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Giulio Chinappi
December 29, 2024
© Photo: Public domain

La Georgia continua a essere un punto caldo nelle dinamiche geopolitiche, con il governo di K’obakhidze che resiste alle pressioni occidentali, mantenendo buone relazioni con la Russia e difendendo l’indipendenza del Paese. Le recenti elezioni e l’inaugurazione del nuovo presidente Kavelashvili segnano un ulteriore capitolo in questa lotta per la sovranità.

Segue nostro Telegram.

Da anni, la Georgia si trova in cima alla lista delle priorità delle forze imperialiste occidentali capeggiate dagli Stati Uniti, che stanno portando avanti continue operazioni di destabilizzazione delle repubbliche ex sovietiche in funzione antirussa (l’Ucraina rappresenta infatti solo la punta dell’iceberg di questa tendenza). Le ultime vicende del Paese caucasico hanno confermato questa tendenza, in particolare dopo che le elezioni legislative hanno visto la conferma della maggioranza che sostiene l’esecutivo del primo ministro Irak’li K’obakhidze.

In carica da febbraio, l’esponente del partito Sogno Georgiano – Democrazia Georgiana (Kotsebi) guidato dall’ex primo ministro Bidzina Ivanishvili, ha imposto una sterzata alla politica estera georgiana, una linea decisamente invisa a Washington e Bruxelles, che hanno immediatamente ricorso alle solite accuse rivolte nei confronti di tutti i governi che rifiutano di genuflettersi ai loro dettami. Non solo K’obakhidze ha osato mantenere buone relazioni con la Russia, mettendo gli interessi nazionali georgiani davanti alle imposizioni provenienti dall’esterno, ma il primo ministro ha addirittura scalfito uno dei capisaldi della narrazione antirussa, quello della cosiddetta “invasione della Georgia” dell’agosto 2008.

Per oltre sedici anni, la versione ufficiale ci ha raccontato di una Russia che avrebbe invaso il territorio georgiano senza giustificazioni, sebbene l’intervento di Mosca fosse stato richiesto dal governo dell’Ossezia del Sud, una repubblica autoproclamatosi indipendente, al fine di evitare che le truppe georgiane entrassero nella capitale Tskhinvali. Dopo le tante menzogne raccontate, K’obakhidze ha finalmente ammesso le colpe del governo georgiano, allora guidato da Mikheil Saak’ashvili, leader del Paese per due mandati (2004-2007 e 2008-2013), nonché figura di riferimento delle formazioni politiche filo-euroatlantiste georgiane.

Le dichiarazioni di K’obakhidze su quanto avvenuto nel 2008 hanno ulteriormente inasprito il conflitto istituzionale con la presidente Salome Zurabishvili, nata in Francia e legata all’ex presidente Saak’ashvili, sotto il quale ha ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri (2004-2005). Dopo l’inizio del mandato di K’obakhidze, infatti, le due principali cariche georgiane non hanno fatto altro che attaccarsi a vicenda, con Zurabishvili che ha tentato in ogni modo di mettere i bastoni fra le ruote del governo, portando avanti una linea sempre più marcatamente filo-occidentale.

Allo stesso tempo, le potenze straniere hanno tentato di influenzare il processo elettorale in vista delle legislative del 26 ottobre, che, nonostante tutto, hanno visto una nuova vittoria del partito Sogno Georgiano, dimostrando il sostegno popolare di cui gode il governo. La vittoria è stata tuttavia offuscata dalle critiche mosse dalle forze filo-occidentali, che hanno denunciato presunte irregolarità nelle operazioni di voto. Tali accuse rientrano in una strategia consolidata in cui i governi occidentali e i loro alleati riconoscono l’esito elettorale solo quando questo è in linea con i propri interessi. Anche la presidente Zurabishvili ha immancabilmente preso parte a questa dinamica, violando il principio di neutralità che dovrebbe caratterizzare il suo ruolo, e accusando la Russia di interferenze nelle elezioni georgiane, ma senza portare nessuna prova a sostegno delle proprie affermazioni.

Al contrario di quanto affermato dalla Presidente Zurabishvili, ad effettuare numerose ingerenze nella politica georgiana negli ultimi anni sono sempre stati gli imperialisti occidentali, come dimostra il noto precedente della “rivoluzione delle rose” del 2003, un esempio di “rivoluzione colorata” che ha preceduto quella del 2004 in Ucraina. Un altro esempio di ingerenza è rappresentato dal MEGOBARI Act (Mobilizing and Enhancing Georgia’s Options for Building Accountability, Resilience, and Independence Act), una legge approvata lo scorso luglio dalla Commissione Affari Esteri della Camera degli Stati Uniti. Promosso dal deputato repubblicano Joe Wilson, il provvedimento, il cui nome significa “amico” in georgiano, affronta “questioni di democrazia e diritti umani in Georgia” ed enfatizza “l’impegno degli Stati Uniti a sostenere i valori democratici, i diritti umani e lo stato di diritto” in Georgia.

Dal canto suo, il governo ha rilasciato una dichiarazione affermando che il MEGOBARI Act rappresentava un “ricatto e una intimidazione” contro la politica indipendente della Georgia, e ha respinto la possibilità di aderire al MEGOBARI Act, affermando che “non intendiamo negoziare sulla sovranità e sicurezza del nostro Paese, e nessun ricatto può costringerci ad andare contro il nostro Paese”. In risposta, lo scorso 16 settembre, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato restrizioni sui visti per 60 “funzionari del governo georgiano e altri che hanno minato la democrazia e i diritti umani del popolo georgiano”.

La situazione si è ulteriormente surriscaldata alla vigilia delle elezioni presidenziali indirette del 14 dicembre, previste poco dopo l’approvazione del nuovo governo, guidato sempre da K’obakhidze, ma senza la partecipazione dei deputati dell’opposizione. Negli stessi giorni, il primo ministro ha annunciato la sospensione delle consultazioni con l’Unione Europea sull’avvio dei colloqui per l’adesione della Georgia all’UE fino al 2028, suscitando le nuove ire delle potenze occidentali. K’obakhidze ha spiegato che l’UE danneggia la reputazione del Paese utilizzando la questione dell’avvio dei colloqui come strumento di manipolazione, ed ha inoltre affermato che la Georgia è una nazione orgogliosa e rispettosa di sé stessa, con una lunga storia, e che “è assolutamente inaccettabile per la Georgia considerare l’integrazione nell’UE come un atto di beneficenza”.

Tutte queste vicende si sono svolte in un clima rovente, con le forze euro-atlantiste sia interne che esterne che hanno tentato in ogni modo di provocare una nuova “rivoluzione colorata” in Georgia. “I radicali e i loro sostenitori stranieri hanno provato più volte a inventare una scusa per tentare di organizzare disordini e trasformare la Georgia in una seconda Ucraina”, ha detto K’obakhidze, facendo riferimento all’Euromaidan di Kiev. “Non si sono ancora resi conto che, a differenza dell’Ucraina del 2013, la Georgia è un Paese indipendente con istituzioni forti e, soprattutto, un popolo saggio, la cui determinazione nessuno può scuotere. Lo scenario del Maidan non può essere realizzato in Georgia”.

Le opposizioni hanno adottato le tattiche del ‘Maidan’, portando una bara, decorando un albero di Natale e usando il fuoco. Non sono arrivati a usare armi da fuoco, ma l’effetto visivo dei fuochi d’artificio era lo stesso di quello che abbiamo visto durante il Maidan [ucraino], dove più di 100 persone sono state uccise“, ha commentato invece Shalva Papuashvili, presidente del parlamento di Tbilisi, secondo il quale l’opposizione avrebbe tentato un’altra rivoluzione sul modello del Maidan dopo l’arrivo a Tbilisi di una delegazione di legislatori europei.

Nonostante tutti i tentativi di ostruzionismo, il 14 dicembre l’ex calciatore Mikheil Kavelashvili, sostenuto dal governo in carica, è stato regolarmente eletto alla presidenza del Paese con 224 voti favorevoli su 300. Il tutto con buona pace della strepitante Zurabishvili, che fino all’ultimo, in piena violazione della Costituzione georgiana, ha affermato di non essere intenzionata a cedere la poltrona.

Nelle sue prime dichiarazioni da presidente, Kavelashvili ha affermato che le autorità georgiane sono aperte al dialogo su qualsiasi tema, mentre l’Occidente non mostra alcuna disponibilità, limitandosi solo a critiche. “Vogliamo essere membri dell’Unione Europea così come siamo. Non rifiutiamo l’integrazione”, ha affermato. Ma “se perdiamo i nostri valori, mentalità, cultura, lingua, fede, amore per la patria, quale senso ha unirsi a qualsiasi organizzazione?”.

Mikhail Kavelashvili è una persona la cui dedizione al Paese è indiscutibile. Questo è particolarmente importante nel mondo di oggi. Per un Paese piccolo come il nostro, che è vulnerabile ai conflitti nella regione, è cruciale avere un presidente che non sia influenzato da nessuna potenza straniera. Questo è in contrasto con Salome [Zurabishvili], che prende ordini diretti dall’estero,” ha osservato il presidente del parlamento Papuashvili.

Il passaggio di consegne tra Salome Zurabishvili e Mikheil Kavelashvil dovrebbe avere luogo il prossimo 29 dicembre. Fino ad ora, l’opposizione non ha ancora riconosciuto l’esito dell’elezione. Le forze euroatlantiste decideranno di accettare il verdetto elettorale, oppure continueranno sulla linea dura per dare vita ad una nuova “rivoluzione colorata”, destinata quasi certamente al fallimento?

I tentativi di “rivoluzione colorata” in Georgia sono destinati a fallire

La Georgia continua a essere un punto caldo nelle dinamiche geopolitiche, con il governo di K’obakhidze che resiste alle pressioni occidentali, mantenendo buone relazioni con la Russia e difendendo l’indipendenza del Paese. Le recenti elezioni e l’inaugurazione del nuovo presidente Kavelashvili segnano un ulteriore capitolo in questa lotta per la sovranità.

Segue nostro Telegram.

Da anni, la Georgia si trova in cima alla lista delle priorità delle forze imperialiste occidentali capeggiate dagli Stati Uniti, che stanno portando avanti continue operazioni di destabilizzazione delle repubbliche ex sovietiche in funzione antirussa (l’Ucraina rappresenta infatti solo la punta dell’iceberg di questa tendenza). Le ultime vicende del Paese caucasico hanno confermato questa tendenza, in particolare dopo che le elezioni legislative hanno visto la conferma della maggioranza che sostiene l’esecutivo del primo ministro Irak’li K’obakhidze.

In carica da febbraio, l’esponente del partito Sogno Georgiano – Democrazia Georgiana (Kotsebi) guidato dall’ex primo ministro Bidzina Ivanishvili, ha imposto una sterzata alla politica estera georgiana, una linea decisamente invisa a Washington e Bruxelles, che hanno immediatamente ricorso alle solite accuse rivolte nei confronti di tutti i governi che rifiutano di genuflettersi ai loro dettami. Non solo K’obakhidze ha osato mantenere buone relazioni con la Russia, mettendo gli interessi nazionali georgiani davanti alle imposizioni provenienti dall’esterno, ma il primo ministro ha addirittura scalfito uno dei capisaldi della narrazione antirussa, quello della cosiddetta “invasione della Georgia” dell’agosto 2008.

Per oltre sedici anni, la versione ufficiale ci ha raccontato di una Russia che avrebbe invaso il territorio georgiano senza giustificazioni, sebbene l’intervento di Mosca fosse stato richiesto dal governo dell’Ossezia del Sud, una repubblica autoproclamatosi indipendente, al fine di evitare che le truppe georgiane entrassero nella capitale Tskhinvali. Dopo le tante menzogne raccontate, K’obakhidze ha finalmente ammesso le colpe del governo georgiano, allora guidato da Mikheil Saak’ashvili, leader del Paese per due mandati (2004-2007 e 2008-2013), nonché figura di riferimento delle formazioni politiche filo-euroatlantiste georgiane.

Le dichiarazioni di K’obakhidze su quanto avvenuto nel 2008 hanno ulteriormente inasprito il conflitto istituzionale con la presidente Salome Zurabishvili, nata in Francia e legata all’ex presidente Saak’ashvili, sotto il quale ha ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri (2004-2005). Dopo l’inizio del mandato di K’obakhidze, infatti, le due principali cariche georgiane non hanno fatto altro che attaccarsi a vicenda, con Zurabishvili che ha tentato in ogni modo di mettere i bastoni fra le ruote del governo, portando avanti una linea sempre più marcatamente filo-occidentale.

Allo stesso tempo, le potenze straniere hanno tentato di influenzare il processo elettorale in vista delle legislative del 26 ottobre, che, nonostante tutto, hanno visto una nuova vittoria del partito Sogno Georgiano, dimostrando il sostegno popolare di cui gode il governo. La vittoria è stata tuttavia offuscata dalle critiche mosse dalle forze filo-occidentali, che hanno denunciato presunte irregolarità nelle operazioni di voto. Tali accuse rientrano in una strategia consolidata in cui i governi occidentali e i loro alleati riconoscono l’esito elettorale solo quando questo è in linea con i propri interessi. Anche la presidente Zurabishvili ha immancabilmente preso parte a questa dinamica, violando il principio di neutralità che dovrebbe caratterizzare il suo ruolo, e accusando la Russia di interferenze nelle elezioni georgiane, ma senza portare nessuna prova a sostegno delle proprie affermazioni.

Al contrario di quanto affermato dalla Presidente Zurabishvili, ad effettuare numerose ingerenze nella politica georgiana negli ultimi anni sono sempre stati gli imperialisti occidentali, come dimostra il noto precedente della “rivoluzione delle rose” del 2003, un esempio di “rivoluzione colorata” che ha preceduto quella del 2004 in Ucraina. Un altro esempio di ingerenza è rappresentato dal MEGOBARI Act (Mobilizing and Enhancing Georgia’s Options for Building Accountability, Resilience, and Independence Act), una legge approvata lo scorso luglio dalla Commissione Affari Esteri della Camera degli Stati Uniti. Promosso dal deputato repubblicano Joe Wilson, il provvedimento, il cui nome significa “amico” in georgiano, affronta “questioni di democrazia e diritti umani in Georgia” ed enfatizza “l’impegno degli Stati Uniti a sostenere i valori democratici, i diritti umani e lo stato di diritto” in Georgia.

Dal canto suo, il governo ha rilasciato una dichiarazione affermando che il MEGOBARI Act rappresentava un “ricatto e una intimidazione” contro la politica indipendente della Georgia, e ha respinto la possibilità di aderire al MEGOBARI Act, affermando che “non intendiamo negoziare sulla sovranità e sicurezza del nostro Paese, e nessun ricatto può costringerci ad andare contro il nostro Paese”. In risposta, lo scorso 16 settembre, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato restrizioni sui visti per 60 “funzionari del governo georgiano e altri che hanno minato la democrazia e i diritti umani del popolo georgiano”.

La situazione si è ulteriormente surriscaldata alla vigilia delle elezioni presidenziali indirette del 14 dicembre, previste poco dopo l’approvazione del nuovo governo, guidato sempre da K’obakhidze, ma senza la partecipazione dei deputati dell’opposizione. Negli stessi giorni, il primo ministro ha annunciato la sospensione delle consultazioni con l’Unione Europea sull’avvio dei colloqui per l’adesione della Georgia all’UE fino al 2028, suscitando le nuove ire delle potenze occidentali. K’obakhidze ha spiegato che l’UE danneggia la reputazione del Paese utilizzando la questione dell’avvio dei colloqui come strumento di manipolazione, ed ha inoltre affermato che la Georgia è una nazione orgogliosa e rispettosa di sé stessa, con una lunga storia, e che “è assolutamente inaccettabile per la Georgia considerare l’integrazione nell’UE come un atto di beneficenza”.

Tutte queste vicende si sono svolte in un clima rovente, con le forze euro-atlantiste sia interne che esterne che hanno tentato in ogni modo di provocare una nuova “rivoluzione colorata” in Georgia. “I radicali e i loro sostenitori stranieri hanno provato più volte a inventare una scusa per tentare di organizzare disordini e trasformare la Georgia in una seconda Ucraina”, ha detto K’obakhidze, facendo riferimento all’Euromaidan di Kiev. “Non si sono ancora resi conto che, a differenza dell’Ucraina del 2013, la Georgia è un Paese indipendente con istituzioni forti e, soprattutto, un popolo saggio, la cui determinazione nessuno può scuotere. Lo scenario del Maidan non può essere realizzato in Georgia”.

Le opposizioni hanno adottato le tattiche del ‘Maidan’, portando una bara, decorando un albero di Natale e usando il fuoco. Non sono arrivati a usare armi da fuoco, ma l’effetto visivo dei fuochi d’artificio era lo stesso di quello che abbiamo visto durante il Maidan [ucraino], dove più di 100 persone sono state uccise“, ha commentato invece Shalva Papuashvili, presidente del parlamento di Tbilisi, secondo il quale l’opposizione avrebbe tentato un’altra rivoluzione sul modello del Maidan dopo l’arrivo a Tbilisi di una delegazione di legislatori europei.

Nonostante tutti i tentativi di ostruzionismo, il 14 dicembre l’ex calciatore Mikheil Kavelashvili, sostenuto dal governo in carica, è stato regolarmente eletto alla presidenza del Paese con 224 voti favorevoli su 300. Il tutto con buona pace della strepitante Zurabishvili, che fino all’ultimo, in piena violazione della Costituzione georgiana, ha affermato di non essere intenzionata a cedere la poltrona.

Nelle sue prime dichiarazioni da presidente, Kavelashvili ha affermato che le autorità georgiane sono aperte al dialogo su qualsiasi tema, mentre l’Occidente non mostra alcuna disponibilità, limitandosi solo a critiche. “Vogliamo essere membri dell’Unione Europea così come siamo. Non rifiutiamo l’integrazione”, ha affermato. Ma “se perdiamo i nostri valori, mentalità, cultura, lingua, fede, amore per la patria, quale senso ha unirsi a qualsiasi organizzazione?”.

Mikhail Kavelashvili è una persona la cui dedizione al Paese è indiscutibile. Questo è particolarmente importante nel mondo di oggi. Per un Paese piccolo come il nostro, che è vulnerabile ai conflitti nella regione, è cruciale avere un presidente che non sia influenzato da nessuna potenza straniera. Questo è in contrasto con Salome [Zurabishvili], che prende ordini diretti dall’estero,” ha osservato il presidente del parlamento Papuashvili.

Il passaggio di consegne tra Salome Zurabishvili e Mikheil Kavelashvil dovrebbe avere luogo il prossimo 29 dicembre. Fino ad ora, l’opposizione non ha ancora riconosciuto l’esito dell’elezione. Le forze euroatlantiste decideranno di accettare il verdetto elettorale, oppure continueranno sulla linea dura per dare vita ad una nuova “rivoluzione colorata”, destinata quasi certamente al fallimento?

La Georgia continua a essere un punto caldo nelle dinamiche geopolitiche, con il governo di K’obakhidze che resiste alle pressioni occidentali, mantenendo buone relazioni con la Russia e difendendo l’indipendenza del Paese. Le recenti elezioni e l’inaugurazione del nuovo presidente Kavelashvili segnano un ulteriore capitolo in questa lotta per la sovranità.

Segue nostro Telegram.

Da anni, la Georgia si trova in cima alla lista delle priorità delle forze imperialiste occidentali capeggiate dagli Stati Uniti, che stanno portando avanti continue operazioni di destabilizzazione delle repubbliche ex sovietiche in funzione antirussa (l’Ucraina rappresenta infatti solo la punta dell’iceberg di questa tendenza). Le ultime vicende del Paese caucasico hanno confermato questa tendenza, in particolare dopo che le elezioni legislative hanno visto la conferma della maggioranza che sostiene l’esecutivo del primo ministro Irak’li K’obakhidze.

In carica da febbraio, l’esponente del partito Sogno Georgiano – Democrazia Georgiana (Kotsebi) guidato dall’ex primo ministro Bidzina Ivanishvili, ha imposto una sterzata alla politica estera georgiana, una linea decisamente invisa a Washington e Bruxelles, che hanno immediatamente ricorso alle solite accuse rivolte nei confronti di tutti i governi che rifiutano di genuflettersi ai loro dettami. Non solo K’obakhidze ha osato mantenere buone relazioni con la Russia, mettendo gli interessi nazionali georgiani davanti alle imposizioni provenienti dall’esterno, ma il primo ministro ha addirittura scalfito uno dei capisaldi della narrazione antirussa, quello della cosiddetta “invasione della Georgia” dell’agosto 2008.

Per oltre sedici anni, la versione ufficiale ci ha raccontato di una Russia che avrebbe invaso il territorio georgiano senza giustificazioni, sebbene l’intervento di Mosca fosse stato richiesto dal governo dell’Ossezia del Sud, una repubblica autoproclamatosi indipendente, al fine di evitare che le truppe georgiane entrassero nella capitale Tskhinvali. Dopo le tante menzogne raccontate, K’obakhidze ha finalmente ammesso le colpe del governo georgiano, allora guidato da Mikheil Saak’ashvili, leader del Paese per due mandati (2004-2007 e 2008-2013), nonché figura di riferimento delle formazioni politiche filo-euroatlantiste georgiane.

Le dichiarazioni di K’obakhidze su quanto avvenuto nel 2008 hanno ulteriormente inasprito il conflitto istituzionale con la presidente Salome Zurabishvili, nata in Francia e legata all’ex presidente Saak’ashvili, sotto il quale ha ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri (2004-2005). Dopo l’inizio del mandato di K’obakhidze, infatti, le due principali cariche georgiane non hanno fatto altro che attaccarsi a vicenda, con Zurabishvili che ha tentato in ogni modo di mettere i bastoni fra le ruote del governo, portando avanti una linea sempre più marcatamente filo-occidentale.

Allo stesso tempo, le potenze straniere hanno tentato di influenzare il processo elettorale in vista delle legislative del 26 ottobre, che, nonostante tutto, hanno visto una nuova vittoria del partito Sogno Georgiano, dimostrando il sostegno popolare di cui gode il governo. La vittoria è stata tuttavia offuscata dalle critiche mosse dalle forze filo-occidentali, che hanno denunciato presunte irregolarità nelle operazioni di voto. Tali accuse rientrano in una strategia consolidata in cui i governi occidentali e i loro alleati riconoscono l’esito elettorale solo quando questo è in linea con i propri interessi. Anche la presidente Zurabishvili ha immancabilmente preso parte a questa dinamica, violando il principio di neutralità che dovrebbe caratterizzare il suo ruolo, e accusando la Russia di interferenze nelle elezioni georgiane, ma senza portare nessuna prova a sostegno delle proprie affermazioni.

Al contrario di quanto affermato dalla Presidente Zurabishvili, ad effettuare numerose ingerenze nella politica georgiana negli ultimi anni sono sempre stati gli imperialisti occidentali, come dimostra il noto precedente della “rivoluzione delle rose” del 2003, un esempio di “rivoluzione colorata” che ha preceduto quella del 2004 in Ucraina. Un altro esempio di ingerenza è rappresentato dal MEGOBARI Act (Mobilizing and Enhancing Georgia’s Options for Building Accountability, Resilience, and Independence Act), una legge approvata lo scorso luglio dalla Commissione Affari Esteri della Camera degli Stati Uniti. Promosso dal deputato repubblicano Joe Wilson, il provvedimento, il cui nome significa “amico” in georgiano, affronta “questioni di democrazia e diritti umani in Georgia” ed enfatizza “l’impegno degli Stati Uniti a sostenere i valori democratici, i diritti umani e lo stato di diritto” in Georgia.

Dal canto suo, il governo ha rilasciato una dichiarazione affermando che il MEGOBARI Act rappresentava un “ricatto e una intimidazione” contro la politica indipendente della Georgia, e ha respinto la possibilità di aderire al MEGOBARI Act, affermando che “non intendiamo negoziare sulla sovranità e sicurezza del nostro Paese, e nessun ricatto può costringerci ad andare contro il nostro Paese”. In risposta, lo scorso 16 settembre, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato restrizioni sui visti per 60 “funzionari del governo georgiano e altri che hanno minato la democrazia e i diritti umani del popolo georgiano”.

La situazione si è ulteriormente surriscaldata alla vigilia delle elezioni presidenziali indirette del 14 dicembre, previste poco dopo l’approvazione del nuovo governo, guidato sempre da K’obakhidze, ma senza la partecipazione dei deputati dell’opposizione. Negli stessi giorni, il primo ministro ha annunciato la sospensione delle consultazioni con l’Unione Europea sull’avvio dei colloqui per l’adesione della Georgia all’UE fino al 2028, suscitando le nuove ire delle potenze occidentali. K’obakhidze ha spiegato che l’UE danneggia la reputazione del Paese utilizzando la questione dell’avvio dei colloqui come strumento di manipolazione, ed ha inoltre affermato che la Georgia è una nazione orgogliosa e rispettosa di sé stessa, con una lunga storia, e che “è assolutamente inaccettabile per la Georgia considerare l’integrazione nell’UE come un atto di beneficenza”.

Tutte queste vicende si sono svolte in un clima rovente, con le forze euro-atlantiste sia interne che esterne che hanno tentato in ogni modo di provocare una nuova “rivoluzione colorata” in Georgia. “I radicali e i loro sostenitori stranieri hanno provato più volte a inventare una scusa per tentare di organizzare disordini e trasformare la Georgia in una seconda Ucraina”, ha detto K’obakhidze, facendo riferimento all’Euromaidan di Kiev. “Non si sono ancora resi conto che, a differenza dell’Ucraina del 2013, la Georgia è un Paese indipendente con istituzioni forti e, soprattutto, un popolo saggio, la cui determinazione nessuno può scuotere. Lo scenario del Maidan non può essere realizzato in Georgia”.

Le opposizioni hanno adottato le tattiche del ‘Maidan’, portando una bara, decorando un albero di Natale e usando il fuoco. Non sono arrivati a usare armi da fuoco, ma l’effetto visivo dei fuochi d’artificio era lo stesso di quello che abbiamo visto durante il Maidan [ucraino], dove più di 100 persone sono state uccise“, ha commentato invece Shalva Papuashvili, presidente del parlamento di Tbilisi, secondo il quale l’opposizione avrebbe tentato un’altra rivoluzione sul modello del Maidan dopo l’arrivo a Tbilisi di una delegazione di legislatori europei.

Nonostante tutti i tentativi di ostruzionismo, il 14 dicembre l’ex calciatore Mikheil Kavelashvili, sostenuto dal governo in carica, è stato regolarmente eletto alla presidenza del Paese con 224 voti favorevoli su 300. Il tutto con buona pace della strepitante Zurabishvili, che fino all’ultimo, in piena violazione della Costituzione georgiana, ha affermato di non essere intenzionata a cedere la poltrona.

Nelle sue prime dichiarazioni da presidente, Kavelashvili ha affermato che le autorità georgiane sono aperte al dialogo su qualsiasi tema, mentre l’Occidente non mostra alcuna disponibilità, limitandosi solo a critiche. “Vogliamo essere membri dell’Unione Europea così come siamo. Non rifiutiamo l’integrazione”, ha affermato. Ma “se perdiamo i nostri valori, mentalità, cultura, lingua, fede, amore per la patria, quale senso ha unirsi a qualsiasi organizzazione?”.

Mikhail Kavelashvili è una persona la cui dedizione al Paese è indiscutibile. Questo è particolarmente importante nel mondo di oggi. Per un Paese piccolo come il nostro, che è vulnerabile ai conflitti nella regione, è cruciale avere un presidente che non sia influenzato da nessuna potenza straniera. Questo è in contrasto con Salome [Zurabishvili], che prende ordini diretti dall’estero,” ha osservato il presidente del parlamento Papuashvili.

Il passaggio di consegne tra Salome Zurabishvili e Mikheil Kavelashvil dovrebbe avere luogo il prossimo 29 dicembre. Fino ad ora, l’opposizione non ha ancora riconosciuto l’esito dell’elezione. Le forze euroatlantiste decideranno di accettare il verdetto elettorale, oppure continueranno sulla linea dura per dare vita ad una nuova “rivoluzione colorata”, destinata quasi certamente al fallimento?

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