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Stefano Vernole
March 19, 2025
© Photo: Public domain

La NATO sta gradualmente ma sempre più velocemente avvicinandosi all’idea di aprire un secondo fronte in Europa contro Mosca nei Balcani, In particolare, in Bosnia-Erzegovina

Segue nostro Telegram.

Frastornata dalla disfatta nel Kursk e impossibilitata a frenare l’avanzata russa nei territori contesi dell’Ucraina, la NATO sta gradualmente ma sempre più velocemente avvicinandosi all’idea di aprire un secondo fronte in Europa contro Mosca nei Balcani.

Il bersaglio più logico e immediato sembra essere la Repubblica Serba di Bosnia, il cui Presidente Milorad Dodik – insieme al primo ministro dell’entità Radovan Višković e al presidente dell’Assemblea nazionale Nenad Stevandić –  ha ricevuto un mandato di cattura da parte della Procura di Sarajevo con l’accusa di attentato all’ordine costituzionale. Ciò segue anche un caso separato in cui Dodik è stato condannato a un anno di carcere e all’interdizione dai pubblici uffici per aver sfidato le decisioni di Christian Schmidt, l’inviato internazionale incaricato di supervisionare gli accordi di pace che posero fine alla guerra in Bosnia negli anni ’90.

Il mese scorso sono state approvate un insieme di leggi che vietano al sistema giudiziario e alla polizia centrale della Bosnia Erzegovina di operare nella Repubblica Srpska. Ricordiamo che le decisioni intraprese al riguardo dalle autorità di Banja Luka rientrano pienamente nella competenza della comunità serbo-bosniaca che aveva accettato gli Accordi di Dayton nel 1995 proprio in virtù dell’autonomia concessale nel settore della giustizia e delle Forze di sicurezza.

Dodik, sostenuto immediatamente dalla Russia, ha ripetutamente affermato di non riconoscere la procura bosniaca e di non volersi recare a Sarajevo per essere interrogato.

Il presidente serbo Aleksandar Vucic, già alle prese con una duplice contestazione interna, si è schierato contro la decisione della Procura bosniaca, affermando che il mandato d’arresto non è un contributo alla pace quanto piuttosto alla destabilizzazione, alla distruzione dei legami reciproci e alla creazione del caos totale nella regione. Il Primo Ministro della Repubblica Serba, Radovan Višković, ha incontrato lo scorso 7 marzo a Banja Luka il Primo Ministro della Repubblica Serba Miloš Vučević. I due Primi Ministri hanno discusso dell’attuale situazione politica nella Repubblica Srpska, in Bosnia-Erzegovina e in Serbia e hanno sottolineato il reciproco e indiscutibile sostegno alle istituzioni della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina e della Serbia nella lotta politica e giuridica per la loro salvaguardia. Un altro argomento di discussione è stato l’attuazione delle conclusioni dell’Assemblea serba e della Dichiarazione sulla tutela dei diritti nazionali e politici e sul futuro comune del popolo serbo, allora adottate, nonché i progetti congiunti dei due Governi e l’ulteriore miglioramento della cooperazione in vari settori. Il Primo Ministro Višković ha sottolineato che le relazioni tra la Repubblica Serba e la Serbia sono al livello più alto della storia e ha ringraziato il Primo Ministro Vučević per il sostegno e l’assistenza che la Serbia ha costantemente fornito alla Repubblica Srpska, specificando che non esiste una comunità locale nella Repubblica Serba, o nella Federazione di BiH, con una popolazione a maggioranza serba, in cui non sia stato realizzato un progetto con i fondi del Governo di Belgrado. Višković, seppur dimissionario, ha successivamente ribadito che l’arresto di Dodik aprirebbe la strada verso una nuova guerra civile.

E’ evidente che entrambe le nazioni serbe stanno serrando i ranghi, al punto che la Serbia ha finalmente rotto gli indugi ritirando il suo voto sulla risoluzione anti-russa riguardante l’Ucraina all’ONU.

Nel frattempo, il segretario generale della Nato Mark Rutte ha promesso il sostegno “incrollabile” dell’Alleanza Atlantica all’integrità territoriale della Bosnia Erzegovina, visitando la capitale Sarajevo, nel mezzo di una delle più significative crisi politiche europee dalla fine della guerra: “Tre decenni dopo l’accordo di pace di Dayton, posso dirvi che la Nato rimane fermamente impegnata a sostenere l’integrità territoriale della Bosnia. La Nato rimane fermamente impegnata per la stabilità di questa regione e per la sicurezza della Bosnia-Erzegovina. Non permetteremo che la pace conquistata con fatica venga messa a repentaglio”. Rutte ha poi definito “inaccettabile” qualsiasi azione che minacci l’accordo, l’ordine costituzionale o le istituzioni nazionali: “La retorica e le azioni infiammatorie sono pericolose. Rappresentano una minaccia diretta alla stabilità e alla sicurezza della Bosnia-Erzegovina”, ha aggiunto il Segretario della Nato. Il Segretario di Stato americano Mark Rubio ha affermato che ciò che sta facendo la Republika Srpska è sbagliato e che Dodik non verrà  sostenuto dagli Stati Uniti. L’Ambasciata degli USA in Bosnia ha rilasciato una dichiarazione simile.

La forza di pace europea in Bosnia, Eufor, ha dichiarato di voler aumentare il numero delle sue truppe in risposta alle tensioni. Si tratta, secondo “fonti informate” citate dall’agenzia di stampa italiana ANSA, di circa 400 nuovi soldati provenienti da Romania, Bulgaria e Slovenia, mezzi blindati e di 4 elicotteri. I rinforzi arrivano via terra attraverso i valichi di frontiera di Svilaj e Bijaca, e anche a bordo di aerei all’aeroporto di Sarajevo. Eufor conta attualmente circa 1.100 uomini, e se necessario può arrivare a schierare fino a 3.500 effettivi dalle forze di riserva dei Paesi partecipanti.

Oltre al sostegno di Mosca e Belgrado, però, la Republika Srpska può contare sull’appoggio diplomatico di Budapest e di Bratislava, sostegno che potrebbe trasformarsi in militare se la Russia decidesse di inviare le armi a Banja Luka tramite il territorio ungherese. Il Vice Ministro degli Esteri e del Commercio ungherese, Levente Magyar, ha osservato: “L’Occidente prende sempre decisioni sull’Europa orientale senza alcuna reale conoscenza o comprensione della sua storia. L’Ungheria è proprio lì accanto, a soli 70 chilometri di distanza. I giorni in cui l’Ungheria era solo un osservatore passivo sono finiti. Abbiamo scelto una politica basata sulla comprensione, in opposizione all’agenda dell’Occidente”, ha aggiunto.

Lo scorso 10 marzo il capo di Stato maggiore delle forze armate serbe, generale Milan Mojsilović, ha incontrato a Belgrado il capo di Stato maggiore della difesa ungherese, generale Gábor Böröndi; durante la visita si è parlato della situazione della sicurezza nella regione e nel mondo e delle attività specifiche dei due eserciti volte a rafforzare le capacità, l’interoperabilità e la stabilità regionale. Nella conversazione è stato affermato che la cooperazione militare bilaterale è intensa e completa e che il suo sviluppo dovrebbe essere continuato in futuro, in tutte le aree di interesse comune. Le attività congiunte delle componenti terrestri e aeree degli eserciti serbo e ungherese sono state individuate come priorità di cooperazione. È stato inoltre sottolineato che l’impegno professionale del contingente ungherese come parte delle Forze di sicurezza internazionali in Kosovo e Metohija contribuisce alla situazione di sicurezza nella provincia meridionale serba e al rafforzamento delle relazioni di buon vicinato tra Serbia e Ungheria.

Naturalmente, l’unica carta a disposizione della NATO per mettere fine alla sovranità serbo-bosniaca sarebbe quella di scatenare una nuova guerra civile nella regione utilizzando i proxy musulmani sull’esempio siriano. A quel punto, a Banja Luka non resterebbe che assumere il pieno controllo della città “autonoma” di Brcko e del Corridoio della Posavina per impedire che le due parti della Republika Srpska vengano spezzate da un attacco dell’esercito di Sarajevo supportato dalla NATO.

La NATO cerca di aprire il secondo fronte nei Balcani?

La NATO sta gradualmente ma sempre più velocemente avvicinandosi all’idea di aprire un secondo fronte in Europa contro Mosca nei Balcani, In particolare, in Bosnia-Erzegovina

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Frastornata dalla disfatta nel Kursk e impossibilitata a frenare l’avanzata russa nei territori contesi dell’Ucraina, la NATO sta gradualmente ma sempre più velocemente avvicinandosi all’idea di aprire un secondo fronte in Europa contro Mosca nei Balcani.

Il bersaglio più logico e immediato sembra essere la Repubblica Serba di Bosnia, il cui Presidente Milorad Dodik – insieme al primo ministro dell’entità Radovan Višković e al presidente dell’Assemblea nazionale Nenad Stevandić –  ha ricevuto un mandato di cattura da parte della Procura di Sarajevo con l’accusa di attentato all’ordine costituzionale. Ciò segue anche un caso separato in cui Dodik è stato condannato a un anno di carcere e all’interdizione dai pubblici uffici per aver sfidato le decisioni di Christian Schmidt, l’inviato internazionale incaricato di supervisionare gli accordi di pace che posero fine alla guerra in Bosnia negli anni ’90.

Il mese scorso sono state approvate un insieme di leggi che vietano al sistema giudiziario e alla polizia centrale della Bosnia Erzegovina di operare nella Repubblica Srpska. Ricordiamo che le decisioni intraprese al riguardo dalle autorità di Banja Luka rientrano pienamente nella competenza della comunità serbo-bosniaca che aveva accettato gli Accordi di Dayton nel 1995 proprio in virtù dell’autonomia concessale nel settore della giustizia e delle Forze di sicurezza.

Dodik, sostenuto immediatamente dalla Russia, ha ripetutamente affermato di non riconoscere la procura bosniaca e di non volersi recare a Sarajevo per essere interrogato.

Il presidente serbo Aleksandar Vucic, già alle prese con una duplice contestazione interna, si è schierato contro la decisione della Procura bosniaca, affermando che il mandato d’arresto non è un contributo alla pace quanto piuttosto alla destabilizzazione, alla distruzione dei legami reciproci e alla creazione del caos totale nella regione. Il Primo Ministro della Repubblica Serba, Radovan Višković, ha incontrato lo scorso 7 marzo a Banja Luka il Primo Ministro della Repubblica Serba Miloš Vučević. I due Primi Ministri hanno discusso dell’attuale situazione politica nella Repubblica Srpska, in Bosnia-Erzegovina e in Serbia e hanno sottolineato il reciproco e indiscutibile sostegno alle istituzioni della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina e della Serbia nella lotta politica e giuridica per la loro salvaguardia. Un altro argomento di discussione è stato l’attuazione delle conclusioni dell’Assemblea serba e della Dichiarazione sulla tutela dei diritti nazionali e politici e sul futuro comune del popolo serbo, allora adottate, nonché i progetti congiunti dei due Governi e l’ulteriore miglioramento della cooperazione in vari settori. Il Primo Ministro Višković ha sottolineato che le relazioni tra la Repubblica Serba e la Serbia sono al livello più alto della storia e ha ringraziato il Primo Ministro Vučević per il sostegno e l’assistenza che la Serbia ha costantemente fornito alla Repubblica Srpska, specificando che non esiste una comunità locale nella Repubblica Serba, o nella Federazione di BiH, con una popolazione a maggioranza serba, in cui non sia stato realizzato un progetto con i fondi del Governo di Belgrado. Višković, seppur dimissionario, ha successivamente ribadito che l’arresto di Dodik aprirebbe la strada verso una nuova guerra civile.

E’ evidente che entrambe le nazioni serbe stanno serrando i ranghi, al punto che la Serbia ha finalmente rotto gli indugi ritirando il suo voto sulla risoluzione anti-russa riguardante l’Ucraina all’ONU.

Nel frattempo, il segretario generale della Nato Mark Rutte ha promesso il sostegno “incrollabile” dell’Alleanza Atlantica all’integrità territoriale della Bosnia Erzegovina, visitando la capitale Sarajevo, nel mezzo di una delle più significative crisi politiche europee dalla fine della guerra: “Tre decenni dopo l’accordo di pace di Dayton, posso dirvi che la Nato rimane fermamente impegnata a sostenere l’integrità territoriale della Bosnia. La Nato rimane fermamente impegnata per la stabilità di questa regione e per la sicurezza della Bosnia-Erzegovina. Non permetteremo che la pace conquistata con fatica venga messa a repentaglio”. Rutte ha poi definito “inaccettabile” qualsiasi azione che minacci l’accordo, l’ordine costituzionale o le istituzioni nazionali: “La retorica e le azioni infiammatorie sono pericolose. Rappresentano una minaccia diretta alla stabilità e alla sicurezza della Bosnia-Erzegovina”, ha aggiunto il Segretario della Nato. Il Segretario di Stato americano Mark Rubio ha affermato che ciò che sta facendo la Republika Srpska è sbagliato e che Dodik non verrà  sostenuto dagli Stati Uniti. L’Ambasciata degli USA in Bosnia ha rilasciato una dichiarazione simile.

La forza di pace europea in Bosnia, Eufor, ha dichiarato di voler aumentare il numero delle sue truppe in risposta alle tensioni. Si tratta, secondo “fonti informate” citate dall’agenzia di stampa italiana ANSA, di circa 400 nuovi soldati provenienti da Romania, Bulgaria e Slovenia, mezzi blindati e di 4 elicotteri. I rinforzi arrivano via terra attraverso i valichi di frontiera di Svilaj e Bijaca, e anche a bordo di aerei all’aeroporto di Sarajevo. Eufor conta attualmente circa 1.100 uomini, e se necessario può arrivare a schierare fino a 3.500 effettivi dalle forze di riserva dei Paesi partecipanti.

Oltre al sostegno di Mosca e Belgrado, però, la Republika Srpska può contare sull’appoggio diplomatico di Budapest e di Bratislava, sostegno che potrebbe trasformarsi in militare se la Russia decidesse di inviare le armi a Banja Luka tramite il territorio ungherese. Il Vice Ministro degli Esteri e del Commercio ungherese, Levente Magyar, ha osservato: “L’Occidente prende sempre decisioni sull’Europa orientale senza alcuna reale conoscenza o comprensione della sua storia. L’Ungheria è proprio lì accanto, a soli 70 chilometri di distanza. I giorni in cui l’Ungheria era solo un osservatore passivo sono finiti. Abbiamo scelto una politica basata sulla comprensione, in opposizione all’agenda dell’Occidente”, ha aggiunto.

Lo scorso 10 marzo il capo di Stato maggiore delle forze armate serbe, generale Milan Mojsilović, ha incontrato a Belgrado il capo di Stato maggiore della difesa ungherese, generale Gábor Böröndi; durante la visita si è parlato della situazione della sicurezza nella regione e nel mondo e delle attività specifiche dei due eserciti volte a rafforzare le capacità, l’interoperabilità e la stabilità regionale. Nella conversazione è stato affermato che la cooperazione militare bilaterale è intensa e completa e che il suo sviluppo dovrebbe essere continuato in futuro, in tutte le aree di interesse comune. Le attività congiunte delle componenti terrestri e aeree degli eserciti serbo e ungherese sono state individuate come priorità di cooperazione. È stato inoltre sottolineato che l’impegno professionale del contingente ungherese come parte delle Forze di sicurezza internazionali in Kosovo e Metohija contribuisce alla situazione di sicurezza nella provincia meridionale serba e al rafforzamento delle relazioni di buon vicinato tra Serbia e Ungheria.

Naturalmente, l’unica carta a disposizione della NATO per mettere fine alla sovranità serbo-bosniaca sarebbe quella di scatenare una nuova guerra civile nella regione utilizzando i proxy musulmani sull’esempio siriano. A quel punto, a Banja Luka non resterebbe che assumere il pieno controllo della città “autonoma” di Brcko e del Corridoio della Posavina per impedire che le due parti della Republika Srpska vengano spezzate da un attacco dell’esercito di Sarajevo supportato dalla NATO.

La NATO sta gradualmente ma sempre più velocemente avvicinandosi all’idea di aprire un secondo fronte in Europa contro Mosca nei Balcani, In particolare, in Bosnia-Erzegovina

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Frastornata dalla disfatta nel Kursk e impossibilitata a frenare l’avanzata russa nei territori contesi dell’Ucraina, la NATO sta gradualmente ma sempre più velocemente avvicinandosi all’idea di aprire un secondo fronte in Europa contro Mosca nei Balcani.

Il bersaglio più logico e immediato sembra essere la Repubblica Serba di Bosnia, il cui Presidente Milorad Dodik – insieme al primo ministro dell’entità Radovan Višković e al presidente dell’Assemblea nazionale Nenad Stevandić –  ha ricevuto un mandato di cattura da parte della Procura di Sarajevo con l’accusa di attentato all’ordine costituzionale. Ciò segue anche un caso separato in cui Dodik è stato condannato a un anno di carcere e all’interdizione dai pubblici uffici per aver sfidato le decisioni di Christian Schmidt, l’inviato internazionale incaricato di supervisionare gli accordi di pace che posero fine alla guerra in Bosnia negli anni ’90.

Il mese scorso sono state approvate un insieme di leggi che vietano al sistema giudiziario e alla polizia centrale della Bosnia Erzegovina di operare nella Repubblica Srpska. Ricordiamo che le decisioni intraprese al riguardo dalle autorità di Banja Luka rientrano pienamente nella competenza della comunità serbo-bosniaca che aveva accettato gli Accordi di Dayton nel 1995 proprio in virtù dell’autonomia concessale nel settore della giustizia e delle Forze di sicurezza.

Dodik, sostenuto immediatamente dalla Russia, ha ripetutamente affermato di non riconoscere la procura bosniaca e di non volersi recare a Sarajevo per essere interrogato.

Il presidente serbo Aleksandar Vucic, già alle prese con una duplice contestazione interna, si è schierato contro la decisione della Procura bosniaca, affermando che il mandato d’arresto non è un contributo alla pace quanto piuttosto alla destabilizzazione, alla distruzione dei legami reciproci e alla creazione del caos totale nella regione. Il Primo Ministro della Repubblica Serba, Radovan Višković, ha incontrato lo scorso 7 marzo a Banja Luka il Primo Ministro della Repubblica Serba Miloš Vučević. I due Primi Ministri hanno discusso dell’attuale situazione politica nella Repubblica Srpska, in Bosnia-Erzegovina e in Serbia e hanno sottolineato il reciproco e indiscutibile sostegno alle istituzioni della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina e della Serbia nella lotta politica e giuridica per la loro salvaguardia. Un altro argomento di discussione è stato l’attuazione delle conclusioni dell’Assemblea serba e della Dichiarazione sulla tutela dei diritti nazionali e politici e sul futuro comune del popolo serbo, allora adottate, nonché i progetti congiunti dei due Governi e l’ulteriore miglioramento della cooperazione in vari settori. Il Primo Ministro Višković ha sottolineato che le relazioni tra la Repubblica Serba e la Serbia sono al livello più alto della storia e ha ringraziato il Primo Ministro Vučević per il sostegno e l’assistenza che la Serbia ha costantemente fornito alla Repubblica Srpska, specificando che non esiste una comunità locale nella Repubblica Serba, o nella Federazione di BiH, con una popolazione a maggioranza serba, in cui non sia stato realizzato un progetto con i fondi del Governo di Belgrado. Višković, seppur dimissionario, ha successivamente ribadito che l’arresto di Dodik aprirebbe la strada verso una nuova guerra civile.

E’ evidente che entrambe le nazioni serbe stanno serrando i ranghi, al punto che la Serbia ha finalmente rotto gli indugi ritirando il suo voto sulla risoluzione anti-russa riguardante l’Ucraina all’ONU.

Nel frattempo, il segretario generale della Nato Mark Rutte ha promesso il sostegno “incrollabile” dell’Alleanza Atlantica all’integrità territoriale della Bosnia Erzegovina, visitando la capitale Sarajevo, nel mezzo di una delle più significative crisi politiche europee dalla fine della guerra: “Tre decenni dopo l’accordo di pace di Dayton, posso dirvi che la Nato rimane fermamente impegnata a sostenere l’integrità territoriale della Bosnia. La Nato rimane fermamente impegnata per la stabilità di questa regione e per la sicurezza della Bosnia-Erzegovina. Non permetteremo che la pace conquistata con fatica venga messa a repentaglio”. Rutte ha poi definito “inaccettabile” qualsiasi azione che minacci l’accordo, l’ordine costituzionale o le istituzioni nazionali: “La retorica e le azioni infiammatorie sono pericolose. Rappresentano una minaccia diretta alla stabilità e alla sicurezza della Bosnia-Erzegovina”, ha aggiunto il Segretario della Nato. Il Segretario di Stato americano Mark Rubio ha affermato che ciò che sta facendo la Republika Srpska è sbagliato e che Dodik non verrà  sostenuto dagli Stati Uniti. L’Ambasciata degli USA in Bosnia ha rilasciato una dichiarazione simile.

La forza di pace europea in Bosnia, Eufor, ha dichiarato di voler aumentare il numero delle sue truppe in risposta alle tensioni. Si tratta, secondo “fonti informate” citate dall’agenzia di stampa italiana ANSA, di circa 400 nuovi soldati provenienti da Romania, Bulgaria e Slovenia, mezzi blindati e di 4 elicotteri. I rinforzi arrivano via terra attraverso i valichi di frontiera di Svilaj e Bijaca, e anche a bordo di aerei all’aeroporto di Sarajevo. Eufor conta attualmente circa 1.100 uomini, e se necessario può arrivare a schierare fino a 3.500 effettivi dalle forze di riserva dei Paesi partecipanti.

Oltre al sostegno di Mosca e Belgrado, però, la Republika Srpska può contare sull’appoggio diplomatico di Budapest e di Bratislava, sostegno che potrebbe trasformarsi in militare se la Russia decidesse di inviare le armi a Banja Luka tramite il territorio ungherese. Il Vice Ministro degli Esteri e del Commercio ungherese, Levente Magyar, ha osservato: “L’Occidente prende sempre decisioni sull’Europa orientale senza alcuna reale conoscenza o comprensione della sua storia. L’Ungheria è proprio lì accanto, a soli 70 chilometri di distanza. I giorni in cui l’Ungheria era solo un osservatore passivo sono finiti. Abbiamo scelto una politica basata sulla comprensione, in opposizione all’agenda dell’Occidente”, ha aggiunto.

Lo scorso 10 marzo il capo di Stato maggiore delle forze armate serbe, generale Milan Mojsilović, ha incontrato a Belgrado il capo di Stato maggiore della difesa ungherese, generale Gábor Böröndi; durante la visita si è parlato della situazione della sicurezza nella regione e nel mondo e delle attività specifiche dei due eserciti volte a rafforzare le capacità, l’interoperabilità e la stabilità regionale. Nella conversazione è stato affermato che la cooperazione militare bilaterale è intensa e completa e che il suo sviluppo dovrebbe essere continuato in futuro, in tutte le aree di interesse comune. Le attività congiunte delle componenti terrestri e aeree degli eserciti serbo e ungherese sono state individuate come priorità di cooperazione. È stato inoltre sottolineato che l’impegno professionale del contingente ungherese come parte delle Forze di sicurezza internazionali in Kosovo e Metohija contribuisce alla situazione di sicurezza nella provincia meridionale serba e al rafforzamento delle relazioni di buon vicinato tra Serbia e Ungheria.

Naturalmente, l’unica carta a disposizione della NATO per mettere fine alla sovranità serbo-bosniaca sarebbe quella di scatenare una nuova guerra civile nella regione utilizzando i proxy musulmani sull’esempio siriano. A quel punto, a Banja Luka non resterebbe che assumere il pieno controllo della città “autonoma” di Brcko e del Corridoio della Posavina per impedire che le due parti della Republika Srpska vengano spezzate da un attacco dell’esercito di Sarajevo supportato dalla NATO.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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