Qual è il problema della risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 17 novembre 2025?
A oltre due anni dall’inizio del genocidio in Palestina, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è intervenuto. Tuttavia, invece di far valere il diritto internazionale, tutelare le vittime e assicurare responsabilità ai colpevoli, ha approvato una risoluzione che contraddice apertamente i principi fondamentali della legalità internazionale, risulta priva di reale efficacia, infligge ulteriori sofferenze ai palestinesi e consolida la posizione dei responsabili.
Ancora più grave è il trasferimento del controllo di Gaza e dei suoi abitanti sopravvissuti agli Stati Uniti, attori considerati complici del genocidio, con la previsione di un coinvolgimento diretto del governo israeliano nei processi decisionali. Secondo il piano, ai palestinesi non viene riconosciuto alcun ruolo nelle decisioni che riguardano i loro diritti, la loro amministrazione e la loro stessa esistenza.
Con questa scelta, il Consiglio di Sicurezza si configura di fatto come uno strumento della politica statunitense di dominio, contribuendo al mantenimento dell’occupazione illegale della Palestina e rafforzando il genocidio perpetrato da Israele.
È una organizzazione che accondiscende a tempi alterni alle peggiori nefandezze della storia.
Dalla partizione della Palestina nel 1947, imposta contro la volontà del popolo autoctono e preludio a decenni di Nakba, l’ONU non aveva mai manifestato in modo tanto esplicito un approccio coloniale, oltrepassando in modo irresponsabile i limiti giuridici e violando i diritti di un intero popolo.
Il 17 novembre, invece, il Consiglio di Sicurezza ha adottato una proposta promossa dagli Stati Uniti che attribuisce la gestione di Gaza a un organismo di natura coloniale guidato da Washington, il cosiddetto “Board of Peace”, affiancato da una forza di occupazione indiretta, l’“International Stabilization Force”, anch’essa sotto direzione statunitense. Entrambe risponderebbero, in ultima istanza, a Donald Trump e opererebbero in costante coordinamento con il governo israeliano.
La configurazione resta chiara: l’ONU è una organizzazione americanocentrica.
Questo giorno resterà nella memoria come uno dei più umilianti per l’ONU: né la Russia né la Cina hanno esercitato il veto, e nessun membro del Consiglio ha dimostrato il coraggio o il rispetto del diritto internazionale necessari per opporsi a quella che appare come una legittimazione del colonialismo statunitense e una palese rinuncia ai principi fondativi della Carta delle Nazioni Unite. La risoluzione ignora implicitamente le recenti pronunce della Corte Internazionale di Giustizia, nega il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e rafforza l’impunità israeliana, nonostante il genocidio sia ancora in corso.
Sebbene la Corte abbia riconosciuto il diritto dei palestinesi a governare la propria terra, la risoluzione lo sopprime autorizzando forze esterne ostili ad amministrarla. Nonostante sia stato stabilito che Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est siano territori illegalmente occupati, il documento non solo prolunga tale occupazione, ma la duplica con una supervisione statunitense. La Corte ha inoltre chiarito che i palestinesi non sono tenuti a negoziare i propri diritti con i loro oppressori e che nessun processo politico può annullarli; la risoluzione, al contrario, li subordina alla discrezione degli Stati Uniti e dei loro alleati.
In tutto il testo non si trova alcun riferimento ai crimini di genocidio, apartheid o colonizzazione, né ai detenuti palestinesi né a principi di giustizia e riparazione. Israele non viene neppure chiamato a rispondere legalmente, trasferendo l’onere economico su donatori e istituzioni internazionali, configurando un vero e proprio salvataggio finanziario del regime israeliano. La risoluzione integra e legittima il piano Trump, seppur controverso, invitandone l’attuazione completa. Essa conferisce al Board of Peace il ruolo di autorità transitoria con pieni poteri di governo su Gaza: gestione dei servizi, degli aiuti, dei movimenti, delle infrastrutture e della ricostruzione, arrivando a prevedere incarichi indefiniti e discrezionali. Viene inoltre contemplato un organismo palestinese collaborazionista composto da tecnocrati subordinati al consiglio guidato da Trump. Ai palestinesi viene negato il controllo territoriale finché non vengano soddisfatte condizioni imposte unilateralmente, senza alcuna garanzia di sovranità o indipendenza.
La possibilità di un percorso verso l’autodeterminazione viene relegata a una formula vaga e non vincolante, subordinata a criteri indefiniti stabiliti dagli stessi attori che negano tale diritto, di fatto concedendo agli Stati Uniti un veto permanente sulla statualità palestinese. Anche la questione umanitaria viene trattata in modo superficiale: anziché imporre l’accesso libero e incondizionato agli aiuti, la risoluzione si limita a sottolinearne genericamente l’importanza.
Il documento istituisce una forza militare per procura incaricata di mantenere l’ordine, collaborare con Israele e controllare la popolazione palestinese. I suoi compiti includono la “stabilizzazione” di Gaza, la repressione di qualsiasi resistenza, la smilitarizzazione unilaterale e il controllo delle forze di sicurezza palestinesi, senza alcuna limitazione per l’apparato militare israeliano. Pur proclamando la protezione dei civili, tale forza risulta subordinata alla volontà statunitense e complice dell’aggressione israeliana, fungendo principalmente da strumento di controllo piuttosto che di tutela. Viene inoltre autorizzata la permanenza indefinita delle truppe israeliane a Gaza, con la creazione di un “perimetro di sicurezza” e la possibilità di prorogare il mandato senza consultare le autorità palestinesi, rafforzando ulteriormente la logica coloniale.
La risoluzione è stata respinta da gran parte della società civile palestinese, da movimenti politici e da esperti internazionali. Essa contravviene ai principi fondamentali del diritto internazionale, inclusi il diritto all’autodeterminazione e il divieto di acquisizione territoriale con la forza.
Il Consiglio di Sicurezza, vincolato dalla Carta ONU e dalle norme di jus cogens, ha oltrepassato i propri limiti, agendo al di fuori della sua legittima autorità. Così facendo, ha dimostrato come, se non sottoposto al diritto internazionale, possa divenire uno strumento di oppressione.
Il progetto statunitense di imporre un nuovo colonialismo alla Palestina è destinato a fallire, perché privo di legittimità giuridica, consenso popolare e sostenibilità politica. Anche qualora sostenuto da una maggioranza formale, difficilmente potrà essere applicato contro la volontà delle popolazioni locali.
Per chi sostiene i diritti umani e la giustizia, il compito resta chiaro: opporsi a questo schema in ogni sede, promuovere l’isolamento del regime israeliano, rafforzare le campagne di boicottaggio, chiedere embargo militare e perseguire i responsabili in ogni tribunale.
Quando questo sistema coloniale crollerà, dovrà emergere un’alternativa fondata su giustizia e autodeterminazione.


