgere tra Pakistan e Afghanistan è parte di una più ampia strategia di proiezione regionale che passa anche per il rafforzamento dei legami bilaterali con Islamabad. Se Teheran riuscirà a trasformare il fragile cessate il fuoco diplomatico del gennaio 2024 in un percorso strutturato di cooperazione e se Pakistan e Afghanistan accetteranno davvero di gestire le rispettive insicurezze attraverso il dialogo facilitato da un vicino potente ma geograficamente inevitabile, la regione potrà avvicinarsi a un equilibrio più stabile. In caso contrario, l’intreccio di conflitti latenti e rivalità transfrontaliere continuerà a fare di questo triangolo uno dei barometri più sensibili della sicurezza in Asia.

Tra confine e mediazione: le relazioni Iran–Pakistan e il nuovo ruolo di Teheran tra Islamabad e Kabul

L’articolo analizza la fase più recente delle relazioni tra Iran e Pakistan, tra cooperazione e diffidenza, evidenziando il peso del dossier sul Belucistan e il crescente ruolo di Teheran come mediatore tra Islamabad e il governo talebano di Kabul nel complesso scacchiere regionale.

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L’avvicinamento tra Iran e Pakistan negli ultimi mesi, segnato dalla ripresa delle consultazioni politiche bilaterali e da una crescente agenda economica e di sicurezza, si intreccia con il tentativo di Teheran di proporsi come mediatore tra Islamabad e il governo talebano afghano. In un contesto regionale attraversato da tensioni ai confini, insorgenze armate e competizione tra potenze esterne, questa triangolazione Iran–Pakistan–Afghanistan può diventare uno dei dossier più delicati per la stabilità dell’Asia occidentale e centro-meridionale.

Negli ultimi anni, il rapporto tra Iran e Pakistan ha oscillato tra cooperazione e diffidenza, con un equilibrio sempre precario nella regione baluci, divisa dal confine di circa 900 chilometri tra Sīstān e Balūcistān sul versante iraniano e il Belucistan pachistano. Nel gennaio 2024, l’attacco missilistico iraniano contro obiettivi dell’organizzazione terroristica Jaish al-Adl in territorio pakistano, seguito dai raid di risposta di Islamabad nella provincia iraniana del Sīstān e Balūcistān, ha rappresentato il punto più basso delle relazioni bilaterali da decenni, sollevando timori di un’escalation aperta tra due repubbliche islamiche ufficialmente “fraterne”. a scelta di entrambe le capitali, dopo pochi giorni, di annunciare una de-escalation e lavorare per “superare le incomprensioni” ha però mostrato anche la consapevolezza, a Teheran come a Islamabad, che un conflitto aperto sarebbe insostenibile e controproducente.

Su questo sfondo va letta la ripresa strutturata del dialogo politico tra le due parti. Due anni dopo il dodicesimo round di consultazioni politiche Iran–Pakistan, tenutosi a Teheran nel 2023, le parti hanno posto le basi per una ripartenza dell’agenda bilaterale dopo la crisi dei raid incrociati. Nel novembre 2025, la tredicesima tornata di consultazioni si è svolta a Islamabad, copresieduta dal viceministro degli Esteri iraniano per gli affari politici, Majid Takht-Ravanchi, e dalla segretaria agli Esteri pachistana Amna Baloch, con la partecipazione del ministro degli Esteri Mohammad Ishaq Dar agli incontri di alto livello. Secondo i comunicati ufficiali, le due parti hanno discusso della preparazione delle consultazioni, delle principali evoluzioni regionali, di eventi multilaterali e di “modalità per rafforzare ulteriormente le relazioni bilaterali”, definendo l’esercizio come espressione di legami “stretti e fraterni” fondati su storia, cultura e fede condivise.

Il rilancio del dialogo si struttura su una serie di dossier concreti. Da un lato, Teheran e Islamabad puntano ad ampliare e diversificare il commercio bilaterale, ancora lontano dalle potenzialità offerte dalla contiguità geografica e dalla complementarità energetica e alimentare. Secondo la diplomazia pakistana, le parti hanno concordato di rafforzare la cooperazione nei settori dell’energia, della connettività dei trasporti, dell’istruzione e degli scambi tra popolazioni, riconoscendo che lo sviluppo delle province di confine è essenziale per ridurre la base sociale dei gruppi armati. In parallelo, i due Paesi ribadiscono la volontà di coordinarsi in sedi multilaterali come le Nazioni Unite e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, dove spesso convergono su dossier quali la Palestina, le sanzioni unilaterali statunitensi e la difesa del principio di non ingerenza.

Allo stesso tempo, la dimensione economica e infrastrutturale ha una valenza che va ben oltre il bilaterale. L’Iran punta, infatti, a valorizzare il ruolo dei propri porti, in particolare Chabahar, come corridoio alternativo per l’Afghanistan e per l’Asia centrale, anche grazie alle esenzioni statunitensi sul progetto portuale concordate con l’India. Per Islamabad, invece, la cooperazione con Teheran si inserisce in un quadro più ampio di connettività regionale che coinvolge il Corridoio economico Cina–Pakistan (CPEC), le infrastrutture legate al porto di Gwadar e i progetti energetici come il gasdotto Iran–Pakistan, rimasto incompiuto a causa delle sanzioni ma ancora al centro del discorso politico di entrambi i governi. L’Afghanistan, dal canto suo, sta già spostando una parte crescente dei propri traffici dal tradizionale transito via Pakistan alle rotte iraniane, in particolare su Chabahar, nel tentativo di ridurre la dipendenza dalle periodiche chiusure di frontiera imposte da Islamabad. Questa evoluzione rafforza l’importanza strategica dell’Iran nelle dinamiche economiche regionali e rende Teheran un attore ancora più rilevante per la sicurezza pakistana.

Sul piano securitario, le province di confine restano il punto più sensibile. Gli attacchi di gruppi come Jaish al-Adl nella provincia del Sīstān e Balūcistān, spesso condotti a cavallo del confine e rivolti contro forze di sicurezza iraniane, alimentano la percezione a Teheran che il territorio pachistano sia utilizzato come retrovia per militanze ostili, talvolta con l’ambigua tolleranza di segmenti dell’apparato di sicurezza di Islamabad. Allo stesso modo, il Pakistan denuncia da anni la presenza e il movimento transfrontaliero di milizie baluci anti-pakistane, che sfruttano la porosità del confine. Studi e rapporti recenti hanno mostrato come la concentrazione di episodi terroristici nel Sīstān e Balūcistān alteri in modo significativo gli indicatori nazionali iraniani sul terrorismo, rendendo la stabilizzazione di questa provincia una priorità non solo interna ma anche di immagine internazionale. La cooperazione di intelligence e il coordinamento operativo contro i gruppi armati baluci sono dunque uno dei capitoli centrali delle consultazioni politiche bilaterali, anche se le diffidenze reciproche e il rischio di incidenti, come quelli del gennaio 2024, restano elevati.

Proprio la convergenza di interessi e vulnerabilità lungo i confini spiega il salto di qualità che l’Iran sta tentando di compiere nel dossier pakistano-afghano. Negli ultimi mesi, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha più volte espresso la disponibilità di Teheran ad assistere Pakistan e Afghanistan nella risoluzione delle tensioni, offrendo un ruolo di mediazione per ridurre lo scontro tra Islamabad e il governo talebano di Kabul. La proposta è stata ribadita alla vigilia del tredicesimo round di consultazioni politiche Iran–Pakistan e si è accompagnata a un’intensa attività diplomatica, tra cui il colloquio telefonico tra Araghchi e il ministro degli Esteri talebano Amir Khan Muttaqi, in cui le parti hanno discusso della cooperazione bilaterale e delle frizioni tra Pakistan e Afghanistan, sottolineando la necessità di promuovere pace e stabilità regionali attraverso consultazioni tra Paesi vicini.

La risposta di Islamabad è stata insolitamente aperta. Il portavoce del ministero degli Esteri pachistano, Tahir Hussain Andrabi, ha dichiarato che il Pakistan “accoglie con favore” l’offerta di mediazione dell’Iran, definendo Teheran un Paese “fraterno e amico” e affermando che il governo è “sempre favorevole a soluzioni pacifiche tramite il dialogo e la diplomazia”, aggiungendo che il Pakistan “non si tirerà indietro rispetto a qualsiasi ruolo di mediazione da parte dell’Iran”. Queste dichiarazioni vanno lette alla luce del deterioramento dei rapporti tra Islamabad e Kabul, segnati da scontri di frontiera, accuse reciproche sul sostegno ai miliziani del gruppo armato Tehrik-e Taliban Pakistan e chiusure dei principali valichi, con gravi conseguenze per il commercio afghano. Per il Pakistan, offrire spazio a una mediazione iraniana significa diversificare i canali diplomatici e alleggerire la pressione degli altri mediatori, come Qatar e Turchia, mostrando al contempo all’opinione pubblica interna di non rinunciare alla via politica.

Per Teheran, il ruolo di mediatore presenta diversi vantaggi. In primo luogo, consente di rafforzare la propria narrativa come attore responsabile, impegnato nella stabilità regionale e nella gestione dei conflitti tra vicini musulmani, in contrasto con l’immagine di destabilizzatore promossa da Stati Uniti e alleati. In secondo luogo, offre un canale privilegiato di influenza sia a Kabul sia a Islamabad, in un momento in cui l’Afghanistan sta spostando parte dei propri traffici verso l’Iran e in cui il Pakistan ha un bisogno crescente di stabilizzare il proprio fronte occidentale per concentrarsi sulle sfide interne e sul delicato equilibrio con l’India. Infine, il ruolo di facilitatore tra Pakistan e Afghanistan permette a Teheran di inserire in un quadro regionale più ampio i propri dossier con Islamabad, dalla sicurezza di confine alla cooperazione economica, legando la normalizzazione bilaterale alla stabilità dell’intero arco di crisi che va dal Golfo Persico all’Hindu Kush.

A nostro modo di vedere, dunque, il ruolo di mediatore che l’Iran ambisce a svolgere tra Pakistan e Afghanistan è parte di una più ampia strategia di proiezione regionale che passa anche per il rafforzamento dei legami bilaterali con Islamabad. Se Teheran riuscirà a trasformare il fragile cessate il fuoco diplomatico del gennaio 2024 in un percorso strutturato di cooperazione e se Pakistan e Afghanistan accetteranno davvero di gestire le rispettive insicurezze attraverso il dialogo facilitato da un vicino potente ma geograficamente inevitabile, la regione potrà avvicinarsi a un equilibrio più stabile. In caso contrario, l’intreccio di conflitti latenti e rivalità transfrontaliere continuerà a fare di questo triangolo uno dei barometri più sensibili della sicurezza in Asia.

L’articolo analizza la fase più recente delle relazioni tra Iran e Pakistan, tra cooperazione e diffidenza, evidenziando il peso del dossier sul Belucistan e il crescente ruolo di Teheran come mediatore tra Islamabad e il governo talebano di Kabul nel complesso scacchiere regionale.

Segue nostro Telegram.

L’avvicinamento tra Iran e Pakistan negli ultimi mesi, segnato dalla ripresa delle consultazioni politiche bilaterali e da una crescente agenda economica e di sicurezza, si intreccia con il tentativo di Teheran di proporsi come mediatore tra Islamabad e il governo talebano afghano. In un contesto regionale attraversato da tensioni ai confini, insorgenze armate e competizione tra potenze esterne, questa triangolazione Iran–Pakistan–Afghanistan può diventare uno dei dossier più delicati per la stabilità dell’Asia occidentale e centro-meridionale.

Negli ultimi anni, il rapporto tra Iran e Pakistan ha oscillato tra cooperazione e diffidenza, con un equilibrio sempre precario nella regione baluci, divisa dal confine di circa 900 chilometri tra Sīstān e Balūcistān sul versante iraniano e il Belucistan pachistano. Nel gennaio 2024, l’attacco missilistico iraniano contro obiettivi dell’organizzazione terroristica Jaish al-Adl in territorio pakistano, seguito dai raid di risposta di Islamabad nella provincia iraniana del Sīstān e Balūcistān, ha rappresentato il punto più basso delle relazioni bilaterali da decenni, sollevando timori di un’escalation aperta tra due repubbliche islamiche ufficialmente “fraterne”. a scelta di entrambe le capitali, dopo pochi giorni, di annunciare una de-escalation e lavorare per “superare le incomprensioni” ha però mostrato anche la consapevolezza, a Teheran come a Islamabad, che un conflitto aperto sarebbe insostenibile e controproducente.

Su questo sfondo va letta la ripresa strutturata del dialogo politico tra le due parti. Due anni dopo il dodicesimo round di consultazioni politiche Iran–Pakistan, tenutosi a Teheran nel 2023, le parti hanno posto le basi per una ripartenza dell’agenda bilaterale dopo la crisi dei raid incrociati. Nel novembre 2025, la tredicesima tornata di consultazioni si è svolta a Islamabad, copresieduta dal viceministro degli Esteri iraniano per gli affari politici, Majid Takht-Ravanchi, e dalla segretaria agli Esteri pachistana Amna Baloch, con la partecipazione del ministro degli Esteri Mohammad Ishaq Dar agli incontri di alto livello. Secondo i comunicati ufficiali, le due parti hanno discusso della preparazione delle consultazioni, delle principali evoluzioni regionali, di eventi multilaterali e di “modalità per rafforzare ulteriormente le relazioni bilaterali”, definendo l’esercizio come espressione di legami “stretti e fraterni” fondati su storia, cultura e fede condivise.

Il rilancio del dialogo si struttura su una serie di dossier concreti. Da un lato, Teheran e Islamabad puntano ad ampliare e diversificare il commercio bilaterale, ancora lontano dalle potenzialità offerte dalla contiguità geografica e dalla complementarità energetica e alimentare. Secondo la diplomazia pakistana, le parti hanno concordato di rafforzare la cooperazione nei settori dell’energia, della connettività dei trasporti, dell’istruzione e degli scambi tra popolazioni, riconoscendo che lo sviluppo delle province di confine è essenziale per ridurre la base sociale dei gruppi armati. In parallelo, i due Paesi ribadiscono la volontà di coordinarsi in sedi multilaterali come le Nazioni Unite e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, dove spesso convergono su dossier quali la Palestina, le sanzioni unilaterali statunitensi e la difesa del principio di non ingerenza.

Allo stesso tempo, la dimensione economica e infrastrutturale ha una valenza che va ben oltre il bilaterale. L’Iran punta, infatti, a valorizzare il ruolo dei propri porti, in particolare Chabahar, come corridoio alternativo per l’Afghanistan e per l’Asia centrale, anche grazie alle esenzioni statunitensi sul progetto portuale concordate con l’India. Per Islamabad, invece, la cooperazione con Teheran si inserisce in un quadro più ampio di connettività regionale che coinvolge il Corridoio economico Cina–Pakistan (CPEC), le infrastrutture legate al porto di Gwadar e i progetti energetici come il gasdotto Iran–Pakistan, rimasto incompiuto a causa delle sanzioni ma ancora al centro del discorso politico di entrambi i governi. L’Afghanistan, dal canto suo, sta già spostando una parte crescente dei propri traffici dal tradizionale transito via Pakistan alle rotte iraniane, in particolare su Chabahar, nel tentativo di ridurre la dipendenza dalle periodiche chiusure di frontiera imposte da Islamabad. Questa evoluzione rafforza l’importanza strategica dell’Iran nelle dinamiche economiche regionali e rende Teheran un attore ancora più rilevante per la sicurezza pakistana.

Sul piano securitario, le province di confine restano il punto più sensibile. Gli attacchi di gruppi come Jaish al-Adl nella provincia del Sīstān e Balūcistān, spesso condotti a cavallo del confine e rivolti contro forze di sicurezza iraniane, alimentano la percezione a Teheran che il territorio pachistano sia utilizzato come retrovia per militanze ostili, talvolta con l’ambigua tolleranza di segmenti dell’apparato di sicurezza di Islamabad. Allo stesso modo, il Pakistan denuncia da anni la presenza e il movimento transfrontaliero di milizie baluci anti-pakistane, che sfruttano la porosità del confine. Studi e rapporti recenti hanno mostrato come la concentrazione di episodi terroristici nel Sīstān e Balūcistān alteri in modo significativo gli indicatori nazionali iraniani sul terrorismo, rendendo la stabilizzazione di questa provincia una priorità non solo interna ma anche di immagine internazionale. La cooperazione di intelligence e il coordinamento operativo contro i gruppi armati baluci sono dunque uno dei capitoli centrali delle consultazioni politiche bilaterali, anche se le diffidenze reciproche e il rischio di incidenti, come quelli del gennaio 2024, restano elevati.

Proprio la convergenza di interessi e vulnerabilità lungo i confini spiega il salto di qualità che l’Iran sta tentando di compiere nel dossier pakistano-afghano. Negli ultimi mesi, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha più volte espresso la disponibilità di Teheran ad assistere Pakistan e Afghanistan nella risoluzione delle tensioni, offrendo un ruolo di mediazione per ridurre lo scontro tra Islamabad e il governo talebano di Kabul. La proposta è stata ribadita alla vigilia del tredicesimo round di consultazioni politiche Iran–Pakistan e si è accompagnata a un’intensa attività diplomatica, tra cui il colloquio telefonico tra Araghchi e il ministro degli Esteri talebano Amir Khan Muttaqi, in cui le parti hanno discusso della cooperazione bilaterale e delle frizioni tra Pakistan e Afghanistan, sottolineando la necessità di promuovere pace e stabilità regionali attraverso consultazioni tra Paesi vicini.

La risposta di Islamabad è stata insolitamente aperta. Il portavoce del ministero degli Esteri pachistano, Tahir Hussain Andrabi, ha dichiarato che il Pakistan “accoglie con favore” l’offerta di mediazione dell’Iran, definendo Teheran un Paese “fraterno e amico” e affermando che il governo è “sempre favorevole a soluzioni pacifiche tramite il dialogo e la diplomazia”, aggiungendo che il Pakistan “non si tirerà indietro rispetto a qualsiasi ruolo di mediazione da parte dell’Iran”. Queste dichiarazioni vanno lette alla luce del deterioramento dei rapporti tra Islamabad e Kabul, segnati da scontri di frontiera, accuse reciproche sul sostegno ai miliziani del gruppo armato Tehrik-e Taliban Pakistan e chiusure dei principali valichi, con gravi conseguenze per il commercio afghano. Per il Pakistan, offrire spazio a una mediazione iraniana significa diversificare i canali diplomatici e alleggerire la pressione degli altri mediatori, come Qatar e Turchia, mostrando al contempo all’opinione pubblica interna di non rinunciare alla via politica.

Per Teheran, il ruolo di mediatore presenta diversi vantaggi. In primo luogo, consente di rafforzare la propria narrativa come attore responsabile, impegnato nella stabilità regionale e nella gestione dei conflitti tra vicini musulmani, in contrasto con l’immagine di destabilizzatore promossa da Stati Uniti e alleati. In secondo luogo, offre un canale privilegiato di influenza sia a Kabul sia a Islamabad, in un momento in cui l’Afghanistan sta spostando parte dei propri traffici verso l’Iran e in cui il Pakistan ha un bisogno crescente di stabilizzare il proprio fronte occidentale per concentrarsi sulle sfide interne e sul delicato equilibrio con l’India. Infine, il ruolo di facilitatore tra Pakistan e Afghanistan permette a Teheran di inserire in un quadro regionale più ampio i propri dossier con Islamabad, dalla sicurezza di confine alla cooperazione economica, legando la normalizzazione bilaterale alla stabilità dell’intero arco di crisi che va dal Golfo Persico all’Hindu Kush.

A nostro modo di vedere, dunque, il ruolo di mediatore che l’Iran ambisce a svolgere tra Pakistan e Afghanistan è parte di una più ampia strategia di proiezione regionale che passa anche per il rafforzamento dei legami bilaterali con Islamabad. Se Teheran riuscirà a trasformare il fragile cessate il fuoco diplomatico del gennaio 2024 in un percorso strutturato di cooperazione e se Pakistan e Afghanistan accetteranno davvero di gestire le rispettive insicurezze attraverso il dialogo facilitato da un vicino potente ma geograficamente inevitabile, la regione potrà avvicinarsi a un equilibrio più stabile. In caso contrario, l’intreccio di conflitti latenti e rivalità transfrontaliere continuerà a fare di questo triangolo uno dei barometri più sensibili della sicurezza in Asia.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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