Italiano
Daniele Perra
May 27, 2025
© Photo: Public domain

Nel momento in cui i leaders europei (seppur per mero opportunismo) iniziano a riconoscere i crimini sionisti in Palestina, e Washington apre ad un nuovo accordo sul nucleare, inizia a riaffacciarsi la possibilità di un dialogo costruttivo con la Repubblica Islamica dell’Iran.

Segue nostro Telegram.

Nella Teogonia di Esiodo, Europa ed Asia, generate da Oceano e Teti, vengono descritte come due sorelle appartenenti alla sacra stirpe di figlie che sulla terra allevano gli uomini fino alla giovinezza, insieme col signore Apollo e coi fiumi. Questo sarebbe il compito che ad esse è stato affidato da Zeus. Ma tra le sorelle di Europa ed Asia figura anche Perseide, il cui nome è strettamente connesso con quello di suo figlio Perse e del greco Perseo; entrambi ritenuti progenitori dei Persiani.

Dunque, Europa ed Asia, Grecia e Persia, fin dall’antichità erano ritenute come sorelle, distinte ma inseparabili. Questo era quanto affermava pure il drammaturgo Eschilo, reduce dalla battaglia di Maratona, nella sua tragedia I Persiani. Ed anche Platone, nel Gorgia, esprime questa vicinanza tra Asia ed Europa nei seguenti termini: “io che ho avuto contezza di queste cose prima di voi – a parlare sarebbe Zeus in persona – ho reso giudici alcuni dei miei figli, due originari dell’Asia, Minosse e Radamanto, e uno originario dell’Europa, Eaco. Pertanto, costoro, quando morranno, emetteranno i loro giudizi sul prato, ove è il trivio dal quale si dipartono due vie, l’una verso l’Isola dei Beati, l’altra verso il Tartaro. E quelli che provengono dall’Asia li giudicherà Radamanto, mentre quelli che provengono dall’Europa, Eaco; a Minosse attribuirò la prerogativa di giudicare come arbitro supremo qualora gli altri due avessero qualche difficoltà, affinché il giudizio sulla destinazione degli uomini sia il più giusto possibile”.

Volendo trasferire un simile approccio mitologico al dato geografico, appare evidente come Europa ed Asia appartengano di fatto al medesimo continente: l’Eurasia. La storia, inoltre, ha ampiamente dimostrato come le due parti dell’Eurasia si siano reciprocamente incontrate, scontrate ed influenzate per millenni. Questo è stato possibile perché non esiste un reale confine tra Europa ed Asia. In passato si è ritenuto che tale confine fosse rappresentato dai Monti Urali in Russia. Tuttavia, questa catena montuosa non ha mai impedito migrazioni ed invasioni da entrambe le parti. In tempi più recenti, alcuni hanno sostenuto che l’Europa finisce dove inizia l’Islam. Anche questo approccio risulta piuttosto problematico. L’Islam è ampiamente diffuso nella Penisola Balcanica (ovviamente parte integrante del supposto spazio europeo). E, ragionando nuovamente sul dato storico, è ben noto che l’Islam è stato a lungo diffuso nella Spagna meridionale e nelle isole mediterranee (Sicilia in primo luogo), dove ha lasciato un segno culturale indelebile. Ancora, l’Impero ottomano ha partecipato a lungo alla storia delle relazioni internazionali europee (basti pensare che sul finire del XIX secolo veniva considerato come “il grande malato d’Europa”), ed oggi la Turchia non è da meno.

Ne deriva che, riflettendo sul destino dell’Europa in termini prettamente geopolitici, passo dopo passo (ed anche molto lentamente), la geografia avrà comunque la meglio su aspetti di natura “ideologica”. Si può cercare di costruire muri, materiali e ideali, ma alla fine l’Europa e l’Asia arriveranno comunque a costruire un futuro condiviso sotto molteplici aspetti.

Considerando la specificità dei rapporti tra Europa ed Iran, ancora una volta appare evidente che questi due spazi condividano una storia di profonde relazioni (spesso scarsamente approfondite) che risalgono sin all’Antichità e arrivano fino al Medioevo ed all’età moderna e contemporanea. Senza fare riferimento al sincretismo alessandrino, qui basterà ricordare la via carovaniera nota come “Via della Seta”, lungo il cui tragitto il persiano veniva utilizzato come lingua franca. Il famoso mercante e viaggiatore veneziano Marco Polo, nel suo diario di viaggio (“Il Milione”), ben descrive la terra di Persia e come questa rappresentasse a tutti gli effetti un crocevia fondamentale tra i due estremi dell’Eurasia: l’Europa, da un lato, e la Cina, dall’altro. Ancora, per tutto il XIX, la Persia è riuscita a costruire un forte legame con l’Europa (dai trattati d’assistenza militare con la Francia napoleonica fino ad una, anche perniciosa, penetrazione commerciale britannica). E le cose non sono cambiate nel XX secolo, quando la Persia (e poi l’Iran), prima e dopo la Rivoluzione Islamica, ha continuato a svolgere un ruolo geopolitico di primo piano. Si pensi all’invasione congiunta anglo-sovietica del 1941, utile per garantire rifornimenti diretti a Mosca per affrontare la Germania, ed alla complessità del periodo postbellico, con la destituzione di Mossadeq a seguito di un colpo di Stato organizzato da Londra e Washington, il ruolo all’interno del Patto di Baghdad e, successivamente, la vittoria della Rivoluzione.

Ancora, nei primi anni ‘2000, l’Europa è rimasta saldamente legata all’Iran, a prescindere da regimi sanzionatori ed embarghi di vario genere. Almeno fino al 2019; l’Europa, con la Cina e gli Emirati Arabi Uniti, era tra i tre più importanti partner commerciali dell’Iran. Ed anche oggi il potenziale di una ricostruzione dei rapporti commerciali e culturali tra Europa ed Iran rimane intatto sotto tutti i punti di vista. Oltre alle risorse naturali (petrolio e gas a prezzi ridotti di cui l’Europa necessita in grande quantità), vi è un enorme potenziale in latenza per ciò che concerne la cooperazione nel campo delle energie rinnovabili, nell’ambito turistico (settore in notevole espansione) ed in quello dell’industria alimentare (macchinari e fertilizzanti, oltre ai prodotti agricoli in sé). Non ultimo, l’Iran, sconfiggendo l’ISIS, ha dimostrato di poter giocare un ruolo di rilievo anche nel campo della sicurezza regionale (nonostante la spesso sconsolante propaganda occidentale che trasforma i terroristi in eroi, e chi li combatte in “cattivi”, manifestando una imbarazzante pochezza in termini di comprensione dei fenomeni geopolitici).

Ovviamente, permangono degli ostacoli evidenti alla ricostruzione delle relazioni tra i due. Primo fra tutti la cecità geopolitica degli attuali vertici politici europei che hanno fallito su tutta la linea; dall’Ucraina alla Palestina. Solo ora alcune timide voci si alzano in difesa di Gaza, o almeno in contrasto con la strategia genocida di Israele. Tuttavia, questi, come nel caso di Francia e Gran Bretagna, più che badare al dato geopolitico (quello di un Paese che rappresenta una vera e propria minaccia alla sicurezza non solo dei propri vicini ma dell’Europa intera – altro che Russia – e che dovrebbe essere fermato prima che sia troppo tardi), pensano a quello elettorale, vista la presenza di importanti comunità islamiche all’interno dei rispettivi Paesi.

Ad ogni modo, sfortunatamente, chi ha costruito l’Europa unita non aveva alcuna idea di cosa sia la geopolitica (Alain de Benoist docet). Ciò ha trasformato l’attuale Unione Europea nel mero ramo politico-economico dell’Alleanza Atlantica e l’Europa stessa in un’appendice periferica dell’“Impero americano”. Anzi, sarebbe meglio affermare che la NATO rappresenti il perfetto strumento per mantenere l’Europa in una condizione di cattività geopolitica. Di conseguenza, il destino dell’Europa sembra essere ancora quello di seguire i dettati ed i desideri del dominatore di questa alleanza: ovvero, gli Stati Uniti.

Questo è stato particolarmente evidente nel momento in cui la prima amministrazione Trump decise di abbandonare unilateralmente il primo accordo sul nucleare (il cosiddetto JCPOA – Joint Comprehensive Plan of Action). In quell’occasione, l’Unione Europea, ancora una volta in modo assai timido ad onor del vero, cercò di superare il nuovo regime sanzionatorio imposto dagli Stati Uniti attraverso il sistema INSTEX – Instrument in Support of Trade Exchange. Anche questo sistema aveva un notevole potenziale, soprattutto per ciò che concerne lo sviluppo del processo di de-dollarizzazione del sistema globale e di proposizione dell’euro (ripetutamente attaccato dagli USA sin dalla sua nascita) come valuta alternativa. Ma si è risolto nell’ennesima occasione persa per l’UE che, con la recrudescenza del conflitto in Ucraina ed il sostegno militare iraniano alla Russia, ha scelto di porre sotto sanzioni personalità legate all’industria bellica iraniana.

Si è parlato di ennesima occasione persa, perché l’Iran (chiuso verso Occidente) ha scelto di stringere importanti legami di cooperazione strategica con Russia e Cina e di prendere parte attiva alla costruzione di un sistema multipolare attraverso l’ingresso nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e nel gruppo BRICS. La guerra in Ucraina (di fatto una guerra per procura degli Stati Uniti e della NATO all’Europa (sul piano economico) ed alla Russia (su quello militare), in questo senso, si è dimostrata utile proprio a separare il potenziale energetico di Paesi come Russia ed Iran da quello industriale europeo.

Il secondo ostacolo si chiama ELNET – European Leadership Network. Questo altro non è che il ramo più invasivo (insieme all’Israel Defense and Security Forum) della lobby sionista all’interno delle istituzioni europee. Il gruppo, infatti, è già stato capace di penetrare il Parlamento europeo e la sua Commissione, favorendo prese di posizione in evidente vantaggio delle politiche israeliane. E risulta chiaro che tale lobby continuerà a fare pressione contro una ricostruzione dei rapporti con l’Iran.

ELNET, di fatto, si presenta come il fratello minore dell’AIPAC – American Israeli Public Affairs Committee. Ed il suo ruolo, come quello del potente ramo statunitense, è quello di influenzare in modo decisivo il processo decisionale europeo anche facendo in modo che questo sia capace di attuare scelte che vadano addirittura contro i diretti interessi europei pur di sostenere i disegni israeliani; una tattica ben descritta, seppur in ambito statunitense, nell’opera di John Mearsheimer e Stephen Walt “The Israel lobby and the US foreign policy”. A ciò si aggiunga la volontà di ELNET a fare in modo che ogni singolo Stato europeo adotti l’equiparazione (del tutto impropria) tra antisemitismo ed antisionismo per creare un clima naturalmente ostile ad ogni forma di critica nei confronti dello Stato d’Israele.

Il terzo ostacolo è rappresentato da un altro attore che fa lobbying negli uffici di Strasburgo e Bruxelles, e più in generale all’interno dei singoli Stati europei: il Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran legato ai coniugi Rajavi. Questo, di fatto, si presenta come il ramo politico del gruppo terroristico dei Mujahedin e-Khalq, responsabile per la morte di diverse migliaia di civili iraniani dagli anni ’80 ad oggi. In questo preciso momento storico opera principalmente in cooperazione col Mossad per eliminare scienziati iraniani coinvolti nel programma nucleare (il caso, ad esempio, del fisico Mohsen Fakhrizadeh). Pur presentandosi come una sorta di setta pseudo-religiosa fondata sulla venerazione della coppia formata da Masoud e Maryam Rajavi, c’è chi ha definito il gruppo come una valida alternativa “laica” alla Repubblica Islamica. Così ha scritto l’ex Ministro degli Esteri italiano (ed ora consigliere di Fratelli d’Italia) Giulio Terzi nel suo sito: “C’è un altro governo che attende, preparato a disegnare un futuro per l’Iran basato sui principi del laicismo, della democrazia e dell’uguaglianza di genere come è stato esposto dalla Presidente del Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran Maryam Rajavi”.

Sembra chiaro che Giulio Terzi non sappia (o faccia finta di non sapere) che mai il movimento sia stato caratterizzato da principi e/o valori democratici, tanto che Masoud Rajavi (sparito nel nulla a partire dal 2003, in una sorta di occultamento che qualcuno associa a quella dell’ultimo Imam dello sciismo) si è autoproclamato “Imam del presente”, attribuendosi così un ruolo spirituale oltre che politico. Il MeK, inoltre, ha spesso operato nel campo della disinformazione sulla Repubblica Islamica e risulta coinvolto sia nel traffico di stupefacenti che in quello di esseri umani (senza considerare l’opera di riciclaggio di denaro utile per costruire un vero e proprio impero immobiliare negli Stati del Golfo).

Il quarto ostacolo è l’ossessione dell’Unione Europea per i diritti umani trasformati in vero e proprio strumento geopolitico. Un’ossessione, ad onor del vero, fondata sull’aperta doppiezza, per cui si punta il dito contro l’eventuale violazione dei diritti umani in Iran, ma si chiudono entrambi gli occhi di fronte alle azioni criminali israeliane in Palestina o si stringono legami con i membri di al-Qaeda al potere in Siria.

Il quinto ostacolo si lega al quarto ed è l’idea del tutto errata (fatta propria dai mezzi di informazione occidentali) che il popolo iraniano (nella sua interezza) disprezzi la struttura politica della Repubblica Islamica e che veda di buon occhio un aiuto dell’Occidente per la sua liberazione. Niente di più falso. Se è vero che molti iraniani nutrono un senso di (innegabile, secondo chi scrive) affinità culturale con l’Europa; è altrettanto vero che nessuno (salvo forse una assai ristretta minoranza) vuole essere “liberato” dall’Occidente. Allo stesso tempo, non è affatto scontato che la sparizione (al momento comunque remota) della Repubblica Islamica trasformi l’Iran automaticamente in un “amico dell’Occidente” a guida nordamericana, visto che le tendenze puramente nazionaliste rimangono comunque molto forti.

In conclusione non si può non fare riferimento alle continue minacce israeliane di attaccare (con o senza gli Stati Uniti) le installazione nucleari di Tehran. In primo luogo sarà bene riportare che un nuovo accordo con gli Stati Uniti rimane comunque in salita se le richieste di questi ultimi continueranno a rasentare l’aperta capitolazione della Repubblica Islamica ai loro desideri. Detto ciò, pur arrivando all’opzione militare, rimane assai complicato distruggere per intero il programma nucleare iraniano. È sicuramente possibile colpirlo, anche duramente, per fare in modo che necessiti di almeno dieci anni per essere pienamente ripristinato. Tuttavia, bisogna anche considerare che la Russia ha notevoli interessi nello sviluppo del nucleare civile di Tehran e non vederebbe affatto di buon occhio tale esito; e che pure la lobby petrolifera nordamericana (sostenitrice di Donald J. Trump) non ha alcun interesse a destabilizzare la regione del Golfo Persico, fondamentale per i flussi energetici globali, soprattutto ora che lo stesso Trump è riuscito ad ottenere ingenti investimenti per l’economia USA dai Paesi dell’area.

Rimane da valutare il ruolo dell’Europa. Se questa non vorrà rimanere ancora una volta impotente spettatrice, sarà il caso che inizi ad agire, prima che sia troppo tardi, per condannare ed evitare un attacco contro Tehran che potrebbe ulteriormente mettere in crisi la sua già disastrata economia.

Sulla ricostruzione delle relazioni Europa-Iran

Nel momento in cui i leaders europei (seppur per mero opportunismo) iniziano a riconoscere i crimini sionisti in Palestina, e Washington apre ad un nuovo accordo sul nucleare, inizia a riaffacciarsi la possibilità di un dialogo costruttivo con la Repubblica Islamica dell’Iran.

Segue nostro Telegram.

Nella Teogonia di Esiodo, Europa ed Asia, generate da Oceano e Teti, vengono descritte come due sorelle appartenenti alla sacra stirpe di figlie che sulla terra allevano gli uomini fino alla giovinezza, insieme col signore Apollo e coi fiumi. Questo sarebbe il compito che ad esse è stato affidato da Zeus. Ma tra le sorelle di Europa ed Asia figura anche Perseide, il cui nome è strettamente connesso con quello di suo figlio Perse e del greco Perseo; entrambi ritenuti progenitori dei Persiani.

Dunque, Europa ed Asia, Grecia e Persia, fin dall’antichità erano ritenute come sorelle, distinte ma inseparabili. Questo era quanto affermava pure il drammaturgo Eschilo, reduce dalla battaglia di Maratona, nella sua tragedia I Persiani. Ed anche Platone, nel Gorgia, esprime questa vicinanza tra Asia ed Europa nei seguenti termini: “io che ho avuto contezza di queste cose prima di voi – a parlare sarebbe Zeus in persona – ho reso giudici alcuni dei miei figli, due originari dell’Asia, Minosse e Radamanto, e uno originario dell’Europa, Eaco. Pertanto, costoro, quando morranno, emetteranno i loro giudizi sul prato, ove è il trivio dal quale si dipartono due vie, l’una verso l’Isola dei Beati, l’altra verso il Tartaro. E quelli che provengono dall’Asia li giudicherà Radamanto, mentre quelli che provengono dall’Europa, Eaco; a Minosse attribuirò la prerogativa di giudicare come arbitro supremo qualora gli altri due avessero qualche difficoltà, affinché il giudizio sulla destinazione degli uomini sia il più giusto possibile”.

Volendo trasferire un simile approccio mitologico al dato geografico, appare evidente come Europa ed Asia appartengano di fatto al medesimo continente: l’Eurasia. La storia, inoltre, ha ampiamente dimostrato come le due parti dell’Eurasia si siano reciprocamente incontrate, scontrate ed influenzate per millenni. Questo è stato possibile perché non esiste un reale confine tra Europa ed Asia. In passato si è ritenuto che tale confine fosse rappresentato dai Monti Urali in Russia. Tuttavia, questa catena montuosa non ha mai impedito migrazioni ed invasioni da entrambe le parti. In tempi più recenti, alcuni hanno sostenuto che l’Europa finisce dove inizia l’Islam. Anche questo approccio risulta piuttosto problematico. L’Islam è ampiamente diffuso nella Penisola Balcanica (ovviamente parte integrante del supposto spazio europeo). E, ragionando nuovamente sul dato storico, è ben noto che l’Islam è stato a lungo diffuso nella Spagna meridionale e nelle isole mediterranee (Sicilia in primo luogo), dove ha lasciato un segno culturale indelebile. Ancora, l’Impero ottomano ha partecipato a lungo alla storia delle relazioni internazionali europee (basti pensare che sul finire del XIX secolo veniva considerato come “il grande malato d’Europa”), ed oggi la Turchia non è da meno.

Ne deriva che, riflettendo sul destino dell’Europa in termini prettamente geopolitici, passo dopo passo (ed anche molto lentamente), la geografia avrà comunque la meglio su aspetti di natura “ideologica”. Si può cercare di costruire muri, materiali e ideali, ma alla fine l’Europa e l’Asia arriveranno comunque a costruire un futuro condiviso sotto molteplici aspetti.

Considerando la specificità dei rapporti tra Europa ed Iran, ancora una volta appare evidente che questi due spazi condividano una storia di profonde relazioni (spesso scarsamente approfondite) che risalgono sin all’Antichità e arrivano fino al Medioevo ed all’età moderna e contemporanea. Senza fare riferimento al sincretismo alessandrino, qui basterà ricordare la via carovaniera nota come “Via della Seta”, lungo il cui tragitto il persiano veniva utilizzato come lingua franca. Il famoso mercante e viaggiatore veneziano Marco Polo, nel suo diario di viaggio (“Il Milione”), ben descrive la terra di Persia e come questa rappresentasse a tutti gli effetti un crocevia fondamentale tra i due estremi dell’Eurasia: l’Europa, da un lato, e la Cina, dall’altro. Ancora, per tutto il XIX, la Persia è riuscita a costruire un forte legame con l’Europa (dai trattati d’assistenza militare con la Francia napoleonica fino ad una, anche perniciosa, penetrazione commerciale britannica). E le cose non sono cambiate nel XX secolo, quando la Persia (e poi l’Iran), prima e dopo la Rivoluzione Islamica, ha continuato a svolgere un ruolo geopolitico di primo piano. Si pensi all’invasione congiunta anglo-sovietica del 1941, utile per garantire rifornimenti diretti a Mosca per affrontare la Germania, ed alla complessità del periodo postbellico, con la destituzione di Mossadeq a seguito di un colpo di Stato organizzato da Londra e Washington, il ruolo all’interno del Patto di Baghdad e, successivamente, la vittoria della Rivoluzione.

Ancora, nei primi anni ‘2000, l’Europa è rimasta saldamente legata all’Iran, a prescindere da regimi sanzionatori ed embarghi di vario genere. Almeno fino al 2019; l’Europa, con la Cina e gli Emirati Arabi Uniti, era tra i tre più importanti partner commerciali dell’Iran. Ed anche oggi il potenziale di una ricostruzione dei rapporti commerciali e culturali tra Europa ed Iran rimane intatto sotto tutti i punti di vista. Oltre alle risorse naturali (petrolio e gas a prezzi ridotti di cui l’Europa necessita in grande quantità), vi è un enorme potenziale in latenza per ciò che concerne la cooperazione nel campo delle energie rinnovabili, nell’ambito turistico (settore in notevole espansione) ed in quello dell’industria alimentare (macchinari e fertilizzanti, oltre ai prodotti agricoli in sé). Non ultimo, l’Iran, sconfiggendo l’ISIS, ha dimostrato di poter giocare un ruolo di rilievo anche nel campo della sicurezza regionale (nonostante la spesso sconsolante propaganda occidentale che trasforma i terroristi in eroi, e chi li combatte in “cattivi”, manifestando una imbarazzante pochezza in termini di comprensione dei fenomeni geopolitici).

Ovviamente, permangono degli ostacoli evidenti alla ricostruzione delle relazioni tra i due. Primo fra tutti la cecità geopolitica degli attuali vertici politici europei che hanno fallito su tutta la linea; dall’Ucraina alla Palestina. Solo ora alcune timide voci si alzano in difesa di Gaza, o almeno in contrasto con la strategia genocida di Israele. Tuttavia, questi, come nel caso di Francia e Gran Bretagna, più che badare al dato geopolitico (quello di un Paese che rappresenta una vera e propria minaccia alla sicurezza non solo dei propri vicini ma dell’Europa intera – altro che Russia – e che dovrebbe essere fermato prima che sia troppo tardi), pensano a quello elettorale, vista la presenza di importanti comunità islamiche all’interno dei rispettivi Paesi.

Ad ogni modo, sfortunatamente, chi ha costruito l’Europa unita non aveva alcuna idea di cosa sia la geopolitica (Alain de Benoist docet). Ciò ha trasformato l’attuale Unione Europea nel mero ramo politico-economico dell’Alleanza Atlantica e l’Europa stessa in un’appendice periferica dell’“Impero americano”. Anzi, sarebbe meglio affermare che la NATO rappresenti il perfetto strumento per mantenere l’Europa in una condizione di cattività geopolitica. Di conseguenza, il destino dell’Europa sembra essere ancora quello di seguire i dettati ed i desideri del dominatore di questa alleanza: ovvero, gli Stati Uniti.

Questo è stato particolarmente evidente nel momento in cui la prima amministrazione Trump decise di abbandonare unilateralmente il primo accordo sul nucleare (il cosiddetto JCPOA – Joint Comprehensive Plan of Action). In quell’occasione, l’Unione Europea, ancora una volta in modo assai timido ad onor del vero, cercò di superare il nuovo regime sanzionatorio imposto dagli Stati Uniti attraverso il sistema INSTEX – Instrument in Support of Trade Exchange. Anche questo sistema aveva un notevole potenziale, soprattutto per ciò che concerne lo sviluppo del processo di de-dollarizzazione del sistema globale e di proposizione dell’euro (ripetutamente attaccato dagli USA sin dalla sua nascita) come valuta alternativa. Ma si è risolto nell’ennesima occasione persa per l’UE che, con la recrudescenza del conflitto in Ucraina ed il sostegno militare iraniano alla Russia, ha scelto di porre sotto sanzioni personalità legate all’industria bellica iraniana.

Si è parlato di ennesima occasione persa, perché l’Iran (chiuso verso Occidente) ha scelto di stringere importanti legami di cooperazione strategica con Russia e Cina e di prendere parte attiva alla costruzione di un sistema multipolare attraverso l’ingresso nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e nel gruppo BRICS. La guerra in Ucraina (di fatto una guerra per procura degli Stati Uniti e della NATO all’Europa (sul piano economico) ed alla Russia (su quello militare), in questo senso, si è dimostrata utile proprio a separare il potenziale energetico di Paesi come Russia ed Iran da quello industriale europeo.

Il secondo ostacolo si chiama ELNET – European Leadership Network. Questo altro non è che il ramo più invasivo (insieme all’Israel Defense and Security Forum) della lobby sionista all’interno delle istituzioni europee. Il gruppo, infatti, è già stato capace di penetrare il Parlamento europeo e la sua Commissione, favorendo prese di posizione in evidente vantaggio delle politiche israeliane. E risulta chiaro che tale lobby continuerà a fare pressione contro una ricostruzione dei rapporti con l’Iran.

ELNET, di fatto, si presenta come il fratello minore dell’AIPAC – American Israeli Public Affairs Committee. Ed il suo ruolo, come quello del potente ramo statunitense, è quello di influenzare in modo decisivo il processo decisionale europeo anche facendo in modo che questo sia capace di attuare scelte che vadano addirittura contro i diretti interessi europei pur di sostenere i disegni israeliani; una tattica ben descritta, seppur in ambito statunitense, nell’opera di John Mearsheimer e Stephen Walt “The Israel lobby and the US foreign policy”. A ciò si aggiunga la volontà di ELNET a fare in modo che ogni singolo Stato europeo adotti l’equiparazione (del tutto impropria) tra antisemitismo ed antisionismo per creare un clima naturalmente ostile ad ogni forma di critica nei confronti dello Stato d’Israele.

Il terzo ostacolo è rappresentato da un altro attore che fa lobbying negli uffici di Strasburgo e Bruxelles, e più in generale all’interno dei singoli Stati europei: il Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran legato ai coniugi Rajavi. Questo, di fatto, si presenta come il ramo politico del gruppo terroristico dei Mujahedin e-Khalq, responsabile per la morte di diverse migliaia di civili iraniani dagli anni ’80 ad oggi. In questo preciso momento storico opera principalmente in cooperazione col Mossad per eliminare scienziati iraniani coinvolti nel programma nucleare (il caso, ad esempio, del fisico Mohsen Fakhrizadeh). Pur presentandosi come una sorta di setta pseudo-religiosa fondata sulla venerazione della coppia formata da Masoud e Maryam Rajavi, c’è chi ha definito il gruppo come una valida alternativa “laica” alla Repubblica Islamica. Così ha scritto l’ex Ministro degli Esteri italiano (ed ora consigliere di Fratelli d’Italia) Giulio Terzi nel suo sito: “C’è un altro governo che attende, preparato a disegnare un futuro per l’Iran basato sui principi del laicismo, della democrazia e dell’uguaglianza di genere come è stato esposto dalla Presidente del Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran Maryam Rajavi”.

Sembra chiaro che Giulio Terzi non sappia (o faccia finta di non sapere) che mai il movimento sia stato caratterizzato da principi e/o valori democratici, tanto che Masoud Rajavi (sparito nel nulla a partire dal 2003, in una sorta di occultamento che qualcuno associa a quella dell’ultimo Imam dello sciismo) si è autoproclamato “Imam del presente”, attribuendosi così un ruolo spirituale oltre che politico. Il MeK, inoltre, ha spesso operato nel campo della disinformazione sulla Repubblica Islamica e risulta coinvolto sia nel traffico di stupefacenti che in quello di esseri umani (senza considerare l’opera di riciclaggio di denaro utile per costruire un vero e proprio impero immobiliare negli Stati del Golfo).

Il quarto ostacolo è l’ossessione dell’Unione Europea per i diritti umani trasformati in vero e proprio strumento geopolitico. Un’ossessione, ad onor del vero, fondata sull’aperta doppiezza, per cui si punta il dito contro l’eventuale violazione dei diritti umani in Iran, ma si chiudono entrambi gli occhi di fronte alle azioni criminali israeliane in Palestina o si stringono legami con i membri di al-Qaeda al potere in Siria.

Il quinto ostacolo si lega al quarto ed è l’idea del tutto errata (fatta propria dai mezzi di informazione occidentali) che il popolo iraniano (nella sua interezza) disprezzi la struttura politica della Repubblica Islamica e che veda di buon occhio un aiuto dell’Occidente per la sua liberazione. Niente di più falso. Se è vero che molti iraniani nutrono un senso di (innegabile, secondo chi scrive) affinità culturale con l’Europa; è altrettanto vero che nessuno (salvo forse una assai ristretta minoranza) vuole essere “liberato” dall’Occidente. Allo stesso tempo, non è affatto scontato che la sparizione (al momento comunque remota) della Repubblica Islamica trasformi l’Iran automaticamente in un “amico dell’Occidente” a guida nordamericana, visto che le tendenze puramente nazionaliste rimangono comunque molto forti.

In conclusione non si può non fare riferimento alle continue minacce israeliane di attaccare (con o senza gli Stati Uniti) le installazione nucleari di Tehran. In primo luogo sarà bene riportare che un nuovo accordo con gli Stati Uniti rimane comunque in salita se le richieste di questi ultimi continueranno a rasentare l’aperta capitolazione della Repubblica Islamica ai loro desideri. Detto ciò, pur arrivando all’opzione militare, rimane assai complicato distruggere per intero il programma nucleare iraniano. È sicuramente possibile colpirlo, anche duramente, per fare in modo che necessiti di almeno dieci anni per essere pienamente ripristinato. Tuttavia, bisogna anche considerare che la Russia ha notevoli interessi nello sviluppo del nucleare civile di Tehran e non vederebbe affatto di buon occhio tale esito; e che pure la lobby petrolifera nordamericana (sostenitrice di Donald J. Trump) non ha alcun interesse a destabilizzare la regione del Golfo Persico, fondamentale per i flussi energetici globali, soprattutto ora che lo stesso Trump è riuscito ad ottenere ingenti investimenti per l’economia USA dai Paesi dell’area.

Rimane da valutare il ruolo dell’Europa. Se questa non vorrà rimanere ancora una volta impotente spettatrice, sarà il caso che inizi ad agire, prima che sia troppo tardi, per condannare ed evitare un attacco contro Tehran che potrebbe ulteriormente mettere in crisi la sua già disastrata economia.

Nel momento in cui i leaders europei (seppur per mero opportunismo) iniziano a riconoscere i crimini sionisti in Palestina, e Washington apre ad un nuovo accordo sul nucleare, inizia a riaffacciarsi la possibilità di un dialogo costruttivo con la Repubblica Islamica dell’Iran.

Segue nostro Telegram.

Nella Teogonia di Esiodo, Europa ed Asia, generate da Oceano e Teti, vengono descritte come due sorelle appartenenti alla sacra stirpe di figlie che sulla terra allevano gli uomini fino alla giovinezza, insieme col signore Apollo e coi fiumi. Questo sarebbe il compito che ad esse è stato affidato da Zeus. Ma tra le sorelle di Europa ed Asia figura anche Perseide, il cui nome è strettamente connesso con quello di suo figlio Perse e del greco Perseo; entrambi ritenuti progenitori dei Persiani.

Dunque, Europa ed Asia, Grecia e Persia, fin dall’antichità erano ritenute come sorelle, distinte ma inseparabili. Questo era quanto affermava pure il drammaturgo Eschilo, reduce dalla battaglia di Maratona, nella sua tragedia I Persiani. Ed anche Platone, nel Gorgia, esprime questa vicinanza tra Asia ed Europa nei seguenti termini: “io che ho avuto contezza di queste cose prima di voi – a parlare sarebbe Zeus in persona – ho reso giudici alcuni dei miei figli, due originari dell’Asia, Minosse e Radamanto, e uno originario dell’Europa, Eaco. Pertanto, costoro, quando morranno, emetteranno i loro giudizi sul prato, ove è il trivio dal quale si dipartono due vie, l’una verso l’Isola dei Beati, l’altra verso il Tartaro. E quelli che provengono dall’Asia li giudicherà Radamanto, mentre quelli che provengono dall’Europa, Eaco; a Minosse attribuirò la prerogativa di giudicare come arbitro supremo qualora gli altri due avessero qualche difficoltà, affinché il giudizio sulla destinazione degli uomini sia il più giusto possibile”.

Volendo trasferire un simile approccio mitologico al dato geografico, appare evidente come Europa ed Asia appartengano di fatto al medesimo continente: l’Eurasia. La storia, inoltre, ha ampiamente dimostrato come le due parti dell’Eurasia si siano reciprocamente incontrate, scontrate ed influenzate per millenni. Questo è stato possibile perché non esiste un reale confine tra Europa ed Asia. In passato si è ritenuto che tale confine fosse rappresentato dai Monti Urali in Russia. Tuttavia, questa catena montuosa non ha mai impedito migrazioni ed invasioni da entrambe le parti. In tempi più recenti, alcuni hanno sostenuto che l’Europa finisce dove inizia l’Islam. Anche questo approccio risulta piuttosto problematico. L’Islam è ampiamente diffuso nella Penisola Balcanica (ovviamente parte integrante del supposto spazio europeo). E, ragionando nuovamente sul dato storico, è ben noto che l’Islam è stato a lungo diffuso nella Spagna meridionale e nelle isole mediterranee (Sicilia in primo luogo), dove ha lasciato un segno culturale indelebile. Ancora, l’Impero ottomano ha partecipato a lungo alla storia delle relazioni internazionali europee (basti pensare che sul finire del XIX secolo veniva considerato come “il grande malato d’Europa”), ed oggi la Turchia non è da meno.

Ne deriva che, riflettendo sul destino dell’Europa in termini prettamente geopolitici, passo dopo passo (ed anche molto lentamente), la geografia avrà comunque la meglio su aspetti di natura “ideologica”. Si può cercare di costruire muri, materiali e ideali, ma alla fine l’Europa e l’Asia arriveranno comunque a costruire un futuro condiviso sotto molteplici aspetti.

Considerando la specificità dei rapporti tra Europa ed Iran, ancora una volta appare evidente che questi due spazi condividano una storia di profonde relazioni (spesso scarsamente approfondite) che risalgono sin all’Antichità e arrivano fino al Medioevo ed all’età moderna e contemporanea. Senza fare riferimento al sincretismo alessandrino, qui basterà ricordare la via carovaniera nota come “Via della Seta”, lungo il cui tragitto il persiano veniva utilizzato come lingua franca. Il famoso mercante e viaggiatore veneziano Marco Polo, nel suo diario di viaggio (“Il Milione”), ben descrive la terra di Persia e come questa rappresentasse a tutti gli effetti un crocevia fondamentale tra i due estremi dell’Eurasia: l’Europa, da un lato, e la Cina, dall’altro. Ancora, per tutto il XIX, la Persia è riuscita a costruire un forte legame con l’Europa (dai trattati d’assistenza militare con la Francia napoleonica fino ad una, anche perniciosa, penetrazione commerciale britannica). E le cose non sono cambiate nel XX secolo, quando la Persia (e poi l’Iran), prima e dopo la Rivoluzione Islamica, ha continuato a svolgere un ruolo geopolitico di primo piano. Si pensi all’invasione congiunta anglo-sovietica del 1941, utile per garantire rifornimenti diretti a Mosca per affrontare la Germania, ed alla complessità del periodo postbellico, con la destituzione di Mossadeq a seguito di un colpo di Stato organizzato da Londra e Washington, il ruolo all’interno del Patto di Baghdad e, successivamente, la vittoria della Rivoluzione.

Ancora, nei primi anni ‘2000, l’Europa è rimasta saldamente legata all’Iran, a prescindere da regimi sanzionatori ed embarghi di vario genere. Almeno fino al 2019; l’Europa, con la Cina e gli Emirati Arabi Uniti, era tra i tre più importanti partner commerciali dell’Iran. Ed anche oggi il potenziale di una ricostruzione dei rapporti commerciali e culturali tra Europa ed Iran rimane intatto sotto tutti i punti di vista. Oltre alle risorse naturali (petrolio e gas a prezzi ridotti di cui l’Europa necessita in grande quantità), vi è un enorme potenziale in latenza per ciò che concerne la cooperazione nel campo delle energie rinnovabili, nell’ambito turistico (settore in notevole espansione) ed in quello dell’industria alimentare (macchinari e fertilizzanti, oltre ai prodotti agricoli in sé). Non ultimo, l’Iran, sconfiggendo l’ISIS, ha dimostrato di poter giocare un ruolo di rilievo anche nel campo della sicurezza regionale (nonostante la spesso sconsolante propaganda occidentale che trasforma i terroristi in eroi, e chi li combatte in “cattivi”, manifestando una imbarazzante pochezza in termini di comprensione dei fenomeni geopolitici).

Ovviamente, permangono degli ostacoli evidenti alla ricostruzione delle relazioni tra i due. Primo fra tutti la cecità geopolitica degli attuali vertici politici europei che hanno fallito su tutta la linea; dall’Ucraina alla Palestina. Solo ora alcune timide voci si alzano in difesa di Gaza, o almeno in contrasto con la strategia genocida di Israele. Tuttavia, questi, come nel caso di Francia e Gran Bretagna, più che badare al dato geopolitico (quello di un Paese che rappresenta una vera e propria minaccia alla sicurezza non solo dei propri vicini ma dell’Europa intera – altro che Russia – e che dovrebbe essere fermato prima che sia troppo tardi), pensano a quello elettorale, vista la presenza di importanti comunità islamiche all’interno dei rispettivi Paesi.

Ad ogni modo, sfortunatamente, chi ha costruito l’Europa unita non aveva alcuna idea di cosa sia la geopolitica (Alain de Benoist docet). Ciò ha trasformato l’attuale Unione Europea nel mero ramo politico-economico dell’Alleanza Atlantica e l’Europa stessa in un’appendice periferica dell’“Impero americano”. Anzi, sarebbe meglio affermare che la NATO rappresenti il perfetto strumento per mantenere l’Europa in una condizione di cattività geopolitica. Di conseguenza, il destino dell’Europa sembra essere ancora quello di seguire i dettati ed i desideri del dominatore di questa alleanza: ovvero, gli Stati Uniti.

Questo è stato particolarmente evidente nel momento in cui la prima amministrazione Trump decise di abbandonare unilateralmente il primo accordo sul nucleare (il cosiddetto JCPOA – Joint Comprehensive Plan of Action). In quell’occasione, l’Unione Europea, ancora una volta in modo assai timido ad onor del vero, cercò di superare il nuovo regime sanzionatorio imposto dagli Stati Uniti attraverso il sistema INSTEX – Instrument in Support of Trade Exchange. Anche questo sistema aveva un notevole potenziale, soprattutto per ciò che concerne lo sviluppo del processo di de-dollarizzazione del sistema globale e di proposizione dell’euro (ripetutamente attaccato dagli USA sin dalla sua nascita) come valuta alternativa. Ma si è risolto nell’ennesima occasione persa per l’UE che, con la recrudescenza del conflitto in Ucraina ed il sostegno militare iraniano alla Russia, ha scelto di porre sotto sanzioni personalità legate all’industria bellica iraniana.

Si è parlato di ennesima occasione persa, perché l’Iran (chiuso verso Occidente) ha scelto di stringere importanti legami di cooperazione strategica con Russia e Cina e di prendere parte attiva alla costruzione di un sistema multipolare attraverso l’ingresso nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e nel gruppo BRICS. La guerra in Ucraina (di fatto una guerra per procura degli Stati Uniti e della NATO all’Europa (sul piano economico) ed alla Russia (su quello militare), in questo senso, si è dimostrata utile proprio a separare il potenziale energetico di Paesi come Russia ed Iran da quello industriale europeo.

Il secondo ostacolo si chiama ELNET – European Leadership Network. Questo altro non è che il ramo più invasivo (insieme all’Israel Defense and Security Forum) della lobby sionista all’interno delle istituzioni europee. Il gruppo, infatti, è già stato capace di penetrare il Parlamento europeo e la sua Commissione, favorendo prese di posizione in evidente vantaggio delle politiche israeliane. E risulta chiaro che tale lobby continuerà a fare pressione contro una ricostruzione dei rapporti con l’Iran.

ELNET, di fatto, si presenta come il fratello minore dell’AIPAC – American Israeli Public Affairs Committee. Ed il suo ruolo, come quello del potente ramo statunitense, è quello di influenzare in modo decisivo il processo decisionale europeo anche facendo in modo che questo sia capace di attuare scelte che vadano addirittura contro i diretti interessi europei pur di sostenere i disegni israeliani; una tattica ben descritta, seppur in ambito statunitense, nell’opera di John Mearsheimer e Stephen Walt “The Israel lobby and the US foreign policy”. A ciò si aggiunga la volontà di ELNET a fare in modo che ogni singolo Stato europeo adotti l’equiparazione (del tutto impropria) tra antisemitismo ed antisionismo per creare un clima naturalmente ostile ad ogni forma di critica nei confronti dello Stato d’Israele.

Il terzo ostacolo è rappresentato da un altro attore che fa lobbying negli uffici di Strasburgo e Bruxelles, e più in generale all’interno dei singoli Stati europei: il Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran legato ai coniugi Rajavi. Questo, di fatto, si presenta come il ramo politico del gruppo terroristico dei Mujahedin e-Khalq, responsabile per la morte di diverse migliaia di civili iraniani dagli anni ’80 ad oggi. In questo preciso momento storico opera principalmente in cooperazione col Mossad per eliminare scienziati iraniani coinvolti nel programma nucleare (il caso, ad esempio, del fisico Mohsen Fakhrizadeh). Pur presentandosi come una sorta di setta pseudo-religiosa fondata sulla venerazione della coppia formata da Masoud e Maryam Rajavi, c’è chi ha definito il gruppo come una valida alternativa “laica” alla Repubblica Islamica. Così ha scritto l’ex Ministro degli Esteri italiano (ed ora consigliere di Fratelli d’Italia) Giulio Terzi nel suo sito: “C’è un altro governo che attende, preparato a disegnare un futuro per l’Iran basato sui principi del laicismo, della democrazia e dell’uguaglianza di genere come è stato esposto dalla Presidente del Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran Maryam Rajavi”.

Sembra chiaro che Giulio Terzi non sappia (o faccia finta di non sapere) che mai il movimento sia stato caratterizzato da principi e/o valori democratici, tanto che Masoud Rajavi (sparito nel nulla a partire dal 2003, in una sorta di occultamento che qualcuno associa a quella dell’ultimo Imam dello sciismo) si è autoproclamato “Imam del presente”, attribuendosi così un ruolo spirituale oltre che politico. Il MeK, inoltre, ha spesso operato nel campo della disinformazione sulla Repubblica Islamica e risulta coinvolto sia nel traffico di stupefacenti che in quello di esseri umani (senza considerare l’opera di riciclaggio di denaro utile per costruire un vero e proprio impero immobiliare negli Stati del Golfo).

Il quarto ostacolo è l’ossessione dell’Unione Europea per i diritti umani trasformati in vero e proprio strumento geopolitico. Un’ossessione, ad onor del vero, fondata sull’aperta doppiezza, per cui si punta il dito contro l’eventuale violazione dei diritti umani in Iran, ma si chiudono entrambi gli occhi di fronte alle azioni criminali israeliane in Palestina o si stringono legami con i membri di al-Qaeda al potere in Siria.

Il quinto ostacolo si lega al quarto ed è l’idea del tutto errata (fatta propria dai mezzi di informazione occidentali) che il popolo iraniano (nella sua interezza) disprezzi la struttura politica della Repubblica Islamica e che veda di buon occhio un aiuto dell’Occidente per la sua liberazione. Niente di più falso. Se è vero che molti iraniani nutrono un senso di (innegabile, secondo chi scrive) affinità culturale con l’Europa; è altrettanto vero che nessuno (salvo forse una assai ristretta minoranza) vuole essere “liberato” dall’Occidente. Allo stesso tempo, non è affatto scontato che la sparizione (al momento comunque remota) della Repubblica Islamica trasformi l’Iran automaticamente in un “amico dell’Occidente” a guida nordamericana, visto che le tendenze puramente nazionaliste rimangono comunque molto forti.

In conclusione non si può non fare riferimento alle continue minacce israeliane di attaccare (con o senza gli Stati Uniti) le installazione nucleari di Tehran. In primo luogo sarà bene riportare che un nuovo accordo con gli Stati Uniti rimane comunque in salita se le richieste di questi ultimi continueranno a rasentare l’aperta capitolazione della Repubblica Islamica ai loro desideri. Detto ciò, pur arrivando all’opzione militare, rimane assai complicato distruggere per intero il programma nucleare iraniano. È sicuramente possibile colpirlo, anche duramente, per fare in modo che necessiti di almeno dieci anni per essere pienamente ripristinato. Tuttavia, bisogna anche considerare che la Russia ha notevoli interessi nello sviluppo del nucleare civile di Tehran e non vederebbe affatto di buon occhio tale esito; e che pure la lobby petrolifera nordamericana (sostenitrice di Donald J. Trump) non ha alcun interesse a destabilizzare la regione del Golfo Persico, fondamentale per i flussi energetici globali, soprattutto ora che lo stesso Trump è riuscito ad ottenere ingenti investimenti per l’economia USA dai Paesi dell’area.

Rimane da valutare il ruolo dell’Europa. Se questa non vorrà rimanere ancora una volta impotente spettatrice, sarà il caso che inizi ad agire, prima che sia troppo tardi, per condannare ed evitare un attacco contro Tehran che potrebbe ulteriormente mettere in crisi la sua già disastrata economia.

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