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Stefano Vernole
March 26, 2025
© Photo: Public domain

L’Armenia e l’Azerbaigian hanno concordato un trattato preliminare per porre fine alla guerra in corso tra i due Paesi. Un accordo che suscita speranze ma che prefigura anche scenari complicati.

Segue nostro Telegram.

Il 13 marzo 2025, i ministeri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian hanno annunciato di aver concluso i negoziati sul testo di un accordo volto a porre fine a quasi quattro decenni di conflitto.

Secondo entrambi i governi, i 17 articoli dell’accordo di normalizzazione sono stati finalizzati ma il suo testo integrale non è stato reso pubblico. Le informazioni attualmente disponibili provengono principalmente da dichiarazioni ufficiali secondo cui l’intesa comprende i seguenti punti: rinuncia alle rivendicazioni territoriali, instaurazione di relazioni diplomatiche e riapertura delle frontiere, scioglimento del Gruppo di Minsk e ritiro delle forze terze: i due Paesi si impegnano a non consentire la presenza di truppe straniere lungo il loro confine comune.

Gli ultimi ostacoli riguardavano l’impegno giuridico di Armenia e Azerbaigian ad abbandonare le reciproche procedure legali internazionali, nonché un accordo a non schierare forze di terze parti lungo il confine comune. La concessione dell’Armenia su quest’ultimo punto potrebbe segnare la fine della Missione di vigilanza dell’Unione europea in Armenia (EUMA) nella sua forma attuale, a meno che non ne venga rivisto il mandato per consentirle di restare.

I recenti sviluppi nei negoziati di pace tra Armenia e Azerbaigian rappresentano un interessante passo avanti, ma sarebbe prematuro aspettarsi un accordo di pace definitivo nel prossimo futuro. Nonostante questi progressi, restano ancora domande cruciali senza risposta. L’anno scorso, le discussioni sul corridoio Zangezur e sulla demarcazione dei confini sono state separate dai colloqui su altre questioni del processo di pace e proseguono parallelamente e indipendentemente. Il corridoio Zangezur è una via di transito attraverso la regione di Syunik (Armenia meridionale vicino al confine iraniano) per collegare l’Azerbaijan con Nakhchivan, una repubblica autonoma azera senza sbocco sul mare tra Armenia, Iran e Turchia.

Rimane un punto critico significativo: la richiesta di Baku all’Armenia di modificare la propria Costituzione, rimuovendo il preambolo che fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del Paese del 1990, che include una rivendicazione territoriale sul Nagorno-Karabakh. L’Armenia sostiene che la sua Corte costituzionale ha già dichiarato obsoleta questa disposizione, ma l’Azerbaigian rimane diffidente. Il problema ha un’importante dimensione politica. Il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha espresso il desiderio di apportare modifiche alla Costituzione, ma rischia di apparire all’opinione pubblica armena e all’influente diaspora come se si fosse piegato alle pressioni di Baku. Il calendario elettorale rende tale mossa politicamente delicata, con le elezioni nazionali programmate entro giugno 2026 (le ultime elezioni si sono svolte a giugno 2021). Pertanto la questione costituzionale potrebbe non essere risolta prima di tali termini.

Tuttavia, il recente slancio diplomatico ha infuso ottimismo dopo mesi di tensioni. Incontri ad alto livello tra funzionari armeni e azeri, assistiti da mediatori internazionali, hanno permesso l’avvio di un dialogo costruttivo e nei prossimi mesi potrebbe essere firmato un accordo quadro, aprendo la strada a un trattato di pace globale.

L’attuazione di un accordo definitivo richiederebbe notevoli sforzi logistici e politici, tra cui la demarcazione dei confini, misure di rafforzamento della fiducia, il ritorno degli sfollati e la spinosa questione delle persone imprigionate e processate dall’Azerbaigian. Entrambe le parti dovranno inoltre mobilitare un ampio sostegno popolare per il trattato, il che potrebbe rivelarsi difficile dati i risentimenti storici esacerbati dalla guerra del 2020 e dall’esodo armeno dal Karabakh nel 2023.

In particolare, la Turchia potrebbe svolgere un ruolo positivo, anche se non è ancora pronta a consentire una riapertura completa delle frontiere e a muoversi più rapidamente dell’Azerbaigian.

In un’intervista rilasciata ai media turchi, Nikol Pashinyan ha manifestato la sua buona volontà con questa sorprendente affermazione: “Non esiste una verità assoluta nella storia; ogni percezione della storia è una percezione politica. Ciò è vero in generale, ma ci sono forze politiche che possiedono le proprie verità assolute e riconosciute sulla storia, proprio per scelta politica. Ci sono società, ci sono Stati che hanno le loro verità assolute sulla storia. E anche questo è innegabile”.

In sintesi, il Primo Ministro armeno sta compiendo uno sforzo significativo per garantire che la questione del genocidio armeno non costituisca più un ostacolo alle relazioni tra Ankara e Erevan. Uomo degli americani, Pashinyan potrebbe essere incaricato di riavvicinare la Turchia alle istanze del mondo atlantico dopo diverse frizioni dovute all’atteggiamento aggressivo di Israele in Medio Oriente.

Inoltre, gli attori occidentali, che hanno interessi strategici nel progetto di connettività regionale, dovrebbero adottare un ruolo più attivo nel facilitare il dialogo e la cooperazione. Il Corridoio Zangezur potrebbe quindi fungere da mezzo concreto per consolidare il nuovo ordine nel Caucaso meridionale.

La conclusione di un accordo di pace non solo garantirebbe la stabilità nel Caucaso meridionale, ma aprirebbe anche opportunità economiche grazie al rafforzamento del Corridoio di Mezzo tra Cina ed Europa. La Francia e gli Stati Uniti hanno accolto positivamente i colloqui ma la Russia è rimasta in silenzio, con analisti che suggeriscono come l’intesa potrebbe complicare i già tesi rapporti con Mosca, danneggiati dall’autosospensione di Erevan dal CSTO nel 2024 e dalla cooperazione militare armeno-statunitense.

I media statali azeri, nel frattempo, ritengono che il processo di pace possa incontrare seri ostacoli.

Un approccio diplomatico al tema ha permesso a Baku di non esacerbare le tensioni con l’Iran, che da sempre ha indicato come una linea rossa la viabilità del proprio confine con l’Armenia. Dopo mesi di attacchi diplomatici ed esercitazioni militari sul confine, i due Paesi a maggioranza sciita hanno infatti gradualmente riaperto il dialogo in un apparente tentativo di stabilire un nuovo ordine regionale condiviso. In questa fase l’Iran, già ampiamente coinvolto nello scontro aperto con Israele, ha sperato di trovare un compromesso con l’Azerbaigian sul Nakhichevan, proponendo un’alternativa al progetto di Zangezur denominata corridoio di Aras, dal fiume che delimita il confine tra la Repubblica Islamica e i due Paesi del Caucaso. La controproposta di Teheran vorrebbe deviare le vie di comunicazione verso il Nakhichevan attraverso il territorio iraniano, assicurandosi così il controllo di uno sbocco commerciale a nord e la centralità strategica nelle due principali rotte commerciali della regione, il Corridoio di Mezzo e il corridoio Nord-Sud (INSTC).

Il fatto di propendere per un’alternativa all’INSTC, sulla cui adesione avevano mostrato interesse sia Baku che Erevan e Tblisi, rappresenta probabilmente il fattore di maggiore perplessità della Russia sull’attuale riavvicinamento armeno-azero.

Armenia e Azerbaigian raggiungono un accordo di pace?

L’Armenia e l’Azerbaigian hanno concordato un trattato preliminare per porre fine alla guerra in corso tra i due Paesi. Un accordo che suscita speranze ma che prefigura anche scenari complicati.

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Il 13 marzo 2025, i ministeri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian hanno annunciato di aver concluso i negoziati sul testo di un accordo volto a porre fine a quasi quattro decenni di conflitto.

Secondo entrambi i governi, i 17 articoli dell’accordo di normalizzazione sono stati finalizzati ma il suo testo integrale non è stato reso pubblico. Le informazioni attualmente disponibili provengono principalmente da dichiarazioni ufficiali secondo cui l’intesa comprende i seguenti punti: rinuncia alle rivendicazioni territoriali, instaurazione di relazioni diplomatiche e riapertura delle frontiere, scioglimento del Gruppo di Minsk e ritiro delle forze terze: i due Paesi si impegnano a non consentire la presenza di truppe straniere lungo il loro confine comune.

Gli ultimi ostacoli riguardavano l’impegno giuridico di Armenia e Azerbaigian ad abbandonare le reciproche procedure legali internazionali, nonché un accordo a non schierare forze di terze parti lungo il confine comune. La concessione dell’Armenia su quest’ultimo punto potrebbe segnare la fine della Missione di vigilanza dell’Unione europea in Armenia (EUMA) nella sua forma attuale, a meno che non ne venga rivisto il mandato per consentirle di restare.

I recenti sviluppi nei negoziati di pace tra Armenia e Azerbaigian rappresentano un interessante passo avanti, ma sarebbe prematuro aspettarsi un accordo di pace definitivo nel prossimo futuro. Nonostante questi progressi, restano ancora domande cruciali senza risposta. L’anno scorso, le discussioni sul corridoio Zangezur e sulla demarcazione dei confini sono state separate dai colloqui su altre questioni del processo di pace e proseguono parallelamente e indipendentemente. Il corridoio Zangezur è una via di transito attraverso la regione di Syunik (Armenia meridionale vicino al confine iraniano) per collegare l’Azerbaijan con Nakhchivan, una repubblica autonoma azera senza sbocco sul mare tra Armenia, Iran e Turchia.

Rimane un punto critico significativo: la richiesta di Baku all’Armenia di modificare la propria Costituzione, rimuovendo il preambolo che fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del Paese del 1990, che include una rivendicazione territoriale sul Nagorno-Karabakh. L’Armenia sostiene che la sua Corte costituzionale ha già dichiarato obsoleta questa disposizione, ma l’Azerbaigian rimane diffidente. Il problema ha un’importante dimensione politica. Il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha espresso il desiderio di apportare modifiche alla Costituzione, ma rischia di apparire all’opinione pubblica armena e all’influente diaspora come se si fosse piegato alle pressioni di Baku. Il calendario elettorale rende tale mossa politicamente delicata, con le elezioni nazionali programmate entro giugno 2026 (le ultime elezioni si sono svolte a giugno 2021). Pertanto la questione costituzionale potrebbe non essere risolta prima di tali termini.

Tuttavia, il recente slancio diplomatico ha infuso ottimismo dopo mesi di tensioni. Incontri ad alto livello tra funzionari armeni e azeri, assistiti da mediatori internazionali, hanno permesso l’avvio di un dialogo costruttivo e nei prossimi mesi potrebbe essere firmato un accordo quadro, aprendo la strada a un trattato di pace globale.

L’attuazione di un accordo definitivo richiederebbe notevoli sforzi logistici e politici, tra cui la demarcazione dei confini, misure di rafforzamento della fiducia, il ritorno degli sfollati e la spinosa questione delle persone imprigionate e processate dall’Azerbaigian. Entrambe le parti dovranno inoltre mobilitare un ampio sostegno popolare per il trattato, il che potrebbe rivelarsi difficile dati i risentimenti storici esacerbati dalla guerra del 2020 e dall’esodo armeno dal Karabakh nel 2023.

In particolare, la Turchia potrebbe svolgere un ruolo positivo, anche se non è ancora pronta a consentire una riapertura completa delle frontiere e a muoversi più rapidamente dell’Azerbaigian.

In un’intervista rilasciata ai media turchi, Nikol Pashinyan ha manifestato la sua buona volontà con questa sorprendente affermazione: “Non esiste una verità assoluta nella storia; ogni percezione della storia è una percezione politica. Ciò è vero in generale, ma ci sono forze politiche che possiedono le proprie verità assolute e riconosciute sulla storia, proprio per scelta politica. Ci sono società, ci sono Stati che hanno le loro verità assolute sulla storia. E anche questo è innegabile”.

In sintesi, il Primo Ministro armeno sta compiendo uno sforzo significativo per garantire che la questione del genocidio armeno non costituisca più un ostacolo alle relazioni tra Ankara e Erevan. Uomo degli americani, Pashinyan potrebbe essere incaricato di riavvicinare la Turchia alle istanze del mondo atlantico dopo diverse frizioni dovute all’atteggiamento aggressivo di Israele in Medio Oriente.

Inoltre, gli attori occidentali, che hanno interessi strategici nel progetto di connettività regionale, dovrebbero adottare un ruolo più attivo nel facilitare il dialogo e la cooperazione. Il Corridoio Zangezur potrebbe quindi fungere da mezzo concreto per consolidare il nuovo ordine nel Caucaso meridionale.

La conclusione di un accordo di pace non solo garantirebbe la stabilità nel Caucaso meridionale, ma aprirebbe anche opportunità economiche grazie al rafforzamento del Corridoio di Mezzo tra Cina ed Europa. La Francia e gli Stati Uniti hanno accolto positivamente i colloqui ma la Russia è rimasta in silenzio, con analisti che suggeriscono come l’intesa potrebbe complicare i già tesi rapporti con Mosca, danneggiati dall’autosospensione di Erevan dal CSTO nel 2024 e dalla cooperazione militare armeno-statunitense.

I media statali azeri, nel frattempo, ritengono che il processo di pace possa incontrare seri ostacoli.

Un approccio diplomatico al tema ha permesso a Baku di non esacerbare le tensioni con l’Iran, che da sempre ha indicato come una linea rossa la viabilità del proprio confine con l’Armenia. Dopo mesi di attacchi diplomatici ed esercitazioni militari sul confine, i due Paesi a maggioranza sciita hanno infatti gradualmente riaperto il dialogo in un apparente tentativo di stabilire un nuovo ordine regionale condiviso. In questa fase l’Iran, già ampiamente coinvolto nello scontro aperto con Israele, ha sperato di trovare un compromesso con l’Azerbaigian sul Nakhichevan, proponendo un’alternativa al progetto di Zangezur denominata corridoio di Aras, dal fiume che delimita il confine tra la Repubblica Islamica e i due Paesi del Caucaso. La controproposta di Teheran vorrebbe deviare le vie di comunicazione verso il Nakhichevan attraverso il territorio iraniano, assicurandosi così il controllo di uno sbocco commerciale a nord e la centralità strategica nelle due principali rotte commerciali della regione, il Corridoio di Mezzo e il corridoio Nord-Sud (INSTC).

Il fatto di propendere per un’alternativa all’INSTC, sulla cui adesione avevano mostrato interesse sia Baku che Erevan e Tblisi, rappresenta probabilmente il fattore di maggiore perplessità della Russia sull’attuale riavvicinamento armeno-azero.

L’Armenia e l’Azerbaigian hanno concordato un trattato preliminare per porre fine alla guerra in corso tra i due Paesi. Un accordo che suscita speranze ma che prefigura anche scenari complicati.

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Il 13 marzo 2025, i ministeri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian hanno annunciato di aver concluso i negoziati sul testo di un accordo volto a porre fine a quasi quattro decenni di conflitto.

Secondo entrambi i governi, i 17 articoli dell’accordo di normalizzazione sono stati finalizzati ma il suo testo integrale non è stato reso pubblico. Le informazioni attualmente disponibili provengono principalmente da dichiarazioni ufficiali secondo cui l’intesa comprende i seguenti punti: rinuncia alle rivendicazioni territoriali, instaurazione di relazioni diplomatiche e riapertura delle frontiere, scioglimento del Gruppo di Minsk e ritiro delle forze terze: i due Paesi si impegnano a non consentire la presenza di truppe straniere lungo il loro confine comune.

Gli ultimi ostacoli riguardavano l’impegno giuridico di Armenia e Azerbaigian ad abbandonare le reciproche procedure legali internazionali, nonché un accordo a non schierare forze di terze parti lungo il confine comune. La concessione dell’Armenia su quest’ultimo punto potrebbe segnare la fine della Missione di vigilanza dell’Unione europea in Armenia (EUMA) nella sua forma attuale, a meno che non ne venga rivisto il mandato per consentirle di restare.

I recenti sviluppi nei negoziati di pace tra Armenia e Azerbaigian rappresentano un interessante passo avanti, ma sarebbe prematuro aspettarsi un accordo di pace definitivo nel prossimo futuro. Nonostante questi progressi, restano ancora domande cruciali senza risposta. L’anno scorso, le discussioni sul corridoio Zangezur e sulla demarcazione dei confini sono state separate dai colloqui su altre questioni del processo di pace e proseguono parallelamente e indipendentemente. Il corridoio Zangezur è una via di transito attraverso la regione di Syunik (Armenia meridionale vicino al confine iraniano) per collegare l’Azerbaijan con Nakhchivan, una repubblica autonoma azera senza sbocco sul mare tra Armenia, Iran e Turchia.

Rimane un punto critico significativo: la richiesta di Baku all’Armenia di modificare la propria Costituzione, rimuovendo il preambolo che fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del Paese del 1990, che include una rivendicazione territoriale sul Nagorno-Karabakh. L’Armenia sostiene che la sua Corte costituzionale ha già dichiarato obsoleta questa disposizione, ma l’Azerbaigian rimane diffidente. Il problema ha un’importante dimensione politica. Il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha espresso il desiderio di apportare modifiche alla Costituzione, ma rischia di apparire all’opinione pubblica armena e all’influente diaspora come se si fosse piegato alle pressioni di Baku. Il calendario elettorale rende tale mossa politicamente delicata, con le elezioni nazionali programmate entro giugno 2026 (le ultime elezioni si sono svolte a giugno 2021). Pertanto la questione costituzionale potrebbe non essere risolta prima di tali termini.

Tuttavia, il recente slancio diplomatico ha infuso ottimismo dopo mesi di tensioni. Incontri ad alto livello tra funzionari armeni e azeri, assistiti da mediatori internazionali, hanno permesso l’avvio di un dialogo costruttivo e nei prossimi mesi potrebbe essere firmato un accordo quadro, aprendo la strada a un trattato di pace globale.

L’attuazione di un accordo definitivo richiederebbe notevoli sforzi logistici e politici, tra cui la demarcazione dei confini, misure di rafforzamento della fiducia, il ritorno degli sfollati e la spinosa questione delle persone imprigionate e processate dall’Azerbaigian. Entrambe le parti dovranno inoltre mobilitare un ampio sostegno popolare per il trattato, il che potrebbe rivelarsi difficile dati i risentimenti storici esacerbati dalla guerra del 2020 e dall’esodo armeno dal Karabakh nel 2023.

In particolare, la Turchia potrebbe svolgere un ruolo positivo, anche se non è ancora pronta a consentire una riapertura completa delle frontiere e a muoversi più rapidamente dell’Azerbaigian.

In un’intervista rilasciata ai media turchi, Nikol Pashinyan ha manifestato la sua buona volontà con questa sorprendente affermazione: “Non esiste una verità assoluta nella storia; ogni percezione della storia è una percezione politica. Ciò è vero in generale, ma ci sono forze politiche che possiedono le proprie verità assolute e riconosciute sulla storia, proprio per scelta politica. Ci sono società, ci sono Stati che hanno le loro verità assolute sulla storia. E anche questo è innegabile”.

In sintesi, il Primo Ministro armeno sta compiendo uno sforzo significativo per garantire che la questione del genocidio armeno non costituisca più un ostacolo alle relazioni tra Ankara e Erevan. Uomo degli americani, Pashinyan potrebbe essere incaricato di riavvicinare la Turchia alle istanze del mondo atlantico dopo diverse frizioni dovute all’atteggiamento aggressivo di Israele in Medio Oriente.

Inoltre, gli attori occidentali, che hanno interessi strategici nel progetto di connettività regionale, dovrebbero adottare un ruolo più attivo nel facilitare il dialogo e la cooperazione. Il Corridoio Zangezur potrebbe quindi fungere da mezzo concreto per consolidare il nuovo ordine nel Caucaso meridionale.

La conclusione di un accordo di pace non solo garantirebbe la stabilità nel Caucaso meridionale, ma aprirebbe anche opportunità economiche grazie al rafforzamento del Corridoio di Mezzo tra Cina ed Europa. La Francia e gli Stati Uniti hanno accolto positivamente i colloqui ma la Russia è rimasta in silenzio, con analisti che suggeriscono come l’intesa potrebbe complicare i già tesi rapporti con Mosca, danneggiati dall’autosospensione di Erevan dal CSTO nel 2024 e dalla cooperazione militare armeno-statunitense.

I media statali azeri, nel frattempo, ritengono che il processo di pace possa incontrare seri ostacoli.

Un approccio diplomatico al tema ha permesso a Baku di non esacerbare le tensioni con l’Iran, che da sempre ha indicato come una linea rossa la viabilità del proprio confine con l’Armenia. Dopo mesi di attacchi diplomatici ed esercitazioni militari sul confine, i due Paesi a maggioranza sciita hanno infatti gradualmente riaperto il dialogo in un apparente tentativo di stabilire un nuovo ordine regionale condiviso. In questa fase l’Iran, già ampiamente coinvolto nello scontro aperto con Israele, ha sperato di trovare un compromesso con l’Azerbaigian sul Nakhichevan, proponendo un’alternativa al progetto di Zangezur denominata corridoio di Aras, dal fiume che delimita il confine tra la Repubblica Islamica e i due Paesi del Caucaso. La controproposta di Teheran vorrebbe deviare le vie di comunicazione verso il Nakhichevan attraverso il territorio iraniano, assicurandosi così il controllo di uno sbocco commerciale a nord e la centralità strategica nelle due principali rotte commerciali della regione, il Corridoio di Mezzo e il corridoio Nord-Sud (INSTC).

Il fatto di propendere per un’alternativa all’INSTC, sulla cui adesione avevano mostrato interesse sia Baku che Erevan e Tblisi, rappresenta probabilmente il fattore di maggiore perplessità della Russia sull’attuale riavvicinamento armeno-azero.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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