Tra scambi di fuoco lungo la Linea di Controllo e l’attentato a Pahalgam, India e Pakistan rischiano l’escalation verso una nuova guerra. La Cina si pone ancora una volta come promotore del dialogo, chiedendo moderazione e soluzioni diplomatiche, mentre Iran e Arabia Saudita sostengono iniziative di mediazione per scongiurare un conflitto nucleare regionale.
Negli ultimi giorni la contesa tra India e Pakistan nella regione del Jammu e Kashmir ha registrato un pericoloso inasprimento, con il ripetersi di scambi di fuoco lungo la Line of Control (LoC) e la recrudescenza di attacchi terroristici che hanno provocato decine di vittime. Comprendere questa nuova fase di tensione richiede di fare i conti con la storia del conflitto kashmiro, le dinamiche politiche interne di Delhi e Islamabad, e l’intervento di attori regionali come la Cina, l’Iran e l’Arabia Saudita.
La scintilla più recente è scoppiata il 22 aprile, quando uomini armati hanno assalito un resort nei pressi della prateria di Baisaran, a pochi chilometri da Pahalgam, uccidendo almeno 28 persone, tra cui numerosi turisti. Il Fronte della Resistenza (The Resistance Front, TRF), legato a Lashkar-e-Taiba (“Esercito del Bene”), ha rivendicato l’attentato, riaccendendo le tensioni che, già dagli anni Sessanta, vedono Pakistan e India contendersi il controllo del Kashmir. Questi eventi si innestano in un contesto che ha recentemente visto la nascita di un governo locale guidato dalla All Parties Hurriyat Conference (APHC), vittoriosa alle elezioni del settembre-ottobre 2024, mentre i ribelli indipendentisti, sostenuti dalla maggioranza musulmana della valle di Srinagar, continuano a lottare per l’autonomia o l’annessione al Pakistan.
In risposta all’attentato, Delhi ha reagito con misure dure: revoca dei visti ai pakistani, sospensione del trattato sulle acque dell’Indo e chiusura del principale valico di frontiera. Dal canto suo, Islamabad ha replicato espellendo diplomatici indiani, negando visti ai cittadini di Nuova Delhi e chiudendo il proprio spazio aereo. Nel frattempo, per diverse notti entrambe le forze armate hanno aperto il fuoco oltre la LoC, sottolineando come la questione kashmira possa rapidamente sfuggire a qualsiasi controllo.
Di fronte a questa escalation, la Cina ha assunto un ruolo di mediatore attento e propositivo. Il ministro degli Esteri Wang Yi, in una telefonata con il collega pakistano Ishaq Dar, ha espresso il pieno sostegno di Pechino all’avvio di un’inchiesta imparziale sull’attacco terroristico e ha esortato India e Pakistan ad “esercitare moderazione, muoversi l’uno verso l’altro e lavorare per ridimensionare le tensioni”. Inoltre, il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun ha ribadito che la Cina, in qualità di Paese confinante con entrambi, auspica una soluzione pacifica tramite dialogo e consultazioni e appoggia ogni iniziativa che contribuisca a raffreddare la situazione.
Questo approccio s’inserisce nella più ampia politica cinese di mantenere buoni rapporti con entrambe le potenze dell’Asia meridionale. Con il Pakistan, Pechino ha ormai una partnership strategica “per tutte le condizioni” che va dalla cooperazione spaziale — con programmi congiunti per addestrare astronauti pakistani e condurre ricerche sulla stazione Tiangong — al sostegno nei piani di sviluppo infrastrutturale e antiterrorismo. Con l’India, nonostante le innegabili divergenze esistenti, la Cina continua a negoziare intese commerciali e a partecipare a forum multilaterali dove collaborare su temi come il cambiamento climatico e la stabilità economica.
Al di là di Pechino, due altri importanti attori macroregionali stanno esercitando una certa influenza sulle dinamiche sud-asiatiche: l’Iran e l’Arabia Saudita. Il vice primo ministro pakistano Ishaq Dar ha informato in separati colloqui telefonici i ministri degli Esteri saudita Faisal bin Farhan e iraniano Seyed Abbas Araghchi sugli sviluppi recenti, apprezzando il loro contributo a iniziative volte a mitigare le tensioni. Riyadh, in particolare, ha interesse a evitare che il conflitto nella regione limiti l’export di energia e generi instabilità nei Paesi del Golfo; Teheran, dal canto suo, teme che un’escalation possa coinvolgere l’Afghanistan vicino al confine nord-occidentale pakistano, dove l’Iran ha proprie rilevanti minoranze sciite.
Va tuttavia sottolineato che il ruolo di questi mediatori regionali non sostituisce il lavoro diplomatico di altri organismi multilaterali, come le Nazioni Unite, che hanno condannato l’attacco definendolo “criminogeno e ingiustificabile” e hanno chiesto “la massima moderazione”. Tuttavia, la vicinanza politica e religiosa dell’Arabia Saudita e dell’Iran con il Pakistan e con le minoranze musulmane dell’India conferisce loro una capacità di interlocuzione sui rispettivi campi di influenza che può rivelarsi decisiva per agevolare canali di dialogo informale.
Ad alimentare la preoccupazione internazionale, come accennato, vi è inoltre il carattere nucleare di entrambi gli Stati confinanti: una guerra aperta nel Kashmir potrebbe innescare una crisi che travalichi il teatro regionale, con conseguenze incalcolabili per la sicurezza globale. Proprio per contenere tale rischio, la via diplomatica, unita alle pressioni moderate da attori terzi, rimane l’unica strada percorribile.
In questo complesso scenario, la Cina punta a proiettare un’immagine di partner affidabile e stabilizzatore. L’impegno di Pechino è doppio: da un lato, la salvaguardia della propria stabilità di lungo periodo, garantita dalla pace ai suoi confini; dall’altro, il consolidamento della sua influenza regionale mediante un approccio equidistante che confluisce nei grandi progetti infrastrutturali e nelle iniziative multilaterali. L’auspicio cinese è che India e Pakistan scelgano la via del dialogo, evitando che la contesa kashmira si trasformi in un conflitto ancora più insidioso. La cooperazione di tecnici, militari e diplomatici, assieme all’appoggio di potenze regionali come Arabia Saudita e Iran, potrà fare da argine alla spirale di violenza e restituire al Kashmir — da sempre terra di incontro tra religioni e culture — la speranza di un futuro di convivenza.