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Stefano Vernole
May 8, 2025
© Photo: Public domain

Un nuovo round di scontri geopolitici nei Balcani. A cosa può portare?

La recente dichiarazione del Primo Ministro croato Andrej Plenković (HDZ), secondo cui la Repubblica di Croazia non avrebbe imposto sanzioni al Presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (SNSD), rappresenta un duro colpo per quanti non ricordano che nel dicembre 1991 a Zagabria fu lanciata l’idea – congiunta con Belgrado – di creare la Repubblica Croata di Erzeg-Bosnia (HR-HB)” come futura parte costituente della Repubblica di Croazia: “Non siamo nella stessa posizione di altri Paesi non confinanti. Banja Luka è a soli 90 minuti di auto da Zagabria. Per questo motivo intendiamo inviare un messaggio di rassicurazione, promuovere il dialogo e riportare gli attori politici in Bosnia-Erzegovina al quadro costituzionale”, ha dichiarato il Primo Ministro croato Andrej Plenković dopo un incontro con il leader dell’HDZBiH (croati di Bosnia Erzegovina) Dragan Čović. Secondo le fonti disponibili, Plenković avrebbe poi avuto un colloquio segreto con Milorad Dodik.

Ma come si può spiegare questo ulteriore cambio di scena?

Nell’ambito dell’iniziativa trilaterale guidata da Washington e che coinvolge Stati Uniti, Bosnia-Erzegovina e Serbia, il piano prevede l’adesione simultanea di Bosnia-Erzegovina e Serbia alla NATO e all’UE, in attesa dell’esito dei negoziati in corso tra Washington e la Federazione Russa. La massima concessione che la Serbia potrebbe aspettarsi sarebbe la possibilità di preservare la propria neutralità militare. Tuttavia, l’adesione all’Unione Europea rimarrebbe obbligatoria, accompagnata dall’obbligo di concedere agli Stati Uniti l’accesso ai propri giacimenti di metalli rari e di rinunciare ufficialmente alla sovranità serba sul Kosovo e Metohija.

Alla fine di febbraio 2025, è stato consegnato dagli USA un documento informale all’Alto Rappresentante in Bosnia-Erzegovina (OHR), Christian Schmidt (CSU), contenente, tra le altre cose, cinque passaggi chiave:

Ristrutturare la governance: una federazione civica.

Rilancio economico: un piano Marshall per i Balcani.

Verità e riconciliazione: una narrazione condivisa.

Revisione della sicurezza: una forza unificata.

Ancoraggio internazionale: il percorso di adesione all’UE.

Il documento informale include anche sezioni intitolate: “Chi ci rimette?” e “Come coinvolgere tutti?”.

In questo contesto, la Turchia si sta affermando come partner chiave dell’UE, grazie ai suoi legami politici, di intelligence e di difesa con l’Ucraina, nonché alle sue relazioni con la Russia, gli Stati Uniti e con i Paesi islamici, dall’Arabia Saudita all’Iran, all’Iraq, al Qatar e persino agli Emirati Arabi Uniti. Secondo il piano statunitense, Ankara assumerebbe il ruolo di custode dei confini esterni dei Balcani e garante della sovranità della Bosnia-Erzegovina.

In seguito, la Croazia ha accelerato la stipula di una dichiarazione, di fatto un accordo militare, con Albania e Kosovo lo scorso 18 marzo. È seguita una rapida contromisura, con la firma di un analogo accordo militare da parte di Serbia e Ungheria il 1° aprile 2025. Sebbene diretto anch’esso contro la Bosnia-Erzegovina, questo accordo prende di mira principalmente la Croazia, alla luce delle ambizioni espansionistiche del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán (Fidesz), che includono parti del territorio croato. Ciò ha spinto i funzionari croati a contattare diversi attori, tra cui l’ex Presidente croata Kolinda Grabar-Kitarović (HDZ), alla ricerca di equipaggiamento e hardware militare al di fuori dei canali NATO, in previsione di un potenziale scontro con l’Ungheria e temendo gli stretti legami di Orbán sia con Donald Trump che con Vladimir Putin. Entrambi gli accordi militari hanno spinto la NATO a prendere le distanze, affermando: “La NATO, in quanto organizzazione, non è parte di questi accordi e non ha avuto alcun ruolo nel processo di consultazione”, dichiarazione la cui credibilità è davvero bassa, visto che un potenziale conflitto regionale vedrebbe l’Alleanza Atlantica al centro della scacchiera.

Oltre alla Serbia, sia la Croazia che l’Ungheria, questi ultimi membri dell’UE e della NATO, sostengono Dodik e, di conseguenza, la divisione della Bosnia-Erzegovina. Di particolare rilevanza è la posizione della Slovenia, guidata dai Socialdemocratici (SD), che si rifiuta anch’essa di imporre sanzioni a Dodik. Il risultato è un paradosso notevole: le tre più importanti ex repubbliche jugoslave – Serbia, Croazia e Slovenia – stanno di fatto sostenendo il programma di Dodik di mettere fine alla Bosnia-Erzegovina per il mancato rispetto degli accordi di Dayton.

Germania, Austria, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia e altri Paesi hanno chiaramente identificato Milorad Dodik come un problema che deve essere eliminato.

Il 10 marzo 2025, appena una settimana prima dell’annuncio dell’alleanza militare croato-albanese, il Ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina, Zukan Helez, ha dichiarato: “Nel mio discorso al Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, ho proposto che alla Bosnia-Erzegovina venga concessa immediatamente un’adesione condizionata all’Alleanza Atlantica. Qualora ciò creasse problemi nella regione, ho suggerito che anche alla Serbia venga offerta un’adesione condizionata alla NATO. Credo che ciò garantirebbe una pace e una stabilità durature in Bosnia-Erzegovina e nell’intera regione”. La dichiarazione di Helez era in linea con il piano trilaterale e gli interessi strategici degli Stati Uniti. La recente visita di successo del Ministro Helez al Pentagono e negli Stati Uniti ha anche offerto l’opportunità di far progredire il dialogo sull’iniziativa trilaterale, di rafforzare ulteriormente il partenariato e garantire il continuo sostegno degli Stati Uniti alla Bosnia-Erzegovina: “Gli Stati Uniti sono nostri amici e un partner chiave in politica estera”, ha sottolineato Helez.

E’ così seguito il tentativo di arresto di Dodik mentre si trovava in visita a Sarajevo Est. Unità speciali dell’Agenzia Statale per le Investigazioni e la Protezione (SIPA, la polizia federale bosniaca) hanno tentato di fermare il presidente della Republika Srpska, ma gli agenti della polizia a lui fedeli si sono opposti e lo hanno impedito. A quel punto, l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Christian Schmidt, ha sospeso tutti i finanziamenti pubblici al partito di Milorad Dodik e i soldi trattenuti saranno reindirizzati a un conto speciale presso la Banca Centrale della Bosnia-Erzegovina.

Dopo la visita di Trump jr. a Belgrado, secondo l’eurodeputato ceco Ondřej Kolář (PPE), intervistato da OBCT, quella di Dodik è divenuta una vera e propria lotta per rimanere politicamente in vita e, sempre secondo l’esponente del Partito Popolare Europeo, anche il presidente serbo Aleksandar Vučić sarebbe pronto ad abbandonarlo poiché “troppo costoso dal punto di vista politico”, intenzioni ben celate dietro un’apparenza fatta di dichiarazioni di approvazione e sostegno.

Nel frattempo, Dodik e Vucic si preparano per un altro viaggio a Mosca, dove assisteranno alla parata del 9 maggio. Ogni scenario rimane aperto.

Seminare zizzania, per poi dominare. Il piano NATO/USA nei Balcani

Un nuovo round di scontri geopolitici nei Balcani. A cosa può portare?

La recente dichiarazione del Primo Ministro croato Andrej Plenković (HDZ), secondo cui la Repubblica di Croazia non avrebbe imposto sanzioni al Presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (SNSD), rappresenta un duro colpo per quanti non ricordano che nel dicembre 1991 a Zagabria fu lanciata l’idea – congiunta con Belgrado – di creare la Repubblica Croata di Erzeg-Bosnia (HR-HB)” come futura parte costituente della Repubblica di Croazia: “Non siamo nella stessa posizione di altri Paesi non confinanti. Banja Luka è a soli 90 minuti di auto da Zagabria. Per questo motivo intendiamo inviare un messaggio di rassicurazione, promuovere il dialogo e riportare gli attori politici in Bosnia-Erzegovina al quadro costituzionale”, ha dichiarato il Primo Ministro croato Andrej Plenković dopo un incontro con il leader dell’HDZBiH (croati di Bosnia Erzegovina) Dragan Čović. Secondo le fonti disponibili, Plenković avrebbe poi avuto un colloquio segreto con Milorad Dodik.

Ma come si può spiegare questo ulteriore cambio di scena?

Nell’ambito dell’iniziativa trilaterale guidata da Washington e che coinvolge Stati Uniti, Bosnia-Erzegovina e Serbia, il piano prevede l’adesione simultanea di Bosnia-Erzegovina e Serbia alla NATO e all’UE, in attesa dell’esito dei negoziati in corso tra Washington e la Federazione Russa. La massima concessione che la Serbia potrebbe aspettarsi sarebbe la possibilità di preservare la propria neutralità militare. Tuttavia, l’adesione all’Unione Europea rimarrebbe obbligatoria, accompagnata dall’obbligo di concedere agli Stati Uniti l’accesso ai propri giacimenti di metalli rari e di rinunciare ufficialmente alla sovranità serba sul Kosovo e Metohija.

Alla fine di febbraio 2025, è stato consegnato dagli USA un documento informale all’Alto Rappresentante in Bosnia-Erzegovina (OHR), Christian Schmidt (CSU), contenente, tra le altre cose, cinque passaggi chiave:

Ristrutturare la governance: una federazione civica.

Rilancio economico: un piano Marshall per i Balcani.

Verità e riconciliazione: una narrazione condivisa.

Revisione della sicurezza: una forza unificata.

Ancoraggio internazionale: il percorso di adesione all’UE.

Il documento informale include anche sezioni intitolate: “Chi ci rimette?” e “Come coinvolgere tutti?”.

In questo contesto, la Turchia si sta affermando come partner chiave dell’UE, grazie ai suoi legami politici, di intelligence e di difesa con l’Ucraina, nonché alle sue relazioni con la Russia, gli Stati Uniti e con i Paesi islamici, dall’Arabia Saudita all’Iran, all’Iraq, al Qatar e persino agli Emirati Arabi Uniti. Secondo il piano statunitense, Ankara assumerebbe il ruolo di custode dei confini esterni dei Balcani e garante della sovranità della Bosnia-Erzegovina.

In seguito, la Croazia ha accelerato la stipula di una dichiarazione, di fatto un accordo militare, con Albania e Kosovo lo scorso 18 marzo. È seguita una rapida contromisura, con la firma di un analogo accordo militare da parte di Serbia e Ungheria il 1° aprile 2025. Sebbene diretto anch’esso contro la Bosnia-Erzegovina, questo accordo prende di mira principalmente la Croazia, alla luce delle ambizioni espansionistiche del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán (Fidesz), che includono parti del territorio croato. Ciò ha spinto i funzionari croati a contattare diversi attori, tra cui l’ex Presidente croata Kolinda Grabar-Kitarović (HDZ), alla ricerca di equipaggiamento e hardware militare al di fuori dei canali NATO, in previsione di un potenziale scontro con l’Ungheria e temendo gli stretti legami di Orbán sia con Donald Trump che con Vladimir Putin. Entrambi gli accordi militari hanno spinto la NATO a prendere le distanze, affermando: “La NATO, in quanto organizzazione, non è parte di questi accordi e non ha avuto alcun ruolo nel processo di consultazione”, dichiarazione la cui credibilità è davvero bassa, visto che un potenziale conflitto regionale vedrebbe l’Alleanza Atlantica al centro della scacchiera.

Oltre alla Serbia, sia la Croazia che l’Ungheria, questi ultimi membri dell’UE e della NATO, sostengono Dodik e, di conseguenza, la divisione della Bosnia-Erzegovina. Di particolare rilevanza è la posizione della Slovenia, guidata dai Socialdemocratici (SD), che si rifiuta anch’essa di imporre sanzioni a Dodik. Il risultato è un paradosso notevole: le tre più importanti ex repubbliche jugoslave – Serbia, Croazia e Slovenia – stanno di fatto sostenendo il programma di Dodik di mettere fine alla Bosnia-Erzegovina per il mancato rispetto degli accordi di Dayton.

Germania, Austria, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia e altri Paesi hanno chiaramente identificato Milorad Dodik come un problema che deve essere eliminato.

Il 10 marzo 2025, appena una settimana prima dell’annuncio dell’alleanza militare croato-albanese, il Ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina, Zukan Helez, ha dichiarato: “Nel mio discorso al Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, ho proposto che alla Bosnia-Erzegovina venga concessa immediatamente un’adesione condizionata all’Alleanza Atlantica. Qualora ciò creasse problemi nella regione, ho suggerito che anche alla Serbia venga offerta un’adesione condizionata alla NATO. Credo che ciò garantirebbe una pace e una stabilità durature in Bosnia-Erzegovina e nell’intera regione”. La dichiarazione di Helez era in linea con il piano trilaterale e gli interessi strategici degli Stati Uniti. La recente visita di successo del Ministro Helez al Pentagono e negli Stati Uniti ha anche offerto l’opportunità di far progredire il dialogo sull’iniziativa trilaterale, di rafforzare ulteriormente il partenariato e garantire il continuo sostegno degli Stati Uniti alla Bosnia-Erzegovina: “Gli Stati Uniti sono nostri amici e un partner chiave in politica estera”, ha sottolineato Helez.

E’ così seguito il tentativo di arresto di Dodik mentre si trovava in visita a Sarajevo Est. Unità speciali dell’Agenzia Statale per le Investigazioni e la Protezione (SIPA, la polizia federale bosniaca) hanno tentato di fermare il presidente della Republika Srpska, ma gli agenti della polizia a lui fedeli si sono opposti e lo hanno impedito. A quel punto, l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Christian Schmidt, ha sospeso tutti i finanziamenti pubblici al partito di Milorad Dodik e i soldi trattenuti saranno reindirizzati a un conto speciale presso la Banca Centrale della Bosnia-Erzegovina.

Dopo la visita di Trump jr. a Belgrado, secondo l’eurodeputato ceco Ondřej Kolář (PPE), intervistato da OBCT, quella di Dodik è divenuta una vera e propria lotta per rimanere politicamente in vita e, sempre secondo l’esponente del Partito Popolare Europeo, anche il presidente serbo Aleksandar Vučić sarebbe pronto ad abbandonarlo poiché “troppo costoso dal punto di vista politico”, intenzioni ben celate dietro un’apparenza fatta di dichiarazioni di approvazione e sostegno.

Nel frattempo, Dodik e Vucic si preparano per un altro viaggio a Mosca, dove assisteranno alla parata del 9 maggio. Ogni scenario rimane aperto.

Un nuovo round di scontri geopolitici nei Balcani. A cosa può portare?

La recente dichiarazione del Primo Ministro croato Andrej Plenković (HDZ), secondo cui la Repubblica di Croazia non avrebbe imposto sanzioni al Presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik (SNSD), rappresenta un duro colpo per quanti non ricordano che nel dicembre 1991 a Zagabria fu lanciata l’idea – congiunta con Belgrado – di creare la Repubblica Croata di Erzeg-Bosnia (HR-HB)” come futura parte costituente della Repubblica di Croazia: “Non siamo nella stessa posizione di altri Paesi non confinanti. Banja Luka è a soli 90 minuti di auto da Zagabria. Per questo motivo intendiamo inviare un messaggio di rassicurazione, promuovere il dialogo e riportare gli attori politici in Bosnia-Erzegovina al quadro costituzionale”, ha dichiarato il Primo Ministro croato Andrej Plenković dopo un incontro con il leader dell’HDZBiH (croati di Bosnia Erzegovina) Dragan Čović. Secondo le fonti disponibili, Plenković avrebbe poi avuto un colloquio segreto con Milorad Dodik.

Ma come si può spiegare questo ulteriore cambio di scena?

Nell’ambito dell’iniziativa trilaterale guidata da Washington e che coinvolge Stati Uniti, Bosnia-Erzegovina e Serbia, il piano prevede l’adesione simultanea di Bosnia-Erzegovina e Serbia alla NATO e all’UE, in attesa dell’esito dei negoziati in corso tra Washington e la Federazione Russa. La massima concessione che la Serbia potrebbe aspettarsi sarebbe la possibilità di preservare la propria neutralità militare. Tuttavia, l’adesione all’Unione Europea rimarrebbe obbligatoria, accompagnata dall’obbligo di concedere agli Stati Uniti l’accesso ai propri giacimenti di metalli rari e di rinunciare ufficialmente alla sovranità serba sul Kosovo e Metohija.

Alla fine di febbraio 2025, è stato consegnato dagli USA un documento informale all’Alto Rappresentante in Bosnia-Erzegovina (OHR), Christian Schmidt (CSU), contenente, tra le altre cose, cinque passaggi chiave:

Ristrutturare la governance: una federazione civica.

Rilancio economico: un piano Marshall per i Balcani.

Verità e riconciliazione: una narrazione condivisa.

Revisione della sicurezza: una forza unificata.

Ancoraggio internazionale: il percorso di adesione all’UE.

Il documento informale include anche sezioni intitolate: “Chi ci rimette?” e “Come coinvolgere tutti?”.

In questo contesto, la Turchia si sta affermando come partner chiave dell’UE, grazie ai suoi legami politici, di intelligence e di difesa con l’Ucraina, nonché alle sue relazioni con la Russia, gli Stati Uniti e con i Paesi islamici, dall’Arabia Saudita all’Iran, all’Iraq, al Qatar e persino agli Emirati Arabi Uniti. Secondo il piano statunitense, Ankara assumerebbe il ruolo di custode dei confini esterni dei Balcani e garante della sovranità della Bosnia-Erzegovina.

In seguito, la Croazia ha accelerato la stipula di una dichiarazione, di fatto un accordo militare, con Albania e Kosovo lo scorso 18 marzo. È seguita una rapida contromisura, con la firma di un analogo accordo militare da parte di Serbia e Ungheria il 1° aprile 2025. Sebbene diretto anch’esso contro la Bosnia-Erzegovina, questo accordo prende di mira principalmente la Croazia, alla luce delle ambizioni espansionistiche del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán (Fidesz), che includono parti del territorio croato. Ciò ha spinto i funzionari croati a contattare diversi attori, tra cui l’ex Presidente croata Kolinda Grabar-Kitarović (HDZ), alla ricerca di equipaggiamento e hardware militare al di fuori dei canali NATO, in previsione di un potenziale scontro con l’Ungheria e temendo gli stretti legami di Orbán sia con Donald Trump che con Vladimir Putin. Entrambi gli accordi militari hanno spinto la NATO a prendere le distanze, affermando: “La NATO, in quanto organizzazione, non è parte di questi accordi e non ha avuto alcun ruolo nel processo di consultazione”, dichiarazione la cui credibilità è davvero bassa, visto che un potenziale conflitto regionale vedrebbe l’Alleanza Atlantica al centro della scacchiera.

Oltre alla Serbia, sia la Croazia che l’Ungheria, questi ultimi membri dell’UE e della NATO, sostengono Dodik e, di conseguenza, la divisione della Bosnia-Erzegovina. Di particolare rilevanza è la posizione della Slovenia, guidata dai Socialdemocratici (SD), che si rifiuta anch’essa di imporre sanzioni a Dodik. Il risultato è un paradosso notevole: le tre più importanti ex repubbliche jugoslave – Serbia, Croazia e Slovenia – stanno di fatto sostenendo il programma di Dodik di mettere fine alla Bosnia-Erzegovina per il mancato rispetto degli accordi di Dayton.

Germania, Austria, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia e altri Paesi hanno chiaramente identificato Milorad Dodik come un problema che deve essere eliminato.

Il 10 marzo 2025, appena una settimana prima dell’annuncio dell’alleanza militare croato-albanese, il Ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina, Zukan Helez, ha dichiarato: “Nel mio discorso al Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, ho proposto che alla Bosnia-Erzegovina venga concessa immediatamente un’adesione condizionata all’Alleanza Atlantica. Qualora ciò creasse problemi nella regione, ho suggerito che anche alla Serbia venga offerta un’adesione condizionata alla NATO. Credo che ciò garantirebbe una pace e una stabilità durature in Bosnia-Erzegovina e nell’intera regione”. La dichiarazione di Helez era in linea con il piano trilaterale e gli interessi strategici degli Stati Uniti. La recente visita di successo del Ministro Helez al Pentagono e negli Stati Uniti ha anche offerto l’opportunità di far progredire il dialogo sull’iniziativa trilaterale, di rafforzare ulteriormente il partenariato e garantire il continuo sostegno degli Stati Uniti alla Bosnia-Erzegovina: “Gli Stati Uniti sono nostri amici e un partner chiave in politica estera”, ha sottolineato Helez.

E’ così seguito il tentativo di arresto di Dodik mentre si trovava in visita a Sarajevo Est. Unità speciali dell’Agenzia Statale per le Investigazioni e la Protezione (SIPA, la polizia federale bosniaca) hanno tentato di fermare il presidente della Republika Srpska, ma gli agenti della polizia a lui fedeli si sono opposti e lo hanno impedito. A quel punto, l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Christian Schmidt, ha sospeso tutti i finanziamenti pubblici al partito di Milorad Dodik e i soldi trattenuti saranno reindirizzati a un conto speciale presso la Banca Centrale della Bosnia-Erzegovina.

Dopo la visita di Trump jr. a Belgrado, secondo l’eurodeputato ceco Ondřej Kolář (PPE), intervistato da OBCT, quella di Dodik è divenuta una vera e propria lotta per rimanere politicamente in vita e, sempre secondo l’esponente del Partito Popolare Europeo, anche il presidente serbo Aleksandar Vučić sarebbe pronto ad abbandonarlo poiché “troppo costoso dal punto di vista politico”, intenzioni ben celate dietro un’apparenza fatta di dichiarazioni di approvazione e sostegno.

Nel frattempo, Dodik e Vucic si preparano per un altro viaggio a Mosca, dove assisteranno alla parata del 9 maggio. Ogni scenario rimane aperto.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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