L’USAID e il soft power statunitense non si sentono al meglio dopo l’inizio del mandato del Presidente Trump.
L’avevamo capito tutti
Era già un po’, come si dice, il “segreto di Pulcinella”: gli Stati Uniti d’America avevano un meccanismo più o meno occulto per influenzare e manipolare i mass media. A questa semplice intuizione (per molti era già una deduzione, ma sorvoliamo) ha fatto seguito la conferma ufficiale nel mese di febbraio, quando il DOGE americano ha rivelato la scomoda verità. Fra i fortunati vincitori del jackpot, anche molte testate italiane.
Andiamo per tappe.
Negli episodi precedenti: ex-agenti di CIA, FBI e NSA sono stati reclutati da Facebook, Twitter, Google, TikTok e Reddit per gestire il fact-checking e promuovere l’agenda di Washington. Inoltre, le organizzazioni di verifica dei fatti su Facebook (compresa l’italiana Open) sono tutte accreditate dall’IFCN, che fa capo al Poynter Institute, entrambi finanziati dal NED, ovvero un organo riconducibile alla CIA. I fact-checker legati alla CIA non rendono trasparente la loro attività e non segnalano le fake news diffuse dal governo statunitense; le loro manipolazioni non solo minacciano la sicurezza e la sovranità di altri Paesi, ma ostacolano anche la risoluzione dei conflitti.
Parallelamente, la CIA, attraverso i propri agenti e il NED, cerca di influenzare anche la stampa e le principali agenzie giornalistiche, collaborando con fondazioni come Luminate (di Pierre Omidyar) e Open Society (di George Soros). Una costante è la classica “excusatio non petita”: ogni organo d’informazione o di fact-checking finanziato dal NED si dichiara autonomo e imparziale. Un altro elemento ricorrente è il fenomeno delle “porte girevoli” tra agenzie di intelligence, piattaforme social, media finanziati dal NED, ambasciate statunitensi, think tank pro-NATO, aziende della Difesa, fondazioni filo-USA e governi occidentali. Il meccanismo funziona alla perfezione, ma pochi ne sono a conoscenza. Le piattaforme digitali, lungi dall’essere neutrali (non assumono dissidenti o whistleblower, per esempio), affidano le assunzioni a personale proveniente dai servizi di sicurezza statunitensi. Elementare, Watson!
Alcuni esempi emblematici da ricordare: John Papp, dopo 12 anni alla CIA e 4 alla DIA (Defense Intelligence Agency), ha lavorato come reclutatore per grandi aziende della Difesa come Booz Allen Hamilton, Raytheon, Northrop Grumman, IBM e Lockheed Martin. Oggi ricopre lo stesso ruolo presso Meta. Un altro caso è quello di Dawn Burton, che è passata da direttrice alla Lockheed Martin a consulente del direttore dell’FBI per l’innovazione, fino a diventare direttrice strategia e operazioni di Twitter.
Jim Baker ha trascorso 17 anni al Dipartimento di Giustizia, poi 4 all’FBI, successivamente un anno alla CNN, un anno al think tank conservatore R Institute e infine è approdato a Twitter come vicepresidente. Jeff Carlton, attualmente a Twitter per promuovere “discussioni pubbliche sane”, era un marine specializzato in intelligence nel Pacifico, poi è stato contemporaneamente alla CIA e all’FBI, scrivendo rapporti segreti per il presidente Obama.
Bryan Weisbard, oggi dirigente a Meta e consulente di World Affairs (un’organizzazione che sulla guerra in Ucraina condivide la linea dell’amministrazione Biden), è stato alla CIA, poi diplomatico (dimostrando la stretta connessione tra questi ruoli), per poi passare a Twitter e Google. Mike Bradow ha lavorato per 10 anni in USAID (agenzia governativa coinvolta in operazioni di cambio regime in Paesi come Venezuela, Cuba e Nicaragua) e per quasi 3 anni alla Freedom House (altro ente legato a Washington); oggi si occupa di disinformazione per Meta.
Greg Andersen, dopo Twitter, è ora a TikTok, ma ha iniziato la carriera alla NATO, dove si occupava di “operazioni psicologiche”. Kanishk Karan e Daniel Weimert, che a Twitter decidono quali informazioni siano attendibili, provengono invece dall’Atlantic Council, think tank della NATO che etichetta come “cavalli di Troia del Cremlino” i partiti europei di opposizione alla linea della Von der Leyen.
Nel 2020, Twitter annunciò la rimozione di account segnalati dall’FBI, accusati di provenire dall’Iran e di interferire nelle presidenziali USA. Tuttavia, secondo il giornalista MacLeod, quando ci furono proteste a Teheran contro il governo, Twitter ritardò volutamente la rimozione di alcuni account, poiché i manifestanti – sostenuti dagli USA – li utilizzavano per coordinarsi.
Lo scandalo delle code di paglia
Tra i 10.000 dipendenti che stanno perdendo il lavoro, pochi probabilmente ci stanno riflettendo, ma la battaglia lanciata da Trump contro USAID è una vicenda che si ripete nella storia.
Nel 1994, infatti, l’agenzia rischiò la chiusura sotto la pressione dei repubblicani, che avevano conquistato il Congresso nelle elezioni di metà mandato durante la presidenza di Bill Clinton. All’epoca la destra del GOP – così come oggi Trump ed Elon Musk – denunciava sprechi e sosteneva che l’agenzia fosse ormai superflua dopo il crollo dell’URSS, riducendo i finanziamenti e causando il licenziamento di numerosi dipendenti. Alla fine, Clinton riuscì a salvarla, mentre negli ambienti neocon prendeva forma il progetto di espansione della NATO verso l’Europa orientale.
Trent’anni dopo, l’attuale presidente e il suo “first buddy” a capo del Dipartimento per l’Efficienza Governativa, insieme al Segretario di Stato Marco Rubio, hanno definito l’USAID come “organizzazione criminale”, accusandola di essere un centro di corruzione e di sperperare fondi pubblici per iniziative che andrebbero contro gli interessi nazionali. Trump, su Truth Social, ha affermato che la “sinistra radicale” non può fare nulla per salvare l’agenzia e che “va chiusa”, sostenendo che i fondi siano stati utilizzati in modo fraudolento e con livelli di corruzione senza precedenti. Inizialmente, Trump e Musk hanno puntato il dito contro i finanziamenti destinati a iniziative sui diritti civili e LGBTQ+ nei Paesi esteri, per poi accusare USAID di sostenere media progressisti e contrari all’agenda MAGA.
Il movimento MAGA, di fatto, disconosce USAID anche perché la considera uno strumento di ingerenza e di soft power di cui vorrebbe fare a meno. Non è un segreto che l’agenzia operi in sintonia con gli interessi geopolitici americani, come del resto fanno gli enti di cooperazione delle altre grandi potenze.
Creata nel 1961 da John F. Kennedy per contrastare l’influenza dell’Unione Sovietica, USAID divenne l’esecutrice del Piano Marshall, e da allora ogni presidente l’ha considerata un tassello fondamentale della politica estera statunitense.
La sicurezza nazionale è sempre stata la priorità principale dell’agenzia, o almeno così ci hanno sempre raccontato. Il suo ruolo si è ampliato dopo l’11 settembre, sotto la presidenza di George W. Bush, che la impiegò nelle guerre in Afghanistan e Iraq. Il suo budget è passato dai 7 miliardi di dollari del 2001 ai 42 miliardi del 2024, rendendola forse l’agenzia più controllata d’America, con richieste di bilancio presentate annualmente al Congresso e dettagli precisi sui progetti finanziati.
Paradossalmente, durante il suo primo mandato, lo stesso Trump aveva elogiato e finanziato USAID, in particolare attraverso iniziative di partenariato pubblico-privato e un programma per l’emancipazione femminile guidato da sua figlia Ivanka. In un certo senso, USAID ha contribuito alla vittoria degli Stati Uniti nella Guerra Fredda e, forse, punta a vincerne altre.
Oggi tra i principali destinatari dei suoi fondi ci sono Ucraina, Etiopia, Giordania, Congo, Nigeria, Siria e Libano. Nel bilancio 2025, accanto a programmi contro la fame e il cambiamento climatico, USAID inserisce tra le sue priorità la “competizione” con la Cina, il “contenimento dell’influenza negativa del Partito Comunista Cinese” e il “fallimento strategico della Russia in Ucraina”. I finanziamenti sono diretti soprattutto a ONG impegnate nella lotta contro l’HIV, nella sicurezza alimentare e nella difesa dei diritti di donne e minoranze, ma anche a organizzazioni giornalistiche. Dal 1980 in America Latina, poi negli anni ’90 in Russia e nei Balcani, USAID ha sostenuto il giornalismo indipendente. Secondo Reporter Senza Frontiere, nel 2023 l’agenzia ha finanziato 6.200 giornalisti, 707 testate non statali e 279 ONG che si occupano di media in oltre 30 Paesi. Per il 2025 aveva richiesto 268,4 milioni di dollari, una cifra pari a quella spesa tra il 1985 e il 2001. Si tratta principalmente di progetti formativi e grant, che hanno supportato, tra gli altri, le inchieste investigative come i Panama Papers.
Perché Trump ha dichiarato, in un certo senso, guerra a USAID? Negli ultimi anni la propaganda russa ha spesso attaccato USAID, amplificando il dibattito all’interno della sfera MAGA. Come già negli anni ’90, il “Project 2025” della Heritage Foundation aveva segnalato l’intenzione di riformare radicalmente l’assistenza estera, più che di abolirla. Non è realistico pensare che Trump rinunci a usare strumenti di cooperazione per proiettare l’influenza americana all’estero. Più probabilmente, il piano è riportare USAID sotto il controllo diretto del Dipartimento di Stato, riprendendo un progetto caro alla destra repubblicana degli anni ’90 e rafforzando la supervisione dell’amministrazione sui miliardi investiti all’estero e sul loro utilizzo.