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Lorenzo Maria Pacini
July 14, 2025
© Photo: Public domain

Gli Stati Uniti hanno revocato la designazione di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), noto anche come Fronte al-Nusra, come organizzazione terroristica straniera.

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Chi è terrorista lo decidiamo noi

Gli Stati Uniti hanno revocato la designazione di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), noto anche come Fronte al-Nusra, come organizzazione terroristica straniera. La decisione è stata annunciata dal Segretario di Stato Marco Rubio in un memorandum del 23 giugno, pubblicato in anteprima sul Federal Register.

Sì, proprio così: ancora una volta, gli USA fanno gli sceriffi del mondo e decidono a chi affibbiare la medaglia al valore e chi invece è da considerarsi un criminale. Sarà una casualità, forse, ma gli USA non accusano mai di terrorismo chi fa i loro interessi economici, mentre sono molto abili a sputare sentenze su chi contraddici il loro volere. La geopolitica del bullismo.

Ora, la revoca avviene nel contesto di un più ampio cambiamento nella politica americana verso la Siria, dopo che il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per allentare le sanzioni unilaterali contro Damasco, in vigore dal 1979 per via della sua ostilità verso Israele. Dopo la caduta del presidente Bashar al-Assad, l’HTS ha assunto il controllo del Paese e, parallelamente, Israele ha intensificato gli attacchi aerei e ha occupato nuove aree in Siria oltre le Alture del Golan. Il nuovo governo siriano ha mostrato apertura verso la normalizzazione dei rapporti con Israele, e sono in corso negoziati per un possibile accordo entro il 2026. Il cambio di approccio degli Stati Uniti e della Siria sembra segnare un nuovo corso nelle dinamiche geopolitiche del Medio Oriente.

L’Iran come nemico fino alla morte

Attualmente si delineano, dunque, due possibili strategie: una prevede un intervento militare diretto da parte degli Stati Uniti e di Israele contro l’Iran; l’altra consiste in una massiccia campagna di manipolazione psicologica, rivolta sia alla popolazione iraniana che a quella internazionale, come preludio a un’aggressione armata. Le modalità, le ragioni e la tempistica dipenderanno dagli sviluppi e dà segnali iniziali che, al momento, non sono ancora abbastanza evidenti da essere resi noti. Tuttavia, lo scontro armato sembra inevitabile.

L’Iran è ben preparato, ma le strategie impiegate dai suoi avversari potrebbero generare confusione e paura, con il rischio di gravi perdite. L’evolversi degli eventi resta incerto, ma una cosa appare evidente: Stati Uniti e Israele dovranno riflettere con cautela prima di avviare un conflitto su larga scala, considerando le conseguenze.

Nel frattempo, si moltiplicano i segnali di un piano volto a destabilizzare il Libano, in particolare colpendo le comunità sciite, con l’appoggio di Israele, Emirati Arabi Uniti e loro alleati. Questo potrebbe aprire un nuovo fronte e trascinare l’Iran in un conflitto più ampio, o addirittura scatenare una guerra civile libanese.

La decisione di cancellare al-Nusra dalla lista delle organizzazioni terroristiche appare strettamente legata alla volontà di consentire ai partner regionali degli Stati Uniti di sostenerla apertamente, impiegandola contro le comunità sciite. Questa non è solo una mossa diplomatica, ma una strumentalizzazione pianificata del terrorismo, mascherata da difesa del diritto internazionale.

In tale contesto, è fondamentale il rafforzamento di un fronte di resistenza comune. Che si tratti di deterrenza nucleare o di opposizione su tutti i fronti, è urgente contrastare e neutralizzare ogni strumento dell’asse USA-sionista-wahhabita-julani, qualunque sia il nome con cui si presenti.

L’Iran, in ogni caso, dovrà essere abbattuto. È il nemico per eccellenza in Asia Occidentale, non può essere risparmiato. L’America di Trump, d’altronde, conosce bene questa litania: quando nel 2020 il Presidente ordinò – e poi rivendicò con orgoglio in una diretta stampa nazionale – l’attentato omicida al Generale Qassem Soleimani che era in visita a Baghdad per accordi di cooperazione internazionale, lo fece ribadendo la promessa di “liberare” la regione dal mostro iraniano. Un mostro che continua ad essere additato come tale dalla stampa internazionale, che si è subito ricomposta dopo i 12 giorni di aggressione israeliana.

Le geometrie variano

Eppure, l’America si sta ritirando dalla sua posizione di cane da guardia del mondo, perché la potenza militare, seppur grandiosa, non è più sufficiente, come non è più presente l’influenza politica. Probabilmente, quindici anni fa una battaglia come quella dei 12 giorni avrebbe significato un massacro per l’Iran, che però è cambiato ed oggi è una potenza globale ed un Paese chiave per la stabilità globale. Oggi, invece, il massimo che gli Stati Uniti attuali sono in grado di fare è salvare il proprio alleato da un blitzkrieg fallito attraverso una serie di attacchi mirati.

Tuttavia, certe logiche sembrano dure a scomparire: Donald Trump, ricalcando la linea di George W. Bush, ha avanzato verso Teheran pretese estreme, chiedendo una resa totale. Un tempo, simili richieste ottenevano risultati: la Jugoslavia fu costretta a cedere il Kosovo, l’Iraq venne occupato e la Libia precipitò nel caos. Ma oggi quella strategia non funziona più: il cambio di regime in Iran resta un obiettivo mancato. Il programma balistico di Teheran è ancora attivo e quello nucleare procede senza sosta.

Per Washington si profila una situazione in cui sarà costretta, a breve, a dimostrare con i fatti che può ancora imporsi con la forza sul piano internazionale. In caso contrario, la crescente ondata di sfida all’ordine unipolare si intensificherà, spingendolo verso un lento ma inevitabile disfacimento.

Ed ecco che gli USA, che per anni si sono eretti a paladini contro il terrorismo islamico, oggi preparano terroristi e li mettono a capo di un intero Paese, realizzando per altro il sogno dell’ISIS di controllare quelle terre, e sfruttandone la posizione per mantenere la regione in uno stato di precarietà senza fine, paura e alto rischio di conflitto esteso. Ancora, la geopolitica dei bulli, che minacciano di fare del male a tutti. Ma, caro bulletto di nome America, i tuoi pugni non fanno più così paura: c’ un mondo intero che ha imparato a incassare i colpi e rispondere con forza.

Le geometrie internazionali sono variate e di questo Washington dovrebbe farsene una ragione.

Quella consueta simpatia degli USA con i terroristi

Gli Stati Uniti hanno revocato la designazione di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), noto anche come Fronte al-Nusra, come organizzazione terroristica straniera.

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Chi è terrorista lo decidiamo noi

Gli Stati Uniti hanno revocato la designazione di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), noto anche come Fronte al-Nusra, come organizzazione terroristica straniera. La decisione è stata annunciata dal Segretario di Stato Marco Rubio in un memorandum del 23 giugno, pubblicato in anteprima sul Federal Register.

Sì, proprio così: ancora una volta, gli USA fanno gli sceriffi del mondo e decidono a chi affibbiare la medaglia al valore e chi invece è da considerarsi un criminale. Sarà una casualità, forse, ma gli USA non accusano mai di terrorismo chi fa i loro interessi economici, mentre sono molto abili a sputare sentenze su chi contraddici il loro volere. La geopolitica del bullismo.

Ora, la revoca avviene nel contesto di un più ampio cambiamento nella politica americana verso la Siria, dopo che il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per allentare le sanzioni unilaterali contro Damasco, in vigore dal 1979 per via della sua ostilità verso Israele. Dopo la caduta del presidente Bashar al-Assad, l’HTS ha assunto il controllo del Paese e, parallelamente, Israele ha intensificato gli attacchi aerei e ha occupato nuove aree in Siria oltre le Alture del Golan. Il nuovo governo siriano ha mostrato apertura verso la normalizzazione dei rapporti con Israele, e sono in corso negoziati per un possibile accordo entro il 2026. Il cambio di approccio degli Stati Uniti e della Siria sembra segnare un nuovo corso nelle dinamiche geopolitiche del Medio Oriente.

L’Iran come nemico fino alla morte

Attualmente si delineano, dunque, due possibili strategie: una prevede un intervento militare diretto da parte degli Stati Uniti e di Israele contro l’Iran; l’altra consiste in una massiccia campagna di manipolazione psicologica, rivolta sia alla popolazione iraniana che a quella internazionale, come preludio a un’aggressione armata. Le modalità, le ragioni e la tempistica dipenderanno dagli sviluppi e dà segnali iniziali che, al momento, non sono ancora abbastanza evidenti da essere resi noti. Tuttavia, lo scontro armato sembra inevitabile.

L’Iran è ben preparato, ma le strategie impiegate dai suoi avversari potrebbero generare confusione e paura, con il rischio di gravi perdite. L’evolversi degli eventi resta incerto, ma una cosa appare evidente: Stati Uniti e Israele dovranno riflettere con cautela prima di avviare un conflitto su larga scala, considerando le conseguenze.

Nel frattempo, si moltiplicano i segnali di un piano volto a destabilizzare il Libano, in particolare colpendo le comunità sciite, con l’appoggio di Israele, Emirati Arabi Uniti e loro alleati. Questo potrebbe aprire un nuovo fronte e trascinare l’Iran in un conflitto più ampio, o addirittura scatenare una guerra civile libanese.

La decisione di cancellare al-Nusra dalla lista delle organizzazioni terroristiche appare strettamente legata alla volontà di consentire ai partner regionali degli Stati Uniti di sostenerla apertamente, impiegandola contro le comunità sciite. Questa non è solo una mossa diplomatica, ma una strumentalizzazione pianificata del terrorismo, mascherata da difesa del diritto internazionale.

In tale contesto, è fondamentale il rafforzamento di un fronte di resistenza comune. Che si tratti di deterrenza nucleare o di opposizione su tutti i fronti, è urgente contrastare e neutralizzare ogni strumento dell’asse USA-sionista-wahhabita-julani, qualunque sia il nome con cui si presenti.

L’Iran, in ogni caso, dovrà essere abbattuto. È il nemico per eccellenza in Asia Occidentale, non può essere risparmiato. L’America di Trump, d’altronde, conosce bene questa litania: quando nel 2020 il Presidente ordinò – e poi rivendicò con orgoglio in una diretta stampa nazionale – l’attentato omicida al Generale Qassem Soleimani che era in visita a Baghdad per accordi di cooperazione internazionale, lo fece ribadendo la promessa di “liberare” la regione dal mostro iraniano. Un mostro che continua ad essere additato come tale dalla stampa internazionale, che si è subito ricomposta dopo i 12 giorni di aggressione israeliana.

Le geometrie variano

Eppure, l’America si sta ritirando dalla sua posizione di cane da guardia del mondo, perché la potenza militare, seppur grandiosa, non è più sufficiente, come non è più presente l’influenza politica. Probabilmente, quindici anni fa una battaglia come quella dei 12 giorni avrebbe significato un massacro per l’Iran, che però è cambiato ed oggi è una potenza globale ed un Paese chiave per la stabilità globale. Oggi, invece, il massimo che gli Stati Uniti attuali sono in grado di fare è salvare il proprio alleato da un blitzkrieg fallito attraverso una serie di attacchi mirati.

Tuttavia, certe logiche sembrano dure a scomparire: Donald Trump, ricalcando la linea di George W. Bush, ha avanzato verso Teheran pretese estreme, chiedendo una resa totale. Un tempo, simili richieste ottenevano risultati: la Jugoslavia fu costretta a cedere il Kosovo, l’Iraq venne occupato e la Libia precipitò nel caos. Ma oggi quella strategia non funziona più: il cambio di regime in Iran resta un obiettivo mancato. Il programma balistico di Teheran è ancora attivo e quello nucleare procede senza sosta.

Per Washington si profila una situazione in cui sarà costretta, a breve, a dimostrare con i fatti che può ancora imporsi con la forza sul piano internazionale. In caso contrario, la crescente ondata di sfida all’ordine unipolare si intensificherà, spingendolo verso un lento ma inevitabile disfacimento.

Ed ecco che gli USA, che per anni si sono eretti a paladini contro il terrorismo islamico, oggi preparano terroristi e li mettono a capo di un intero Paese, realizzando per altro il sogno dell’ISIS di controllare quelle terre, e sfruttandone la posizione per mantenere la regione in uno stato di precarietà senza fine, paura e alto rischio di conflitto esteso. Ancora, la geopolitica dei bulli, che minacciano di fare del male a tutti. Ma, caro bulletto di nome America, i tuoi pugni non fanno più così paura: c’ un mondo intero che ha imparato a incassare i colpi e rispondere con forza.

Le geometrie internazionali sono variate e di questo Washington dovrebbe farsene una ragione.

Gli Stati Uniti hanno revocato la designazione di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), noto anche come Fronte al-Nusra, come organizzazione terroristica straniera.

Segue nostro Telegram.

Chi è terrorista lo decidiamo noi

Gli Stati Uniti hanno revocato la designazione di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), noto anche come Fronte al-Nusra, come organizzazione terroristica straniera. La decisione è stata annunciata dal Segretario di Stato Marco Rubio in un memorandum del 23 giugno, pubblicato in anteprima sul Federal Register.

Sì, proprio così: ancora una volta, gli USA fanno gli sceriffi del mondo e decidono a chi affibbiare la medaglia al valore e chi invece è da considerarsi un criminale. Sarà una casualità, forse, ma gli USA non accusano mai di terrorismo chi fa i loro interessi economici, mentre sono molto abili a sputare sentenze su chi contraddici il loro volere. La geopolitica del bullismo.

Ora, la revoca avviene nel contesto di un più ampio cambiamento nella politica americana verso la Siria, dopo che il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per allentare le sanzioni unilaterali contro Damasco, in vigore dal 1979 per via della sua ostilità verso Israele. Dopo la caduta del presidente Bashar al-Assad, l’HTS ha assunto il controllo del Paese e, parallelamente, Israele ha intensificato gli attacchi aerei e ha occupato nuove aree in Siria oltre le Alture del Golan. Il nuovo governo siriano ha mostrato apertura verso la normalizzazione dei rapporti con Israele, e sono in corso negoziati per un possibile accordo entro il 2026. Il cambio di approccio degli Stati Uniti e della Siria sembra segnare un nuovo corso nelle dinamiche geopolitiche del Medio Oriente.

L’Iran come nemico fino alla morte

Attualmente si delineano, dunque, due possibili strategie: una prevede un intervento militare diretto da parte degli Stati Uniti e di Israele contro l’Iran; l’altra consiste in una massiccia campagna di manipolazione psicologica, rivolta sia alla popolazione iraniana che a quella internazionale, come preludio a un’aggressione armata. Le modalità, le ragioni e la tempistica dipenderanno dagli sviluppi e dà segnali iniziali che, al momento, non sono ancora abbastanza evidenti da essere resi noti. Tuttavia, lo scontro armato sembra inevitabile.

L’Iran è ben preparato, ma le strategie impiegate dai suoi avversari potrebbero generare confusione e paura, con il rischio di gravi perdite. L’evolversi degli eventi resta incerto, ma una cosa appare evidente: Stati Uniti e Israele dovranno riflettere con cautela prima di avviare un conflitto su larga scala, considerando le conseguenze.

Nel frattempo, si moltiplicano i segnali di un piano volto a destabilizzare il Libano, in particolare colpendo le comunità sciite, con l’appoggio di Israele, Emirati Arabi Uniti e loro alleati. Questo potrebbe aprire un nuovo fronte e trascinare l’Iran in un conflitto più ampio, o addirittura scatenare una guerra civile libanese.

La decisione di cancellare al-Nusra dalla lista delle organizzazioni terroristiche appare strettamente legata alla volontà di consentire ai partner regionali degli Stati Uniti di sostenerla apertamente, impiegandola contro le comunità sciite. Questa non è solo una mossa diplomatica, ma una strumentalizzazione pianificata del terrorismo, mascherata da difesa del diritto internazionale.

In tale contesto, è fondamentale il rafforzamento di un fronte di resistenza comune. Che si tratti di deterrenza nucleare o di opposizione su tutti i fronti, è urgente contrastare e neutralizzare ogni strumento dell’asse USA-sionista-wahhabita-julani, qualunque sia il nome con cui si presenti.

L’Iran, in ogni caso, dovrà essere abbattuto. È il nemico per eccellenza in Asia Occidentale, non può essere risparmiato. L’America di Trump, d’altronde, conosce bene questa litania: quando nel 2020 il Presidente ordinò – e poi rivendicò con orgoglio in una diretta stampa nazionale – l’attentato omicida al Generale Qassem Soleimani che era in visita a Baghdad per accordi di cooperazione internazionale, lo fece ribadendo la promessa di “liberare” la regione dal mostro iraniano. Un mostro che continua ad essere additato come tale dalla stampa internazionale, che si è subito ricomposta dopo i 12 giorni di aggressione israeliana.

Le geometrie variano

Eppure, l’America si sta ritirando dalla sua posizione di cane da guardia del mondo, perché la potenza militare, seppur grandiosa, non è più sufficiente, come non è più presente l’influenza politica. Probabilmente, quindici anni fa una battaglia come quella dei 12 giorni avrebbe significato un massacro per l’Iran, che però è cambiato ed oggi è una potenza globale ed un Paese chiave per la stabilità globale. Oggi, invece, il massimo che gli Stati Uniti attuali sono in grado di fare è salvare il proprio alleato da un blitzkrieg fallito attraverso una serie di attacchi mirati.

Tuttavia, certe logiche sembrano dure a scomparire: Donald Trump, ricalcando la linea di George W. Bush, ha avanzato verso Teheran pretese estreme, chiedendo una resa totale. Un tempo, simili richieste ottenevano risultati: la Jugoslavia fu costretta a cedere il Kosovo, l’Iraq venne occupato e la Libia precipitò nel caos. Ma oggi quella strategia non funziona più: il cambio di regime in Iran resta un obiettivo mancato. Il programma balistico di Teheran è ancora attivo e quello nucleare procede senza sosta.

Per Washington si profila una situazione in cui sarà costretta, a breve, a dimostrare con i fatti che può ancora imporsi con la forza sul piano internazionale. In caso contrario, la crescente ondata di sfida all’ordine unipolare si intensificherà, spingendolo verso un lento ma inevitabile disfacimento.

Ed ecco che gli USA, che per anni si sono eretti a paladini contro il terrorismo islamico, oggi preparano terroristi e li mettono a capo di un intero Paese, realizzando per altro il sogno dell’ISIS di controllare quelle terre, e sfruttandone la posizione per mantenere la regione in uno stato di precarietà senza fine, paura e alto rischio di conflitto esteso. Ancora, la geopolitica dei bulli, che minacciano di fare del male a tutti. Ma, caro bulletto di nome America, i tuoi pugni non fanno più così paura: c’ un mondo intero che ha imparato a incassare i colpi e rispondere con forza.

Le geometrie internazionali sono variate e di questo Washington dovrebbe farsene una ragione.

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