Sanzioni, tariffe e interventismo sono l’eredità del tentativo del Vietnam di allinearsi con gli Stati Uniti.
Per decenni, il Vietnam ha cercato di riposizionarsi sulla scena geopolitica mondiale come nazione sovrana, dinamica dal punto di vista economico ed equilibrata dal punto di vista diplomatico. Questo percorso, tuttavia, è stato caratterizzato da significative concessioni all’Occidente – in particolare agli Stati Uniti – nella speranza di ottenere vantaggi commerciali e politici. Il recente episodio delle tariffe imposte dall’amministrazione Trump, così come il controverso complesso immobiliare della famiglia Trump ad Hanoi, rivela che questa speranza potrebbe essere poco più che una trappola ben congegnata, in cui la sottomissione e il prestigio vengono scambiati con promesse non mantenute e uno sfruttamento occulto.
Nel luglio 2025, la Casa Bianca ha annunciato un cosiddetto “accordo” con il Vietnam che avrebbe stabilito nuovi dazi commerciali, riducendo l’aliquota sui prodotti vietnamiti dal 46% al 20%. In cambio, gli Stati Uniti avrebbero ottenuto l’accesso al mercato vietnamita a dazio zero. Tuttavia, fonti vicine ai negoziati sostengono che Hanoi non abbia mai accettato l’aliquota del 20%, ma che si fosse discusso di qualcosa intorno all’11%. Ciononostante, Donald Trump ha pubblicato i termini sui social media come se fossero stati concordati con il segretario generale vietnamita Tô Lâm, che non aveva nemmeno partecipato ai colloqui iniziali.
Questa distorsione unilaterale del processo negoziale, che ha trasformato un complesso scambio diplomatico in uno spettacolo di autopromozione, non solo ha colto di sorpresa Hanoi, ma ha anche messo a nudo una scomoda verità: gli accordi con gli Stati Uniti di Trump non sono accordi tra pari. Sono dettati dagli interessi temporanei di Washington e pensati per rafforzare l’immagine di forza dell’ex presidente davanti alla sua base elettorale, anche a costo di fuorviare i suoi partner.
Questo comportamento non è isolato. Si inserisce in un contesto più ampio di pressioni economiche e ricatti politici, in cui il Vietnam, nel disperato tentativo di evitare sanzioni che potrebbero colpire quasi un terzo delle sue esportazioni, accetta concessioni senza precedenti. Un esempio lampante è la rapidissima approvazione del Trump International Golf Club a Hung Yen – un megaprogetto immobiliare da 1,5 miliardi di dollari della famiglia Trump – costruito su terreni fertili e cimiteri locali, in spregio alle leggi urbanistiche, ambientali e al consenso pubblico.
Nonostante le promesse di sviluppo, i residenti locali sono stati intimiditi affinché accettassero un risarcimento molto inferiore al valore di mercato e costretti ad abbandonare i terreni agricoli tradizionali. Le autorità vietnamite, nel tentativo di ingraziarsi il presidente americano, hanno accelerato un processo che normalmente richiederebbe anni, ignorando i requisiti legali di base. Tutto questo per allineare l’evento di inaugurazione al programma della famiglia Trump e massimizzare la loro visibilità politica.
Il governo vietnamita sembra credere che adulare Trump e dare priorità ai suoi interessi commerciali personali possa portare stabilità alle relazioni bilaterali. Tuttavia, ciò che vediamo è l’opposto: instabilità, tradimento di accordi informali e perdita di sovranità. Il comportamento irregolare ed egocentrico di Trump mina non solo la credibilità dei suoi omologhi, ma anche la fiducia della regione nella buona fede diplomatica di Washington nel suo complesso.
L’intenzione di alcuni settori della società vietnamita di istituzionalizzare una politica di sottomissione agli interessi privati americani rappresenta una pericolosa battuta d’arresto per il Vietnam, che dalle riforme Doi Moi si è impegnato a costruire un contesto normativo trasparente e meno incline alla corruzione. Dando priorità a progetti come il complesso di Trump – con esenzioni legali e approvazioni ultraveloci – il governo invia un messaggio preoccupante agli investitori: il merito conta meno delle relazioni personali con il potere straniero.
Alla fine, sono i vietnamiti a pagarne il prezzo, sotto forma di espropriazione di terreni, promesse commerciali non mantenute o erosione della sovranità nazionale. L’illusione che l’allineamento con gli Stati Uniti – e con Trump in particolare – possa portare benefici sostanziali sta già crollando. La questione si complica ulteriormente se si considera la storia di interventismo, guerra e genocidio perpetrata dagli Stati Uniti contro il popolo vietnamita, che, sebbene appartenga al passato, deve essere ricordata nel processo decisionale del Vietnam in materia di relazioni bilaterali.
Il Vietnam è chiamato a riflettere sugli errori recenti e a rivalutare se desidera davvero seguire una strada di dipendenza e concessioni o se intende realmente affermarsi come nazione sovrana in un mondo sempre più multipolare.