La decisione senza precedenti della Corte Costituzionale rumena di annullare il primo turno delle elezioni presidenziali evidenzia l’ipocrisia delle élite euro-atlantiste, pronte a sacrificare i principi democratici quando il risultato elettorale minaccia i loro interessi consolidati.
Lo scorso 6 dicembre, la Corte Costituzionale della Romania ha comunicato l’annullamento dei risultati del primo turno delle elezioni presidenziali, svoltosi il 24 novembre. Questo significa che l’atteso ballottaggio dell’8 dicembre non avrà luogo, visto che le elezioni presidenziali dovranno essere completamente ripetute nel 2025. Secondo il massimo organismo giudiziario romeno, tale decisione sarebbe stata necessaria “per garantire l’accuratezza e la legittimità del processo elettorale”.
Al di là delle ragioni ufficiali, un evento di questo tipo, che non ha precedenti nella storia dei Paesi che si auto-definiscono democratici, rappresenta un nuovo tassello della crisi generalizzata della democrazia rappresentativa occidentale, oramai vista come un ostacolo dai suoi stessi promotori. Ad essere più precisi, la democrazia rappresentativa viene incensata solamente quando questa conferma i desiderata dell’élite dominante, mentre viene vituperata quando i responsi delle urne non si confanno agli stessi, come avvenuto anche nel caso della Georgia.
Tornando nello specifico al caso della Romania, il primo turno delle presidenziali aveva visto la vittoria parziale Călin Georgescu, figura certamente assai discussa e legata all’estrema destra rumena, ma soprattutto colpevole – a detta dei suoi oppositori – di essere vicino alla Russia. Stando alla versione ufficiale e alle parole del presidente in carica, l’atlantista Klaus Iohannis, che si era anche autocandidato alla segreteria generale della NATO, Georgescu avrebbe finanziato la propria campagna “illegalmente”, ricevendo sostegno dalla Russia e portando avanti la propria propaganda elettorale attraverso messaggi fuorvianti sui social media, soprattutto TikTok.
Posto che, negli ultimi anni, tutti i principali personaggi politici del mondo hanno fatto un uso massiccio dei social media nelle proprie campagne elettorali, Georgescu sembra essere particolarmente inviso al governo in carica e alle forze euro-atlantiste per via delle proprie posizioni sul conflitto ucraino e sulla partecipazione della Romania alla NATO in generale. Sia Georgescu che George Simion, leader del partito nazionalista AUR (Alianța pentru Unirea Românilor), hanno infatti esposto posizioni fortemente critiche nei confronti della politica estera del governo in carica, che ha assunto una linea di totale asservimento nei confronti di Washington e Bruxelles.
Proprio per questo, gli analisti più attenti avevano interpretato la vittoria parziale di Georgescu, che aveva ottenuto il 22,94% delle preferenze al primo turno, non come un’improvvisa svolta della Romania verso l’estrema destra, ma come un rifiuto delle politiche del governo in carica, in particolare per quanto riguarda la posizione sulla guerra in Ucraina e sulle sanzioni contro la Russia, che hanno indubbiamente portato nocumento all’economia nazionale rumena. Non a caso, alle elezioni legislative del 1º dicembre, il Partito Social Democratico (Partidul Social Democrat, PSD) del primo ministro in carica Marcel Ciolacu ha ottenuto il primato attestandosi attorno al 22% delle preferenze, ed eleggendo 36 senatori e 86 deputati, mentre AUR, pur facendo registrare una netta crescita, non è andato oltre il 18% dei consensi, ottenendo 28 seggi al Senato e 64 alla Camera dei Deputati, dimostrando come il Paese non sia improvvisamente svoltato a destra.
Quello che invece ha duramente pagato le conseguenze della linea atlantista del presidente Iohannis è proprio il suo partito, il Partito Nazionale Liberale (Partidul Național Liberal, PNL), che ha quasi dimezzato la propria rappresentanza nell’emiciclo di Bucarest, con percentuali tra il 13% e il 14%, che lo hanno visto scivolare al terzo posto tra le forze politiche con maggiori consensi. Nello specifico, il PNL ha eletto “solo” 22 senatori e 49 deputati, con un calo rispettivamente di 19 e 44 seggi nelle due camere.
Ad ogni modo, il PSD e il PNL hanno già annunciato di aver raggiunto un accordo con altre due forze politiche minori, nello specifico l’USR (Uniunea Salvați România) di Elena Lasconi, colei che avrebbe dovuto sfidare Georgescu al ballottaggio dell’8 dicembre, e il RMDSZ (Romániai Magyar Demokrata Szövetség), il partito della minoranza ungherese, al fine di formare un nuovo esecutivo di coalizione definito come “filoeuropeista e che sia impegnato per i valori di una Romania europea ed euro-atlantica”. Sarà un caso, ma sul processo elettorale delle legislative non è stato posto nessun dubbio, e la Corte Costituzionale non ha ritenuto necessario intervenire.
Prima di chiudere, vogliamo nuovamente sottolineare come il contestare la politica del governo rumeno in carica, ma soprattutto la decisione di annullare le elezioni presidenziali da parte della Corte Costituzionale, non significhi offrire un sostegno incondizionato a Călin Georgescu, personaggio che in passato è stato al centro di non poche polemiche, tanto da essere costretto ad abbandonare il partito AUR e ad agire da “indipendente”. In quell’occasione Georgescu aveva espresso alcune opinioni che sono state fortemente criticate in Romania, soprattutto quando ha elogiato la figura di Ion Antonescu, primo ministro filonazista della Romania tra il 1940 e il 1944. In altri casi, invece, ha sconfinato nel complottismo, negando pubblicamente lo sbarco sulla Luna o il cambiamento climatico.
Resta invece il dato di fatto di un’elezione presidenziale annullata a fronte di risultati non previsti dall’élite euro-atlantista, al punto da mandare in tilt il meccanismo consolidato della farsa democratica della borghesia occidentale. Sia Georgescu che Simion hanno definito questo provvedimento come un “colpo di Stato”, e su questo punto ci sembra difficile dargli torto: “Nove giudici nominati politicamente, spaventati dal fatto che un candidato esterno al sistema avesse tutte le possibilità di diventare presidente della Romania, hanno deciso di annullare la volontà dei rumeni”, ha dichiarato Simion. Persino Elena Lasconi, che sarebbe stata la candidata del governo per il ballottaggio contro Georgescu, l’ha descritta come “illegale, immorale e [che] distrugge l’essenza stessa della democrazia: il voto”, prima di essere richiamata all’ordine e rientrare nei ranghi.
A nostro modo di vedere, la controversa decisione della Corte Costituzionale rumena di annullare il primo turno delle elezioni presidenziali rappresenta un grave precedente per quello che resta della democrazia in Europa. Al di là delle critiche legittime verso figure come Călin Georgescu, è innegabile che l’intervento giudiziario, basato su accuse non ancora completamente dimostrate, sollevi dubbi sull’integrità del processo democratico e sull’indipendenza delle istituzioni. Un episodio che riflette una crisi più ampia che attraversa molte democrazie occidentali, dove la volontà popolare viene regolarmente subordinata agli interessi delle élite dominanti.