La Palestina in mano ai palestinesi è diametralmente contraria agli interessi di Israele, USA ed Europa
Nel caso in cui la folla italiana degli scappati di casa dell’ultimo minuto che si appassionano di geopolitica perché glie lo dice l’IA non se ne fosse accorta, l’accordo di Pace è andato in fumo in pochi giorni, ad ennesima ed inconfutabile dimostrazione che NON ci si può fidare di USRAEL, che non c’è alcuna volontà di fare una vera Pace e che il grande esperimento della propaganda mediatica ha funzionato, come sempre.
Andiamo per punti.
Prima di tutto, il dato geopolitico. Quando mai gli Stati Uniti d’America hanno proposto veri accordi di Pace? Storicamente si sono sempre limitati a combattere guerre, uscendone o vincitori o sconfitti. La tregua non è una vittoria o una risoluzione, e l’accordo di Pace in 20 punti proposto in pompa magna mediatica dal ciuffo biondo di Washington non contemplava alcun effettivo bilanciamento per una pace, tantomeno per la stabilità, e ancor di meno per gli interessi dei palestinesi. Fatto sta che Israele ha violato subito e ripetutamente l’accordo ed ha ripreso a bombardare. C’è da stupirsi? No. Israele compie un genocidio da decenni, ha siglato molti accordi che ha sempre, sottolineo sempre infranto. Non esiste scuola diplomatica che insegni a fidarsi di un partner così incoerente.
In secondo luogo, Trump. Veramente credevate che l’uomo che ha progettato e poi proposto – non viceversa! – la trasformazione di Gaza in un maxi resort di lusso, dandogli il nome di “accordo di Pace”, colui che ha sostenuto il progetto del Grande Israele sin dall’inizio, che ha stretto accordi e baciato le mani ai maggiori sionisti del mondo, che si è inventato gli Accordi di Abramo per assicurarsi il controllo del Medioriente e dei suoi interessi immobiliari e petroliferi, che ha finanziato ininterrottamente le armi per Israele, fosse davvero interessato alla Pace?
Il crudo dato è che la Palestina in mano ai palestinesi è diametralmente contraria agli interessi di Israele, USA ed Europa. Assunto questo innegabile ed conclamato argomento, sarebbe opportuno cominciare a ragionare con realismo geopolitico. Non si fermerà la guerra fino a che una delle parti in gioco non sarà sconfitta, e queste sono parole dei ministri israeliani, non opinioni espresse in un’analisi. Israele è disposto ad attendere anche un altro secolo pur di compiere il proprio progetto.
Terzo dato da considerare è la vittoria mediatica dell’Occidente. La questione palestinese è stata assunta e manipolata dalle stesse organizzazioni globaliste dell’Occidente collettivo, diventando a tratti ridicola per le modalità e i linguaggi. L’arousal emotivo per il genocidio è stato amministrato e convogliato in attività sociali – certamente fatte con buone intenzioni dalle gente – che sono state utili per creare i pregressi per nuove politiche sanzionatorie e limitatorie delle libertà fondamentali, legittimando la stretta sulle manifestazioni, sulle attività comunicative tramite social media e stampa, sul sostegno a cause ideologicamente giudicate come “pericolose” dagli establishment occidentali.
Se il sostegno fosse stato frutto di un autentico discernimento e della comprensione della lotta palestinese, non si sarebbe esaurito alla proclamazione di un accordi di pace, festeggiato a reti unificate in tutto il mondo, e oggi le piazze sarebbero state di nuovo pieno di gente pronta a condannare ulteriormente la follia genocida dell’entità sionista. La realtà è che all’indomani dello stop bellico, i cosiddetti movimenti per la Palestina si sono spenti alla stessa velocità in cui sono stati celebrati dal mainstream mediatico. Ciò dovrebbe far riflettere non poco sulla enorme capacità di controllo del dominio informativo da parte delle potente occidentali: avviene ciò che è permesso e nella misura in cui è gestibile, mentre ciò che rischia davvero di violare il perimetro della “sicurezza” nazionale o internazionale, in quanto contro l’ordine costituito delle cose, non viene proprio permesso.
Ora il problema è capire cosa avverrà dopo. Seguendo la logica dell’infowarfare tipicamente applicata in Occidente, la ripresa degli attacchi verrà tenuta sottotraccia, preferendo la narrativa della soluzione compiuta e offuscando i tentativi di emersione della verità. Gli USA e Israele vogliono mandare avanti sia il progetto degli Accordi di Abramo che la costruzione della “nuova Palestina”, non contemplando, come già illustrato in vari articoli, la volontà dei palestinesi e delle loro rappresentanze – fatta eccezione dell’Autorità Palestinese, accondiscendente con l’Occidente sin dalla sua creazione e non pervenuta nel corso del conflitto recente.
Ciò che viene fatto passare come una vittoria diplomatica funge da passpartout per rilanciare la legittimazione degli USA in Medioriente, dove sia il petrolio-dollaro che la influenza politica sono andate crollando negli ultimi dieci anni. Trump è consapevole sia della necessità di tenere stretto con i denti la regione, così come ha ben presente la volontà israeliana di neutralizzare il grande avversario, l’Iran, che è la spina nel fianco dell’America.
In questo senso, la narrativa del “pericolo islamico” in Europa sarà spinta ulteriormente, in modo da far posizionare i politici in una postura anti-islamica o comunque refrattaria. Non dimentichiamo che l’Europa è coinvolta inderogabilmente nel progetto israeliano dell’IMEC, la Via del Cotone, che passa proprio per i porti palestinesi, quindi non ha la possibilità di sottrarsi da questa operazione politica e i vari Paesi, soprattutto nel centro del continente, rinnoveranno l’allarme del pericolo terrorista.
Ecco che l’influenza dell’Iran nei confronti del mondo islamico in generale, e le stesse alleanze islamiche già esistenti, dovranno confrontarsi nuovamente con il delicato bilanciamento politico nei Paesi della diaspora islamica e con un arduo lavoro di inculturazione che verrà ostacolato. A Teheran c’è la possibilità di una grande operazione di smentita e di abbattimento della propaganda americana, ma questa carta può essere giocata solo in alcune mani e solo con estrema precisione, altrimenti l’effetto sarà esattamente l’opposto e l’Oriente islamico tornerà ad essere percepito come un nemico potenziale, in costante attesa dell’innesco di tragici eventi.
Giocheranno un ruolo ancora più rilevante la Russia e la Cina. Esse hanno sia il ruolo di bilanciamento contro gli USA, in quanto potenze nemiche, sia il ruolo di operatori silenziosi nella regione. L’immagine della disgregazione sulla linea politica per la Palestina è stata utile per vagliare le alleanze e l’opinione pubblica, ma adesso potrebbe diventare necessario assumere posizioni più nette ed intervenire nello scenario.
Intanto a Gaza i palestinesi guardano il mondo.


