Caracciolo infatti, senza neppure troppi giri di parole, traccia una pesantissima storia dell’Unione Europea, additandola come poco o per nulla democratica
Lucio Caracciolo probabilmente non è conosciuto fuori dalla penisola, ma in Italia è considerato il massimo esperto di geopolitica, non solo in ragione del fatto che sia direttore da oltre un trentennio della rivista “Limes”, ma anche e soprattutto perché, pur non venendo meno ai dogmi atlantisti, dentro la retorica propagandistica dei grandi media italiani, tutti genuflessi a Washington e a Bruxelles, ogni tanto cerca di far trapelare qualche verità, non per contraddire la narrazione dominante, ma per cercare di correggerla con quel buon senso della realtà che oramai si trova sempre più raramente.
Nel numero di Limes: “Perché abbiamo perso” (8/2025), l’editoriale, ancorché non firmato, è chiaramente di Caracciolo, il quale pur attribuendo il peggiore ed esecrabile giudizio al nazismo: “è antipolitico per vocazione, perché obbedisce alla legge del sangue, alla razza, dove comincia la “biologia”, finisce la geopolitica e muore la libertà”, si addentra in considerazioni che, fatte da chiunque altro, storico o giornalista, sarebbero subito subissate di tante e tali critiche che il malcapitato non potrebbe certo neppure terminare l’esposizione del concetto, fatte ovviamente da Caracciolo, obbligano i lettori ad arrivare alla fine del testo e nel caso gli astanti a tacere.
Caracciolo infatti, senza neppure troppi giri di parole, traccia una pesantissima storia dell’Unione Europea, additandola come poco o per nulla democratica, ma anzi figlia di una tecnocrazia volutamente contraria ai governi e ai parlamenti nazionali e, fatto ancor più clamoroso, per quanto come vedremo documentato, deduca una diretta connessione tra l’idea d’Europa hitleriana, ovviamente sotto il controllo dei nazisti, con la costruzione comunitaria iniziata negli anni ‘50 e che ci ha portato fino alle disastrose politiche di guerra della baronessa Von der Leyen, per altro ella stessa, come la signora estone Kallas, responsabile della politica estera dell’Unione Europea, discendenti di fervorosi sostenitori della svastica.
Caracciolo afferma perentorio che gli europeismi attuali non siano immuni dalle distopie novecentesche, citando Mark Mazower, ricorda come “il nazionalsocialsimo sia parte della grande tradizione storica non solo tedesca, ma dell’intera Europa, molto più di quanto la maggior parte delle persone sia disposta ad ammettere”, così come ritiene il fascismo la più eurocentrica ideologia novecentesca, molto più del comunismo e del liberalismo.
Secondo Caracciolo: “la madre di ogni equivoco è il rifiuto di ammettere che fascismo, nazismo e loro derivazioni appartengono all’album di famiglia dell’Occidente, inscritti nel cuore della moderna Europa”, per quanto “il nazional – imperialismo gonfio di romanità” fascista nulla abbia a che vedere secondo lui con l’arianesimo razzista hitleriano, citando altresì a sostegno di questa tesi svariate dichiarazioni di Benito Mussolini.
Richiama poi una pertinente considerazione di Raymond Aron del 1948 sul fatto che l’idea d’Europa, fondamentale per la propaganda hitleriana, sia riapparsa nel secondo dopoguerra, spesso per opera delle stesse persone, insomma per Caracciolo il nazismo rappresenta un “affluente sotterraneo e misconosciuto del marchio Europa”, al proposito viene ricordato come Walter Hallstein, primo presidente della Commissione Europea dal 1958 al 1967, firmatario dei trattati di Roma del 1957 con Adenauer e Segni, già venti anni prima si fosse occupato d’Europa, chiamato da Hitler a tracciare i lineamenti di un sistema europeo unitario, ovviamente a egemonia nazista.
Ecco allora una ampia e ragionata considerazione che riconnette l’attuale scarsa democrazia e la contestuale vocazione tecnocratica dell’Europa: “Gli europeisimi nascono e si sviluppano come trama di iniziati. Evolvono poi in benevolo paternalismo. Precetti per gli europei, non degli europei. In specie la versione federalista. sovranamente indifferente al giudizio dei popoli e al vaglio dei parlamenti, refrattaria alle democrazie nazionali. Dalla demonizzazione della nazione, che storia vuole base della democrazia, alla negazione della democrazia perché espressa dalla nazione, bollata nazionalista per vocazione: corto circuito. Il carattere più duraturo e meno indagato degli europeismi fioriti fra le due guerre è il tecnicismo, niente di più ideologico. Travestito da arbitro neutro l’eurotecnicismo si offre come superamento delle dispute politichesi in nome dell’efficienza, pura antidemocrazia gestione delle persone, via amministrazione delle cose.”
Caracciolo ritiene che “le premesse della torsione manageriale trionfante nelle liberaldemocrazie occidentali” sia da ricercare nel militarismo prussiano, mutuato dai nazisti, anzi peggio: “metodo perfezionato dalla tecnocrazia nazista in tempo di guerra” e chiosa: “anticipazione del management che tratta la persona da risorsa umana”. Così si assiste ad “abili organizzatori dell’economia di guerra nazista riciclati quali addestratori di manager e dirigenti pubblici, impegnati a diffondere nella Repubblica Federale le tecniche militar – aziendali sperimentate sotto Hitler”, poi esportate nella Comunità Economica Europea. D’altronde le tracce puramente esteriori del nazismo scompaiono rapidamente dalla vita pubblica tedesco – occidentale, tuttavia, il personale nazista e sotterraneamente la stessa ideologia non vengono smantellati, ma anzi gli statunitensi vi attingono con larghezza in funzione antirussa e antisovietica.
Caracciolo insiste nel ritenere fascismo, nazismo ed europeismo tre ideologie nate dopo il primo conflitto mondiale, in cui le prime due sono state rimosse, ma è impossibile cercare di immaginarle espunte, quando in realtà sono connaturare all’idea stessa d’Europa: “tre mistiche che colorano di religione le rispettive ideologie, eterogenee e incoerenti, ciascuna deputata a stabilire la propria tavola di valori. In grosso e nell’ordine: idolatria fascista dello Stato, nazista della razza, europeista dell’Europa.” Concludendo categorico: “le ipotesi di assetti continentali coltivate all’ombra del duce e del führer s’inscrivono nelle coordinate originarie delle idee d’Europa, irradiate fino ai nostri giorni”.
Caracciolo poi ci induce seppur in modo preoccupato a sorridere, sia sottolineando l’assonanza tra il grande spazio europeo e il deprecabile “spazio vitale” nazista, sia ricordando che tra i teorizzatori degli Stati Uniti d’Europa vi è Lev Trockij, a tratti interessato più a questa idea che a una rivoluzione proletaria continentale.
Nell’Europa di oggi, ferocemente controllata dalla baronessa Von der Leyen e dei suoi compari di guerra permanente contro la Russia, quali Macron, Merz e il rientrante Starmer, pare che quelle fosche radici dell’europeismo siano più vive e vitali che mai, anche purtroppo nelle loro pulsioni verso un conflitto atomico globale.
Se vi è un giorno che segna la cesura definitiva di questo cambiamento, oppure, seguendo Caracciolo, potremmo affermare più tragicamente un ritorno alle origini, questo è il 25 giugno 2021. A Bruxelles splende il solito timido sole e si riunisce il Consiglio Europeo, in cui i capi di stato e di governo chiacchierano dei soliti argomenti: Covid, migranti, economia. Le cronache che ci sono giunte occultano tuttavia il fatto più rilevante e grave di quel venerdì.
Due donne tedesche si guardano con reciproca diffidenza, la baronessa Von der Leyen dagli ascendenti nazisti e la cancelliera Angela Merkel, nata e cresciuta da cittadina dell’altra Germania, quella antifascista e che a scuola studiava il russo, la quale si trova al suo ultimo incontro europeo, avendo deciso di non ricandidarsi a settembre.
Angela Merkel, consapevole dei rischi di guerra innescati dalla NATO, propone di realizzare entro l’estate un grande incontro bilaterale Unione Europea – Russia insieme a Vladimir Putin, una ragazza, contraria, alza la mano e si scaglia duramente contro la cancelliera tedesca, è Kaja Kallas primo ministro estone, subito viene assecondata nel suo odio antirusso dal primo ministro olandese Mark Rutte ed anche forse inaspettatamente dal primo ministro portoghese Antonio Costa, quindi ovviamente da Mario Draghi, il rappresentante della peggiore finanza speculativa globale e globalista, il quale all’inizio di quel mese di giugno, dopo essersi inginocchiato davanti a Biden in Cornovaglia per la riunione del G7, alla riunione bruxellese della NATO immediatamente successiva ha spavaldamente affermato che l’Unione Europea sia ancillare rispetto alla NATO, ovvero del tutto subalterna alle sue logiche di morte e di guerra. C’è infine un’altra ragazza che quel giorno tace, pur sorridendo, è Sanna Marin, il primo ministro che porterà inopinatamente la Finlandia e i finlandesi dentro la NATO.
Angela Merkel abbandona sconfitta la riunione e con lei naufraga ogni speranza residua di pace, la baronessa Von der Leyen si è appuntata i nomi di chi merita una promozione per aiutarla nei suoi progetti di guerra: Kaja Kallas diventerà responsabile della politica estera dell’Unione Europea, Mark Rutte segretario generale della NATO, Antonio Costa presidente del Consiglio d’Europa.
Quel giorno l’Europa ha deciso di intraprendere la guerra contro la Russia, incurante delle legittime richieste di sicurezza del Cremlino, con tutto il tragico odierno rischio che tale conflitto possa deflagrare a livello planetario.


