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Lorenzo Maria Pacini
December 3, 2025
© Photo: Public domain

C’è una paura che serpeggia nelle strade dell’Occidente collettivo: un’idea terrificante, un mostro di indicibile orrore che tormenta i sogni dei suoi leader: i BRICS.

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Nascondersi dietro il dito

C’è una paura che corre per le strade dell’Occidente collettivo, un’idea terrificante, un mostro di inarrivabile orrore che ammorba i sogni dei leader: i BRICS. E, ancor peggio, ciò che essi stanno facendo: abbattere l’egemonia del dollaro americano.

Nel luglio 2025, il presidente Donald Trump dichiarò al suo gabinetto: “I BRICS sono stati creati per danneggiarci, sono stati concepiti per indebolire il nostro dollaro e rimuoverlo come riferimento globale”. La sua affermazione diretta riflette una crescente preoccupazione negli Stati Uniti: l’idea che i BRICS—un tempo un semplice coordinamento di economie emergenti come Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica—si siano trasformati in un blocco deciso a sfidare le istituzioni guidate dall’Occidente e a mettere in discussione la supremazia finanziaria americana. La questione centrale riguarda la reale capacità dei BRICS di costituire uno strumento efficace, giacché la nascita del gruppo non è stata casuale né inattesa.

L’aggregazione riflette una lunga accumulazione di sentimenti risalenti alla Guerra Fredda e alle lotte postcoloniali. Il Movimento dei Paesi Non Allineati, fondato a Belgrado nel 1961, offrì una dimensione istituzionale al desiderio dei nuovi stati indipendenti di evitare l’obbligo di schierarsi con Washington o Mosca; ma la neutralità assunse presto significati differenti, poiché mirava a una reale autonomia, come nel caso dell’India di Jawaharlal Nehru o della Jugoslavia di Josip Tito. Questi paesi puntavano su sovranità e libertà di manovra. Una “neutralità contro”, invece, era meno legata all’indipendenza e più alla contrapposizione indiretta agli Stati Uniti. Negli anni Settanta, numerosi governi rivendicavano il non allineamento pur beneficiando del sostegno sovietico. Queste correnti sopravvissero alle crisi del debito degli anni Ottanta, al crollo dell’URSS nel 1991 e alla fase unipolare della metà degli anni Novanta.

Agli inizi degli anni Duemila, la Cina rilanciò questa tradizione, presentandosi come portavoce del mondo in via di sviluppo, ampliando i propri rapporti in Africa, Asia e America Latina e sostenendo la multipolarità come alternativa all’egemonia finanziaria occidentale. La persistenza della centralità del dollaro e la distribuzione asimmetrica di potere nelle istituzioni globali alimentarono questa narrazione, consentendo ai BRICS di diventare l’espressione istituzionale di tali malcontenti.

La Russia, segnata dagli sconvolgimenti degli anni Novanta, vide nei BRICS un quadro utile alla propria politica di resistenza. Il suo ruolo si inserisce perfettamente nella tradizione della “neutralità contro”, in cui il presunto non allineamento diventa opposizione agli Stati Uniti—soprattutto dopo le sanzioni statunitensi del 2014 e del 2022.

La creazione della Nuova Banca di Sviluppo nel 2014, l’estensione degli accordi bilaterali di swap valutario e la graduale promozione del commercio denominato in yuan costituiscono strumenti mirati a ridurre il peso del dollaro, pur presentando il progetto come riformista anziché rivoluzionario.

Il Brasile ha adottato un atteggiamento più elastico. La sua diplomazia continua a esprimere una “neutralità per”, cercando margini di vantaggio nel sistema internazionale senza rompere i legami con Stati Uniti o Unione Europea.

L’India, tra i fondatori del Movimento dei Non Allineati, resta ancorata al valore dell’autonomia strategica. La rivalità con la Cina, acuita dagli scontri nel Ladakh nel 2020, riduce la sua disponibilità ad accettare strutture che amplino l’influenza di Pechino, pur continuando a investire nel quadro BRICS.

L’agenda finanziaria dei BRICS, orientata a favorire scambi non in dollari, diversificare le riserve e costruire istituzioni parallele, trasforma il tradizionale sentimento del non allineamento in una minaccia concreta agli interessi americani. Dalla creazione del sistema di Bretton Woods nel 1944, il primato del dollaro ha costituito la base del potere globale degli Stati Uniti.13 I BRICS non dispongono della coesione necessaria a scalzare del tutto il dollaro, ma possono fornire copertura politica e un quadro istituzionale alla “neutralità contro”. Così facendo, minano la legittimità del dollaro e dell’ordine internazionale dominato dagli Stati Uniti.

Tutto questo spaventa terribilmente l’Occidente guidato dal dollaro come “valuta universale”, lentamente ma efficacemente smantellato dai Paesi BRICS e del Sud Globale. L’America, dal canto suo, si nasconde dietro a un dito, così tanto che l’Hudson Institute ha addirittura dedicato un intero paper al problema, riflettendo su quali strategie “efficaci” adottare per controbattere ai BRICS e alla loro deleteria volontà di rovinare il giocattolo valutario statunitense.

L’agenda finanziaria dei BRICS

Stando a quanto riportato nel paper, la potenza economica globale di Washington poggia soprattutto sulla centralità del dollaro e sul predominio del sistema SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), la rete di messaggistica sicura che collega banche in tutto il mondo, permettendo agli Stati Uniti di monitorare i flussi finanziari e facilitare l’applicazione di sanzioni, il contrasto al riciclaggio e la lotta al finanziamento del terrorismo. Questa trasparenza distingue il sistema basato sul dollaro dalle reti informali più antiche.

I BRICS, invece, vogliono creare canali difficilmente monitorabili dall’esterno, in modo analogo alle modalità con cui… udite udite, le cellule terroristiche utilizzavano l’hawala, l’antico sistema di scambio valutario nato nell’Asia meridionale dell’VIII secolo, che funzionava attraverso reti fiduciarie senza registri centralizzati né supervisione, lasciando pochissime tracce. E come quest’ultima, il gruppo promuove regolamenti in valuta locale e sistemi di pagamento alternativi. La differenza è che, mentre l’hawala si basa su reti informali, i BRICS puntano a un coordinamento ufficiale tra grandi economie per edificare alternative solide alle valute di riserva dominanti. E questo per gli USA è un colpo bassissimo, incassato molto male.

Il controllo americano sul dollaro e su SWIFT costituisce il fulcro della sua strategia finanziaria. In passato, chi voleva eludere la vigilanza statunitense ricorreva a metodi informali che restavano marginali e non potevano competere con la liquidità e l’affidabilità del dollaro. La Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS, il sistema cinese CIPS e l’aumento degli accordi di swap valutario sono tentativi coordinati di creare alternative ai pagamenti in dollari, spostando la sfida dal margine al centro della finanza globale. I membri BRICS dipendono ancora dalla liquidità del dollaro, ma ogni vertice rafforza la credibilità delle alternative, mentre la de-dollarizzazione passa dal livello delle intenzioni a quello delle politiche.

La capacità di Washington di revocare l’accesso a SWIFT—come avvenuto contro l’Iran nel 2012 e la Russia nel 2022—è una delle sue armi economiche, ma si è rivelata quasi del tutto inefficace, dimostrando, a colpi di svalutazione valutaria, che le alternative al mondo basato sul dollaro esistono, e persino funzionano. Gli Stati che rifiutano l’egemonia del dollaro vengono definiti “ostili” e meritevoli di una punizione. La sovranità finanziaria non è ammessa nei club di Washington.

Il gruppo ha avanzato vari possibili strumenti di sostituzione del dollaro.

  1. Valute nazionali alternative. Alcuni membri, soprattutto la Cina, puntano ad ampliare l’uso delle loro monete negli scambi commerciali. Pechino utilizza accordi bilaterali di swap e il sistema CIPS—la sua versione alternativa a SWIFT—per estendere l’area di impiego dello yuan. Dopo l’inasprimento delle sanzioni occidentali contro la Russia, Mosca e Pechino regolano crescenti quote del commercio bilaterale in yuan e rubli, mentre l’India ha sperimentato scambi denominati in rupie.
  2. Accordi di baratto e meccanismi di compensazione. Alcuni membri dei BRICS ricorrono già a questi strumenti. India e Russia hanno effettuato scambi in rupie e rubli, e l’Iran utilizza da tempo accordi di baratto per supplire alla scarsità di valuta pregiata. Tali sistemi possono sostenere economie colpite da sanzioni o difficoltà finanziarie, ma risultano difficili da bilanciare e ampliare, soprattutto in contesti multilaterali, che però feriscono la presa del dollaro sul mercato.
  3. Valute digitali. Lo scenario più innovativo riguarda i sistemi di pagamento basati sulle criptovalute. Le criptovalute, soprattutto le stablecoin, operano già come una sorta di sistema bancario parallelo in stati fragili o pesantemente sanzionati, come Venezuela o Iran. Ancorate al dollaro, stablecoin come USDT e USDC offrono uno strumento di conservazione del valore e permettono trasferimenti internazionali rapidi e a basso costo. Tuttavia, il loro rapporto con il potere americano è ambiguo: da un lato competono con le istituzioni finanziarie statunitensi, dall’altro rafforzano l’influenza del dollaro ampliandone la presenza digitale. Un’iniziativa BRICS coordinata punterebbe invece a svincolarsi completamente dal dollaro. La Cina ha sperimentato lo yuan digitale, mentre la Russia ha adottato politiche favorevoli allo sviluppo delle criptovalute. Il progetto BRICS Pay, pensato per gestire transazioni transfrontaliere in valute locali, è ancora in fase embrionale.

Tutelare il Golfo per mantenere il potere monetario

I BRICS hanno individuato nel Golfo uno dei principali terreni per sfidare la supremazia monetaria che sostiene l’influenza americana dagli anni Settanta. Gli USA, come noto, hanno fondato un vero e proprio sistema imperialistico attraverso il petrol-dollaro, cioè il dollaro stabilito come valuta di compravendita del greggio. Ma qualcosa sta inesorabilmente cambiando.

La Cina guida la strategia del partenariato incoraggiando i produttori di petrolio del Golfo a denominare una parte delle vendite in yuan. Allo stesso tempo, il ruolo di Huawei nella definizione degli standard tecnologici regionali potrebbe favorire la creazione di circuiti di pagamento e reti dati alternativi per aggirare la supervisione occidentale. Pechino ha anche incoraggiato i fondi sovrani di Abu Dhabi, Riad e Doha a investire in piattaforme denominate in yuan, valute digitali e sistemi commerciali basati su blockchain.

Anche Russia e Iran contribuiscono: Mosca conduce transazioni energetiche, militari e finanziarie con Teheran utilizzando rubli e rial, riducendo l’esposizione alle sanzioni statunitensi. L’Iran, da parte sua, mantiene in vita la sua economia tramite baratti, trasferimenti in oro e reti di criptovalute che aggirano i canali bancari tradizionali. Questi sistemi paralleli mostrano ai potenziali partner dei BRICS che il commercio può continuare anche al di fuori dell’orbita del dollaro e nonostante intense pressioni americane. L’obiettivo è, in ogni caso, ridurre la dipendenza del Golfo dal dollaro e limitare la portata delle sanzioni statunitensi, presentando tali mosse come un semplice “riequilibrio” contro le coercizioni economiche occidentali.

Gli Emirati Arabi Uniti, un alleato di sicurezza di primo piano per gli Stati Uniti e un hub finanziario strategico, sono entrati nel gruppo nel 2023. La scelta non implica una rottura con Washington, ma riflette la valutazione di Abu Dhabi che i BRICS offrano vantaggi concreti a costi ridotti. Una logica simile guida l’Arabia Saudita: pur non essendo ancora membro formale, Riad ha partecipato ai vertici, discusso la possibilità di vendite petrolifere in yuan e avviato iniziative di investimento con la Cina. Le aperture di Riad e Abu Dhabi rafforzano la legittimità del blocco e mostrano che l’adesione ai BRICS è compatibile con il mantenimento dei tradizionali legami di sicurezza con gli Stati Uniti. Ciò rende più difficile per Washington descrivere il gruppo come marginale o come intrinsecamente anti-occidentale, allorché attirando alleati del Golfo nella propria orbita, Cina e Russia minano la narrativa centrale dell’ordine finanziario americano.

Vuote raccomandazioni

I responsabili politici americani hanno iniziato a riconoscere il rischio rappresentato dalle istituzioni finanziarie parallele. La firma da parte del presidente Trump del Guiding and Establishing National Innovation for US Stablecoins (GENIUS) Act ha posto le basi per meccanismi di controllo mirati a contrastare l’uso delle stablecoin per eludere le sanzioni, ma la realtà è che queste limitazioni sono valide solo nella giurisdizione americana, mentre la maggioranza delle cryptovalute è collocata fuori dal contesto giuridico americano.

La regolamentazione interna statunitense non basterà gli USA per estendere il dominio su queste nuove forme valutarie. Il ritmo dell’innovazione finanziaria è troppo rapido e gli incentivi dei BRICS a perseguire sovranità monetaria sono troppo forti perché possano rinunciare alla ricerca di alternative digitali e politiche. Per preservare lo status del dollaro—e quindi la capacità degli Stati Uniti di esercitare supervisione finanziaria globale—Washington dovrà adottare una combinazione di misure economiche, normative e diplomatiche. Altrimenti sarà il caso di dire “Bye bye mr. Dollar!”.

Dal punto di vista americano, qualsiasi istituzione finanziaria che scelga di operare entro un sistema di compensazione creato per aggirare SWIFT dovrebbe perdere l’accesso sia a SWIFT che alle transazioni in dollari. La scelta, per le banche, sarebbe semplice: perdere l’accesso al sistema statunitense—che gestisce la maggior parte delle transazioni globali—sarebbe molto più costoso che accedere a una rete alternativa promossa dai BRICS.

Washington si è già prodigata nel ricordare agli Stati interessati a entrare nei BRICS i costi del sostenere un progetto volto a indebolire gli Stati Uniti, con minacce, ritorsioni e dazi. Per la leadership americana, i membri attuali andrebbero dissuasi dal partecipare agli sforzi russi, cinesi o iraniani per erodere il ruolo del dollaro. Ma la valuta “più potente del mondo” è, ormai, un lontano ricordo, e nessuno dei partner vuole correre il rischio di perdere l’opportunità di un futuro fuori dall’egemonia americana. Perché, sia chiaro, ormai sono tutti stanchi di questa prepotenza.

Il dollaro, signore e signori, è ormai incamminato inesorabilmente verso il fuorigioco.  Per gli USA, difenderne la centralità significa preservare la capacità americana di monitorare le transazioni internazionali e di applicare misure a proprio piacimento sotto mentite spoglie di “operazioni umanitarie”. Se Washington non agirà in modo deciso per difendere SWIFT, regolamentare le stablecoin, esercitare pressione diplomatica e rafforzare la legittimità della supervisione finanziaria americana, i BRICS continueranno a definire un ordine monetario alternativo e antagonistico agli Stati Uniti, presentandosi come paladini del non allineamento e della multipolarità.

Buona fine del dollaro a tutti!

Terror Dollar Baby

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Nel luglio 2025, il presidente Donald Trump dichiarò al suo gabinetto: “I BRICS sono stati creati per danneggiarci, sono stati concepiti per indebolire il nostro dollaro e rimuoverlo come riferimento globale”. La sua affermazione diretta riflette una crescente preoccupazione negli Stati Uniti: l’idea che i BRICS—un tempo un semplice coordinamento di economie emergenti come Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica—si siano trasformati in un blocco deciso a sfidare le istituzioni guidate dall’Occidente e a mettere in discussione la supremazia finanziaria americana. La questione centrale riguarda la reale capacità dei BRICS di costituire uno strumento efficace, giacché la nascita del gruppo non è stata casuale né inattesa.

L’aggregazione riflette una lunga accumulazione di sentimenti risalenti alla Guerra Fredda e alle lotte postcoloniali. Il Movimento dei Paesi Non Allineati, fondato a Belgrado nel 1961, offrì una dimensione istituzionale al desiderio dei nuovi stati indipendenti di evitare l’obbligo di schierarsi con Washington o Mosca; ma la neutralità assunse presto significati differenti, poiché mirava a una reale autonomia, come nel caso dell’India di Jawaharlal Nehru o della Jugoslavia di Josip Tito. Questi paesi puntavano su sovranità e libertà di manovra. Una “neutralità contro”, invece, era meno legata all’indipendenza e più alla contrapposizione indiretta agli Stati Uniti. Negli anni Settanta, numerosi governi rivendicavano il non allineamento pur beneficiando del sostegno sovietico. Queste correnti sopravvissero alle crisi del debito degli anni Ottanta, al crollo dell’URSS nel 1991 e alla fase unipolare della metà degli anni Novanta.

Agli inizi degli anni Duemila, la Cina rilanciò questa tradizione, presentandosi come portavoce del mondo in via di sviluppo, ampliando i propri rapporti in Africa, Asia e America Latina e sostenendo la multipolarità come alternativa all’egemonia finanziaria occidentale. La persistenza della centralità del dollaro e la distribuzione asimmetrica di potere nelle istituzioni globali alimentarono questa narrazione, consentendo ai BRICS di diventare l’espressione istituzionale di tali malcontenti.

La Russia, segnata dagli sconvolgimenti degli anni Novanta, vide nei BRICS un quadro utile alla propria politica di resistenza. Il suo ruolo si inserisce perfettamente nella tradizione della “neutralità contro”, in cui il presunto non allineamento diventa opposizione agli Stati Uniti—soprattutto dopo le sanzioni statunitensi del 2014 e del 2022.

La creazione della Nuova Banca di Sviluppo nel 2014, l’estensione degli accordi bilaterali di swap valutario e la graduale promozione del commercio denominato in yuan costituiscono strumenti mirati a ridurre il peso del dollaro, pur presentando il progetto come riformista anziché rivoluzionario.

Il Brasile ha adottato un atteggiamento più elastico. La sua diplomazia continua a esprimere una “neutralità per”, cercando margini di vantaggio nel sistema internazionale senza rompere i legami con Stati Uniti o Unione Europea.

L’India, tra i fondatori del Movimento dei Non Allineati, resta ancorata al valore dell’autonomia strategica. La rivalità con la Cina, acuita dagli scontri nel Ladakh nel 2020, riduce la sua disponibilità ad accettare strutture che amplino l’influenza di Pechino, pur continuando a investire nel quadro BRICS.

L’agenda finanziaria dei BRICS, orientata a favorire scambi non in dollari, diversificare le riserve e costruire istituzioni parallele, trasforma il tradizionale sentimento del non allineamento in una minaccia concreta agli interessi americani. Dalla creazione del sistema di Bretton Woods nel 1944, il primato del dollaro ha costituito la base del potere globale degli Stati Uniti.13 I BRICS non dispongono della coesione necessaria a scalzare del tutto il dollaro, ma possono fornire copertura politica e un quadro istituzionale alla “neutralità contro”. Così facendo, minano la legittimità del dollaro e dell’ordine internazionale dominato dagli Stati Uniti.

Tutto questo spaventa terribilmente l’Occidente guidato dal dollaro come “valuta universale”, lentamente ma efficacemente smantellato dai Paesi BRICS e del Sud Globale. L’America, dal canto suo, si nasconde dietro a un dito, così tanto che l’Hudson Institute ha addirittura dedicato un intero paper al problema, riflettendo su quali strategie “efficaci” adottare per controbattere ai BRICS e alla loro deleteria volontà di rovinare il giocattolo valutario statunitense.

L’agenda finanziaria dei BRICS

Stando a quanto riportato nel paper, la potenza economica globale di Washington poggia soprattutto sulla centralità del dollaro e sul predominio del sistema SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), la rete di messaggistica sicura che collega banche in tutto il mondo, permettendo agli Stati Uniti di monitorare i flussi finanziari e facilitare l’applicazione di sanzioni, il contrasto al riciclaggio e la lotta al finanziamento del terrorismo. Questa trasparenza distingue il sistema basato sul dollaro dalle reti informali più antiche.

I BRICS, invece, vogliono creare canali difficilmente monitorabili dall’esterno, in modo analogo alle modalità con cui… udite udite, le cellule terroristiche utilizzavano l’hawala, l’antico sistema di scambio valutario nato nell’Asia meridionale dell’VIII secolo, che funzionava attraverso reti fiduciarie senza registri centralizzati né supervisione, lasciando pochissime tracce. E come quest’ultima, il gruppo promuove regolamenti in valuta locale e sistemi di pagamento alternativi. La differenza è che, mentre l’hawala si basa su reti informali, i BRICS puntano a un coordinamento ufficiale tra grandi economie per edificare alternative solide alle valute di riserva dominanti. E questo per gli USA è un colpo bassissimo, incassato molto male.

Il controllo americano sul dollaro e su SWIFT costituisce il fulcro della sua strategia finanziaria. In passato, chi voleva eludere la vigilanza statunitense ricorreva a metodi informali che restavano marginali e non potevano competere con la liquidità e l’affidabilità del dollaro. La Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS, il sistema cinese CIPS e l’aumento degli accordi di swap valutario sono tentativi coordinati di creare alternative ai pagamenti in dollari, spostando la sfida dal margine al centro della finanza globale. I membri BRICS dipendono ancora dalla liquidità del dollaro, ma ogni vertice rafforza la credibilità delle alternative, mentre la de-dollarizzazione passa dal livello delle intenzioni a quello delle politiche.

La capacità di Washington di revocare l’accesso a SWIFT—come avvenuto contro l’Iran nel 2012 e la Russia nel 2022—è una delle sue armi economiche, ma si è rivelata quasi del tutto inefficace, dimostrando, a colpi di svalutazione valutaria, che le alternative al mondo basato sul dollaro esistono, e persino funzionano. Gli Stati che rifiutano l’egemonia del dollaro vengono definiti “ostili” e meritevoli di una punizione. La sovranità finanziaria non è ammessa nei club di Washington.

Il gruppo ha avanzato vari possibili strumenti di sostituzione del dollaro.

  1. Valute nazionali alternative. Alcuni membri, soprattutto la Cina, puntano ad ampliare l’uso delle loro monete negli scambi commerciali. Pechino utilizza accordi bilaterali di swap e il sistema CIPS—la sua versione alternativa a SWIFT—per estendere l’area di impiego dello yuan. Dopo l’inasprimento delle sanzioni occidentali contro la Russia, Mosca e Pechino regolano crescenti quote del commercio bilaterale in yuan e rubli, mentre l’India ha sperimentato scambi denominati in rupie.
  2. Accordi di baratto e meccanismi di compensazione. Alcuni membri dei BRICS ricorrono già a questi strumenti. India e Russia hanno effettuato scambi in rupie e rubli, e l’Iran utilizza da tempo accordi di baratto per supplire alla scarsità di valuta pregiata. Tali sistemi possono sostenere economie colpite da sanzioni o difficoltà finanziarie, ma risultano difficili da bilanciare e ampliare, soprattutto in contesti multilaterali, che però feriscono la presa del dollaro sul mercato.
  3. Valute digitali. Lo scenario più innovativo riguarda i sistemi di pagamento basati sulle criptovalute. Le criptovalute, soprattutto le stablecoin, operano già come una sorta di sistema bancario parallelo in stati fragili o pesantemente sanzionati, come Venezuela o Iran. Ancorate al dollaro, stablecoin come USDT e USDC offrono uno strumento di conservazione del valore e permettono trasferimenti internazionali rapidi e a basso costo. Tuttavia, il loro rapporto con il potere americano è ambiguo: da un lato competono con le istituzioni finanziarie statunitensi, dall’altro rafforzano l’influenza del dollaro ampliandone la presenza digitale. Un’iniziativa BRICS coordinata punterebbe invece a svincolarsi completamente dal dollaro. La Cina ha sperimentato lo yuan digitale, mentre la Russia ha adottato politiche favorevoli allo sviluppo delle criptovalute. Il progetto BRICS Pay, pensato per gestire transazioni transfrontaliere in valute locali, è ancora in fase embrionale.

Tutelare il Golfo per mantenere il potere monetario

I BRICS hanno individuato nel Golfo uno dei principali terreni per sfidare la supremazia monetaria che sostiene l’influenza americana dagli anni Settanta. Gli USA, come noto, hanno fondato un vero e proprio sistema imperialistico attraverso il petrol-dollaro, cioè il dollaro stabilito come valuta di compravendita del greggio. Ma qualcosa sta inesorabilmente cambiando.

La Cina guida la strategia del partenariato incoraggiando i produttori di petrolio del Golfo a denominare una parte delle vendite in yuan. Allo stesso tempo, il ruolo di Huawei nella definizione degli standard tecnologici regionali potrebbe favorire la creazione di circuiti di pagamento e reti dati alternativi per aggirare la supervisione occidentale. Pechino ha anche incoraggiato i fondi sovrani di Abu Dhabi, Riad e Doha a investire in piattaforme denominate in yuan, valute digitali e sistemi commerciali basati su blockchain.

Anche Russia e Iran contribuiscono: Mosca conduce transazioni energetiche, militari e finanziarie con Teheran utilizzando rubli e rial, riducendo l’esposizione alle sanzioni statunitensi. L’Iran, da parte sua, mantiene in vita la sua economia tramite baratti, trasferimenti in oro e reti di criptovalute che aggirano i canali bancari tradizionali. Questi sistemi paralleli mostrano ai potenziali partner dei BRICS che il commercio può continuare anche al di fuori dell’orbita del dollaro e nonostante intense pressioni americane. L’obiettivo è, in ogni caso, ridurre la dipendenza del Golfo dal dollaro e limitare la portata delle sanzioni statunitensi, presentando tali mosse come un semplice “riequilibrio” contro le coercizioni economiche occidentali.

Gli Emirati Arabi Uniti, un alleato di sicurezza di primo piano per gli Stati Uniti e un hub finanziario strategico, sono entrati nel gruppo nel 2023. La scelta non implica una rottura con Washington, ma riflette la valutazione di Abu Dhabi che i BRICS offrano vantaggi concreti a costi ridotti. Una logica simile guida l’Arabia Saudita: pur non essendo ancora membro formale, Riad ha partecipato ai vertici, discusso la possibilità di vendite petrolifere in yuan e avviato iniziative di investimento con la Cina. Le aperture di Riad e Abu Dhabi rafforzano la legittimità del blocco e mostrano che l’adesione ai BRICS è compatibile con il mantenimento dei tradizionali legami di sicurezza con gli Stati Uniti. Ciò rende più difficile per Washington descrivere il gruppo come marginale o come intrinsecamente anti-occidentale, allorché attirando alleati del Golfo nella propria orbita, Cina e Russia minano la narrativa centrale dell’ordine finanziario americano.

Vuote raccomandazioni

I responsabili politici americani hanno iniziato a riconoscere il rischio rappresentato dalle istituzioni finanziarie parallele. La firma da parte del presidente Trump del Guiding and Establishing National Innovation for US Stablecoins (GENIUS) Act ha posto le basi per meccanismi di controllo mirati a contrastare l’uso delle stablecoin per eludere le sanzioni, ma la realtà è che queste limitazioni sono valide solo nella giurisdizione americana, mentre la maggioranza delle cryptovalute è collocata fuori dal contesto giuridico americano.

La regolamentazione interna statunitense non basterà gli USA per estendere il dominio su queste nuove forme valutarie. Il ritmo dell’innovazione finanziaria è troppo rapido e gli incentivi dei BRICS a perseguire sovranità monetaria sono troppo forti perché possano rinunciare alla ricerca di alternative digitali e politiche. Per preservare lo status del dollaro—e quindi la capacità degli Stati Uniti di esercitare supervisione finanziaria globale—Washington dovrà adottare una combinazione di misure economiche, normative e diplomatiche. Altrimenti sarà il caso di dire “Bye bye mr. Dollar!”.

Dal punto di vista americano, qualsiasi istituzione finanziaria che scelga di operare entro un sistema di compensazione creato per aggirare SWIFT dovrebbe perdere l’accesso sia a SWIFT che alle transazioni in dollari. La scelta, per le banche, sarebbe semplice: perdere l’accesso al sistema statunitense—che gestisce la maggior parte delle transazioni globali—sarebbe molto più costoso che accedere a una rete alternativa promossa dai BRICS.

Washington si è già prodigata nel ricordare agli Stati interessati a entrare nei BRICS i costi del sostenere un progetto volto a indebolire gli Stati Uniti, con minacce, ritorsioni e dazi. Per la leadership americana, i membri attuali andrebbero dissuasi dal partecipare agli sforzi russi, cinesi o iraniani per erodere il ruolo del dollaro. Ma la valuta “più potente del mondo” è, ormai, un lontano ricordo, e nessuno dei partner vuole correre il rischio di perdere l’opportunità di un futuro fuori dall’egemonia americana. Perché, sia chiaro, ormai sono tutti stanchi di questa prepotenza.

Il dollaro, signore e signori, è ormai incamminato inesorabilmente verso il fuorigioco.  Per gli USA, difenderne la centralità significa preservare la capacità americana di monitorare le transazioni internazionali e di applicare misure a proprio piacimento sotto mentite spoglie di “operazioni umanitarie”. Se Washington non agirà in modo deciso per difendere SWIFT, regolamentare le stablecoin, esercitare pressione diplomatica e rafforzare la legittimità della supervisione finanziaria americana, i BRICS continueranno a definire un ordine monetario alternativo e antagonistico agli Stati Uniti, presentandosi come paladini del non allineamento e della multipolarità.

Buona fine del dollaro a tutti!

C’è una paura che serpeggia nelle strade dell’Occidente collettivo: un’idea terrificante, un mostro di indicibile orrore che tormenta i sogni dei suoi leader: i BRICS.

Segue nostro Telegram.

Nascondersi dietro il dito

C’è una paura che corre per le strade dell’Occidente collettivo, un’idea terrificante, un mostro di inarrivabile orrore che ammorba i sogni dei leader: i BRICS. E, ancor peggio, ciò che essi stanno facendo: abbattere l’egemonia del dollaro americano.

Nel luglio 2025, il presidente Donald Trump dichiarò al suo gabinetto: “I BRICS sono stati creati per danneggiarci, sono stati concepiti per indebolire il nostro dollaro e rimuoverlo come riferimento globale”. La sua affermazione diretta riflette una crescente preoccupazione negli Stati Uniti: l’idea che i BRICS—un tempo un semplice coordinamento di economie emergenti come Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica—si siano trasformati in un blocco deciso a sfidare le istituzioni guidate dall’Occidente e a mettere in discussione la supremazia finanziaria americana. La questione centrale riguarda la reale capacità dei BRICS di costituire uno strumento efficace, giacché la nascita del gruppo non è stata casuale né inattesa.

L’aggregazione riflette una lunga accumulazione di sentimenti risalenti alla Guerra Fredda e alle lotte postcoloniali. Il Movimento dei Paesi Non Allineati, fondato a Belgrado nel 1961, offrì una dimensione istituzionale al desiderio dei nuovi stati indipendenti di evitare l’obbligo di schierarsi con Washington o Mosca; ma la neutralità assunse presto significati differenti, poiché mirava a una reale autonomia, come nel caso dell’India di Jawaharlal Nehru o della Jugoslavia di Josip Tito. Questi paesi puntavano su sovranità e libertà di manovra. Una “neutralità contro”, invece, era meno legata all’indipendenza e più alla contrapposizione indiretta agli Stati Uniti. Negli anni Settanta, numerosi governi rivendicavano il non allineamento pur beneficiando del sostegno sovietico. Queste correnti sopravvissero alle crisi del debito degli anni Ottanta, al crollo dell’URSS nel 1991 e alla fase unipolare della metà degli anni Novanta.

Agli inizi degli anni Duemila, la Cina rilanciò questa tradizione, presentandosi come portavoce del mondo in via di sviluppo, ampliando i propri rapporti in Africa, Asia e America Latina e sostenendo la multipolarità come alternativa all’egemonia finanziaria occidentale. La persistenza della centralità del dollaro e la distribuzione asimmetrica di potere nelle istituzioni globali alimentarono questa narrazione, consentendo ai BRICS di diventare l’espressione istituzionale di tali malcontenti.

La Russia, segnata dagli sconvolgimenti degli anni Novanta, vide nei BRICS un quadro utile alla propria politica di resistenza. Il suo ruolo si inserisce perfettamente nella tradizione della “neutralità contro”, in cui il presunto non allineamento diventa opposizione agli Stati Uniti—soprattutto dopo le sanzioni statunitensi del 2014 e del 2022.

La creazione della Nuova Banca di Sviluppo nel 2014, l’estensione degli accordi bilaterali di swap valutario e la graduale promozione del commercio denominato in yuan costituiscono strumenti mirati a ridurre il peso del dollaro, pur presentando il progetto come riformista anziché rivoluzionario.

Il Brasile ha adottato un atteggiamento più elastico. La sua diplomazia continua a esprimere una “neutralità per”, cercando margini di vantaggio nel sistema internazionale senza rompere i legami con Stati Uniti o Unione Europea.

L’India, tra i fondatori del Movimento dei Non Allineati, resta ancorata al valore dell’autonomia strategica. La rivalità con la Cina, acuita dagli scontri nel Ladakh nel 2020, riduce la sua disponibilità ad accettare strutture che amplino l’influenza di Pechino, pur continuando a investire nel quadro BRICS.

L’agenda finanziaria dei BRICS, orientata a favorire scambi non in dollari, diversificare le riserve e costruire istituzioni parallele, trasforma il tradizionale sentimento del non allineamento in una minaccia concreta agli interessi americani. Dalla creazione del sistema di Bretton Woods nel 1944, il primato del dollaro ha costituito la base del potere globale degli Stati Uniti.13 I BRICS non dispongono della coesione necessaria a scalzare del tutto il dollaro, ma possono fornire copertura politica e un quadro istituzionale alla “neutralità contro”. Così facendo, minano la legittimità del dollaro e dell’ordine internazionale dominato dagli Stati Uniti.

Tutto questo spaventa terribilmente l’Occidente guidato dal dollaro come “valuta universale”, lentamente ma efficacemente smantellato dai Paesi BRICS e del Sud Globale. L’America, dal canto suo, si nasconde dietro a un dito, così tanto che l’Hudson Institute ha addirittura dedicato un intero paper al problema, riflettendo su quali strategie “efficaci” adottare per controbattere ai BRICS e alla loro deleteria volontà di rovinare il giocattolo valutario statunitense.

L’agenda finanziaria dei BRICS

Stando a quanto riportato nel paper, la potenza economica globale di Washington poggia soprattutto sulla centralità del dollaro e sul predominio del sistema SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), la rete di messaggistica sicura che collega banche in tutto il mondo, permettendo agli Stati Uniti di monitorare i flussi finanziari e facilitare l’applicazione di sanzioni, il contrasto al riciclaggio e la lotta al finanziamento del terrorismo. Questa trasparenza distingue il sistema basato sul dollaro dalle reti informali più antiche.

I BRICS, invece, vogliono creare canali difficilmente monitorabili dall’esterno, in modo analogo alle modalità con cui… udite udite, le cellule terroristiche utilizzavano l’hawala, l’antico sistema di scambio valutario nato nell’Asia meridionale dell’VIII secolo, che funzionava attraverso reti fiduciarie senza registri centralizzati né supervisione, lasciando pochissime tracce. E come quest’ultima, il gruppo promuove regolamenti in valuta locale e sistemi di pagamento alternativi. La differenza è che, mentre l’hawala si basa su reti informali, i BRICS puntano a un coordinamento ufficiale tra grandi economie per edificare alternative solide alle valute di riserva dominanti. E questo per gli USA è un colpo bassissimo, incassato molto male.

Il controllo americano sul dollaro e su SWIFT costituisce il fulcro della sua strategia finanziaria. In passato, chi voleva eludere la vigilanza statunitense ricorreva a metodi informali che restavano marginali e non potevano competere con la liquidità e l’affidabilità del dollaro. La Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS, il sistema cinese CIPS e l’aumento degli accordi di swap valutario sono tentativi coordinati di creare alternative ai pagamenti in dollari, spostando la sfida dal margine al centro della finanza globale. I membri BRICS dipendono ancora dalla liquidità del dollaro, ma ogni vertice rafforza la credibilità delle alternative, mentre la de-dollarizzazione passa dal livello delle intenzioni a quello delle politiche.

La capacità di Washington di revocare l’accesso a SWIFT—come avvenuto contro l’Iran nel 2012 e la Russia nel 2022—è una delle sue armi economiche, ma si è rivelata quasi del tutto inefficace, dimostrando, a colpi di svalutazione valutaria, che le alternative al mondo basato sul dollaro esistono, e persino funzionano. Gli Stati che rifiutano l’egemonia del dollaro vengono definiti “ostili” e meritevoli di una punizione. La sovranità finanziaria non è ammessa nei club di Washington.

Il gruppo ha avanzato vari possibili strumenti di sostituzione del dollaro.

  1. Valute nazionali alternative. Alcuni membri, soprattutto la Cina, puntano ad ampliare l’uso delle loro monete negli scambi commerciali. Pechino utilizza accordi bilaterali di swap e il sistema CIPS—la sua versione alternativa a SWIFT—per estendere l’area di impiego dello yuan. Dopo l’inasprimento delle sanzioni occidentali contro la Russia, Mosca e Pechino regolano crescenti quote del commercio bilaterale in yuan e rubli, mentre l’India ha sperimentato scambi denominati in rupie.
  2. Accordi di baratto e meccanismi di compensazione. Alcuni membri dei BRICS ricorrono già a questi strumenti. India e Russia hanno effettuato scambi in rupie e rubli, e l’Iran utilizza da tempo accordi di baratto per supplire alla scarsità di valuta pregiata. Tali sistemi possono sostenere economie colpite da sanzioni o difficoltà finanziarie, ma risultano difficili da bilanciare e ampliare, soprattutto in contesti multilaterali, che però feriscono la presa del dollaro sul mercato.
  3. Valute digitali. Lo scenario più innovativo riguarda i sistemi di pagamento basati sulle criptovalute. Le criptovalute, soprattutto le stablecoin, operano già come una sorta di sistema bancario parallelo in stati fragili o pesantemente sanzionati, come Venezuela o Iran. Ancorate al dollaro, stablecoin come USDT e USDC offrono uno strumento di conservazione del valore e permettono trasferimenti internazionali rapidi e a basso costo. Tuttavia, il loro rapporto con il potere americano è ambiguo: da un lato competono con le istituzioni finanziarie statunitensi, dall’altro rafforzano l’influenza del dollaro ampliandone la presenza digitale. Un’iniziativa BRICS coordinata punterebbe invece a svincolarsi completamente dal dollaro. La Cina ha sperimentato lo yuan digitale, mentre la Russia ha adottato politiche favorevoli allo sviluppo delle criptovalute. Il progetto BRICS Pay, pensato per gestire transazioni transfrontaliere in valute locali, è ancora in fase embrionale.

Tutelare il Golfo per mantenere il potere monetario

I BRICS hanno individuato nel Golfo uno dei principali terreni per sfidare la supremazia monetaria che sostiene l’influenza americana dagli anni Settanta. Gli USA, come noto, hanno fondato un vero e proprio sistema imperialistico attraverso il petrol-dollaro, cioè il dollaro stabilito come valuta di compravendita del greggio. Ma qualcosa sta inesorabilmente cambiando.

La Cina guida la strategia del partenariato incoraggiando i produttori di petrolio del Golfo a denominare una parte delle vendite in yuan. Allo stesso tempo, il ruolo di Huawei nella definizione degli standard tecnologici regionali potrebbe favorire la creazione di circuiti di pagamento e reti dati alternativi per aggirare la supervisione occidentale. Pechino ha anche incoraggiato i fondi sovrani di Abu Dhabi, Riad e Doha a investire in piattaforme denominate in yuan, valute digitali e sistemi commerciali basati su blockchain.

Anche Russia e Iran contribuiscono: Mosca conduce transazioni energetiche, militari e finanziarie con Teheran utilizzando rubli e rial, riducendo l’esposizione alle sanzioni statunitensi. L’Iran, da parte sua, mantiene in vita la sua economia tramite baratti, trasferimenti in oro e reti di criptovalute che aggirano i canali bancari tradizionali. Questi sistemi paralleli mostrano ai potenziali partner dei BRICS che il commercio può continuare anche al di fuori dell’orbita del dollaro e nonostante intense pressioni americane. L’obiettivo è, in ogni caso, ridurre la dipendenza del Golfo dal dollaro e limitare la portata delle sanzioni statunitensi, presentando tali mosse come un semplice “riequilibrio” contro le coercizioni economiche occidentali.

Gli Emirati Arabi Uniti, un alleato di sicurezza di primo piano per gli Stati Uniti e un hub finanziario strategico, sono entrati nel gruppo nel 2023. La scelta non implica una rottura con Washington, ma riflette la valutazione di Abu Dhabi che i BRICS offrano vantaggi concreti a costi ridotti. Una logica simile guida l’Arabia Saudita: pur non essendo ancora membro formale, Riad ha partecipato ai vertici, discusso la possibilità di vendite petrolifere in yuan e avviato iniziative di investimento con la Cina. Le aperture di Riad e Abu Dhabi rafforzano la legittimità del blocco e mostrano che l’adesione ai BRICS è compatibile con il mantenimento dei tradizionali legami di sicurezza con gli Stati Uniti. Ciò rende più difficile per Washington descrivere il gruppo come marginale o come intrinsecamente anti-occidentale, allorché attirando alleati del Golfo nella propria orbita, Cina e Russia minano la narrativa centrale dell’ordine finanziario americano.

Vuote raccomandazioni

I responsabili politici americani hanno iniziato a riconoscere il rischio rappresentato dalle istituzioni finanziarie parallele. La firma da parte del presidente Trump del Guiding and Establishing National Innovation for US Stablecoins (GENIUS) Act ha posto le basi per meccanismi di controllo mirati a contrastare l’uso delle stablecoin per eludere le sanzioni, ma la realtà è che queste limitazioni sono valide solo nella giurisdizione americana, mentre la maggioranza delle cryptovalute è collocata fuori dal contesto giuridico americano.

La regolamentazione interna statunitense non basterà gli USA per estendere il dominio su queste nuove forme valutarie. Il ritmo dell’innovazione finanziaria è troppo rapido e gli incentivi dei BRICS a perseguire sovranità monetaria sono troppo forti perché possano rinunciare alla ricerca di alternative digitali e politiche. Per preservare lo status del dollaro—e quindi la capacità degli Stati Uniti di esercitare supervisione finanziaria globale—Washington dovrà adottare una combinazione di misure economiche, normative e diplomatiche. Altrimenti sarà il caso di dire “Bye bye mr. Dollar!”.

Dal punto di vista americano, qualsiasi istituzione finanziaria che scelga di operare entro un sistema di compensazione creato per aggirare SWIFT dovrebbe perdere l’accesso sia a SWIFT che alle transazioni in dollari. La scelta, per le banche, sarebbe semplice: perdere l’accesso al sistema statunitense—che gestisce la maggior parte delle transazioni globali—sarebbe molto più costoso che accedere a una rete alternativa promossa dai BRICS.

Washington si è già prodigata nel ricordare agli Stati interessati a entrare nei BRICS i costi del sostenere un progetto volto a indebolire gli Stati Uniti, con minacce, ritorsioni e dazi. Per la leadership americana, i membri attuali andrebbero dissuasi dal partecipare agli sforzi russi, cinesi o iraniani per erodere il ruolo del dollaro. Ma la valuta “più potente del mondo” è, ormai, un lontano ricordo, e nessuno dei partner vuole correre il rischio di perdere l’opportunità di un futuro fuori dall’egemonia americana. Perché, sia chiaro, ormai sono tutti stanchi di questa prepotenza.

Il dollaro, signore e signori, è ormai incamminato inesorabilmente verso il fuorigioco.  Per gli USA, difenderne la centralità significa preservare la capacità americana di monitorare le transazioni internazionali e di applicare misure a proprio piacimento sotto mentite spoglie di “operazioni umanitarie”. Se Washington non agirà in modo deciso per difendere SWIFT, regolamentare le stablecoin, esercitare pressione diplomatica e rafforzare la legittimità della supervisione finanziaria americana, i BRICS continueranno a definire un ordine monetario alternativo e antagonistico agli Stati Uniti, presentandosi come paladini del non allineamento e della multipolarità.

Buona fine del dollaro a tutti!

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