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Giulio Chinappi
September 25, 2025
© Photo: Public domain

Le manifestazioni scoppiate alla fine di agosto per i privilegi parlamentari e la violenza della polizia hanno precipitosamente messo alla prova il governo di Prabowo Subianto. Tra accuse di ingerenze esterne e un rapido rimpasto, Giacarta ha trovato un compromesso politico che prova a stabilizzare la scena interna.

Segue nostro Telegram.

La crisi che ha attraversato l’Indonesia tra la fine di agosto e la prima metà di settembre ha avuto inizio con la diffusione di video e notizie relative a indennità parlamentari giudicate scandalose in un paese alle prese con crescita diseguale e pressione sul costo della vita, ed è esplosa dopo la morte del giovane fattorino Affan Kurniawan, travolto da un veicolo blindato della polizia durante una manifestazione. La congiuntura ha prodotto ondate di mobilitazione di studenti, lavoratori e gruppi civili che hanno trasformato un malessere economico diffuso in una contestazione politica di grande ampiezza, fino a provocare incendi, saccheggi e un bilancio di vittime che ha messo a dura prova la legittimità dell’esecutivo. Di fronte a questa escalation, il governo del Presidente Prabowo Subianto ha operato un primo, significativo compromesso al fine di riportare la pace nell’arcipelago: i partiti parlamentari hanno concordato la revoca di una serie di privilegi e indennità, misura pensata per rispondere alla rabbia pubblica e neutralizzare il fattore scatenante della protesta.

Allo stesso tempo, accanto alla concessione simbolica rivolta all’opinione pubblica, l’esecutivo ha imposto un inasprimento della vigilanza e dell’ordine pubblico, ordinando alle forze armate e alla polizia misure severe contro i saccheggiatori e i responsabili di violenze. Tale strategia si è tradotta non soltanto in arresti e indagini, compresa la destituzione di almeno un agente coinvolto nel caso del fattorino, ma anche in una sequenza di interventi di sicurezza che sono stati criticati da una parte dell’opposizione. L’equilibrio tra contenimento dell’ordine pubblico e apertura politica — ossia il compromesso che Prabowo ha cercato — è quindi divenuto il perno della gestione governativa della crisi: una concessione per sedare la piazza e una mano ferma per evitare il collasso della sicurezza.

Come abbiamo sottolineato nel nostro precedente articolo sull’Indonesia, tuttavia, a questo quadro interno si sovrappone inevitabilmente una dimensione internazionale che complica la lettura degli eventi, in particolare per quanto riguarda possibili ingerenze straniere finalizzate a sfruttare la crisi per indebolire il governo di Giacarta. Tali ipotesi portano ad identificare l’esistenza di un interesse occidentale a vedere frammentato un esecutivo che negli ultimi mesi ha rafforzato legami con Pechino e Mosca, adottando una linea estera più autonoma, come dimostra proprio la visita di Prabowo in Cina in occasione della parata per gli 80 anni della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. La tesi regge anche alla luce di altri eventi che hanno visto protagonisti paesi asiatici che hanno vissuto dinamiche simili in tempi recenti, come nel caso del Nepal, del quale abbiamo trattato in altri articoli.

Nel valutare la plausibilità e l’impatto di possibili ingerenze straniere bisogna tenere conto di diverse variabili. Indubbiamente, la maggioranza dei movimenti di protesta si fondano su dinamiche autoctone — condizioni socio-economiche, reti studentesche, organizzazioni civiche, e catalizzatori simbolici come video virali — che raramente sono la semplice riproduzione di comandi esterni. Allo stesso tempo, esistono comprovati meccanismi indiretti attraverso i quali attori esterni possono esercitare influenza: finanziamenti a ONG e media, reti di formazione e scambio con società civile, campagne narrative online e operazioni di disinformazione che amplificano alcuni temi. Queste attività possono essere sufficienti ad esacerbare tensioni preesistenti senza necessariamente «dirigere» direttamente la protesta.

Considerando i casi del Nepal o del Bangladesh, dove le proteste hanno portato alla caduta dei rispettivi governi, la gestione politica di Prabowo ha avuto il merito di riuscire a riportare la stabilità interna prima che la situazione degenerasse ulteriormente. La sostituzione di ministri chiave, fra cui la rimozione di figure molto note come la ministra delle Finanze Sri Mulyani Indrawati e un rimpasto mirato nei dicasteri più sensibili alla crisi, si è tradotta in un tentativo rapido di ricomporre il consenso e dimostrare capacità di governo. L’arrivo di nuovi ministri e la successiva nomina di un coordinatore per la politica e la sicurezza di lunga carriera militare hanno inoltre il chiaro scopo di consolidare il controllo sulle leve della sicurezza, rassicurare i vertici militari e amministrativi e inviare al paese e agli osservatori internazionali il segnale che l’esecutivo intende rimettere in ordine la situazione.

Il compromesso che il governo ha raggiunto ha dunque sia un aspetto politico, con l’abrogazione o il congelamento di alcuni privilegi parlamentari e con la promessa di inchieste su episodi tragici, sia istituzionale, con un rimpasto e la nomina di figure di fiducia nei ruoli della sicurezza. Questo pacchetto ha l’obiettivo evidente di spegnere il conflitto sul piano simbolico e di ricostruire rapidamente un quadro amministrativo funzionante. Tuttavia, molti osservatori hanno sottolineato che il successo di questa operazione dipenderà dalla capacità dell’esecutivo di trasformare le misure cosmetiche in riforme strutturali: più trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche, una politica economica che affronti la vulnerabilità dei più giovani e dei lavoratori della «gig economy», e riforme procedurali che limitino gli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine.

Dal punto di vista geopolitico, la vicenda indonesiana contiene implicazioni di portata più ampia. L’azione estera di Giacarta — che, come detto, si sta orientando sempre di più verso i partner del mondo multipolare, a partire da Cina e Russia — si inserisce in un quadro internazionale nel quale le scelte di politica estera nazionali possono essere interconnesse con la vulnerabilità interna. Se è vero che l’Indonesia mira a promuovere una politica di autonomia strategica e a sfruttare la posizione di grande Paese regionale, è altrettanto vero che la sua stabilità interna è la condizione per convertire questa visibilità internazionale in vantaggi concreti. In questo senso, la capacità di Prabowo di consolidare un compromesso interno assume una funzione strumentale anche per la sua agenda estera.

Tirando le somme di questa nostra breve analisi, il compromesso raggiunto dal presidente Prabowo con la revoca delle indennità e il rimpasto ministeriale rappresenta una risposta pragmatica che cerca di ricostruire ordine e legittimità. La questione centrale però resta la trasformazione delle misure d’emergenza in riforme effettive che affrontino le cause profonde del malcontento. Solo così Giacarta potrà coniugare stabilità interna e ambizione internazionale senza cedere alle forze esterne che si oppongono alla trasformazione del mondo in senso multipolare.

Il compromesso di Prabowo Subianto per riportare la pace in Indonesia

Le manifestazioni scoppiate alla fine di agosto per i privilegi parlamentari e la violenza della polizia hanno precipitosamente messo alla prova il governo di Prabowo Subianto. Tra accuse di ingerenze esterne e un rapido rimpasto, Giacarta ha trovato un compromesso politico che prova a stabilizzare la scena interna.

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La crisi che ha attraversato l’Indonesia tra la fine di agosto e la prima metà di settembre ha avuto inizio con la diffusione di video e notizie relative a indennità parlamentari giudicate scandalose in un paese alle prese con crescita diseguale e pressione sul costo della vita, ed è esplosa dopo la morte del giovane fattorino Affan Kurniawan, travolto da un veicolo blindato della polizia durante una manifestazione. La congiuntura ha prodotto ondate di mobilitazione di studenti, lavoratori e gruppi civili che hanno trasformato un malessere economico diffuso in una contestazione politica di grande ampiezza, fino a provocare incendi, saccheggi e un bilancio di vittime che ha messo a dura prova la legittimità dell’esecutivo. Di fronte a questa escalation, il governo del Presidente Prabowo Subianto ha operato un primo, significativo compromesso al fine di riportare la pace nell’arcipelago: i partiti parlamentari hanno concordato la revoca di una serie di privilegi e indennità, misura pensata per rispondere alla rabbia pubblica e neutralizzare il fattore scatenante della protesta.

Allo stesso tempo, accanto alla concessione simbolica rivolta all’opinione pubblica, l’esecutivo ha imposto un inasprimento della vigilanza e dell’ordine pubblico, ordinando alle forze armate e alla polizia misure severe contro i saccheggiatori e i responsabili di violenze. Tale strategia si è tradotta non soltanto in arresti e indagini, compresa la destituzione di almeno un agente coinvolto nel caso del fattorino, ma anche in una sequenza di interventi di sicurezza che sono stati criticati da una parte dell’opposizione. L’equilibrio tra contenimento dell’ordine pubblico e apertura politica — ossia il compromesso che Prabowo ha cercato — è quindi divenuto il perno della gestione governativa della crisi: una concessione per sedare la piazza e una mano ferma per evitare il collasso della sicurezza.

Come abbiamo sottolineato nel nostro precedente articolo sull’Indonesia, tuttavia, a questo quadro interno si sovrappone inevitabilmente una dimensione internazionale che complica la lettura degli eventi, in particolare per quanto riguarda possibili ingerenze straniere finalizzate a sfruttare la crisi per indebolire il governo di Giacarta. Tali ipotesi portano ad identificare l’esistenza di un interesse occidentale a vedere frammentato un esecutivo che negli ultimi mesi ha rafforzato legami con Pechino e Mosca, adottando una linea estera più autonoma, come dimostra proprio la visita di Prabowo in Cina in occasione della parata per gli 80 anni della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. La tesi regge anche alla luce di altri eventi che hanno visto protagonisti paesi asiatici che hanno vissuto dinamiche simili in tempi recenti, come nel caso del Nepal, del quale abbiamo trattato in altri articoli.

Nel valutare la plausibilità e l’impatto di possibili ingerenze straniere bisogna tenere conto di diverse variabili. Indubbiamente, la maggioranza dei movimenti di protesta si fondano su dinamiche autoctone — condizioni socio-economiche, reti studentesche, organizzazioni civiche, e catalizzatori simbolici come video virali — che raramente sono la semplice riproduzione di comandi esterni. Allo stesso tempo, esistono comprovati meccanismi indiretti attraverso i quali attori esterni possono esercitare influenza: finanziamenti a ONG e media, reti di formazione e scambio con società civile, campagne narrative online e operazioni di disinformazione che amplificano alcuni temi. Queste attività possono essere sufficienti ad esacerbare tensioni preesistenti senza necessariamente «dirigere» direttamente la protesta.

Considerando i casi del Nepal o del Bangladesh, dove le proteste hanno portato alla caduta dei rispettivi governi, la gestione politica di Prabowo ha avuto il merito di riuscire a riportare la stabilità interna prima che la situazione degenerasse ulteriormente. La sostituzione di ministri chiave, fra cui la rimozione di figure molto note come la ministra delle Finanze Sri Mulyani Indrawati e un rimpasto mirato nei dicasteri più sensibili alla crisi, si è tradotta in un tentativo rapido di ricomporre il consenso e dimostrare capacità di governo. L’arrivo di nuovi ministri e la successiva nomina di un coordinatore per la politica e la sicurezza di lunga carriera militare hanno inoltre il chiaro scopo di consolidare il controllo sulle leve della sicurezza, rassicurare i vertici militari e amministrativi e inviare al paese e agli osservatori internazionali il segnale che l’esecutivo intende rimettere in ordine la situazione.

Il compromesso che il governo ha raggiunto ha dunque sia un aspetto politico, con l’abrogazione o il congelamento di alcuni privilegi parlamentari e con la promessa di inchieste su episodi tragici, sia istituzionale, con un rimpasto e la nomina di figure di fiducia nei ruoli della sicurezza. Questo pacchetto ha l’obiettivo evidente di spegnere il conflitto sul piano simbolico e di ricostruire rapidamente un quadro amministrativo funzionante. Tuttavia, molti osservatori hanno sottolineato che il successo di questa operazione dipenderà dalla capacità dell’esecutivo di trasformare le misure cosmetiche in riforme strutturali: più trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche, una politica economica che affronti la vulnerabilità dei più giovani e dei lavoratori della «gig economy», e riforme procedurali che limitino gli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine.

Dal punto di vista geopolitico, la vicenda indonesiana contiene implicazioni di portata più ampia. L’azione estera di Giacarta — che, come detto, si sta orientando sempre di più verso i partner del mondo multipolare, a partire da Cina e Russia — si inserisce in un quadro internazionale nel quale le scelte di politica estera nazionali possono essere interconnesse con la vulnerabilità interna. Se è vero che l’Indonesia mira a promuovere una politica di autonomia strategica e a sfruttare la posizione di grande Paese regionale, è altrettanto vero che la sua stabilità interna è la condizione per convertire questa visibilità internazionale in vantaggi concreti. In questo senso, la capacità di Prabowo di consolidare un compromesso interno assume una funzione strumentale anche per la sua agenda estera.

Tirando le somme di questa nostra breve analisi, il compromesso raggiunto dal presidente Prabowo con la revoca delle indennità e il rimpasto ministeriale rappresenta una risposta pragmatica che cerca di ricostruire ordine e legittimità. La questione centrale però resta la trasformazione delle misure d’emergenza in riforme effettive che affrontino le cause profonde del malcontento. Solo così Giacarta potrà coniugare stabilità interna e ambizione internazionale senza cedere alle forze esterne che si oppongono alla trasformazione del mondo in senso multipolare.

Le manifestazioni scoppiate alla fine di agosto per i privilegi parlamentari e la violenza della polizia hanno precipitosamente messo alla prova il governo di Prabowo Subianto. Tra accuse di ingerenze esterne e un rapido rimpasto, Giacarta ha trovato un compromesso politico che prova a stabilizzare la scena interna.

Segue nostro Telegram.

La crisi che ha attraversato l’Indonesia tra la fine di agosto e la prima metà di settembre ha avuto inizio con la diffusione di video e notizie relative a indennità parlamentari giudicate scandalose in un paese alle prese con crescita diseguale e pressione sul costo della vita, ed è esplosa dopo la morte del giovane fattorino Affan Kurniawan, travolto da un veicolo blindato della polizia durante una manifestazione. La congiuntura ha prodotto ondate di mobilitazione di studenti, lavoratori e gruppi civili che hanno trasformato un malessere economico diffuso in una contestazione politica di grande ampiezza, fino a provocare incendi, saccheggi e un bilancio di vittime che ha messo a dura prova la legittimità dell’esecutivo. Di fronte a questa escalation, il governo del Presidente Prabowo Subianto ha operato un primo, significativo compromesso al fine di riportare la pace nell’arcipelago: i partiti parlamentari hanno concordato la revoca di una serie di privilegi e indennità, misura pensata per rispondere alla rabbia pubblica e neutralizzare il fattore scatenante della protesta.

Allo stesso tempo, accanto alla concessione simbolica rivolta all’opinione pubblica, l’esecutivo ha imposto un inasprimento della vigilanza e dell’ordine pubblico, ordinando alle forze armate e alla polizia misure severe contro i saccheggiatori e i responsabili di violenze. Tale strategia si è tradotta non soltanto in arresti e indagini, compresa la destituzione di almeno un agente coinvolto nel caso del fattorino, ma anche in una sequenza di interventi di sicurezza che sono stati criticati da una parte dell’opposizione. L’equilibrio tra contenimento dell’ordine pubblico e apertura politica — ossia il compromesso che Prabowo ha cercato — è quindi divenuto il perno della gestione governativa della crisi: una concessione per sedare la piazza e una mano ferma per evitare il collasso della sicurezza.

Come abbiamo sottolineato nel nostro precedente articolo sull’Indonesia, tuttavia, a questo quadro interno si sovrappone inevitabilmente una dimensione internazionale che complica la lettura degli eventi, in particolare per quanto riguarda possibili ingerenze straniere finalizzate a sfruttare la crisi per indebolire il governo di Giacarta. Tali ipotesi portano ad identificare l’esistenza di un interesse occidentale a vedere frammentato un esecutivo che negli ultimi mesi ha rafforzato legami con Pechino e Mosca, adottando una linea estera più autonoma, come dimostra proprio la visita di Prabowo in Cina in occasione della parata per gli 80 anni della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. La tesi regge anche alla luce di altri eventi che hanno visto protagonisti paesi asiatici che hanno vissuto dinamiche simili in tempi recenti, come nel caso del Nepal, del quale abbiamo trattato in altri articoli.

Nel valutare la plausibilità e l’impatto di possibili ingerenze straniere bisogna tenere conto di diverse variabili. Indubbiamente, la maggioranza dei movimenti di protesta si fondano su dinamiche autoctone — condizioni socio-economiche, reti studentesche, organizzazioni civiche, e catalizzatori simbolici come video virali — che raramente sono la semplice riproduzione di comandi esterni. Allo stesso tempo, esistono comprovati meccanismi indiretti attraverso i quali attori esterni possono esercitare influenza: finanziamenti a ONG e media, reti di formazione e scambio con società civile, campagne narrative online e operazioni di disinformazione che amplificano alcuni temi. Queste attività possono essere sufficienti ad esacerbare tensioni preesistenti senza necessariamente «dirigere» direttamente la protesta.

Considerando i casi del Nepal o del Bangladesh, dove le proteste hanno portato alla caduta dei rispettivi governi, la gestione politica di Prabowo ha avuto il merito di riuscire a riportare la stabilità interna prima che la situazione degenerasse ulteriormente. La sostituzione di ministri chiave, fra cui la rimozione di figure molto note come la ministra delle Finanze Sri Mulyani Indrawati e un rimpasto mirato nei dicasteri più sensibili alla crisi, si è tradotta in un tentativo rapido di ricomporre il consenso e dimostrare capacità di governo. L’arrivo di nuovi ministri e la successiva nomina di un coordinatore per la politica e la sicurezza di lunga carriera militare hanno inoltre il chiaro scopo di consolidare il controllo sulle leve della sicurezza, rassicurare i vertici militari e amministrativi e inviare al paese e agli osservatori internazionali il segnale che l’esecutivo intende rimettere in ordine la situazione.

Il compromesso che il governo ha raggiunto ha dunque sia un aspetto politico, con l’abrogazione o il congelamento di alcuni privilegi parlamentari e con la promessa di inchieste su episodi tragici, sia istituzionale, con un rimpasto e la nomina di figure di fiducia nei ruoli della sicurezza. Questo pacchetto ha l’obiettivo evidente di spegnere il conflitto sul piano simbolico e di ricostruire rapidamente un quadro amministrativo funzionante. Tuttavia, molti osservatori hanno sottolineato che il successo di questa operazione dipenderà dalla capacità dell’esecutivo di trasformare le misure cosmetiche in riforme strutturali: più trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche, una politica economica che affronti la vulnerabilità dei più giovani e dei lavoratori della «gig economy», e riforme procedurali che limitino gli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine.

Dal punto di vista geopolitico, la vicenda indonesiana contiene implicazioni di portata più ampia. L’azione estera di Giacarta — che, come detto, si sta orientando sempre di più verso i partner del mondo multipolare, a partire da Cina e Russia — si inserisce in un quadro internazionale nel quale le scelte di politica estera nazionali possono essere interconnesse con la vulnerabilità interna. Se è vero che l’Indonesia mira a promuovere una politica di autonomia strategica e a sfruttare la posizione di grande Paese regionale, è altrettanto vero che la sua stabilità interna è la condizione per convertire questa visibilità internazionale in vantaggi concreti. In questo senso, la capacità di Prabowo di consolidare un compromesso interno assume una funzione strumentale anche per la sua agenda estera.

Tirando le somme di questa nostra breve analisi, il compromesso raggiunto dal presidente Prabowo con la revoca delle indennità e il rimpasto ministeriale rappresenta una risposta pragmatica che cerca di ricostruire ordine e legittimità. La questione centrale però resta la trasformazione delle misure d’emergenza in riforme effettive che affrontino le cause profonde del malcontento. Solo così Giacarta potrà coniugare stabilità interna e ambizione internazionale senza cedere alle forze esterne che si oppongono alla trasformazione del mondo in senso multipolare.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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