Cosa c’è dietro l’elezione del nuovo Papa
Da un mese la chiesa cattolica ha un nuovo sovrano e le differenze con il predecessore appaiono sostanziali. L’elezione dello statunitense Robert Francis Prevost, preparato, discreto, poco appariscente e ben disposto a non parlare a braccio, ma a leggere quanto concordato con gli altri cardinali della curia, è il segno più evidente che questi abbiano deciso di eleggere un Santo Padre e non un “padreterno”. Ci si aspettava finanche un ottantacinquenne, invece, poiché il novello papa sessantanovenne ha tutte le possibilità di restare sul trono petrino anche per un ventennio, i cardinali intendevano in termini formali e sostanziali, qualcuno insomma di meno irruente di Francesco, uomo di strabordante umanità ma del tutto imprevedibile, quindi un nuovo papa ben disposto a sottomettersi alla collegialità sinodale e più ancora a quella curiale.
Quanto trapelato sull’andamento del conclave conferma la volontà unitaria di non scontentare nessuno e di attenersi a una dottrina meno aperta verso le donne e gli uomini del mondo, ribaltando l’atteggiamento del suo predecessore. Prevost infatti è molto disponibile verso la curia e molto intransigente verso i credenti, mentre Bergoglio è stato intransigente con la curia, tanto da non approvarne il bilancio finanziario 2024 della Città del Vaticano, quanto disponibile verso i credenti e finanche i non credenti. Il nuovo pontefice invece ha subito approvato i conti vaticani e provveduto a generosi aumenti per i vari dicasteri, azzerando i tagli del suo predecessore.
Per sostenere lo statunitense in conclave pare si siano adoperati il peruviano Carlos Gustavo Castillo Mattasoglio, ben conoscendo Prevost a lungo vescovo nella peruviana Chiclayo, Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago città natale del neo – pontefice, il gesuita lussemburghese Jean-Claude Hollerich e lo scalabriniano italiano Fabio Baggio, questi ultimi due con molte conoscenze tra i porporati per gli impegni sinodali e sul tema dei migranti assolti in passato, quindi si sono aggiunti i voti degli asiatici promossi dal filippino Luis Antonio Tagle, così come una schiera considerevole di quelli conservatori contrari a Francesco, a partire dal newyorkese Timothy Dolan, molto vicino alla “The Papal Fundation”, ufficialmente ente esclusivamente filantropico, in realtà notoriamente dedito a versare ogni anno nelle casse vaticane quindici milioni di dollari, trainando così anche il rigido statunitense Raymond Leo Burke amante dei paramenti medievali e i due africani più ostili a Bergoglio, Robert Sarah e l’arcivescovo di Kinshasa Fridolin Ambongo Besungu, i quali hanno esercitato una certa influenza sul resto dei cardinali del continente africano. A quanto pare alla fine al nuovo pontefice hanno fatto mancare i loro voti solo i più riottosi conservatori, confluiti in una ventina sull’ungherese Peter Erdo.
È stata dunque la vittoria della curia, sostanzialmente irriformabile, pronta a obbligare il pontefice a presentarsi come il campione dell’immobilismo, non a caso i cardinali gli hanno imposto di agghindarsi come in passato, senza assecondare le scelte di povertà evangelica di Francesco, invitandolo quindi a ricordare d’essere il rappresentante di Cristo in terra, non un pastore tra le pecore, come ripeteva il suo predecessore. Il vescovo Georg Gänswein, già segretario di Ratzinger, certifica in un’intervista a metà maggio al quotidiano italiano “Corriere della Sera” il cambio di passo, affermando che si abbandona l’arbitrarietà e si ritorna alla speranza, ovviamente senza ben esplicitare a quale speranza alluda, se non un confuso e auspicato ritorno al passato, a cui contribuisce anche il nome Leone XIV, una scelta un po’ ammuffita, una specie di vecchio arnese prelevato dall’armadio della storia vaticana, a quanto pare come richiamo all’enciclica sociale “Rerum novarum”, per altri come segno e rimando evidente a un passato addirittura ottocentesco, volto un po’ maldestramente a provare ad archiviare il turbolento Novecento.
Il giornalista Paul Sernine del sito “lepeuple.ch” con molte ragioni ha scritto dopo l’elezione di Prevost: “La prima apparizione di un sommo pontefice dopo la sua elezione non è un dettaglio liturgico o un gesto comunicativo, è una manifestazione teologica. Dice qualcosa su come il Papa vede se stesso nel suo ruolo e cosa significhi per lui la Chiesa. Francesco, scegliendo un saluto civile, un “buonasera” scarno e quasi profano, aveva compiuto un gesto di simbolica desacralizzazione. Non un gesto ostile, ma un gesto rivelatore: quel pontificato voleva essere più orizzontale che verticale, più pastorale che liturgico, più fraterno che dogmatico. Questa era la logica di un uomo che intendeva essere Vescovo di Roma prima di essere Vicario di Cristo, Pastore piuttosto che Giudice. … Leone XIV, invece, pone esplicitamente Cristo al centro: risorto, pastore, fonte di pace. Evoca l’amore incondizionato di Dio, la vittoria sul male, la missione dei discepoli. Menziona la luce, la benedizione, la Vergine Maria. Cita Sant’Agostino. Sentiamo emergere un soffio di Tradizione.”
Nello scegliere uno statunitense i cardinali probabilmente si sono orientati anche alla dubbia speranza che le esangui casse vaticane vengano abbondantemente rimpinguate dagli auspicati entusiastici fedeli a stelle e strisce, tuttavia hanno compiuto agli occhi del mondo e soprattutto dei cattolici di Africa, Asia e America Latina, una paurosa regressione, tornando a un rappresentante di quell’Occidente collettivo, poco sarebbe cambiato se fosse stato italiano o europeo, oggi totalmente screditato agli occhi del Sud globale, ovvero i tre quarti dell’umanità e in effetti, dovendo cercare un campione di immobilismo, meglio avrebbero fatto a quel punto a cercarlo tra i cardinali asiatici e africani.
La dimensione pastorale e missionaria di Prevost poco potrà influire sul generale atteggiamento politico del nuovo pontefice, il quale è in tutto e per tutto figlio della sua terra, ad esempio convinto assertore della condanna della Russia come imperialista, in egual modo accetterà le pressioni orientate a impedire un accordo per l’unità dei cattolici nella Cina Popolare. Francesco al contrario, da convinto peronista antimperialista, ha sempre creduto nel dialogo con la Cina e con la Russia, denunciando con forza la furia bellicista e il riarmo in corso nel mondo, in primis per responsabilità della NATO. Papa Leone XIV al contrario ripete la parola “pace” con tanta reiterata neutralità da renderla innocua, nel quadro di un’equidistanza impalpabile e impolitica. Sarà insomma l’epigono del richiamo a una pace tanto teorica, quanto evanescente, dimostrando altresì a molti illusi di non essere come auspicavano l’anti – Trump, pur essendo per cultura e per origini il più lontano ed estraneo al trumpismo.
I cardinali, incuranti dei tempi tempestosi di questo incipiente secondo quarto di XXI secolo, cercavano un bigio e incolore funzionario di Dio e con dorotea e democristiana precisione l’hanno trovato.
Permane il rischio che finisca come Leone X, travolto da un mondo che corre sempre più veloce delle speranze di un gruppetto ahimè male assortito di anziani, il quale ha dimostrato che il mondo cattolico, al netto di una affascinante e straordinariamente spettacolare bimillenaria ritualità, abbia il diritto di interrogarsi su nuove forme più partecipative di collegialità per la definizione dei suoi vertici, da quelli diocesani alle più alte istanze ecclesiastiche.