La visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca del 17 aprile 2025 è stata presentata dalla stampa nazionale come un momento di grande rilievo diplomatico, ma nella sostanza si è trattato di un gesto più simbolico che concreto, spesso persino dannoso per gli interessi nazionali.
Ironia politica
La visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca del 17 aprile 2025 è stata presentata dalla stampa nazionale come un momento di grande rilievo diplomatico, ma nella sostanza si è trattato di un gesto più simbolico che concreto, spesso persino dannoso per gli interessi nazionali.
È vero, è bastato poco per ammaliare il cittadini medio: all’arrivo della Meloni alla Casa Bianca, il Potus ha esaltato la premier con parole affascinante, definendola “one of the best”, una delle migliori. E, in effetti, bisogna riconoscere che poche donne sono state fino ad oggi tanto obbedienti quanto lei.
Sul piano commerciale, Meloni ha cercato di proporsi come interlocutrice privilegiata tra Trump e l’Unione Europea, ma l’incontro non ha portato ad alcun accordo significativo: Trump ha ribadito la sua posizione protezionista, rifiutandosi di fare concessioni sui dazi che penalizzano l’export italiano, mentre l’Italia è rimasta in una posizione subordinata, incapace di tutelare la propria struttura produttiva. Semplicemente aumenteremo le importazioni dagli USA, anche se si tratterà di peggiorare la questione prezzi e salari in Italia.
In politica estera, le divergenze sono state evidenti. Meloni ha confermato il pieno sostegno all’Ucraina, allineandosi con NATO e Bruxelles, mentre Trump ha sollevato dubbi sulla leadership di Kyiv e ha lasciato intendere un possibile disimpegno. Invece di cogliere l’occasione per affermare una linea autonoma e diplomatica, Meloni ha scelto di ribadire un’adesione acritica, mostrando l’assenza di una strategia indipendente.
Sul fronte della difesa, la premier ha confermato l’aumento della spesa militare al 2% del PIL, accogliendo le richieste degli Stati Uniti senza imporre condizioni né ottenere contropartite politiche o industriali a favore dell’Italia. In un momento di difficoltà economica e con un sistema sanitario in sofferenza, destinare nuove risorse alla difesa appare più una scelta ideologica che un atto di sovranità.
Nel campo energetico, l’Italia si è impegnata ad accrescere l’importazione di gas naturale liquefatto dagli USA e a promuovere investimenti pubblici per 10 miliardi nell’economia americana. Anche qui, Roma si è comportata più da cliente che da partner: nessuna riduzione dei costi, nessuna apertura concreta a investimenti statunitensi nel nostro Paese.
Il risultato è un legame sempre più sbilanciato a favore degli USA, che penalizza la diversificazione energetica e limita l’autonomia industriale italiana. Il tentativo di Meloni di proporsi come mediatrice tra Washington e Bruxelles si è rivelato vano: percepita come debole dalle capitali europee e poco credibile oltreoceano, non dispone degli strumenti necessari per incidere sulle scelte dell’UE.
Il vertice si è così concluso con una serie di immagini ufficiali, ma senza alcun risultato efficace e spendibile politicamente. La retorica sovranista è rimasta lettera morta, mentre la pratica diplomatica ha evidenziato una piena adesione alla linea atlantista, priva di visione e senza contropartite. Un’opportunità mancata o, forse, peggio: un arretramento mascherato da diplomazia.
Un arretramento che lascia spazio all’UE
Nel frattempo, Ursula von der Leyen procede senza esitazioni, ignorando sia il parere legale del Parlamento europeo sia il voto contrario espresso dalla commissione giuridica (JURI), e conferma: la proposta legislativa “Safe”, parte integrante del piano ReArm EU finalizzato a istituire prestiti fino a 150 miliardi di euro per rafforzare l’industria della difesa europea, sarà approvata unicamente dalla Commissione e dal Consiglio, escludendo il coinvolgimento diretto dell’Eurocamera. Una scelta che rischia di innescare un duro scontro istituzionale tra la Commissione europea e il Parlamento di Strasburgo, massimo organo rappresentativo dell’Unione.
L’annuncio è stato dato durante il consueto briefing di mezzogiorno del 24 aprile dal portavoce della Commissione, Thomas Regnier, che ha ribadito la volontà dell’esecutivo europeo di fondare la proposta sull’articolo 122 dei Trattati. Questo articolo prevede la possibilità di bypassare il parere del Parlamento in situazioni eccezionali, quando “uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà”. Regnier ha sottolineato che “ci troviamo di fronte a una minaccia concreta alla nostra sicurezza, motivo per cui la Commissione ha avanzato questa proposta: permetterà agli Stati membri di effettuare acquisti congiunti in ambito difensivo”. Ha inoltre ricordato che la presidente von der Leyen ha sempre sostenuto l’utilizzo dell’articolo 122 solo in casi straordinari, come quello attuale.
A niente sono servite le contestazioni. La Von der Leyen ormai agisce indisturbata, in barba al Parlamento, senza rendere conto a nessuno eccetto i suoi sovrani.
Eppure, questa interpretazione viene fortemente contestata dall’ufficio legale del Parlamento europeo, che ha giudicato la scelta non solo infondata, ma anche “priva di adeguata motivazione”. Nonostante ciò, la Commissione conferma la sua linea. La proposta è stata presentata e ora spetta agli Stati membri trovare un accordo.
Insomma, la “democrazia à la carte”, che viene scelta e messa in pratica quando fa comodo ai leader delle élite, ancora una volta si conferma vittoriosa. Non c’è spina dorsale nei politici, e a quanto pare nemmeno nel popolo che continua a godersi la primavera sorseggiando cocktail e aspettando il campionato di calcio.