Il “grande patto” per il Medio Oriente significherà certamente un importante cambiamento in alcune dinamiche di potere internazionali.
Niente si muove senza che qualcosa si muova
Un vecchio saggio una volta, diversi anni fa, mi disse: “In Medio Oriente, niente si muove senza che qualcosa si muova”. Intendeva dire che tutto ciò che avviene in Medio Oriente è conseguenza di decisioni prese altrove, allorché il Medio Oriente influenza tutto il resto. Se c’è guerra oggi o domani in Palestina, ad esempio, non lo decidono i palestinesi; se qualcuno minaccia l’Iran o vuole distruggere la Siria, non lo decidono i popoli locali. C’è sempre un “altro” da qualche parte che cerca di tessere le trame.
Non so dire se quel vecchio saggio avesse ragione o no, ma di sicuro nelle sue parole si può scorgere qualcosa di vero. Gli eventi in Medio Oriente sono da quasi un secolo l’effetto degli incontri e scontri fra le potenze regionali, con una sostanziosa partecipazione da parte di attori molto distanti ma molto influenti.
Una fonte sicura e altolocata mi ha riferito che nei giorni scorsi è stato raggiunto l’accordo fra Iran e USA, con l’intermediazione degli Emirati Arabi Uniti, in seno alle lunghe trattative avviate nei mesi scorsi, che sono il seguito di anni di turbolente relazioni. Ebbene, all’Iran verrebbe permesso di implementare lo sviluppo del nucleare per uso civile, in cambio della rinuncia al programma nucleare per uso militare. In cambio, l’Iran avrebbe ottenuto di far incarcerare Bibi Netanyahu fra circa 7-8 mesi, con un grosso esito internazionale.
Se così fosse, si tratterebbe di un accordo geopoliticamente molto significativo.
Dal punto di vista dell’Iran, la lotta al sionismo e la liberazione di Al Quds (Gerusalemme) è un fatto esistenziale prioritario. Netanyahu ha condotto anni e di lotte contro l’Asse della Resistenza ed un immane genocidio di palestinesi, minacciando costantemente l’Iran ed attaccando in maniera precisa quando ne ha avuto l’occasione. Eco di Netanyahu sono stati tutti i Paesi occidentali, uno dopo l’altro, e tutti ricordiamo lo storico discorso al Congresso statunitense, con 40 minuti di applausi scroscianti. Si tratterebbe quindi di una vittoria politica, ad personam, con un forte impatto sociale.
È però vero che non è la sconfitta del sionismo. Verrebbe sconfitto un leader politico, un uomo delle istituzioni, un criminale internazionale, ma non il sionismo in sé. Netanyahu rappresenta un’area politica di estrema destra, non la totalità degli israeliani e nemmeno la totalità dei sionisti, che sono divisi sotto più etichette politiche. Resta poi da domandarsi chi verrà dopo: probabilmente un uomo ancora più legato all’asse anglo-americana, magari più moderato nelle “soluzioni finali” e certamente in affari con Donald Trump, pronto a riedificare la Palestina per farne un maxi resort per ricconi americani e israeliani.
Dal lato americano, ogni vittoria contro l’Iran è una grande vittoria. Probabilmente stanno ancora giocando qualche bluff, ma in ogni caso la sostituzione di Netanyahu non è determinante per i progetti di Trump e del suo entourage. Diventa invece molto importante il nuovo posizionamento nel Mediterraneo e in prossimità dello Stretto di Suez. Le carte in gioco verrebbero rimescolate e alcuni eventi nella regione potrebbero mutare significativamente.
L’equilibrio attuale è segnato da una tensione crescente tra la visione americana e quella israeliana. Non si tratta solo della figura di Trump — il cui asse con le monarchie del Golfo aveva spalancato le porte ai cosiddetti “Accordi di Abramo” — ma di una divergenza strategica più profonda. Gli Stati Uniti hanno un’agenda globale: Israele è importante, ma non è tutto. Per Washington, la stabilità della regione è cruciale anche per contenere Russia, Cina e Iran. Per Netanyahu e la destra messianica israeliana, invece, conta una sola cosa: completare la colonizzazione della Palestina storica, a qualsiasi prezzo.
In terzo luogo, abbiamo gli UAE che sono i veri vincitori di tutto il tavolo. La loro strategia si sta dimostrando proficua: si offrono come intermediari per affari politici, business, finanza e per mediare tensioni internazionali. Un polo attrattivo che coinvolge molti Paesi e riesce ad accomodare situazioni complicate in maniera funzionale. Agli Emirati interessa che l’Iran si acquieti e non si scaldi contro quella parte di mondo arabo che è stato costruito dagli USA.
Trovare l’accordo senza cedere il passo della battaglia
Questa sorta di “grande patto” per il Medio Oriente non è detto che garantirà una pace nella regione e, forse, non mira a questo. Di sicuro significherà un cambiamento importante di alcune geometrie internazionali.
Circa il ruolo della Cina e della Russia nel Medio Oriente e con l’Iran, dobbiamo ricordare che, in virtù del loro pragmatismo, sostengono chiunque ritengano opportuno e che possa avvantaggiarle prima di chiunque altro. Ciò significa che la Cina e la Russia inevitabilmente giocheranno su due fronti, aiutando sia l’Iran che Israele nella loro politica di soft power regionale.
A tutti gli effetti, Pechino e Mosca dovrebbero essere considerati solo come partner strategici, ma niente di più: non seguono gli stessi principi etnopolitici, non hanno lo stesso credo religioso maggioritario, non sono storicamente allineati, non condividono la medesima ideologia politica.
Compiuto questo passo, non dobbiamo credere che la battaglia dell’Asse della Resistenza verrà meno. Ciò che cambia è un dettaglio all’interno di un grande disegno, che per il popolo iraniano è di vitale importanza. Non si interrompe la battaglia della Resistenza, non cede la lotta per la Palestina.
Circa i già citati Accordi di Abramo, Steve Witcoff ha recentemente affermato che nuovi Stati aderiranno al patto, tra ci Azerbaigian, Armenia, Siria e Libano, configurando una estensione delle condizioni del documento ed un effettivo controllo, commerciale e militare, per gli Stati Uniti. L’obiettivo conclamato di Trump è creare un asse che comprenderà: sionisti, anglosassoni, sauditi e i loro adepti salafiti, fino ai fratelli musulmani, senza dimenticare i turchi. Tutto ciò in funzione anti Iran, ma di fatto sarà una contrapposizione a Russia e Cina. Perché per Trump l’Iran è soltanto “quella cosa” che sta in mezzo all’America e al dominio del Medio Oriente.