Stavamo giusto aspettando le parole di Donald Trump sulla Palestina, e non avevamo dubbi che sarebbe state pessime.
La conferenza stampa
Donald Trump ha inaugurato le visite dei Capi di Stato a Washington e il primo a ricevere l’onore dell’invito è stato il suo caro amico Bibi Netanyahu. E chi altro sennò?
Netanyahu e Trump sono amici di vecchia data: durante la prima presidenza, Trump ha fatto una gran quantità di favori a Israele, ad esempio riconoscendone come capitale la città di Gerusalemme, dove spostò anche l’ambasciata americana, la promozione degli Accordi di Abramo, il sostegno continuo e conclamato al progetto del Grande Israele e un bel po’ di investimenti militari.
È così che in conferenza stampa dopo il loro incontro a porte chiuse, i due politici hanno rilasciato una serie di dichiarazioni attese da tutto il mondo. Ne riportiamo alcune, ad eterna memoria:
Menzogne sull’ISIS
“Insieme abbiamo sconfitto l’ISIS [ISIL], abbiamo messo fine al disastroso accordo nucleare con l’Iran, uno dei peggiori accordi mai stipulati, e abbiamo imposto al regime iraniano le sanzioni più dure di sempre. Abbiamo affamato Hamas e gli altri proxy terroristici dell’Iran, e li abbiamo affamati come non avevano mai visto prima: sono scomparsi risorse e sostegno per loro”.
Grande Israele
“Ho riconosciuto la capitale di Israele, ho aperto l’ambasciata americana a Gerusalemme e l’ho fatta costruire. L’abbiamo fatta costruire. È bellissima, tutta in pietra di Gerusalemme, proprio lì vicino, ed è qualcosa di molto speciale”.
“Ho riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan, di cui si parlava da 70 anni senza riuscire a ottenerla. E io l’ho ottenuta. E con gli storici Accordi di Abramo, un risultato che, a mio avviso, diventerà sempre più importante perché abbiamo raggiunto gli accordi di pace più significativi in Medio Oriente da mezzo secolo a questa parte”.
Israeliani come vittime
“Negli ultimi 16 mesi, Israele ha subito un attacco aggressivo e omicida su tutti i fronti, ma ha reagito con coraggio. Lo vedete e lo sapete. Abbiamo assistito a un attacco totale all’esistenza stessa di uno Stato ebraico nella patria ebraica. Gli israeliani sono rimasti forti e uniti di fronte a un nemico che ha rapito, torturato, stuprato e massacrato uomini, donne, bambini e persino neonati innocenti.
“Voglio rendere omaggio al popolo israeliano per aver affrontato questa prova con coraggio e determinazione e con una risolutezza incrollabile. È stato forte. Nei nostri incontri di oggi, il Primo Ministro ed io ci siamo concentrati sul futuro, discutendo di come possiamo lavorare insieme per garantire l’eliminazione di Hamas e, in ultima analisi, per riportare la pace in una regione molto travagliata. È stata travagliata, ma ciò che è accaduto negli ultimi quattro anni non è stato positivo”.
Cosa ne sarà di Gaza
“Credo anche fermamente che la Striscia di Gaza, che è stata un simbolo di morte e distruzione per così tanti decenni e così negativa per le persone che vi si trovano vicino, e soprattutto per coloro che vi abitano e che francamente sono stati davvero molto sfortunati. È stato molto sfortunato. È stato un luogo sfortunato per molto tempo”.
“La sua presenza non è stata positiva e non dovrebbe essere sottoposta a un processo di ricostruzione e di occupazione da parte delle stesse persone che sono rimaste lì e hanno combattuto per essa, hanno vissuto lì e sono morte lì e hanno vissuto un’esistenza miserabile lì. Dovremmo invece rivolgerci ad altri Paesi interessati con cuore umanitario, e ce ne sono molti che vogliono farlo, e costruire vari domini che alla fine saranno occupati dagli 1,8 milioni di palestinesi che vivono a Gaza, ponendo fine alla morte e alla distruzione e francamente alla sfortuna.”
“Gli Stati Uniti prenderanno il controllo della Striscia di Gaza e anche noi faremo un lavoro con essa. La possederemo e saremo responsabili dello smantellamento di tutte le pericolose bombe inesplose e di altre armi presenti sul posto, livelleremo il sito e ci sbarazzeremo degli edifici distrutti, lo spianeremo. Creare uno sviluppo economico che fornisca un numero illimitato di posti di lavoro e di alloggi per gli abitanti della zona… fare un lavoro vero, fare qualcosa di diverso.
“Non si può tornare indietro. Se si torna indietro, finirà nello stesso modo in cui è stato per 100 anni. Spero che questo cessate il fuoco possa essere l’inizio di una pace più ampia e duratura che ponga fine allo spargimento di sangue e alle uccisioni una volta per tutte. Con lo stesso obiettivo in mente, la mia amministrazione si è mossa rapidamente per ripristinare la fiducia nell’alleanza e ricostruire la forza americana in tutta la regione e ci siamo riusciti davvero.
Il problema di fondo non cambia. L’ideologia sionista in salsa americana è la stessa da più di un secolo e non accenna a cambiare. Destra o sinistra, Rep o Dem, le posizioni non cambiano perché il padrone è sempre lo stesso. D’altronde, rimarrà iconica l’immagina di Trump che accomoda la poltrona a Netanyahu al suo arrivo. Un perfetto inserviente.
Non cambiano nemmeno i punti fissi dell’odio americano per qualsiasi cosa che non rispetti l’imperialismo egemonico: l’Iran è stato più volte citato come nemico, con parole offensive e ingiustificate. Proprio quell’Iran che è parte del programma di politica estera che Trump ha promosso con tenacia sin dall’inizio della campagna elettorale.
Con un gioco di pura demagogia, Trump è riuscito a offendere la memoria e il martirio di migliaia di palestinesi, arrivando a dare la colpa all’Asse della Resistenza e ai palestinesi stessi.
Un progetto che non può essere arrestato
Su un noto sito ebraico, è comparso un articolo il 6 febbraio che commentava l’incontro di Bibi e Donald in maniera davvero entusiasta, fornendo una importante chiave di lettura riguardo il sionismo e il messianismo americano. Nel testo si osanna Trump come un “acceleratore della venuta del Messia” tanto atteso da Israele.
Durante il suo primo mandato, il Presidente Trump è stato un forte sostenitore di Israele, riconoscendo Gerusalemme come capitale e spostando l’ambasciata, riconoscendo la sovranità sul Golan e stabilendo la Dottrina Pompeo, secondo cui gli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria non violano il diritto internazionale.
A meno di un mese dal suo possibile ritorno, gli effetti dell’“onda Trump” si avvertono già nella regione. Dopo quasi due anni di pressioni da parte di Biden su Israele, gli ostaggi israeliani erano ancora prigionieri a Gaza. La minaccia di un’amministrazione filo-israeliana ha portato a una tregua che ha consentito la liberazione di alcuni ostaggi.
Ma è evidente che il meglio deve ancora venire. Solo poche settimane fa, l’Arabia Saudita aveva dichiarato che non avrebbe accettato un accordo di normalizzazione con Israele senza la creazione di uno Stato palestinese. Mercoledì Trump ha annunciato che i sauditi hanno cambiato idea e stanno valutando un’intesa con Israele e che l’accordo sugli ostaggi sarà presto finalizzato.
Forse la rivelazione più significativa riguarda la soluzione per Gaza proposta da Trump, che va dritta al nocciolo della questione. Gran parte del dibattito su Gaza si è concentrato sul futuro post-bellico. È evidente che Hamas non potrà più governare, ma l’Autorità Palestinese, che si è alleata con Hamas, è instabile e fomenta la violenza, secondo quanto sostenuto dal Potus. Altri attori regionali ostili a Israele rifiutano un ritorno alla situazione del 2005, quando Israele controllava la sicurezza di Gaza.
Mentre i palestinesi continuano a presentare Gaza come una “prigione a cielo aperto”, sostiene Trump, in realtà essa è un’area costiera con grandi potenzialità. Prima della rimozione forzata delle comunità ebraiche di Gush Katif nel 2005, la zona aveva un’industria agricola fiorente, con esportazioni giornaliere superiori agli 80.000 dollari.
Per comprendere il futuro di Gaza in relazione a Israele, è essenziale considerare il suo ruolo biblico e profetico, perché questo è imprescindibile per la mentalità neocon-sionista americana: Gaza appare 18 volte nella Bibbia ebraica ed è citata in Genesi 10:19 come parte del confine meridionale della Terra Promessa, ma, nel corso della storia, è stata occupata da Assiri, Filistei ed Egiziani. Era una delle cinque città filistee della pianura costiera d’Israele e una di quelle che Giosuè non riuscì a conquistare, come si legge in Giosuè 10:41.
Il rabbino Yekutiel Fish, noto studioso mistico di Gerusalemme e autore di un blog sulla Torah intitolato Sod HaChashmal, ha lodato il piano di Trump e ne ha predetto il successo: “Trump è un uomo che conclude accordi impossibili per chiunque altro”, ha dichiarato il rabbino Fish. “Per lui, questo è un patto vantaggioso per tutti”. Tuttavia, vede la strategia di Trump per Gaza come parte di un disegno più grande: “Tutti si concentrano su Gaza, ma è solo un tassello della profezia, che prevede il ritorno degli ebrei entro i confini biblici di Israele”, ha detto Fish. “La Torah menziona esplicitamente Gaza. Trump sta ripulendo Gaza dai nemici di Israele. Dopo il Messia, solo chi crede nell’Unico Dio potrà abitare nei confini biblici d’Israele. Questo include Gaza, metà del Libano e gran parte della Giordania”.
Il quadro sembra ormai completo. La Siria è collassata. Il Libano è in rovina. Gaza è distrutta. Il mondo è pronto per il Messia degli Ebrei, ma come possono rimanere i palestinesi quando il Messia arriverà? Bisogna toglierli di mezzo. Qualcuno deve occuparsene, e quel qualcuno è Donald Trump. Nella logica sionista, Trump sta semplicemente portando a termine gli ultimi preparativi per la rivelazione del Messia.
La direzione è chiara: il progetto del Grande Israele non può essere fermato, la ricostruzione del Tempio è e resterà al centro della politica della amministrazione di Donald Trump.
Uno paragone ad Est
Quando si esamina il rapporto tra Stati Uniti e Israele, la gerarchia di potere è evidente. Gli Stati Uniti operano come entità subordinata a Israele, con un’alleanza unilaterale e priva di un reale equilibrio.
Durante il conflitto in corso in Ucraina, Israele ha deciso autonomamente di lanciare un’operazione militare a Gaza, che si è poi estesa al Libano e alla Siria. Questa mossa ha minato in modo significativo la capacità degli Stati Uniti di controllare la propria narrazione globale, poiché si sono trovati costretti a difendere le azioni militari di Israele – viste in generale come una pulizia etnica – condannando contemporaneamente le azioni della Russia in Ucraina.
Allo stesso modo, la posizione dell’America nel mondo musulmano si è erosa, una tendenza che si è intensificata nell’ultimo decennio. Ciò è particolarmente rilevante nel contesto della produzione di petrolio e dell’OPEC, dove l’influenza degli Stati Uniti è diminuita.
La recente retorica pro-Israele di Trump riguardo a Gaza ha ulteriormente alienato le nazioni musulmane, esacerbando le tensioni tra l’Occidente e il mondo islamico. Anche partner storicamente vicini agli Stati Uniti nella produzione di petrolio, come l’Arabia Saudita, hanno adottato una posizione più neutrale.
Dato che un elemento chiave della strategia di Trump per spingere la Russia a negoziare ruota attorno alla riduzione dei prezzi globali del petrolio con il sostegno dell’OPEC, emerge una chiara divergenza di interessi tra Israele e gli Stati Uniti. Tuttavia, Trump ha scelto di dare priorità agli obiettivi di Netanyahu rispetto agli interessi nazionali americani e ai propri piani geopolitici.
Al contrario, le relazioni di Israele con la Russia sembrano essere più equilibrate, se non addirittura inclinate a favore di Mosca. Nonostante la Russia fornisca all’Iran jet da combattimento Su-35 e altri equipaggiamenti militari, oltre a svolgere un ruolo cruciale nel sostenere il regime di Assad in Siria, Israele ha contribuito molto poco all’Ucraina, principale obiettivo militare degli Stati Uniti in Europa, offrendo solo un’assistenza limitata, come la tecnologia radar contro i droni.
Le comunità ebraiche negli Stati Uniti, a parte alcune fazioni ultra-ortodosse, tendono a essere liberali e non sono necessariamente a favore di Israele. In effetti, i cristiani evangelici negli Stati Uniti spesso mostrano sentimenti sionisti più forti di molti ebrei americani. Inoltre, quando gli ebrei americani immigrano in Israele, in genere non mantengono legami profondi con gli Stati Uniti. Ciononostante, all’interno della società e del governo americani, i gruppi ebraici occupano una posizione unica e influente.
In Russia, la dinamica è notevolmente diversa. I gruppi ebraici funzionano in modo simile ad altre comunità etniche che navigano nel sistema politico per promuovere i propri interessi, come i gruppi azeri, armeni e georgiani. Non è raro sentire parlare di influenza ebraica negli affari russi, ma lo stesso si può dire anche per queste altre comunità etniche.
Per quanto riguarda gli ebrei russi e ucraini in Israele, spesso si orientano verso punti di vista conservatori. È interessante notare che mantengono legami più forti con l’Europa, come dimostra il pellegrinaggio annuale a Uman e la presenza di partiti politici russofoni in Israele, come Yisrael Beiteinu. Tuttavia, con lo spostamento verso politiche più progressiste, questi partiti stanno perdendo il sostegno della loro base elettorale originaria di lingua russa.
In definitiva, queste distinzioni sono degne di nota, poiché la Russia sembra essere l’unica nazione europea o anglosassone che Israele non tratta in modo puramente subordinato.