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Giacomo Gabellini
July 13, 2025
© Photo: Public domain

Zelensky al secondo posto. Cosa c’è realmente dietro la decisione di fornire meno aiuti all’Ucraina?

Segue nostro Telegram.

Nei giorni scorsi, la Defense Security Cooperation Agency statunitense ha accordato la propria certificazione, puntualmente notificata al Congresso, rispetto alla vendita di materiali e attrezzature militari per un controvalore di 510 milioni di dollari a Israele deliberata dal Dipartimento di Stato. Nello specifico, l’amministrazione Trump avrebbe accolto la proposta di acquisto, avanzata da Tel Aviv, di 7.125 kit di guida di tipo Jdam Kmu-558B/B (prodotti dalla Boeing) per bombe Blu-109 (ordigni perforanti fabbricati da Lockheed Martin) e di tipo Jdam Kmu-572 F/B (prodotti dalla Boeing) per bombe Mk-82 (ordigni a caduta libera da 500 libbre fabbricati da General Dynamics). Nell’ambito del contratto di vendita, gli Stati Uniti fornirebbero, sia a livello governativo che di appaltatori privati, servizi di ingegneria, logistica e supporto tecnico. Gli Usa, afferma la  Defense Security Cooperation Agency a motivazione della propria decisione, «sono impegnati per la sicurezza di Israele ed è fondamentale per i loro interessi nazionali sostenere Israele nello sviluppo di una capacità di autodifesa forte e pronta. La presente proposta di vendita è coerente con tali obiettivi».

Parallelamente, il rappresentante repubblicano dello Stato di New York Mike Lawler e il suo collega democratico del New Jersey Josh Gottheimer hanno presentato il Bunker Buster Act, un disegno di legge volto ad autorizzare il presidente Trump a rifornire Israele di bombe anti-bunker e dei velivoli stealth B-2 Spirit in grado di trasportarle. L’obiettivo, si legge nel relativo comunicato stampa, consiste nel porre Israele nelle condizioni di «distruggere l’infrastruttura nucleare sotterranea dell’Iran. Dotare Israele di questa capacità rafforza direttamente la sicurezza nazionale americana, impedendo all’Iran di accedere a un’arma nucleare. L’Iran, direttamente e attraverso la sua rete di agenti terroristici, continua a prendere di mira gli Stati Uniti, Israele e i nostri alleati, mentre lavora per destabilizzare la regione. Il regime è responsabile della morte di migliaia di civili e militari americani negli ultimi quattro decenni, attaccando le nostre basi, navi e ambasciate. I recenti attacchi statunitensi con bombe anti-bunker hanno degradato gli impianti nucleari sotterranei iraniani. Sebbene il programma nucleare iraniano sia stato duramente colpito [il Pentagono stima che l’Operazione Midnight Hammer l’abbia ritardato di due anni, nda], l’Iran rimane impegnato nell’arricchimento dell’uranio e nello sviluppo di un’arma atomica. Di fronte alle continue minacce iraniane, è imperativo dotare Israele della massima deterrenza affinché l’Iran non possa proseguire con il suo programma nucleare».

Gli Stati Uniti stanno insomma moltiplicando gli sforzi per ampliare il potenziale offensivo di Israele e ricostituirne le scorte militari pesantemente intaccate dallo scontro con l’Iran, che dal canto suo sembrerebbe orientato verso l’acquisto di caccia di fabbricazione cinese J-10 alla luce delle difficoltà riscontrate per quanto concerne l’approvvigionamento dei sistemi antiaerei russi S-400. Rispetto alle esigenze di difesa ripetutamente sottolineate dal governo di Kiev, viceversa, l’approccio adottato dagli Stati Uniti è di segno diametralmente opposto. Lo conferma la recente decisione dell’amministrazione Trump di sospendere la consegna delle munizioni e dei sistemi d’arma richiesti dalle autorità ucraine, adducendo come motivazione la necessità di non assottigliare ulteriormente le proprie riserve. «Questa decisione è stata presa per mettere al primo posto gli interessi americani, a seguito di una revisione del supporto militare e dell’assistenza forniti dal nostro Paese ad altri Paesi in tutto il mondo. La potenza delle forze armate degli Stati Uniti rimane indiscussa: è sufficiente chiedere all’Iran», ha spiegato la portavoce della Casa Bianca, Anna Kelly.

Dichiarazioni inequivocabili, attestanti una chiara gerarchia delle priorità per gli Stati Uniti in base alla quale la difesa di Israele torreggia letteralmente rispetto a quella dell’Ucraina. Si tratta di una vera e propria doccia fredda per il presidente Zelensky, che soltanto pochi giorni prima, in occasione del vertice Nato de L’Aja, aveva strappato al suo omologo statunitense Trump l’impegno a verificare se sussistessero le condizioni per trasferire a Kiev gli agognati sistemi Patriot. Il tutto mentre le forze russe incrementano la pressione lungo l’intera linea del fronte, e lanciano campagne di bombardamenti di intensità mai registrata dall’inizio del conflitto. Tra il 18 e il 29 giugno, i russi hanno infatti lanciato contro una vasta gamma di obiettivi disseminati su tutto il territorio ucraino quasi 500 droni Shahed e una settantina di missili balistici (Iskander, Kinžal e Kn-23) e da crociera (Kh-101/Kh-55 e Kalibr). Fonti ucraine e statunitensi sostengono che, nel solo mese di giugno, le truppe russe abbiano conquistato tra i 566 e i 588 km2 di territorio ucraino, assumendo il controllo dell’intero oblast’ di Lugans’k, realizzando notevoli progressi in quelli di Sumy e Zaporižžja ed estendendo le operazioni a quello di Dnipropetrovs’k.

Per quanto influenzata dall’“imperativo categorico” di garantire la protezione di Israele, la presa di posizione dell’amministrazione Trump riguardo all’interruzione delle forniture militari all’Ucraina scaturisce altresì da un problema colossale che attanaglia gli Stati Uniti ormai da decenni. Vale a dire la deindustrializzazione, che declinata all’ambito militare si traduce in un’incapacità strutturale di produrre materiale bellico all’altezza delle ambizioni di Washington. L’incremento astronomico del fabbisogno di armi, munizioni e assistenza militare da parte di Israele sulla scia del conflitto in Terra Santa e del suo progressivo allargamento a Libano, Siria, Iraq, Yemen e Iran ha costretto gli Stati Uniti per un verso ad attingere pesantemente alle proprie scorte, e per l’altro a sguarnire gli altri fronti principali, costituiti da Taiwan e dall’Ucraina. Il risultato è coinciso per un verso con l’accumulo di forti ritardi nelle consegne di materiale militare a Taipei; per l’altro, con il declino graduale ma costante delle forniture di armi e munizioni all’Ucraina, che fino ad ora, certifica il Kiel Institute, ha beneficiato di supporto militare per 64,6 miliardi di dollari e assistenza finanziaria per 46,6 miliardi dai soli Stati Uniti.

La situazione è peggiorata con il fallimento sostanziale in cui si è risolta l’Operazione Rising Lion sferrata da Israele contro l’Iran, che contrariamente alle aspettative ha reagito con notevole efficacia. Gli attacchi missilistici sferrati dalla Repubblica Islamica hanno rapidamente esaurito le scorte israeliane di intercettori Arrow-2 e Arrow-3, costringendo il governo Netanyahu a richiedere urgentemente agli Stati Uniti nuove batterie di Patriot e, soprattutto, Thaad. Nell’arco di appena 11 giorni di conflitto, Israele ha bruciato qualcosa come il 15-20% delle riserve di intercettori Thaad (costo: 13 milioni per ogni singolo intercettore) a disposizione degli Stati Uniti, i quali sono in grado di produrne soltanto 50-60 ogni anno.

La coperta è in altri termini diventata troppo corta, e questo obbliga Washington a un uso centellinato delle risorse a disposizione di cui sta risentendo in primo luogo l’Ucraina.

Stop alle forniture miliari a Kiev: perché gli Stati Uniti stanno “scaricando” l’Ucraina?

Zelensky al secondo posto. Cosa c’è realmente dietro la decisione di fornire meno aiuti all’Ucraina?

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Nei giorni scorsi, la Defense Security Cooperation Agency statunitense ha accordato la propria certificazione, puntualmente notificata al Congresso, rispetto alla vendita di materiali e attrezzature militari per un controvalore di 510 milioni di dollari a Israele deliberata dal Dipartimento di Stato. Nello specifico, l’amministrazione Trump avrebbe accolto la proposta di acquisto, avanzata da Tel Aviv, di 7.125 kit di guida di tipo Jdam Kmu-558B/B (prodotti dalla Boeing) per bombe Blu-109 (ordigni perforanti fabbricati da Lockheed Martin) e di tipo Jdam Kmu-572 F/B (prodotti dalla Boeing) per bombe Mk-82 (ordigni a caduta libera da 500 libbre fabbricati da General Dynamics). Nell’ambito del contratto di vendita, gli Stati Uniti fornirebbero, sia a livello governativo che di appaltatori privati, servizi di ingegneria, logistica e supporto tecnico. Gli Usa, afferma la  Defense Security Cooperation Agency a motivazione della propria decisione, «sono impegnati per la sicurezza di Israele ed è fondamentale per i loro interessi nazionali sostenere Israele nello sviluppo di una capacità di autodifesa forte e pronta. La presente proposta di vendita è coerente con tali obiettivi».

Parallelamente, il rappresentante repubblicano dello Stato di New York Mike Lawler e il suo collega democratico del New Jersey Josh Gottheimer hanno presentato il Bunker Buster Act, un disegno di legge volto ad autorizzare il presidente Trump a rifornire Israele di bombe anti-bunker e dei velivoli stealth B-2 Spirit in grado di trasportarle. L’obiettivo, si legge nel relativo comunicato stampa, consiste nel porre Israele nelle condizioni di «distruggere l’infrastruttura nucleare sotterranea dell’Iran. Dotare Israele di questa capacità rafforza direttamente la sicurezza nazionale americana, impedendo all’Iran di accedere a un’arma nucleare. L’Iran, direttamente e attraverso la sua rete di agenti terroristici, continua a prendere di mira gli Stati Uniti, Israele e i nostri alleati, mentre lavora per destabilizzare la regione. Il regime è responsabile della morte di migliaia di civili e militari americani negli ultimi quattro decenni, attaccando le nostre basi, navi e ambasciate. I recenti attacchi statunitensi con bombe anti-bunker hanno degradato gli impianti nucleari sotterranei iraniani. Sebbene il programma nucleare iraniano sia stato duramente colpito [il Pentagono stima che l’Operazione Midnight Hammer l’abbia ritardato di due anni, nda], l’Iran rimane impegnato nell’arricchimento dell’uranio e nello sviluppo di un’arma atomica. Di fronte alle continue minacce iraniane, è imperativo dotare Israele della massima deterrenza affinché l’Iran non possa proseguire con il suo programma nucleare».

Gli Stati Uniti stanno insomma moltiplicando gli sforzi per ampliare il potenziale offensivo di Israele e ricostituirne le scorte militari pesantemente intaccate dallo scontro con l’Iran, che dal canto suo sembrerebbe orientato verso l’acquisto di caccia di fabbricazione cinese J-10 alla luce delle difficoltà riscontrate per quanto concerne l’approvvigionamento dei sistemi antiaerei russi S-400. Rispetto alle esigenze di difesa ripetutamente sottolineate dal governo di Kiev, viceversa, l’approccio adottato dagli Stati Uniti è di segno diametralmente opposto. Lo conferma la recente decisione dell’amministrazione Trump di sospendere la consegna delle munizioni e dei sistemi d’arma richiesti dalle autorità ucraine, adducendo come motivazione la necessità di non assottigliare ulteriormente le proprie riserve. «Questa decisione è stata presa per mettere al primo posto gli interessi americani, a seguito di una revisione del supporto militare e dell’assistenza forniti dal nostro Paese ad altri Paesi in tutto il mondo. La potenza delle forze armate degli Stati Uniti rimane indiscussa: è sufficiente chiedere all’Iran», ha spiegato la portavoce della Casa Bianca, Anna Kelly.

Dichiarazioni inequivocabili, attestanti una chiara gerarchia delle priorità per gli Stati Uniti in base alla quale la difesa di Israele torreggia letteralmente rispetto a quella dell’Ucraina. Si tratta di una vera e propria doccia fredda per il presidente Zelensky, che soltanto pochi giorni prima, in occasione del vertice Nato de L’Aja, aveva strappato al suo omologo statunitense Trump l’impegno a verificare se sussistessero le condizioni per trasferire a Kiev gli agognati sistemi Patriot. Il tutto mentre le forze russe incrementano la pressione lungo l’intera linea del fronte, e lanciano campagne di bombardamenti di intensità mai registrata dall’inizio del conflitto. Tra il 18 e il 29 giugno, i russi hanno infatti lanciato contro una vasta gamma di obiettivi disseminati su tutto il territorio ucraino quasi 500 droni Shahed e una settantina di missili balistici (Iskander, Kinžal e Kn-23) e da crociera (Kh-101/Kh-55 e Kalibr). Fonti ucraine e statunitensi sostengono che, nel solo mese di giugno, le truppe russe abbiano conquistato tra i 566 e i 588 km2 di territorio ucraino, assumendo il controllo dell’intero oblast’ di Lugans’k, realizzando notevoli progressi in quelli di Sumy e Zaporižžja ed estendendo le operazioni a quello di Dnipropetrovs’k.

Per quanto influenzata dall’“imperativo categorico” di garantire la protezione di Israele, la presa di posizione dell’amministrazione Trump riguardo all’interruzione delle forniture militari all’Ucraina scaturisce altresì da un problema colossale che attanaglia gli Stati Uniti ormai da decenni. Vale a dire la deindustrializzazione, che declinata all’ambito militare si traduce in un’incapacità strutturale di produrre materiale bellico all’altezza delle ambizioni di Washington. L’incremento astronomico del fabbisogno di armi, munizioni e assistenza militare da parte di Israele sulla scia del conflitto in Terra Santa e del suo progressivo allargamento a Libano, Siria, Iraq, Yemen e Iran ha costretto gli Stati Uniti per un verso ad attingere pesantemente alle proprie scorte, e per l’altro a sguarnire gli altri fronti principali, costituiti da Taiwan e dall’Ucraina. Il risultato è coinciso per un verso con l’accumulo di forti ritardi nelle consegne di materiale militare a Taipei; per l’altro, con il declino graduale ma costante delle forniture di armi e munizioni all’Ucraina, che fino ad ora, certifica il Kiel Institute, ha beneficiato di supporto militare per 64,6 miliardi di dollari e assistenza finanziaria per 46,6 miliardi dai soli Stati Uniti.

La situazione è peggiorata con il fallimento sostanziale in cui si è risolta l’Operazione Rising Lion sferrata da Israele contro l’Iran, che contrariamente alle aspettative ha reagito con notevole efficacia. Gli attacchi missilistici sferrati dalla Repubblica Islamica hanno rapidamente esaurito le scorte israeliane di intercettori Arrow-2 e Arrow-3, costringendo il governo Netanyahu a richiedere urgentemente agli Stati Uniti nuove batterie di Patriot e, soprattutto, Thaad. Nell’arco di appena 11 giorni di conflitto, Israele ha bruciato qualcosa come il 15-20% delle riserve di intercettori Thaad (costo: 13 milioni per ogni singolo intercettore) a disposizione degli Stati Uniti, i quali sono in grado di produrne soltanto 50-60 ogni anno.

La coperta è in altri termini diventata troppo corta, e questo obbliga Washington a un uso centellinato delle risorse a disposizione di cui sta risentendo in primo luogo l’Ucraina.

Zelensky al secondo posto. Cosa c’è realmente dietro la decisione di fornire meno aiuti all’Ucraina?

Segue nostro Telegram.

Nei giorni scorsi, la Defense Security Cooperation Agency statunitense ha accordato la propria certificazione, puntualmente notificata al Congresso, rispetto alla vendita di materiali e attrezzature militari per un controvalore di 510 milioni di dollari a Israele deliberata dal Dipartimento di Stato. Nello specifico, l’amministrazione Trump avrebbe accolto la proposta di acquisto, avanzata da Tel Aviv, di 7.125 kit di guida di tipo Jdam Kmu-558B/B (prodotti dalla Boeing) per bombe Blu-109 (ordigni perforanti fabbricati da Lockheed Martin) e di tipo Jdam Kmu-572 F/B (prodotti dalla Boeing) per bombe Mk-82 (ordigni a caduta libera da 500 libbre fabbricati da General Dynamics). Nell’ambito del contratto di vendita, gli Stati Uniti fornirebbero, sia a livello governativo che di appaltatori privati, servizi di ingegneria, logistica e supporto tecnico. Gli Usa, afferma la  Defense Security Cooperation Agency a motivazione della propria decisione, «sono impegnati per la sicurezza di Israele ed è fondamentale per i loro interessi nazionali sostenere Israele nello sviluppo di una capacità di autodifesa forte e pronta. La presente proposta di vendita è coerente con tali obiettivi».

Parallelamente, il rappresentante repubblicano dello Stato di New York Mike Lawler e il suo collega democratico del New Jersey Josh Gottheimer hanno presentato il Bunker Buster Act, un disegno di legge volto ad autorizzare il presidente Trump a rifornire Israele di bombe anti-bunker e dei velivoli stealth B-2 Spirit in grado di trasportarle. L’obiettivo, si legge nel relativo comunicato stampa, consiste nel porre Israele nelle condizioni di «distruggere l’infrastruttura nucleare sotterranea dell’Iran. Dotare Israele di questa capacità rafforza direttamente la sicurezza nazionale americana, impedendo all’Iran di accedere a un’arma nucleare. L’Iran, direttamente e attraverso la sua rete di agenti terroristici, continua a prendere di mira gli Stati Uniti, Israele e i nostri alleati, mentre lavora per destabilizzare la regione. Il regime è responsabile della morte di migliaia di civili e militari americani negli ultimi quattro decenni, attaccando le nostre basi, navi e ambasciate. I recenti attacchi statunitensi con bombe anti-bunker hanno degradato gli impianti nucleari sotterranei iraniani. Sebbene il programma nucleare iraniano sia stato duramente colpito [il Pentagono stima che l’Operazione Midnight Hammer l’abbia ritardato di due anni, nda], l’Iran rimane impegnato nell’arricchimento dell’uranio e nello sviluppo di un’arma atomica. Di fronte alle continue minacce iraniane, è imperativo dotare Israele della massima deterrenza affinché l’Iran non possa proseguire con il suo programma nucleare».

Gli Stati Uniti stanno insomma moltiplicando gli sforzi per ampliare il potenziale offensivo di Israele e ricostituirne le scorte militari pesantemente intaccate dallo scontro con l’Iran, che dal canto suo sembrerebbe orientato verso l’acquisto di caccia di fabbricazione cinese J-10 alla luce delle difficoltà riscontrate per quanto concerne l’approvvigionamento dei sistemi antiaerei russi S-400. Rispetto alle esigenze di difesa ripetutamente sottolineate dal governo di Kiev, viceversa, l’approccio adottato dagli Stati Uniti è di segno diametralmente opposto. Lo conferma la recente decisione dell’amministrazione Trump di sospendere la consegna delle munizioni e dei sistemi d’arma richiesti dalle autorità ucraine, adducendo come motivazione la necessità di non assottigliare ulteriormente le proprie riserve. «Questa decisione è stata presa per mettere al primo posto gli interessi americani, a seguito di una revisione del supporto militare e dell’assistenza forniti dal nostro Paese ad altri Paesi in tutto il mondo. La potenza delle forze armate degli Stati Uniti rimane indiscussa: è sufficiente chiedere all’Iran», ha spiegato la portavoce della Casa Bianca, Anna Kelly.

Dichiarazioni inequivocabili, attestanti una chiara gerarchia delle priorità per gli Stati Uniti in base alla quale la difesa di Israele torreggia letteralmente rispetto a quella dell’Ucraina. Si tratta di una vera e propria doccia fredda per il presidente Zelensky, che soltanto pochi giorni prima, in occasione del vertice Nato de L’Aja, aveva strappato al suo omologo statunitense Trump l’impegno a verificare se sussistessero le condizioni per trasferire a Kiev gli agognati sistemi Patriot. Il tutto mentre le forze russe incrementano la pressione lungo l’intera linea del fronte, e lanciano campagne di bombardamenti di intensità mai registrata dall’inizio del conflitto. Tra il 18 e il 29 giugno, i russi hanno infatti lanciato contro una vasta gamma di obiettivi disseminati su tutto il territorio ucraino quasi 500 droni Shahed e una settantina di missili balistici (Iskander, Kinžal e Kn-23) e da crociera (Kh-101/Kh-55 e Kalibr). Fonti ucraine e statunitensi sostengono che, nel solo mese di giugno, le truppe russe abbiano conquistato tra i 566 e i 588 km2 di territorio ucraino, assumendo il controllo dell’intero oblast’ di Lugans’k, realizzando notevoli progressi in quelli di Sumy e Zaporižžja ed estendendo le operazioni a quello di Dnipropetrovs’k.

Per quanto influenzata dall’“imperativo categorico” di garantire la protezione di Israele, la presa di posizione dell’amministrazione Trump riguardo all’interruzione delle forniture militari all’Ucraina scaturisce altresì da un problema colossale che attanaglia gli Stati Uniti ormai da decenni. Vale a dire la deindustrializzazione, che declinata all’ambito militare si traduce in un’incapacità strutturale di produrre materiale bellico all’altezza delle ambizioni di Washington. L’incremento astronomico del fabbisogno di armi, munizioni e assistenza militare da parte di Israele sulla scia del conflitto in Terra Santa e del suo progressivo allargamento a Libano, Siria, Iraq, Yemen e Iran ha costretto gli Stati Uniti per un verso ad attingere pesantemente alle proprie scorte, e per l’altro a sguarnire gli altri fronti principali, costituiti da Taiwan e dall’Ucraina. Il risultato è coinciso per un verso con l’accumulo di forti ritardi nelle consegne di materiale militare a Taipei; per l’altro, con il declino graduale ma costante delle forniture di armi e munizioni all’Ucraina, che fino ad ora, certifica il Kiel Institute, ha beneficiato di supporto militare per 64,6 miliardi di dollari e assistenza finanziaria per 46,6 miliardi dai soli Stati Uniti.

La situazione è peggiorata con il fallimento sostanziale in cui si è risolta l’Operazione Rising Lion sferrata da Israele contro l’Iran, che contrariamente alle aspettative ha reagito con notevole efficacia. Gli attacchi missilistici sferrati dalla Repubblica Islamica hanno rapidamente esaurito le scorte israeliane di intercettori Arrow-2 e Arrow-3, costringendo il governo Netanyahu a richiedere urgentemente agli Stati Uniti nuove batterie di Patriot e, soprattutto, Thaad. Nell’arco di appena 11 giorni di conflitto, Israele ha bruciato qualcosa come il 15-20% delle riserve di intercettori Thaad (costo: 13 milioni per ogni singolo intercettore) a disposizione degli Stati Uniti, i quali sono in grado di produrne soltanto 50-60 ogni anno.

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The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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