Gli eventi in Bosnia ed Erzegovina continuano ad aggravarsi, ma non solo lì, ma in tutti i Balcani, si stanno verificando importanti movimenti
Dopo l’aumento delle tensioni in Bosnia-Erzegovina, dove la procura federale di Sarajevo ha chiesto l’arresto di Milorad Dodik, leader dell’entità serba del Paese, lo scorso 13 marzo è intervenuto Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, ribadendo il suo appello alla moderazione: “Invitiamo tutti i leader politici a sostenere pienamente e facilitare il lavoro delle istituzioni statali per consolidare la pace e garantire la stabilità”.
Tuttavia, la situazione sta continuando pericolosamente a surriscaldarsi, a causa delle pressioni contrapposte.
Dopo una sessione maratona di due giorni, l’Assemblea nazionale della Republika Srpska (RS) ha adottato una nuova bozza di costituzione e un nuovo progetto di legge sulla protezione dell’ordine costituzionale interno. Entrambi i decreti mirano ad affermare una maggiore autonomia per la Repubblica serba di Bosnia, creando istituzioni separate, tra cui un esercito e una magistratura, e contenendo disposizioni per l’autodeterminazione e il diritto di formare confederazioni con altri Paesi, con evidente riferimento alla futura unione tra Banja Luka e Belgrado.
L’Ufficio dell’Alto Rappresentante, OHR, che supervisiona l’attuazione degli accordi di pace che hanno posto fine alla guerra del 1992-95 in Bosnia, ha criticato il progetto di legge, affermando che “costituisce una grave violazione dell’Accordo di pace di Dayton e del quadro costituzionale della Bosnia ed Erzegovina, aprendo nuovi casi di responsabilità penale per coloro che compiono queste azioni”.
In risposta, l’Assemblea della RS ha approvato leggi che vietano alla procura statale, al tribunale, all’Agenzia statale per le indagini e la protezione (SIPA) e all’Alto consiglio giudiziario e della Procura di Sarajevo di esercitare la giurisdizione nella Repubblica Serba. Tra le altre cose, si stabilisce che l’Assemblea nazionale e il Governo della Srpska possono sospendere l’attuazione di qualsiasi atto, misura o attività delle istituzioni a livello della Federazione Bosniaca che non abbia una base nella Costituzione della Bosnia Erzegovina (BiH). Le leggi che non rientrano nella giurisdizione esclusiva della BiH o che non derivano da accordi tra entità non avranno effetto giuridico in Srpska. È previsto che le leggi approvate dall’Assemblea parlamentare della Bosnia-Erzegovina saranno applicate in Srpska solo dopo essere state confermate dall’Assemblea nazionale della Repubblica serbo-bosniaca.
La bozza della nuova Costituzione sarà sottoposta a 30 giorni di discussione pubblica prima di essere inviata all’Assemblea serbo-bosniaca per la votazione finale. Essa stabilisce inoltre che Banja Luka sarà la capitale della Republika Srpska, mentre Sarajevo Est, con il suo centro amministrativo a Pale, riceverà lo status di sede del governo. Le disposizioni fondamentali definiscono la Republika Srpska come un’entità costituzionale e giuridica sovrana, unificata e indivisibile, confermata dalla volontà del popolo e dall’Accordo quadro generale per la pace in Bosnia Erzegovina, come trattato internazionale, nonché dalla Costituzione della BiH. La Republika Srpska è definita come lo Stato del popolo serbo e di tutti i popoli e cittadini che vivono al suo interno, garantendo quindi le minoranze lì presenti.
Il disegno di legge, adottato con procedura d’urgenza, prevede in particolare l’azione penale per 21 reati, tra cui attacchi all’ordine costituzionale della Republika Srpska, minacce alla sua integrità territoriale, sabotaggio, spionaggio e mancato rispetto delle decisioni emesse dalle autorità della Repubblica. Inoltre, criminalizza “l’ostruzione della lotta contro il nemico”, “il servizio in un esercito nemico” e “l’aiuto al nemico”.
Nel frattempo, le autorità di Banja Luka hanno istituito una propria polizia di frontiera, mettendo fine alla commistione nella gendarmeria confinaria della Bosnia Erzegovina voluta dall’OHR.
Ma il domino balcanico non rischia di spezzarsi solo in Bosnia Erzegovina.
Dopo l’immensa manifestazione a Belgrado contro il Presidente serbo Vucic, Albania, Kosovo e Croazia hanno firmato una dichiarazione congiunta di cooperazione in materia di difesa. Intervenendo alla cerimonia della firma a Tirana, il Ministro della Difesa albanese Pirro Vengu ha sottolineato l’importanza di questa cooperazione di fronte alle attuali sfide regionali: “In un ambiente di sicurezza fragile, condividiamo una valutazione comune delle minacce. Il nostro impegno per rafforzare le capacità di difesa è più forte che mai”, ha affermato. Il Ministro della Difesa croato Ivan Anusic e il suo omologo kosovaro Ejup Maqedonci hanno descritto la dichiarazione come un passo significativo verso il rafforzamento della sicurezza e della stabilità regionale, nonché verso il miglioramento delle capacità di affrontare rischi e sfide comuni. La dichiarazione congiunta sottolinea inoltre l’impegno dell’Albania e della Croazia, entrambi Stati membri della NATO, nel sostenere le aspirazioni del Kosovo alla piena integrazione nelle strutture regionali ed euro-atlantiche. Il Primo Ministro del Kosovo Albin Kurti ha accolto con favore l’accordo, definendolo “un passo estremamente importante per la sicurezza e la pace nella regione”. Questa cooperazione trilaterale, hanno concluso i firmatari dell’intesa, riflette la crescente partnership strategica tra i tre Paesi, sottolineando la collaborazione militare, la stabilità regionale e gli obiettivi di sicurezza condivisi.
Vucic, preoccupato che anche la Bulgaria possa unirsi a questo formato difensivo, ha naturalmente subito domandato contro chi sia rivolta tale alleanza, intuendone la natura preventiva rispetto alle sue intenzioni di giocare la carta del nazionalismo in Republika Srpska e in Kosovo e Metohija per uscire dall’impasse interna.
Belgrado si è opposta alla mossa, sostenendo che Albania e Croazia, insieme al “rappresentante illegittimo delle istituzioni temporanee di autogoverno di Pristina”, hanno adottato misure che compromettono la stabilità regionale: “La Repubblica di Serbia, in quanto garante della pace e della neutralità militare nei Balcani, esige giustamente risposte sulla natura e sugli obiettivi di questa cooperazione in materia di sicurezza”, secondo quanto riportato dal Ministero degli Esteri. La Serbia ha avvertito che la creazione di un’alleanza militare senza consultare Belgrado è preoccupante, soprattutto considerando il coinvolgimento del Kosovo, che la Serbia non riconosce come Stato indipendente.
Evidentemente incoraggiata dalla NATO, alla condanna di Belgrado è seguita quella di Pristina. Il Ministero degli Esteri del Kosovo ha reagito affermando di considerare la dichiarazione del Ministero degli Esteri serbo non solo come “aggressiva e minacciosa”, ma anche come una palese violazione dell’accordo di Bruxelles “che stabilisce chiaramente che la Serbia non ostacolerà le relazioni internazionali del Kosovo e non affermerà di parlare a nome del Kosovo nelle relazioni con altri Stati e organizzazioni”. Secondo le autorità kosovare, “la Serbia resta la più grande minaccia alla sicurezza regionale”.
Dopo aver oscillato per lungo tempo tra opposte pressioni nella speranza che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca potesse rafforzarlo, sembra ora che il tempo per Vucic stia per scadere e a breve il Presidente serbo dovrà definitivamente chiarire l’orientamento geopolitico del proprio Paese.