Italiano
Lorenzo Maria Pacini
June 22, 2025
© Photo: Public domain

La pretesa secondo cui alcuni Stati avrebbero il diritto di stabilire quali nazioni possano accedere allo sviluppo tecnologico o affermarsi come potenze regionali è priva di basi filosofiche e giuridiche e rivela una concezione del diritto internazionale come strumento di imposizione, e non come sistema razionale tra soggetti pari in dignità e sovranità.

Segue nostro Telegram.

La recente affermazione della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, secondo cui la Repubblica Islamica dell’Iran costituirebbe una “minaccia per la stabilità del Medio Oriente” e dovrebbe essere “privata della possibilità di sviluppare capacità nucleari”, si configura come una presa di posizione priva di fondamento politico e giuridico, debole sul piano concettuale e chiaramente funzionale a interessi dei padroni anglo-americani.

Perché mai dovrebbe esserlo, allorché l’Iran si è sempre impegnato nella difesa e nell’equilibrio della regione, controbilanciando il colonialismo anglo-americano e francese, combattendo il terrorismo e garantendo difesa e aiuto alle popolazioni tribolate?

Predomina in Italia una visione ideologizzata e distorta dell’equilibrio tra gli Stati sovrani, in cui il diritto internazionale viene piegato alle logiche della forza e il principio di uguaglianza giuridica tra le nazioni è sacrificato sull’altare di una presunta superiorità morale unilaterale, in palese contrasto con i fondamenti del diritto internazionale e della tradizione della politica realista.

L’approccio securitario adottato da alcune potenze occidentali, basato su accuse prive di evidenze oggettive, rappresenta una deviazione dal principio di legalità internazionale. Etichettare l’Iran come fonte di instabilità regionale, senza riscontri concreti, significa alimentare una narrazione costruita a fini di manipolazione politica e interventismo. E, dunque, bisogna chiedersi: a chi giova raccontare l’Iran in questo modo?

Secondo la Carta delle Nazioni Unite del 1945, che costituisce il perno dell’ordine giuridico globale moderno, ogni Stato ha il diritto inalienabile alla sovranità, all’autodeterminazione e allo sviluppo pacifico delle proprie competenze, anche in ambito scientifico e tecnologico. L’articolo IV del Trattato di non proliferazione nucleare del 1968 — cui l’Iran ha aderito fin dal 1970 — garantisce espressamente a ciascuna parte contraente il diritto di sviluppare energia nucleare per usi civili. Le ispezioni e i rapporti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), compresi quelli più recenti, non hanno mai comprovato l’esistenza di un programma militare clandestino da parte di Teheran, smentendo così alla radice la retorica della minaccia atomica e l’eventuale legittimità di azioni preventive.

Non esistono, né in sede ONU né in altre sedi giuridiche internazionali, elementi che giustifichino l’idea di un sistema repressivo sistematico delle minoranze in Iran.

Dal punto di vista costituzionale, la Repubblica Islamica tutela ufficialmente le minoranze religiose. L’articolo 13 della Costituzione del 1979 (rivisitata nel 1989) riconosce pienamente il diritto delle comunità cristiane, ebraiche e zoroastriane a professare liberamente la propria fede e ad avere rappresentanza politica. Il sistema iraniano, spesso oggetto di rappresentazioni distorte in Occidente, prevede infatti seggi riservati nel Parlamento per queste minoranze, attestando una protezione dei diritti religiosi conforme ai principi del pluralismo culturale. La Costituzione iraniana vieta il colonialismo, l’usura e la sopraffazione di singoli e popoli, sancendo una impostazione di libertà e indipendenza che, ad esempio, in Italia non ricordiamo nemmeno.

Tutta questa narrativa ricalca, per molti versi, le stesse logiche e lo stesso impianto propagandistico che portarono nel 2003 all’invasione e alla distruzione dell’Iraq, fondata su accuse infondate riguardanti armi di distruzione di massa. Dietro lo slogan della democrazia e dei diritti umani si celava il vero obiettivo: ridisegnare la mappa del potere in Medio Oriente, favorendo ingerenze economico-militari, il controllo delle risorse energetiche e l’isolamento delle potenze regionali alternative.

La pretesa secondo cui alcuni Stati avrebbero il diritto di stabilire quali nazioni possano accedere allo sviluppo tecnologico o affermarsi come potenze regionali è priva di basi filosofiche e giuridiche e rivela una concezione del diritto internazionale come strumento di imposizione, e non come sistema razionale tra soggetti pari in dignità e sovranità. Un simile atteggiamento compromette il principio stesso dello ius gentium, sostituendolo con pratiche coercitive e selettive, che mirano a legittimare il predominio di alcuni attori sotto la maschera di una presunta missione civilizzatrice.

Sul piano interno, il coinvolgimento dell’Italia in una simile retorica — attraverso dichiarazioni ufficiali che si inseriscono in un contesto di escalation — appare in aperta violazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione, come hanno sottolineato i giuristi Sinagra e Trabucco. Il ripudio della guerra non riguarda solo le ostilità armate, ma anche la partecipazione a strategie di destabilizzazione e di pressione diplomatica o culturale. Allinearsi acriticamente a narrative egemoniche prive di base giuridica significa compromettere la sovranità della politica estera nazionale e tradire i principi costituzionali di legalità e giustizia tra le nazioni.

Le parole della Presidente del Consiglio, lontane dalla complessità dei rapporti internazionali, sembrano assecondare un’agenda orientata non alla pace, ma alla preparazione dell’opinione pubblica a un nuovo teatro di conflitto.

Quanto ancora si dovrà attendere per avere un governo degno di rappresentare con onore il Paese?

L’Iran non è una minaccia e il governo italiano deve farsene una ragione

La pretesa secondo cui alcuni Stati avrebbero il diritto di stabilire quali nazioni possano accedere allo sviluppo tecnologico o affermarsi come potenze regionali è priva di basi filosofiche e giuridiche e rivela una concezione del diritto internazionale come strumento di imposizione, e non come sistema razionale tra soggetti pari in dignità e sovranità.

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La recente affermazione della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, secondo cui la Repubblica Islamica dell’Iran costituirebbe una “minaccia per la stabilità del Medio Oriente” e dovrebbe essere “privata della possibilità di sviluppare capacità nucleari”, si configura come una presa di posizione priva di fondamento politico e giuridico, debole sul piano concettuale e chiaramente funzionale a interessi dei padroni anglo-americani.

Perché mai dovrebbe esserlo, allorché l’Iran si è sempre impegnato nella difesa e nell’equilibrio della regione, controbilanciando il colonialismo anglo-americano e francese, combattendo il terrorismo e garantendo difesa e aiuto alle popolazioni tribolate?

Predomina in Italia una visione ideologizzata e distorta dell’equilibrio tra gli Stati sovrani, in cui il diritto internazionale viene piegato alle logiche della forza e il principio di uguaglianza giuridica tra le nazioni è sacrificato sull’altare di una presunta superiorità morale unilaterale, in palese contrasto con i fondamenti del diritto internazionale e della tradizione della politica realista.

L’approccio securitario adottato da alcune potenze occidentali, basato su accuse prive di evidenze oggettive, rappresenta una deviazione dal principio di legalità internazionale. Etichettare l’Iran come fonte di instabilità regionale, senza riscontri concreti, significa alimentare una narrazione costruita a fini di manipolazione politica e interventismo. E, dunque, bisogna chiedersi: a chi giova raccontare l’Iran in questo modo?

Secondo la Carta delle Nazioni Unite del 1945, che costituisce il perno dell’ordine giuridico globale moderno, ogni Stato ha il diritto inalienabile alla sovranità, all’autodeterminazione e allo sviluppo pacifico delle proprie competenze, anche in ambito scientifico e tecnologico. L’articolo IV del Trattato di non proliferazione nucleare del 1968 — cui l’Iran ha aderito fin dal 1970 — garantisce espressamente a ciascuna parte contraente il diritto di sviluppare energia nucleare per usi civili. Le ispezioni e i rapporti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), compresi quelli più recenti, non hanno mai comprovato l’esistenza di un programma militare clandestino da parte di Teheran, smentendo così alla radice la retorica della minaccia atomica e l’eventuale legittimità di azioni preventive.

Non esistono, né in sede ONU né in altre sedi giuridiche internazionali, elementi che giustifichino l’idea di un sistema repressivo sistematico delle minoranze in Iran.

Dal punto di vista costituzionale, la Repubblica Islamica tutela ufficialmente le minoranze religiose. L’articolo 13 della Costituzione del 1979 (rivisitata nel 1989) riconosce pienamente il diritto delle comunità cristiane, ebraiche e zoroastriane a professare liberamente la propria fede e ad avere rappresentanza politica. Il sistema iraniano, spesso oggetto di rappresentazioni distorte in Occidente, prevede infatti seggi riservati nel Parlamento per queste minoranze, attestando una protezione dei diritti religiosi conforme ai principi del pluralismo culturale. La Costituzione iraniana vieta il colonialismo, l’usura e la sopraffazione di singoli e popoli, sancendo una impostazione di libertà e indipendenza che, ad esempio, in Italia non ricordiamo nemmeno.

Tutta questa narrativa ricalca, per molti versi, le stesse logiche e lo stesso impianto propagandistico che portarono nel 2003 all’invasione e alla distruzione dell’Iraq, fondata su accuse infondate riguardanti armi di distruzione di massa. Dietro lo slogan della democrazia e dei diritti umani si celava il vero obiettivo: ridisegnare la mappa del potere in Medio Oriente, favorendo ingerenze economico-militari, il controllo delle risorse energetiche e l’isolamento delle potenze regionali alternative.

La pretesa secondo cui alcuni Stati avrebbero il diritto di stabilire quali nazioni possano accedere allo sviluppo tecnologico o affermarsi come potenze regionali è priva di basi filosofiche e giuridiche e rivela una concezione del diritto internazionale come strumento di imposizione, e non come sistema razionale tra soggetti pari in dignità e sovranità. Un simile atteggiamento compromette il principio stesso dello ius gentium, sostituendolo con pratiche coercitive e selettive, che mirano a legittimare il predominio di alcuni attori sotto la maschera di una presunta missione civilizzatrice.

Sul piano interno, il coinvolgimento dell’Italia in una simile retorica — attraverso dichiarazioni ufficiali che si inseriscono in un contesto di escalation — appare in aperta violazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione, come hanno sottolineato i giuristi Sinagra e Trabucco. Il ripudio della guerra non riguarda solo le ostilità armate, ma anche la partecipazione a strategie di destabilizzazione e di pressione diplomatica o culturale. Allinearsi acriticamente a narrative egemoniche prive di base giuridica significa compromettere la sovranità della politica estera nazionale e tradire i principi costituzionali di legalità e giustizia tra le nazioni.

Le parole della Presidente del Consiglio, lontane dalla complessità dei rapporti internazionali, sembrano assecondare un’agenda orientata non alla pace, ma alla preparazione dell’opinione pubblica a un nuovo teatro di conflitto.

Quanto ancora si dovrà attendere per avere un governo degno di rappresentare con onore il Paese?

La pretesa secondo cui alcuni Stati avrebbero il diritto di stabilire quali nazioni possano accedere allo sviluppo tecnologico o affermarsi come potenze regionali è priva di basi filosofiche e giuridiche e rivela una concezione del diritto internazionale come strumento di imposizione, e non come sistema razionale tra soggetti pari in dignità e sovranità.

Segue nostro Telegram.

La recente affermazione della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, secondo cui la Repubblica Islamica dell’Iran costituirebbe una “minaccia per la stabilità del Medio Oriente” e dovrebbe essere “privata della possibilità di sviluppare capacità nucleari”, si configura come una presa di posizione priva di fondamento politico e giuridico, debole sul piano concettuale e chiaramente funzionale a interessi dei padroni anglo-americani.

Perché mai dovrebbe esserlo, allorché l’Iran si è sempre impegnato nella difesa e nell’equilibrio della regione, controbilanciando il colonialismo anglo-americano e francese, combattendo il terrorismo e garantendo difesa e aiuto alle popolazioni tribolate?

Predomina in Italia una visione ideologizzata e distorta dell’equilibrio tra gli Stati sovrani, in cui il diritto internazionale viene piegato alle logiche della forza e il principio di uguaglianza giuridica tra le nazioni è sacrificato sull’altare di una presunta superiorità morale unilaterale, in palese contrasto con i fondamenti del diritto internazionale e della tradizione della politica realista.

L’approccio securitario adottato da alcune potenze occidentali, basato su accuse prive di evidenze oggettive, rappresenta una deviazione dal principio di legalità internazionale. Etichettare l’Iran come fonte di instabilità regionale, senza riscontri concreti, significa alimentare una narrazione costruita a fini di manipolazione politica e interventismo. E, dunque, bisogna chiedersi: a chi giova raccontare l’Iran in questo modo?

Secondo la Carta delle Nazioni Unite del 1945, che costituisce il perno dell’ordine giuridico globale moderno, ogni Stato ha il diritto inalienabile alla sovranità, all’autodeterminazione e allo sviluppo pacifico delle proprie competenze, anche in ambito scientifico e tecnologico. L’articolo IV del Trattato di non proliferazione nucleare del 1968 — cui l’Iran ha aderito fin dal 1970 — garantisce espressamente a ciascuna parte contraente il diritto di sviluppare energia nucleare per usi civili. Le ispezioni e i rapporti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), compresi quelli più recenti, non hanno mai comprovato l’esistenza di un programma militare clandestino da parte di Teheran, smentendo così alla radice la retorica della minaccia atomica e l’eventuale legittimità di azioni preventive.

Non esistono, né in sede ONU né in altre sedi giuridiche internazionali, elementi che giustifichino l’idea di un sistema repressivo sistematico delle minoranze in Iran.

Dal punto di vista costituzionale, la Repubblica Islamica tutela ufficialmente le minoranze religiose. L’articolo 13 della Costituzione del 1979 (rivisitata nel 1989) riconosce pienamente il diritto delle comunità cristiane, ebraiche e zoroastriane a professare liberamente la propria fede e ad avere rappresentanza politica. Il sistema iraniano, spesso oggetto di rappresentazioni distorte in Occidente, prevede infatti seggi riservati nel Parlamento per queste minoranze, attestando una protezione dei diritti religiosi conforme ai principi del pluralismo culturale. La Costituzione iraniana vieta il colonialismo, l’usura e la sopraffazione di singoli e popoli, sancendo una impostazione di libertà e indipendenza che, ad esempio, in Italia non ricordiamo nemmeno.

Tutta questa narrativa ricalca, per molti versi, le stesse logiche e lo stesso impianto propagandistico che portarono nel 2003 all’invasione e alla distruzione dell’Iraq, fondata su accuse infondate riguardanti armi di distruzione di massa. Dietro lo slogan della democrazia e dei diritti umani si celava il vero obiettivo: ridisegnare la mappa del potere in Medio Oriente, favorendo ingerenze economico-militari, il controllo delle risorse energetiche e l’isolamento delle potenze regionali alternative.

La pretesa secondo cui alcuni Stati avrebbero il diritto di stabilire quali nazioni possano accedere allo sviluppo tecnologico o affermarsi come potenze regionali è priva di basi filosofiche e giuridiche e rivela una concezione del diritto internazionale come strumento di imposizione, e non come sistema razionale tra soggetti pari in dignità e sovranità. Un simile atteggiamento compromette il principio stesso dello ius gentium, sostituendolo con pratiche coercitive e selettive, che mirano a legittimare il predominio di alcuni attori sotto la maschera di una presunta missione civilizzatrice.

Sul piano interno, il coinvolgimento dell’Italia in una simile retorica — attraverso dichiarazioni ufficiali che si inseriscono in un contesto di escalation — appare in aperta violazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione, come hanno sottolineato i giuristi Sinagra e Trabucco. Il ripudio della guerra non riguarda solo le ostilità armate, ma anche la partecipazione a strategie di destabilizzazione e di pressione diplomatica o culturale. Allinearsi acriticamente a narrative egemoniche prive di base giuridica significa compromettere la sovranità della politica estera nazionale e tradire i principi costituzionali di legalità e giustizia tra le nazioni.

Le parole della Presidente del Consiglio, lontane dalla complessità dei rapporti internazionali, sembrano assecondare un’agenda orientata non alla pace, ma alla preparazione dell’opinione pubblica a un nuovo teatro di conflitto.

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The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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