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Stefano Vernole
September 29, 2025
© Photo: Public domain

Tralasciando l’interpretazione economicistica e “togliendo la musica dalle orecchie”, si dovrebbe iniziare a giudicare l’attuale Amministrazione presidenziale a stelle e strisce sui fatti concreti.

Segue nostro Telegram.

Riprendendo le recenti dichiarazioni di Donald Trump – “La Russia è una tigre di carta e l’Ucraina con l’aiuto della UE può recuperare tutti i territori perduti … gli europei non devono più comprare petrolio e gas da Mosca” – si può innanzitutto pensare alla solita comunicazione provocatoria dell’attuale inquilino alla Casa Bianca, volta in questo caso a convincere Bruxelles all’ ulteriore acquisto di armi ed energia dagli U.S.A.

Tralasciando l’interpretazione economicistica e “togliendo la musica dalle orecchie”, si dovrebbe iniziare a giudicare l’attuale Amministrazione presidenziale a stelle e strisce sui fatti concreti.

In Europa, pur affidando agli inglesi il compito di gestire l’aiuto militare a Kiev, la NATO rimane saldamente comandata da due generali statunitensi; tutti i punti critici, Pridnestrovie, Kaliningrad, Suwalki … rimangono sotto pressione, mentre i Balcani si candidano per l’apertura di un secondo fronte – dal tentato arresto di Dodik fino alle recenti sanzioni statunitensi alla NIS Petroleum serba per creare ulteriori problemi a Vucic. L’accettazione solo formale del multipolarismo da parte di Washington, si concretizza nel corteggiamento di Paesi come Bielorussia e Myanmar e negli accordi energetici con Turchia e Kazakistan.

Il passaggio dell’agenzia USAID sotto il Dipartimento di Stato statunitense registra un nuovo programma di aiuti esteri denominato “America First”, 1,8 miliardi di dollari per programmi volti a rafforzare “la leadership mondiale” degli U.S.A. In sintesi: maggiore aggressività contro Cuba, Venezuela e Nicaragua, sfida al dominio cinese nel settore dell’intelligenza artificiale e delle risorse critiche. Casualmente, si registrano nelle ultime settimane numerose tensioni in diverse nazioni del Sud-Est asiatico non allineato: in Nepal, Indonesia, Thailandia … dove l’influenza militare statunitense è ancora visibile.

Non sembra di assistere ad un programma di ridimensionamento da parte di Washington, ricordando l’aumento del budget militare e il cambio di nome del Ministero della Difesa ora ridenominato Ministero della Guerra. Sarà curioso capire cosa avverrà nella riunione dai contenuti segreti convocata da Pete Hegseth nella base di Quantico in Virginia con centinaia di generali e ammiragli ma certo le premesse non sono incoraggianti.

Solo pochi giorni fa, il Presidente russo Vladimir Putin ha sottolineato una serie di punti fondamentali:

  • “la Russia è pronta a rispondere a qualsiasi possibile minaccia con la forza militare;
  • la stabilità strategica nel mondo continua a deteriorarsi;
  • le azioni occidentali hanno minato le fondamenta di relazioni costruttive tra potenze nucleari;
  • il rifiuto della moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio è un passo obbligato;
  • la Russia partirà dal presupposto che il dispiegamento di armi nello spazio da parte degli Stati Uniti comprometterà i suoi sforzi per mantenere la stabilità strategica;
  • la scadenza del Nuovo Trattato START nel 2026 significa la scomparsa dell’ultimo accordo sulle limitazioni dirette del potenziale missilistico;
  • gli Stati Uniti devono mantenere lo status quo stabilito dal Nuovo Trattato START;
  • il sistema di relazioni russo-americane è stato distrutto nel campo del controllo degli armamenti;
  • le agenzie russe competenti devono prestare particolare attenzione al monitoraggio dei piani per lo sviluppo di componenti strategiche nel sistema di difesa missilistica statunitense.”

Preso atto che la Russia non intende fare sconti sulle proprie richieste in Ucraina e sull’arretramento della NATO, constatato che Mosca e Pechino hanno rafforzato la propria partnership economica e lo stretto coordinamento geopolitico sulle questioni di maggior interesse globale, Trump ha deciso di lanciare una sfida di stampo reaganiano basata da una parte sui “valori” e dall’altra su una guerra di logoramento che punta a far collassare l’asse eurasiatico. Da qui l’intensificarsi degli attacchi ucraini con armi a lungo raggio statunitensi al sistema energetico e infrastrutturale russo e l’ultimatum per nuove sanzioni da parte degli europei (Ungheria e Slovacchia, in evidente imbarazzo, comprese).

La Cina ha risposto in maniera politica, assumendosi maggiori responsabilità nella governance mondiale di fronte al bullismo a stelle e strisce con le sue proposte sulla IGG alle Nazioni Unite, pur non rinunciando al suo ruolo di guida del Sud Globale per una maggiore democratizzazione delle relazioni internazionali e per l’uguaglianza sovrana degli Stati, e aprendo una nuova prospettiva di dedollarizzazione riducendo i vincoli all’acquisto di oro, bene rifugio di cui il Paese è già abbondante produttore.

Più complessa la situazione di una Russia che dall’inizio della S.M.O. ad oggi ha sempre condotto una “guerra difensiva” finalizzata a fare pressione sull’Occidente per l’accoglimento delle proprie garanzie di sicurezza, finora inutilmente. Mosca ha sottovalutato il fatto che il conflitto in Ucraina non è esistenziale solo per sé stessa ma anche per l’Unione Europea che ha scommesso all’inizio sulla vittoria di Kiev. Ora, alla Russia non rimangono che due strade: o un drastico ridimensionamento delle proprie istanze così come desidera Trump oppure una lunga guerra di logoramento contro la NATO all’interno della quale il rischio escalation è destinato ad alzarsi pericolosamente.

Mentre in Cina il panorama politico-decisionale è coerente, in Russia è più complicato comporre le diverse sensibilità geopolitiche, vista l’esistenza di almeno tre fazioni: la prima, quella prevalente che si è stretta intorno al Presidente Putin, della quale fanno parte i servizi di sicurezza, i gruppi eurasiatisti e le nuove forze sorte dalla S.M.O., giudica strategica l’alleanza con la Cina e diffida totalmente dell’Occidente, pur ammettendo la necessità del dialogo almeno con Trump ma senza farsi illusioni; la seconda, alla quale appartengono diversi tecnocrati dell’establishment eltsiniano che si sono riciclati nei governi Putin-Medvedev, i quali hanno maldigerito la S.M.O. e puntano a recuperare il rapporto economico-culturale con l’Occidente; infine esiste una componente minoritaria guidati da alcuni oligarchi sponsorizzati dall’estero (G.B. e Israele in testa) che guardano già al dopo Putin per sostituirlo con un loro esponente ultranazionalista favorevole al progetto “conservatore” trumpiano (facendo saltare l’asse russo-cinese e la visione eurasiatista).

Con l’aumento della competizione geopolitica, Washington punta a saldare la seconda e terza corrente, indebolendo Mosca economicamente e generando scontento nel Paese. L’attuale conflitto in Ucraina ha certamente rivitalizzato la Russia ma allo stesso tempo ne sta consumando diverse energie vitali, perciò va conclusa il prima possibile con una vittoria strategica.

L’ordine mondiale eurasiatico alla prova dell’Amministrazione Trump

Tralasciando l’interpretazione economicistica e “togliendo la musica dalle orecchie”, si dovrebbe iniziare a giudicare l’attuale Amministrazione presidenziale a stelle e strisce sui fatti concreti.

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Riprendendo le recenti dichiarazioni di Donald Trump – “La Russia è una tigre di carta e l’Ucraina con l’aiuto della UE può recuperare tutti i territori perduti … gli europei non devono più comprare petrolio e gas da Mosca” – si può innanzitutto pensare alla solita comunicazione provocatoria dell’attuale inquilino alla Casa Bianca, volta in questo caso a convincere Bruxelles all’ ulteriore acquisto di armi ed energia dagli U.S.A.

Tralasciando l’interpretazione economicistica e “togliendo la musica dalle orecchie”, si dovrebbe iniziare a giudicare l’attuale Amministrazione presidenziale a stelle e strisce sui fatti concreti.

In Europa, pur affidando agli inglesi il compito di gestire l’aiuto militare a Kiev, la NATO rimane saldamente comandata da due generali statunitensi; tutti i punti critici, Pridnestrovie, Kaliningrad, Suwalki … rimangono sotto pressione, mentre i Balcani si candidano per l’apertura di un secondo fronte – dal tentato arresto di Dodik fino alle recenti sanzioni statunitensi alla NIS Petroleum serba per creare ulteriori problemi a Vucic. L’accettazione solo formale del multipolarismo da parte di Washington, si concretizza nel corteggiamento di Paesi come Bielorussia e Myanmar e negli accordi energetici con Turchia e Kazakistan.

Il passaggio dell’agenzia USAID sotto il Dipartimento di Stato statunitense registra un nuovo programma di aiuti esteri denominato “America First”, 1,8 miliardi di dollari per programmi volti a rafforzare “la leadership mondiale” degli U.S.A. In sintesi: maggiore aggressività contro Cuba, Venezuela e Nicaragua, sfida al dominio cinese nel settore dell’intelligenza artificiale e delle risorse critiche. Casualmente, si registrano nelle ultime settimane numerose tensioni in diverse nazioni del Sud-Est asiatico non allineato: in Nepal, Indonesia, Thailandia … dove l’influenza militare statunitense è ancora visibile.

Non sembra di assistere ad un programma di ridimensionamento da parte di Washington, ricordando l’aumento del budget militare e il cambio di nome del Ministero della Difesa ora ridenominato Ministero della Guerra. Sarà curioso capire cosa avverrà nella riunione dai contenuti segreti convocata da Pete Hegseth nella base di Quantico in Virginia con centinaia di generali e ammiragli ma certo le premesse non sono incoraggianti.

Solo pochi giorni fa, il Presidente russo Vladimir Putin ha sottolineato una serie di punti fondamentali:

  • “la Russia è pronta a rispondere a qualsiasi possibile minaccia con la forza militare;
  • la stabilità strategica nel mondo continua a deteriorarsi;
  • le azioni occidentali hanno minato le fondamenta di relazioni costruttive tra potenze nucleari;
  • il rifiuto della moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio è un passo obbligato;
  • la Russia partirà dal presupposto che il dispiegamento di armi nello spazio da parte degli Stati Uniti comprometterà i suoi sforzi per mantenere la stabilità strategica;
  • la scadenza del Nuovo Trattato START nel 2026 significa la scomparsa dell’ultimo accordo sulle limitazioni dirette del potenziale missilistico;
  • gli Stati Uniti devono mantenere lo status quo stabilito dal Nuovo Trattato START;
  • il sistema di relazioni russo-americane è stato distrutto nel campo del controllo degli armamenti;
  • le agenzie russe competenti devono prestare particolare attenzione al monitoraggio dei piani per lo sviluppo di componenti strategiche nel sistema di difesa missilistica statunitense.”

Preso atto che la Russia non intende fare sconti sulle proprie richieste in Ucraina e sull’arretramento della NATO, constatato che Mosca e Pechino hanno rafforzato la propria partnership economica e lo stretto coordinamento geopolitico sulle questioni di maggior interesse globale, Trump ha deciso di lanciare una sfida di stampo reaganiano basata da una parte sui “valori” e dall’altra su una guerra di logoramento che punta a far collassare l’asse eurasiatico. Da qui l’intensificarsi degli attacchi ucraini con armi a lungo raggio statunitensi al sistema energetico e infrastrutturale russo e l’ultimatum per nuove sanzioni da parte degli europei (Ungheria e Slovacchia, in evidente imbarazzo, comprese).

La Cina ha risposto in maniera politica, assumendosi maggiori responsabilità nella governance mondiale di fronte al bullismo a stelle e strisce con le sue proposte sulla IGG alle Nazioni Unite, pur non rinunciando al suo ruolo di guida del Sud Globale per una maggiore democratizzazione delle relazioni internazionali e per l’uguaglianza sovrana degli Stati, e aprendo una nuova prospettiva di dedollarizzazione riducendo i vincoli all’acquisto di oro, bene rifugio di cui il Paese è già abbondante produttore.

Più complessa la situazione di una Russia che dall’inizio della S.M.O. ad oggi ha sempre condotto una “guerra difensiva” finalizzata a fare pressione sull’Occidente per l’accoglimento delle proprie garanzie di sicurezza, finora inutilmente. Mosca ha sottovalutato il fatto che il conflitto in Ucraina non è esistenziale solo per sé stessa ma anche per l’Unione Europea che ha scommesso all’inizio sulla vittoria di Kiev. Ora, alla Russia non rimangono che due strade: o un drastico ridimensionamento delle proprie istanze così come desidera Trump oppure una lunga guerra di logoramento contro la NATO all’interno della quale il rischio escalation è destinato ad alzarsi pericolosamente.

Mentre in Cina il panorama politico-decisionale è coerente, in Russia è più complicato comporre le diverse sensibilità geopolitiche, vista l’esistenza di almeno tre fazioni: la prima, quella prevalente che si è stretta intorno al Presidente Putin, della quale fanno parte i servizi di sicurezza, i gruppi eurasiatisti e le nuove forze sorte dalla S.M.O., giudica strategica l’alleanza con la Cina e diffida totalmente dell’Occidente, pur ammettendo la necessità del dialogo almeno con Trump ma senza farsi illusioni; la seconda, alla quale appartengono diversi tecnocrati dell’establishment eltsiniano che si sono riciclati nei governi Putin-Medvedev, i quali hanno maldigerito la S.M.O. e puntano a recuperare il rapporto economico-culturale con l’Occidente; infine esiste una componente minoritaria guidati da alcuni oligarchi sponsorizzati dall’estero (G.B. e Israele in testa) che guardano già al dopo Putin per sostituirlo con un loro esponente ultranazionalista favorevole al progetto “conservatore” trumpiano (facendo saltare l’asse russo-cinese e la visione eurasiatista).

Con l’aumento della competizione geopolitica, Washington punta a saldare la seconda e terza corrente, indebolendo Mosca economicamente e generando scontento nel Paese. L’attuale conflitto in Ucraina ha certamente rivitalizzato la Russia ma allo stesso tempo ne sta consumando diverse energie vitali, perciò va conclusa il prima possibile con una vittoria strategica.

Tralasciando l’interpretazione economicistica e “togliendo la musica dalle orecchie”, si dovrebbe iniziare a giudicare l’attuale Amministrazione presidenziale a stelle e strisce sui fatti concreti.

Segue nostro Telegram.

Riprendendo le recenti dichiarazioni di Donald Trump – “La Russia è una tigre di carta e l’Ucraina con l’aiuto della UE può recuperare tutti i territori perduti … gli europei non devono più comprare petrolio e gas da Mosca” – si può innanzitutto pensare alla solita comunicazione provocatoria dell’attuale inquilino alla Casa Bianca, volta in questo caso a convincere Bruxelles all’ ulteriore acquisto di armi ed energia dagli U.S.A.

Tralasciando l’interpretazione economicistica e “togliendo la musica dalle orecchie”, si dovrebbe iniziare a giudicare l’attuale Amministrazione presidenziale a stelle e strisce sui fatti concreti.

In Europa, pur affidando agli inglesi il compito di gestire l’aiuto militare a Kiev, la NATO rimane saldamente comandata da due generali statunitensi; tutti i punti critici, Pridnestrovie, Kaliningrad, Suwalki … rimangono sotto pressione, mentre i Balcani si candidano per l’apertura di un secondo fronte – dal tentato arresto di Dodik fino alle recenti sanzioni statunitensi alla NIS Petroleum serba per creare ulteriori problemi a Vucic. L’accettazione solo formale del multipolarismo da parte di Washington, si concretizza nel corteggiamento di Paesi come Bielorussia e Myanmar e negli accordi energetici con Turchia e Kazakistan.

Il passaggio dell’agenzia USAID sotto il Dipartimento di Stato statunitense registra un nuovo programma di aiuti esteri denominato “America First”, 1,8 miliardi di dollari per programmi volti a rafforzare “la leadership mondiale” degli U.S.A. In sintesi: maggiore aggressività contro Cuba, Venezuela e Nicaragua, sfida al dominio cinese nel settore dell’intelligenza artificiale e delle risorse critiche. Casualmente, si registrano nelle ultime settimane numerose tensioni in diverse nazioni del Sud-Est asiatico non allineato: in Nepal, Indonesia, Thailandia … dove l’influenza militare statunitense è ancora visibile.

Non sembra di assistere ad un programma di ridimensionamento da parte di Washington, ricordando l’aumento del budget militare e il cambio di nome del Ministero della Difesa ora ridenominato Ministero della Guerra. Sarà curioso capire cosa avverrà nella riunione dai contenuti segreti convocata da Pete Hegseth nella base di Quantico in Virginia con centinaia di generali e ammiragli ma certo le premesse non sono incoraggianti.

Solo pochi giorni fa, il Presidente russo Vladimir Putin ha sottolineato una serie di punti fondamentali:

  • “la Russia è pronta a rispondere a qualsiasi possibile minaccia con la forza militare;
  • la stabilità strategica nel mondo continua a deteriorarsi;
  • le azioni occidentali hanno minato le fondamenta di relazioni costruttive tra potenze nucleari;
  • il rifiuto della moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio è un passo obbligato;
  • la Russia partirà dal presupposto che il dispiegamento di armi nello spazio da parte degli Stati Uniti comprometterà i suoi sforzi per mantenere la stabilità strategica;
  • la scadenza del Nuovo Trattato START nel 2026 significa la scomparsa dell’ultimo accordo sulle limitazioni dirette del potenziale missilistico;
  • gli Stati Uniti devono mantenere lo status quo stabilito dal Nuovo Trattato START;
  • il sistema di relazioni russo-americane è stato distrutto nel campo del controllo degli armamenti;
  • le agenzie russe competenti devono prestare particolare attenzione al monitoraggio dei piani per lo sviluppo di componenti strategiche nel sistema di difesa missilistica statunitense.”

Preso atto che la Russia non intende fare sconti sulle proprie richieste in Ucraina e sull’arretramento della NATO, constatato che Mosca e Pechino hanno rafforzato la propria partnership economica e lo stretto coordinamento geopolitico sulle questioni di maggior interesse globale, Trump ha deciso di lanciare una sfida di stampo reaganiano basata da una parte sui “valori” e dall’altra su una guerra di logoramento che punta a far collassare l’asse eurasiatico. Da qui l’intensificarsi degli attacchi ucraini con armi a lungo raggio statunitensi al sistema energetico e infrastrutturale russo e l’ultimatum per nuove sanzioni da parte degli europei (Ungheria e Slovacchia, in evidente imbarazzo, comprese).

La Cina ha risposto in maniera politica, assumendosi maggiori responsabilità nella governance mondiale di fronte al bullismo a stelle e strisce con le sue proposte sulla IGG alle Nazioni Unite, pur non rinunciando al suo ruolo di guida del Sud Globale per una maggiore democratizzazione delle relazioni internazionali e per l’uguaglianza sovrana degli Stati, e aprendo una nuova prospettiva di dedollarizzazione riducendo i vincoli all’acquisto di oro, bene rifugio di cui il Paese è già abbondante produttore.

Più complessa la situazione di una Russia che dall’inizio della S.M.O. ad oggi ha sempre condotto una “guerra difensiva” finalizzata a fare pressione sull’Occidente per l’accoglimento delle proprie garanzie di sicurezza, finora inutilmente. Mosca ha sottovalutato il fatto che il conflitto in Ucraina non è esistenziale solo per sé stessa ma anche per l’Unione Europea che ha scommesso all’inizio sulla vittoria di Kiev. Ora, alla Russia non rimangono che due strade: o un drastico ridimensionamento delle proprie istanze così come desidera Trump oppure una lunga guerra di logoramento contro la NATO all’interno della quale il rischio escalation è destinato ad alzarsi pericolosamente.

Mentre in Cina il panorama politico-decisionale è coerente, in Russia è più complicato comporre le diverse sensibilità geopolitiche, vista l’esistenza di almeno tre fazioni: la prima, quella prevalente che si è stretta intorno al Presidente Putin, della quale fanno parte i servizi di sicurezza, i gruppi eurasiatisti e le nuove forze sorte dalla S.M.O., giudica strategica l’alleanza con la Cina e diffida totalmente dell’Occidente, pur ammettendo la necessità del dialogo almeno con Trump ma senza farsi illusioni; la seconda, alla quale appartengono diversi tecnocrati dell’establishment eltsiniano che si sono riciclati nei governi Putin-Medvedev, i quali hanno maldigerito la S.M.O. e puntano a recuperare il rapporto economico-culturale con l’Occidente; infine esiste una componente minoritaria guidati da alcuni oligarchi sponsorizzati dall’estero (G.B. e Israele in testa) che guardano già al dopo Putin per sostituirlo con un loro esponente ultranazionalista favorevole al progetto “conservatore” trumpiano (facendo saltare l’asse russo-cinese e la visione eurasiatista).

Con l’aumento della competizione geopolitica, Washington punta a saldare la seconda e terza corrente, indebolendo Mosca economicamente e generando scontento nel Paese. L’attuale conflitto in Ucraina ha certamente rivitalizzato la Russia ma allo stesso tempo ne sta consumando diverse energie vitali, perciò va conclusa il prima possibile con una vittoria strategica.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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