Italiano
Lorenzo Maria Pacini
February 26, 2025
© Photo: Public domain

Ci sono opportunità nella Storia che si presentano poche volte, alcune una volta soltanto. Oggi, forse, siamo ad un bivio di quel tipo.

Segue nostro Telegram.

Un tango a Parigi

Si sono ritrovati a Parigi, come se fossimo ancora nel 1946. Da bere un flûte di champagne metodo classico. Un tavolo tutti vicini per dare l’idea di essere vecchi amici che si ritrovano per una chiacchierata o, come si dice oggidì, una “short talk”. Al centro Ursula, in tutto il suo mefistofelico splendore, dà inizio all’incontro. Il clima è quello di una guerra alle porte, non è chiaro se di ingresso o se di uscita, e la discussione deve portare ad un accordo di pace… ah, no, la discussione è incentrata su come fare la guerra, chi mandare per primo e quanto sacrificare i popoli europei.

Sembra l’inizio di un thriller, forse uno splatter, e invece è l’inizio – o forse l’epilogo – di uno scenario internazionale che vede l’Europa trattata come una prostituta. Un’Europa che ha scelto di trovarsi in questa condizione, dopo che non ha voluto rialzarsi dalla sconfitta della Seconda Guerra Mondiale che l’aveva posta sotto il gioco di UK e USA, e che ha perpetrato delle politiche nefaste che hanno affamato i popoli europei.

Il primo nemico dell’Europa è l’Unione Europea. Il grande inganno del Trattato di Maastricht che già si presentava come l’invito a cena col demonio e che si è spinto fino ad un matrimonio incestuoso dell’orrido politico.

Il vertice di Parigi tra i Paesi europei per discutere della guerra in Ucraina non fa che segnalare una volta di più la morte ormai evidente dell’Unione Europea, del tutto simile a uno zombie che ancora cammina ma che già da tempo ha abbandonato la vita.

Si potrebbe sostenere, con ragione, che la conclusione del conflitto in Ucraina segni la fine dell’Unione Europea. La Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti di Donald Trump, l’uomo dai capelli biondi che scuote il mondo, hanno già preso la decisione che la guerra deve concludersi, escludendo completamente l’Unione Europea dalle trattative. L’UE viene trattata come un subalterno privo di dignità, ed è giusto così, poiché essa stessa ha adottato fin dall’inizio il ruolo di serva. Essa, insieme all’Ucraina di Zelensky, marionetta della NATO, prodotto di Washington se non di Hollywood, rappresenta la vera sconfitta del conflitto. Non solo per essere stata umiliata e ignorata nei negoziati di pace, ma anche per trovarsi ora in una condizione di maggiore debolezza rispetto a prima dello scoppio della guerra.

La vittoria di Washington si misura anche in questo: l’Unione Europea è ora ancora più sotto il controllo degli Stati Uniti, dopo aver spezzato i suoi legami con la Cina e la Russia, trovandosi a dipendere completamente da Washington. La guerra in Ucraina non è stata solo il conflitto tra la civiltà del dollaro e la Russia, accusata di non sottostare al suo dominio: è stata anche la guerra che Washington ha intrapreso contro l’Unione Europea, punendola per le sue inclinazioni precedenti verso Mosca e Pechino, e facendola diventare ancora più subalterna alla sua egemonia. Basti pensare alla questione del gas, che l’Europa comprava a prezzi contenuti dalla Russia e ora è costretta ad acquistare a cifre esorbitanti dagli Stati Uniti. È tutto piuttosto evidente. E non si può ignorare la crisi profonda della Germania, un tempo celebrata come la locomotiva d’Europa.

Oggi la Germania vive una recessione che colpisce soprattutto il settore automobilistico, uno dei pilastri dell’economia. Cosa accadrebbe se la Germania crollasse? Non è difficile immaginarlo: l’intero sistema dell’Unione Europea, costruito su un modello tecnocratico, rischierebbe di crollare come un castello di carte, un tempio vuoto che celebra il capitale finanziario e umilia quotidianamente i lavoratori e le classi medie.

Se l’Unione Europea deve cadere, che si compia il suo destino. La domanda è se i popoli europei siano pronti, oppure no, a sopportare il peso di un mastodontico cadavere che ha divorato titanicamente non solo l’economia, ma anche l’identità di si dice  “Europa”.

Intanto, a Parigi si è consumata la serata di gala, catturando in fotografia il tavolo dei perdenti che ora corrono a turno a cercare di accaparrarsi qualche spicciolo presso i vincitori. La musica è finita, il tango si è concluso. Ci sarà un altro ballo, o è giunta l’ora di congedarsi?

Intanto, a Riyadh…

Nel frattempo, USA e Russia si siedono nella fase preliminare degli accordi di pace (vengono già chiamati così, anche se non è chiaro di quale pace parli la stampa). L’incontro in Arabia Saudita, che segna l’inizio di una serie di dialoghi, non può essere infatti considerato come un vero e proprio accordo di pace per l’Ucraina. Piuttosto, sembra più un tentativo di ristabilire un canale di comunicazione affidabile tra le due parti, ossia le basi per ricostruire, in qualche modo, una relazione tra due potenze che si sono fronteggiate indirettamente, e in maniera anche abbastanza intensa.

Per questo motivo, gli ucraini e anche gli europei sono stati esclusi, con l’Europa che resta in una posizione di marginalità a livello mondiale.

Non trattandosi di una soluzione pacifica per l’Ucraina, gli Stati Uniti prevedono che il paese possa essere lasciato al suo destino, un’ipotesi che potrebbe essere stata suggerita da Trump, il quale ha accennato alla possibilità che l’Ucraina diventi parte della Russia in futuro. Questo non implica che l’amministrazione attuale non sia più interessata alla situazione sul posto, ma si tratta probabilmente di un interesse economico: sfruttare l’Ucraina per recuperare gli investimenti fatti dagli USA. Se gli ucraini non dovessero essere disponibili a cedere, l’alternativa o la minaccia potrebbe essere quella di lasciar fare ai russi.

La mia impressione è che il conflitto in corso non sia il vero obiettivo delle trattative (piuttosto un pretesto), e che per l’amministrazione americana non sia prioritario risolvere la questione in breve tempo. Potrebbero riuscirci, ma in caso contrario, cercheranno di minimizzarla mediaticamente, facendo scivolare la questione fuori dal radar. La UE, d’altro canto, che agisce come rappresentante dei democratici e dei globalisti tradizionali, cercherà di mantenere viva la questione, almeno fino a quando la nuova ondata di governi populisti/sovranisti (per usare un termine) non avrà preso piede in alcune capitali europee.

L’amministrazione Trump, invece, cercherà di utilizzare la negoziazione sulla guerra come leva per ottenere concessioni su altre questioni più grandi (come la Groenlandia o l’isolamento di Mosca da Pechino?), insieme a un alleggerimento delle sanzioni. Non sembra che i russi siano disposti a cedere facilmente, né a dimenticare i vari “fallimenti” degli accordi di Minsk, quindi la situazione resta aperta, con i futuri colloqui che potrebbero non portare a una soluzione complessiva. Si tratta di esperimenti da entrambe le parti.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, credo che nessuno si aspetti una fine rapida e forse anche gli americani si augurano che la riduzione degli aiuti e il deterioramento della situazione sul campo portino Kiev a rivedere la sua posizione.

L’Ucraina è già nella Nato, altrimenti la guerra non ci sarebbe. Il problema è che deve uscirne. Ne consegue che quando Trump dice che l’Ucraina non entrerà nella Nato, intende dire che l’Ucraina sarà demilitarizzata perché l’Ucraina, senza Nato, non ha armi.

Sorgerà un nuovo modello?

La questione principale che dovrebbe emergere in Arabia Saudita è il confronto tra due leader mondiali, rappresentanti di grandi potenze nucleari. Non un semplice incontro, bensì una svolta – ipotetica perlomeno – per le sorti di una parte di mondo.

Trump si trascina dietro tutto l’Occidente, che piaccia o no, quindi la posta in gioco è alta.

Negli Stati Uniti, si è recentemente verificata una trasformazione ideologica profonda, la cui rilevanza è difficile da sottovalutare. Trump e il suo gruppo, i suoi sostenitori, hanno una visione diversa sul destino dell’umanità, dell’Occidente, dell’Oriente, dei partner e degli avversari, rispetto alle amministrazioni precedenti. La cosa che sorprende è come bastino poche parole di corteggiamento verso la Russia, verso i valori russi, verso il multipolarismo, per assolvere da decenni di sangue e peccati mortali gli Stati Uniti.

Se è vero che l’opportunità politica deve essere sfruttata, è altrettanto vero che gli americani hanno già fregato una volta i russi fingendosi amici rispettosi che volevano cambiare in meglio il mondo intero. La lezione dovrebbe essere chiara.

Trump certamente non ha la medesima stoffa dei leader americani precedenti. Non appartiene allo stesso tipo di globalismo, ma ad una sua versione mutuata in stile cypherpunk. La maschera del camuffamento è realizzata ad arte. Lui – ma ancora di più il movimento MAGA che gli sta alle spalla – rappresenta un’ideologia diversa dalle precedenti. Durante il suo primo mandato non è riuscito a portare avanti la sua agenda; ora, però, è preparato e ha al suo fianco persone che la pensano come lui, una squadra coesa e ideologicamente allineata, che in appena tre settimane dal suo ritorno alla Casa Bianca ha compiuto molti cambiamenti rapidi ed efficaci.

Putin e Trump devono confrontarsi proprio su questo. Trump continuerà la guerra con la Russia o cercherà di porre fine al conflitto? Qual è la sua visione riguardo all’Europa, alla Cina, al Medio Oriente, al Sud-est asiatico, all’Africa e all’America Latina? Tutto questo è cruciale, per la Russia, per l’Europa ma anche per il resto del mondo che sta ad osservare.

È in questo contesto che, trovando punti di convergenza o, al contrario, evidenziando conflitti e incomprensioni, la Russia potrà progredire solo dopo aver definito e chiarito le linee guida dell’ordine mondiale tra i rappresentanti di queste due grandi potenze, si potrà cominciare a discutere dell’Ucraina, dell’Europa e del resto.

Manca ancora una totale onestà su quelle che sono le vere intenzioni. È un momento delicatissimi, il cui rischio oscilla fra il successo e la catastrofe.

L’invito a sedersi al tavolo dei perdenti

Ci sono opportunità nella Storia che si presentano poche volte, alcune una volta soltanto. Oggi, forse, siamo ad un bivio di quel tipo.

Segue nostro Telegram.

Un tango a Parigi

Si sono ritrovati a Parigi, come se fossimo ancora nel 1946. Da bere un flûte di champagne metodo classico. Un tavolo tutti vicini per dare l’idea di essere vecchi amici che si ritrovano per una chiacchierata o, come si dice oggidì, una “short talk”. Al centro Ursula, in tutto il suo mefistofelico splendore, dà inizio all’incontro. Il clima è quello di una guerra alle porte, non è chiaro se di ingresso o se di uscita, e la discussione deve portare ad un accordo di pace… ah, no, la discussione è incentrata su come fare la guerra, chi mandare per primo e quanto sacrificare i popoli europei.

Sembra l’inizio di un thriller, forse uno splatter, e invece è l’inizio – o forse l’epilogo – di uno scenario internazionale che vede l’Europa trattata come una prostituta. Un’Europa che ha scelto di trovarsi in questa condizione, dopo che non ha voluto rialzarsi dalla sconfitta della Seconda Guerra Mondiale che l’aveva posta sotto il gioco di UK e USA, e che ha perpetrato delle politiche nefaste che hanno affamato i popoli europei.

Il primo nemico dell’Europa è l’Unione Europea. Il grande inganno del Trattato di Maastricht che già si presentava come l’invito a cena col demonio e che si è spinto fino ad un matrimonio incestuoso dell’orrido politico.

Il vertice di Parigi tra i Paesi europei per discutere della guerra in Ucraina non fa che segnalare una volta di più la morte ormai evidente dell’Unione Europea, del tutto simile a uno zombie che ancora cammina ma che già da tempo ha abbandonato la vita.

Si potrebbe sostenere, con ragione, che la conclusione del conflitto in Ucraina segni la fine dell’Unione Europea. La Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti di Donald Trump, l’uomo dai capelli biondi che scuote il mondo, hanno già preso la decisione che la guerra deve concludersi, escludendo completamente l’Unione Europea dalle trattative. L’UE viene trattata come un subalterno privo di dignità, ed è giusto così, poiché essa stessa ha adottato fin dall’inizio il ruolo di serva. Essa, insieme all’Ucraina di Zelensky, marionetta della NATO, prodotto di Washington se non di Hollywood, rappresenta la vera sconfitta del conflitto. Non solo per essere stata umiliata e ignorata nei negoziati di pace, ma anche per trovarsi ora in una condizione di maggiore debolezza rispetto a prima dello scoppio della guerra.

La vittoria di Washington si misura anche in questo: l’Unione Europea è ora ancora più sotto il controllo degli Stati Uniti, dopo aver spezzato i suoi legami con la Cina e la Russia, trovandosi a dipendere completamente da Washington. La guerra in Ucraina non è stata solo il conflitto tra la civiltà del dollaro e la Russia, accusata di non sottostare al suo dominio: è stata anche la guerra che Washington ha intrapreso contro l’Unione Europea, punendola per le sue inclinazioni precedenti verso Mosca e Pechino, e facendola diventare ancora più subalterna alla sua egemonia. Basti pensare alla questione del gas, che l’Europa comprava a prezzi contenuti dalla Russia e ora è costretta ad acquistare a cifre esorbitanti dagli Stati Uniti. È tutto piuttosto evidente. E non si può ignorare la crisi profonda della Germania, un tempo celebrata come la locomotiva d’Europa.

Oggi la Germania vive una recessione che colpisce soprattutto il settore automobilistico, uno dei pilastri dell’economia. Cosa accadrebbe se la Germania crollasse? Non è difficile immaginarlo: l’intero sistema dell’Unione Europea, costruito su un modello tecnocratico, rischierebbe di crollare come un castello di carte, un tempio vuoto che celebra il capitale finanziario e umilia quotidianamente i lavoratori e le classi medie.

Se l’Unione Europea deve cadere, che si compia il suo destino. La domanda è se i popoli europei siano pronti, oppure no, a sopportare il peso di un mastodontico cadavere che ha divorato titanicamente non solo l’economia, ma anche l’identità di si dice  “Europa”.

Intanto, a Parigi si è consumata la serata di gala, catturando in fotografia il tavolo dei perdenti che ora corrono a turno a cercare di accaparrarsi qualche spicciolo presso i vincitori. La musica è finita, il tango si è concluso. Ci sarà un altro ballo, o è giunta l’ora di congedarsi?

Intanto, a Riyadh…

Nel frattempo, USA e Russia si siedono nella fase preliminare degli accordi di pace (vengono già chiamati così, anche se non è chiaro di quale pace parli la stampa). L’incontro in Arabia Saudita, che segna l’inizio di una serie di dialoghi, non può essere infatti considerato come un vero e proprio accordo di pace per l’Ucraina. Piuttosto, sembra più un tentativo di ristabilire un canale di comunicazione affidabile tra le due parti, ossia le basi per ricostruire, in qualche modo, una relazione tra due potenze che si sono fronteggiate indirettamente, e in maniera anche abbastanza intensa.

Per questo motivo, gli ucraini e anche gli europei sono stati esclusi, con l’Europa che resta in una posizione di marginalità a livello mondiale.

Non trattandosi di una soluzione pacifica per l’Ucraina, gli Stati Uniti prevedono che il paese possa essere lasciato al suo destino, un’ipotesi che potrebbe essere stata suggerita da Trump, il quale ha accennato alla possibilità che l’Ucraina diventi parte della Russia in futuro. Questo non implica che l’amministrazione attuale non sia più interessata alla situazione sul posto, ma si tratta probabilmente di un interesse economico: sfruttare l’Ucraina per recuperare gli investimenti fatti dagli USA. Se gli ucraini non dovessero essere disponibili a cedere, l’alternativa o la minaccia potrebbe essere quella di lasciar fare ai russi.

La mia impressione è che il conflitto in corso non sia il vero obiettivo delle trattative (piuttosto un pretesto), e che per l’amministrazione americana non sia prioritario risolvere la questione in breve tempo. Potrebbero riuscirci, ma in caso contrario, cercheranno di minimizzarla mediaticamente, facendo scivolare la questione fuori dal radar. La UE, d’altro canto, che agisce come rappresentante dei democratici e dei globalisti tradizionali, cercherà di mantenere viva la questione, almeno fino a quando la nuova ondata di governi populisti/sovranisti (per usare un termine) non avrà preso piede in alcune capitali europee.

L’amministrazione Trump, invece, cercherà di utilizzare la negoziazione sulla guerra come leva per ottenere concessioni su altre questioni più grandi (come la Groenlandia o l’isolamento di Mosca da Pechino?), insieme a un alleggerimento delle sanzioni. Non sembra che i russi siano disposti a cedere facilmente, né a dimenticare i vari “fallimenti” degli accordi di Minsk, quindi la situazione resta aperta, con i futuri colloqui che potrebbero non portare a una soluzione complessiva. Si tratta di esperimenti da entrambe le parti.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, credo che nessuno si aspetti una fine rapida e forse anche gli americani si augurano che la riduzione degli aiuti e il deterioramento della situazione sul campo portino Kiev a rivedere la sua posizione.

L’Ucraina è già nella Nato, altrimenti la guerra non ci sarebbe. Il problema è che deve uscirne. Ne consegue che quando Trump dice che l’Ucraina non entrerà nella Nato, intende dire che l’Ucraina sarà demilitarizzata perché l’Ucraina, senza Nato, non ha armi.

Sorgerà un nuovo modello?

La questione principale che dovrebbe emergere in Arabia Saudita è il confronto tra due leader mondiali, rappresentanti di grandi potenze nucleari. Non un semplice incontro, bensì una svolta – ipotetica perlomeno – per le sorti di una parte di mondo.

Trump si trascina dietro tutto l’Occidente, che piaccia o no, quindi la posta in gioco è alta.

Negli Stati Uniti, si è recentemente verificata una trasformazione ideologica profonda, la cui rilevanza è difficile da sottovalutare. Trump e il suo gruppo, i suoi sostenitori, hanno una visione diversa sul destino dell’umanità, dell’Occidente, dell’Oriente, dei partner e degli avversari, rispetto alle amministrazioni precedenti. La cosa che sorprende è come bastino poche parole di corteggiamento verso la Russia, verso i valori russi, verso il multipolarismo, per assolvere da decenni di sangue e peccati mortali gli Stati Uniti.

Se è vero che l’opportunità politica deve essere sfruttata, è altrettanto vero che gli americani hanno già fregato una volta i russi fingendosi amici rispettosi che volevano cambiare in meglio il mondo intero. La lezione dovrebbe essere chiara.

Trump certamente non ha la medesima stoffa dei leader americani precedenti. Non appartiene allo stesso tipo di globalismo, ma ad una sua versione mutuata in stile cypherpunk. La maschera del camuffamento è realizzata ad arte. Lui – ma ancora di più il movimento MAGA che gli sta alle spalla – rappresenta un’ideologia diversa dalle precedenti. Durante il suo primo mandato non è riuscito a portare avanti la sua agenda; ora, però, è preparato e ha al suo fianco persone che la pensano come lui, una squadra coesa e ideologicamente allineata, che in appena tre settimane dal suo ritorno alla Casa Bianca ha compiuto molti cambiamenti rapidi ed efficaci.

Putin e Trump devono confrontarsi proprio su questo. Trump continuerà la guerra con la Russia o cercherà di porre fine al conflitto? Qual è la sua visione riguardo all’Europa, alla Cina, al Medio Oriente, al Sud-est asiatico, all’Africa e all’America Latina? Tutto questo è cruciale, per la Russia, per l’Europa ma anche per il resto del mondo che sta ad osservare.

È in questo contesto che, trovando punti di convergenza o, al contrario, evidenziando conflitti e incomprensioni, la Russia potrà progredire solo dopo aver definito e chiarito le linee guida dell’ordine mondiale tra i rappresentanti di queste due grandi potenze, si potrà cominciare a discutere dell’Ucraina, dell’Europa e del resto.

Manca ancora una totale onestà su quelle che sono le vere intenzioni. È un momento delicatissimi, il cui rischio oscilla fra il successo e la catastrofe.

Ci sono opportunità nella Storia che si presentano poche volte, alcune una volta soltanto. Oggi, forse, siamo ad un bivio di quel tipo.

Segue nostro Telegram.

Un tango a Parigi

Si sono ritrovati a Parigi, come se fossimo ancora nel 1946. Da bere un flûte di champagne metodo classico. Un tavolo tutti vicini per dare l’idea di essere vecchi amici che si ritrovano per una chiacchierata o, come si dice oggidì, una “short talk”. Al centro Ursula, in tutto il suo mefistofelico splendore, dà inizio all’incontro. Il clima è quello di una guerra alle porte, non è chiaro se di ingresso o se di uscita, e la discussione deve portare ad un accordo di pace… ah, no, la discussione è incentrata su come fare la guerra, chi mandare per primo e quanto sacrificare i popoli europei.

Sembra l’inizio di un thriller, forse uno splatter, e invece è l’inizio – o forse l’epilogo – di uno scenario internazionale che vede l’Europa trattata come una prostituta. Un’Europa che ha scelto di trovarsi in questa condizione, dopo che non ha voluto rialzarsi dalla sconfitta della Seconda Guerra Mondiale che l’aveva posta sotto il gioco di UK e USA, e che ha perpetrato delle politiche nefaste che hanno affamato i popoli europei.

Il primo nemico dell’Europa è l’Unione Europea. Il grande inganno del Trattato di Maastricht che già si presentava come l’invito a cena col demonio e che si è spinto fino ad un matrimonio incestuoso dell’orrido politico.

Il vertice di Parigi tra i Paesi europei per discutere della guerra in Ucraina non fa che segnalare una volta di più la morte ormai evidente dell’Unione Europea, del tutto simile a uno zombie che ancora cammina ma che già da tempo ha abbandonato la vita.

Si potrebbe sostenere, con ragione, che la conclusione del conflitto in Ucraina segni la fine dell’Unione Europea. La Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti di Donald Trump, l’uomo dai capelli biondi che scuote il mondo, hanno già preso la decisione che la guerra deve concludersi, escludendo completamente l’Unione Europea dalle trattative. L’UE viene trattata come un subalterno privo di dignità, ed è giusto così, poiché essa stessa ha adottato fin dall’inizio il ruolo di serva. Essa, insieme all’Ucraina di Zelensky, marionetta della NATO, prodotto di Washington se non di Hollywood, rappresenta la vera sconfitta del conflitto. Non solo per essere stata umiliata e ignorata nei negoziati di pace, ma anche per trovarsi ora in una condizione di maggiore debolezza rispetto a prima dello scoppio della guerra.

La vittoria di Washington si misura anche in questo: l’Unione Europea è ora ancora più sotto il controllo degli Stati Uniti, dopo aver spezzato i suoi legami con la Cina e la Russia, trovandosi a dipendere completamente da Washington. La guerra in Ucraina non è stata solo il conflitto tra la civiltà del dollaro e la Russia, accusata di non sottostare al suo dominio: è stata anche la guerra che Washington ha intrapreso contro l’Unione Europea, punendola per le sue inclinazioni precedenti verso Mosca e Pechino, e facendola diventare ancora più subalterna alla sua egemonia. Basti pensare alla questione del gas, che l’Europa comprava a prezzi contenuti dalla Russia e ora è costretta ad acquistare a cifre esorbitanti dagli Stati Uniti. È tutto piuttosto evidente. E non si può ignorare la crisi profonda della Germania, un tempo celebrata come la locomotiva d’Europa.

Oggi la Germania vive una recessione che colpisce soprattutto il settore automobilistico, uno dei pilastri dell’economia. Cosa accadrebbe se la Germania crollasse? Non è difficile immaginarlo: l’intero sistema dell’Unione Europea, costruito su un modello tecnocratico, rischierebbe di crollare come un castello di carte, un tempio vuoto che celebra il capitale finanziario e umilia quotidianamente i lavoratori e le classi medie.

Se l’Unione Europea deve cadere, che si compia il suo destino. La domanda è se i popoli europei siano pronti, oppure no, a sopportare il peso di un mastodontico cadavere che ha divorato titanicamente non solo l’economia, ma anche l’identità di si dice  “Europa”.

Intanto, a Parigi si è consumata la serata di gala, catturando in fotografia il tavolo dei perdenti che ora corrono a turno a cercare di accaparrarsi qualche spicciolo presso i vincitori. La musica è finita, il tango si è concluso. Ci sarà un altro ballo, o è giunta l’ora di congedarsi?

Intanto, a Riyadh…

Nel frattempo, USA e Russia si siedono nella fase preliminare degli accordi di pace (vengono già chiamati così, anche se non è chiaro di quale pace parli la stampa). L’incontro in Arabia Saudita, che segna l’inizio di una serie di dialoghi, non può essere infatti considerato come un vero e proprio accordo di pace per l’Ucraina. Piuttosto, sembra più un tentativo di ristabilire un canale di comunicazione affidabile tra le due parti, ossia le basi per ricostruire, in qualche modo, una relazione tra due potenze che si sono fronteggiate indirettamente, e in maniera anche abbastanza intensa.

Per questo motivo, gli ucraini e anche gli europei sono stati esclusi, con l’Europa che resta in una posizione di marginalità a livello mondiale.

Non trattandosi di una soluzione pacifica per l’Ucraina, gli Stati Uniti prevedono che il paese possa essere lasciato al suo destino, un’ipotesi che potrebbe essere stata suggerita da Trump, il quale ha accennato alla possibilità che l’Ucraina diventi parte della Russia in futuro. Questo non implica che l’amministrazione attuale non sia più interessata alla situazione sul posto, ma si tratta probabilmente di un interesse economico: sfruttare l’Ucraina per recuperare gli investimenti fatti dagli USA. Se gli ucraini non dovessero essere disponibili a cedere, l’alternativa o la minaccia potrebbe essere quella di lasciar fare ai russi.

La mia impressione è che il conflitto in corso non sia il vero obiettivo delle trattative (piuttosto un pretesto), e che per l’amministrazione americana non sia prioritario risolvere la questione in breve tempo. Potrebbero riuscirci, ma in caso contrario, cercheranno di minimizzarla mediaticamente, facendo scivolare la questione fuori dal radar. La UE, d’altro canto, che agisce come rappresentante dei democratici e dei globalisti tradizionali, cercherà di mantenere viva la questione, almeno fino a quando la nuova ondata di governi populisti/sovranisti (per usare un termine) non avrà preso piede in alcune capitali europee.

L’amministrazione Trump, invece, cercherà di utilizzare la negoziazione sulla guerra come leva per ottenere concessioni su altre questioni più grandi (come la Groenlandia o l’isolamento di Mosca da Pechino?), insieme a un alleggerimento delle sanzioni. Non sembra che i russi siano disposti a cedere facilmente, né a dimenticare i vari “fallimenti” degli accordi di Minsk, quindi la situazione resta aperta, con i futuri colloqui che potrebbero non portare a una soluzione complessiva. Si tratta di esperimenti da entrambe le parti.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, credo che nessuno si aspetti una fine rapida e forse anche gli americani si augurano che la riduzione degli aiuti e il deterioramento della situazione sul campo portino Kiev a rivedere la sua posizione.

L’Ucraina è già nella Nato, altrimenti la guerra non ci sarebbe. Il problema è che deve uscirne. Ne consegue che quando Trump dice che l’Ucraina non entrerà nella Nato, intende dire che l’Ucraina sarà demilitarizzata perché l’Ucraina, senza Nato, non ha armi.

Sorgerà un nuovo modello?

La questione principale che dovrebbe emergere in Arabia Saudita è il confronto tra due leader mondiali, rappresentanti di grandi potenze nucleari. Non un semplice incontro, bensì una svolta – ipotetica perlomeno – per le sorti di una parte di mondo.

Trump si trascina dietro tutto l’Occidente, che piaccia o no, quindi la posta in gioco è alta.

Negli Stati Uniti, si è recentemente verificata una trasformazione ideologica profonda, la cui rilevanza è difficile da sottovalutare. Trump e il suo gruppo, i suoi sostenitori, hanno una visione diversa sul destino dell’umanità, dell’Occidente, dell’Oriente, dei partner e degli avversari, rispetto alle amministrazioni precedenti. La cosa che sorprende è come bastino poche parole di corteggiamento verso la Russia, verso i valori russi, verso il multipolarismo, per assolvere da decenni di sangue e peccati mortali gli Stati Uniti.

Se è vero che l’opportunità politica deve essere sfruttata, è altrettanto vero che gli americani hanno già fregato una volta i russi fingendosi amici rispettosi che volevano cambiare in meglio il mondo intero. La lezione dovrebbe essere chiara.

Trump certamente non ha la medesima stoffa dei leader americani precedenti. Non appartiene allo stesso tipo di globalismo, ma ad una sua versione mutuata in stile cypherpunk. La maschera del camuffamento è realizzata ad arte. Lui – ma ancora di più il movimento MAGA che gli sta alle spalla – rappresenta un’ideologia diversa dalle precedenti. Durante il suo primo mandato non è riuscito a portare avanti la sua agenda; ora, però, è preparato e ha al suo fianco persone che la pensano come lui, una squadra coesa e ideologicamente allineata, che in appena tre settimane dal suo ritorno alla Casa Bianca ha compiuto molti cambiamenti rapidi ed efficaci.

Putin e Trump devono confrontarsi proprio su questo. Trump continuerà la guerra con la Russia o cercherà di porre fine al conflitto? Qual è la sua visione riguardo all’Europa, alla Cina, al Medio Oriente, al Sud-est asiatico, all’Africa e all’America Latina? Tutto questo è cruciale, per la Russia, per l’Europa ma anche per il resto del mondo che sta ad osservare.

È in questo contesto che, trovando punti di convergenza o, al contrario, evidenziando conflitti e incomprensioni, la Russia potrà progredire solo dopo aver definito e chiarito le linee guida dell’ordine mondiale tra i rappresentanti di queste due grandi potenze, si potrà cominciare a discutere dell’Ucraina, dell’Europa e del resto.

Manca ancora una totale onestà su quelle che sono le vere intenzioni. È un momento delicatissimi, il cui rischio oscilla fra il successo e la catastrofe.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

See also

See also

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.