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Giacomo Gabellini
February 23, 2025
© Photo: Public domain

Il più monumentale errore di calcolo della storia moderna? Giacomo Gabellini ci spiega perché l’economia russa non è crollata come previsto dagli esperti occidentali.

Segue nostro Telegram.

Lo scorso gennaio, il Royal United Services Institute britannico ha riconosciuto apertamente che, a dispetto delle convinzioni nettamente prevalenti in tutto l’Occidente circa la debolezza dell’economia russa, quest’ultima ha «smentito le aspettative nel corso della guerra e, nonostante abbia registrato diverse complicazioni, rimane ben posizionata per supportare le ambizioni del Cremlino in Ucraina e oltre […]. Sfortunatamente, è improbabile che le speranze di una crisi economica imminente finiscano per realizzarsi. Sebbene la Russia affronti senza dubbio sfide significative, ci sono pochi indizi che queste ultime si tradurranno in conseguenze politiche significative che potrebbero spingere il Cremlino a frenare le sue ambizioni in Ucraina».

Segno che l’offensiva militare, economica, finanziaria e commerciale scatenata dall’Occidente contro la Federazione Russa nasce da una palese sottovalutazione «della coesione sociale della Russia, del suo potenziale militare latente e della sua relativa immunità alle sanzioni economiche». L’intera campagna sanzionatoria imposta da Stati Uniti ed Unione Europea, in particolare, si fondava sulla previsione che la Russia non sarebbe stata in grado di reggere un lungo periodo di pressione economica e finanziaria esterna, in virtù della debolezza strutturale, dell’arretratezza e degli squilibri che caratterizzano il suo sistema produttivo.

I dati indicano che, alla fine del febbraio 2022, la Russia registrava un debito pubblico corrispondente ad appena il 12,5% del Pil, una posizione finanziaria netta fortemente positiva e riserve auree pari a circa 2.300 tonnellate. L’oro riveste una rilevanza particolare, trattandosi del tradizionale “bene rifugio” che tende sistematicamente a rivalutarsi proprio in presenza di congiunture critiche come quella delineatasi per effetto dell’attacco all’Ucraina. Stesso discorso vale per tutte le commodity di cui la Russia è produttrice di primissimo piano, dal petrolio al gas, dall’alluminio al cobalto, dal rame al nichel, dal palladio al titanio, dal ferro all’acciaio, dal platino ai cereali, dal legname all’uranio, dal carbone all’argento, dai mangimi ai fertilizzanti.

L’incremento combinato dei prezzi delle materie prime e dei prodotti raffinati i cui mercati risultano fortemente presidiati dalla Federazione Russa – la cui posizione si è ulteriormente rafforzata con l’incorporazione dei giacimenti di materiali critici presenti nei territori delle repubbliche secessioniste di Donec’k e Luhans’k – ha per un verso penalizzato enormemente la categoria dei Paesi importatori netti, in cui rientra gran parte dell’“Occidente collettivo”. Per l’altro, ha assicurato a Mosca un volume di proventi talmente imponente da attenuare in maniera sensibile l’impatto dirompente prodotto dal congelamento delle riserve russe detenute presso istituzioni finanziarie estere.

Le principali categorie merceologiche di cui si compone l’export russo (petrolio, gas, materie prime, prodotti agricoli) delineano i contorni di un’economia non all’avanguardia, ma il discorso cambia completamente se si tengono in debita considerazione sia le punte di eccellenza raggiunte dal Paese in campo nucleare, aerospaziale, informatico e militare, sia il volume assai considerevole di entrate assicurato allo Stato dalla vendita all’estero di macchinari ed equipaggiamenti. Le attuali economie avanzate, strutturatesi nella forma odierna sulla base degli indirizzi strategici affermatisi a partire dagli anni ’80, poggiano soprattutto su attività ad alto valore aggiunto riconducibili al settore terziario, che apportano un contributo alla formazione del Pil di gran lunga superiore a quello assicurato dai comparti ricompresi nei settori primario e secondario. Nelle economie moderne, servizi finanziari e assicurativi, consulenze, nuovi sistemi di comunicazione e design risultano predominanti rispetto ad agricoltura, manifattura, estrazione di idrocarburi e minerali.

Un Paese come gli Stati Uniti può quindi contare sul colossale apporto alla “produzione di ricchezza” fornito dalle spese sanitarie gonfiate a dismisura, dalla crescita esorbitante delle cause legali fittizie che arricchiscono interi eserciti di avvocati, dal sistema carcerario privatizzato che fa lobby al Congresso per ottenere leggi in grado di garantire il maggior numero di detenuti possibile, ecc.

Se, come evidenziano i dati della Banca Mondiale, in termini di Pil nominale l’economia russa (2,2 trilioni di dollari nel 2022) risulta paragonabile per dimensioni a quella italiana (2.3 miliardi), sotto il profilo della parità di potere d’acquisto (6.45 trilioni, contro i 3,4 dell’Italia) arriva addirittura a superare quella tedesca (5,75 trilioni) e giapponese (6,21 trilioni). Il centro studi londinese World Economics, che si avvale di metodi di calcolo giudicati più appropriati e tiene conto anche dell’apporto fornito dall’economia informale, ha tuttavia pubblicato una stima del Pil a parità di potere d’acquisto della Federazione Russa in riferimento al 2024 che risultava del 38% superiore a quella formulata dalla Banca Mondiale, a 8,3 trilioni di dollari.

Ma, evidenzia l’economista Jacques Sapir, neppure il Ppa riflette appieno la rilevanza della Federazione Russa, i cui vantaggi strategici connessi a “stazza”, posizione geografica e struttura economica a trazione agricolo-industriale-edilizia le conferiscono una capacità di resistenza pressoché inconcepibile per ogni altro Paese.

L’economia della Russia, che con una popolazione universitaria di 2,2 volte inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti forma il 30% di ingegneri in più, si incardina infatti su produzioni fondamentali, perché necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari. Idrocarburi, metalli, cereali, fertilizzanti, mangimi sono risorse imprescindibili per garantire riscaldamento e sicurezza sia alimentare che energetica. Condizioni assicurate in periodi di stabilità, ma che divengono improvvisamente vacillanti in presenza di congiunture geopolitiche altamente conflittuali, in cui si riscopre il primato di petrolio, gas, alluminio, nichel, grano, ecc. rispetto a tutto il resto. La rivista «The American Conservative» nota in proposito che: «la spettacolare crescita dei settori ad alta intensità di capitale, insieme alla loro ricchezza nominale e produttività, ha portato molti a Washington e in varie capitali occidentali non solo ad abbracciarli, ma anche a preferirli politicamente, culturalmente e ideologicamente. Noi americani siamo particolarmente orgogliosi, ad esempio, del successo dei nostri giganti della tecnologia come motori di innovazione, crescita e prestigio nazionale. Internet e le varie applicazioni per gli smartphone sono considerate da molti intrinsecamente democratizzanti, fungendo effettivamente da canale di diffusione per i valori americani e di promozione degli interessi nazionali statunitensi. Questo amore per i settori dei servizi si traduce in una tendenza a identificare le industrie ad alta intensità di manodopera del passato – energia, agricoltura, estrazione di risorse, produzione – come reliquie del passato. Ma questa prospettiva distorta ci ha lasciato impreparati per un mondo in cui i beni tangibili sono ancora una volta di vitale importanza, come dimostrato plasticamente dalla guerra in Ucraina».

Paese, quest’ultimo, che secondo i calcoli del Kiel Institute ha beneficiato tra il 24 febbraio 2022 e il 31 dicembre 2024 di assistenza finanziaria e militare da parte dell’Occidente per un controvalore di 246,5 miliardi di dollari. Eppure, come ha dichiarato lo scorso gennaio il segretario generale della Nato Mark Rutte, lo schieramento atlantista «da Los Angeles ad Ankara» è in grado di produrre nell’arco di un anno un volume di materiale militare equivalente a quello che la Russia fabbrica in appena tre mesi. Segno che la Federazione Russia dispone di una capacità industriale notevolissima, supportata da catene di approvvigionamento di materiali critici e componentistica solide e perfettamente funzionanti.

Il finanziamento dello sforzo bellico, per di più, non ha distorto la struttura economica russa; lo si evince da una stima formulata da una fonte “al di sopra di ogni sospetto” come «Military Balance», secondo cui le spese militari sostenute da Mosca nel corso del 2024 avrebbero assorbito 145,9 miliardi di dollari, pari al 6,7% del Pil. Una percentuale tutto sommato contenuta, specialmente se raffrontata a quelle raggiunte sia dall’Unione Sovietica (61%) che dagli Stati Uniti (53%) nelle fasi più acute della Seconda Guerra Mondiale.

La vera forza dell’arsenale difensivo a disposizione della Russia risiede quindi nelle caratteristiche della sua struttura economica nella centralità che il Paese riveste rispetto al commercio internazionale, oltre che nell’indisponibilità del resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria imposta dal cosiddetto “Occidente collettivo”. Tutti aspetti, questi ultimi, che politici e specialisti di spicco sia in Europa che negli Stati Uniti, persuasi che le misure punitive “da fine del mondo” avrebbero condannato la Russia all’isolamento e alla bancarotta nell’arco di poche settimane, non sono stati minimamente in grado di prevedere, nell’ambito di quello che l’economista Patricia Adams considera «il più monumentale errore di calcolo della storia moderna».

L’economia russa ha vinto la guerra (Parte I)

Il più monumentale errore di calcolo della storia moderna? Giacomo Gabellini ci spiega perché l’economia russa non è crollata come previsto dagli esperti occidentali.

Segue nostro Telegram.

Lo scorso gennaio, il Royal United Services Institute britannico ha riconosciuto apertamente che, a dispetto delle convinzioni nettamente prevalenti in tutto l’Occidente circa la debolezza dell’economia russa, quest’ultima ha «smentito le aspettative nel corso della guerra e, nonostante abbia registrato diverse complicazioni, rimane ben posizionata per supportare le ambizioni del Cremlino in Ucraina e oltre […]. Sfortunatamente, è improbabile che le speranze di una crisi economica imminente finiscano per realizzarsi. Sebbene la Russia affronti senza dubbio sfide significative, ci sono pochi indizi che queste ultime si tradurranno in conseguenze politiche significative che potrebbero spingere il Cremlino a frenare le sue ambizioni in Ucraina».

Segno che l’offensiva militare, economica, finanziaria e commerciale scatenata dall’Occidente contro la Federazione Russa nasce da una palese sottovalutazione «della coesione sociale della Russia, del suo potenziale militare latente e della sua relativa immunità alle sanzioni economiche». L’intera campagna sanzionatoria imposta da Stati Uniti ed Unione Europea, in particolare, si fondava sulla previsione che la Russia non sarebbe stata in grado di reggere un lungo periodo di pressione economica e finanziaria esterna, in virtù della debolezza strutturale, dell’arretratezza e degli squilibri che caratterizzano il suo sistema produttivo.

I dati indicano che, alla fine del febbraio 2022, la Russia registrava un debito pubblico corrispondente ad appena il 12,5% del Pil, una posizione finanziaria netta fortemente positiva e riserve auree pari a circa 2.300 tonnellate. L’oro riveste una rilevanza particolare, trattandosi del tradizionale “bene rifugio” che tende sistematicamente a rivalutarsi proprio in presenza di congiunture critiche come quella delineatasi per effetto dell’attacco all’Ucraina. Stesso discorso vale per tutte le commodity di cui la Russia è produttrice di primissimo piano, dal petrolio al gas, dall’alluminio al cobalto, dal rame al nichel, dal palladio al titanio, dal ferro all’acciaio, dal platino ai cereali, dal legname all’uranio, dal carbone all’argento, dai mangimi ai fertilizzanti.

L’incremento combinato dei prezzi delle materie prime e dei prodotti raffinati i cui mercati risultano fortemente presidiati dalla Federazione Russa – la cui posizione si è ulteriormente rafforzata con l’incorporazione dei giacimenti di materiali critici presenti nei territori delle repubbliche secessioniste di Donec’k e Luhans’k – ha per un verso penalizzato enormemente la categoria dei Paesi importatori netti, in cui rientra gran parte dell’“Occidente collettivo”. Per l’altro, ha assicurato a Mosca un volume di proventi talmente imponente da attenuare in maniera sensibile l’impatto dirompente prodotto dal congelamento delle riserve russe detenute presso istituzioni finanziarie estere.

Le principali categorie merceologiche di cui si compone l’export russo (petrolio, gas, materie prime, prodotti agricoli) delineano i contorni di un’economia non all’avanguardia, ma il discorso cambia completamente se si tengono in debita considerazione sia le punte di eccellenza raggiunte dal Paese in campo nucleare, aerospaziale, informatico e militare, sia il volume assai considerevole di entrate assicurato allo Stato dalla vendita all’estero di macchinari ed equipaggiamenti. Le attuali economie avanzate, strutturatesi nella forma odierna sulla base degli indirizzi strategici affermatisi a partire dagli anni ’80, poggiano soprattutto su attività ad alto valore aggiunto riconducibili al settore terziario, che apportano un contributo alla formazione del Pil di gran lunga superiore a quello assicurato dai comparti ricompresi nei settori primario e secondario. Nelle economie moderne, servizi finanziari e assicurativi, consulenze, nuovi sistemi di comunicazione e design risultano predominanti rispetto ad agricoltura, manifattura, estrazione di idrocarburi e minerali.

Un Paese come gli Stati Uniti può quindi contare sul colossale apporto alla “produzione di ricchezza” fornito dalle spese sanitarie gonfiate a dismisura, dalla crescita esorbitante delle cause legali fittizie che arricchiscono interi eserciti di avvocati, dal sistema carcerario privatizzato che fa lobby al Congresso per ottenere leggi in grado di garantire il maggior numero di detenuti possibile, ecc.

Se, come evidenziano i dati della Banca Mondiale, in termini di Pil nominale l’economia russa (2,2 trilioni di dollari nel 2022) risulta paragonabile per dimensioni a quella italiana (2.3 miliardi), sotto il profilo della parità di potere d’acquisto (6.45 trilioni, contro i 3,4 dell’Italia) arriva addirittura a superare quella tedesca (5,75 trilioni) e giapponese (6,21 trilioni). Il centro studi londinese World Economics, che si avvale di metodi di calcolo giudicati più appropriati e tiene conto anche dell’apporto fornito dall’economia informale, ha tuttavia pubblicato una stima del Pil a parità di potere d’acquisto della Federazione Russa in riferimento al 2024 che risultava del 38% superiore a quella formulata dalla Banca Mondiale, a 8,3 trilioni di dollari.

Ma, evidenzia l’economista Jacques Sapir, neppure il Ppa riflette appieno la rilevanza della Federazione Russa, i cui vantaggi strategici connessi a “stazza”, posizione geografica e struttura economica a trazione agricolo-industriale-edilizia le conferiscono una capacità di resistenza pressoché inconcepibile per ogni altro Paese.

L’economia della Russia, che con una popolazione universitaria di 2,2 volte inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti forma il 30% di ingegneri in più, si incardina infatti su produzioni fondamentali, perché necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari. Idrocarburi, metalli, cereali, fertilizzanti, mangimi sono risorse imprescindibili per garantire riscaldamento e sicurezza sia alimentare che energetica. Condizioni assicurate in periodi di stabilità, ma che divengono improvvisamente vacillanti in presenza di congiunture geopolitiche altamente conflittuali, in cui si riscopre il primato di petrolio, gas, alluminio, nichel, grano, ecc. rispetto a tutto il resto. La rivista «The American Conservative» nota in proposito che: «la spettacolare crescita dei settori ad alta intensità di capitale, insieme alla loro ricchezza nominale e produttività, ha portato molti a Washington e in varie capitali occidentali non solo ad abbracciarli, ma anche a preferirli politicamente, culturalmente e ideologicamente. Noi americani siamo particolarmente orgogliosi, ad esempio, del successo dei nostri giganti della tecnologia come motori di innovazione, crescita e prestigio nazionale. Internet e le varie applicazioni per gli smartphone sono considerate da molti intrinsecamente democratizzanti, fungendo effettivamente da canale di diffusione per i valori americani e di promozione degli interessi nazionali statunitensi. Questo amore per i settori dei servizi si traduce in una tendenza a identificare le industrie ad alta intensità di manodopera del passato – energia, agricoltura, estrazione di risorse, produzione – come reliquie del passato. Ma questa prospettiva distorta ci ha lasciato impreparati per un mondo in cui i beni tangibili sono ancora una volta di vitale importanza, come dimostrato plasticamente dalla guerra in Ucraina».

Paese, quest’ultimo, che secondo i calcoli del Kiel Institute ha beneficiato tra il 24 febbraio 2022 e il 31 dicembre 2024 di assistenza finanziaria e militare da parte dell’Occidente per un controvalore di 246,5 miliardi di dollari. Eppure, come ha dichiarato lo scorso gennaio il segretario generale della Nato Mark Rutte, lo schieramento atlantista «da Los Angeles ad Ankara» è in grado di produrre nell’arco di un anno un volume di materiale militare equivalente a quello che la Russia fabbrica in appena tre mesi. Segno che la Federazione Russia dispone di una capacità industriale notevolissima, supportata da catene di approvvigionamento di materiali critici e componentistica solide e perfettamente funzionanti.

Il finanziamento dello sforzo bellico, per di più, non ha distorto la struttura economica russa; lo si evince da una stima formulata da una fonte “al di sopra di ogni sospetto” come «Military Balance», secondo cui le spese militari sostenute da Mosca nel corso del 2024 avrebbero assorbito 145,9 miliardi di dollari, pari al 6,7% del Pil. Una percentuale tutto sommato contenuta, specialmente se raffrontata a quelle raggiunte sia dall’Unione Sovietica (61%) che dagli Stati Uniti (53%) nelle fasi più acute della Seconda Guerra Mondiale.

La vera forza dell’arsenale difensivo a disposizione della Russia risiede quindi nelle caratteristiche della sua struttura economica nella centralità che il Paese riveste rispetto al commercio internazionale, oltre che nell’indisponibilità del resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria imposta dal cosiddetto “Occidente collettivo”. Tutti aspetti, questi ultimi, che politici e specialisti di spicco sia in Europa che negli Stati Uniti, persuasi che le misure punitive “da fine del mondo” avrebbero condannato la Russia all’isolamento e alla bancarotta nell’arco di poche settimane, non sono stati minimamente in grado di prevedere, nell’ambito di quello che l’economista Patricia Adams considera «il più monumentale errore di calcolo della storia moderna».

Il più monumentale errore di calcolo della storia moderna? Giacomo Gabellini ci spiega perché l’economia russa non è crollata come previsto dagli esperti occidentali.

Segue nostro Telegram.

Lo scorso gennaio, il Royal United Services Institute britannico ha riconosciuto apertamente che, a dispetto delle convinzioni nettamente prevalenti in tutto l’Occidente circa la debolezza dell’economia russa, quest’ultima ha «smentito le aspettative nel corso della guerra e, nonostante abbia registrato diverse complicazioni, rimane ben posizionata per supportare le ambizioni del Cremlino in Ucraina e oltre […]. Sfortunatamente, è improbabile che le speranze di una crisi economica imminente finiscano per realizzarsi. Sebbene la Russia affronti senza dubbio sfide significative, ci sono pochi indizi che queste ultime si tradurranno in conseguenze politiche significative che potrebbero spingere il Cremlino a frenare le sue ambizioni in Ucraina».

Segno che l’offensiva militare, economica, finanziaria e commerciale scatenata dall’Occidente contro la Federazione Russa nasce da una palese sottovalutazione «della coesione sociale della Russia, del suo potenziale militare latente e della sua relativa immunità alle sanzioni economiche». L’intera campagna sanzionatoria imposta da Stati Uniti ed Unione Europea, in particolare, si fondava sulla previsione che la Russia non sarebbe stata in grado di reggere un lungo periodo di pressione economica e finanziaria esterna, in virtù della debolezza strutturale, dell’arretratezza e degli squilibri che caratterizzano il suo sistema produttivo.

I dati indicano che, alla fine del febbraio 2022, la Russia registrava un debito pubblico corrispondente ad appena il 12,5% del Pil, una posizione finanziaria netta fortemente positiva e riserve auree pari a circa 2.300 tonnellate. L’oro riveste una rilevanza particolare, trattandosi del tradizionale “bene rifugio” che tende sistematicamente a rivalutarsi proprio in presenza di congiunture critiche come quella delineatasi per effetto dell’attacco all’Ucraina. Stesso discorso vale per tutte le commodity di cui la Russia è produttrice di primissimo piano, dal petrolio al gas, dall’alluminio al cobalto, dal rame al nichel, dal palladio al titanio, dal ferro all’acciaio, dal platino ai cereali, dal legname all’uranio, dal carbone all’argento, dai mangimi ai fertilizzanti.

L’incremento combinato dei prezzi delle materie prime e dei prodotti raffinati i cui mercati risultano fortemente presidiati dalla Federazione Russa – la cui posizione si è ulteriormente rafforzata con l’incorporazione dei giacimenti di materiali critici presenti nei territori delle repubbliche secessioniste di Donec’k e Luhans’k – ha per un verso penalizzato enormemente la categoria dei Paesi importatori netti, in cui rientra gran parte dell’“Occidente collettivo”. Per l’altro, ha assicurato a Mosca un volume di proventi talmente imponente da attenuare in maniera sensibile l’impatto dirompente prodotto dal congelamento delle riserve russe detenute presso istituzioni finanziarie estere.

Le principali categorie merceologiche di cui si compone l’export russo (petrolio, gas, materie prime, prodotti agricoli) delineano i contorni di un’economia non all’avanguardia, ma il discorso cambia completamente se si tengono in debita considerazione sia le punte di eccellenza raggiunte dal Paese in campo nucleare, aerospaziale, informatico e militare, sia il volume assai considerevole di entrate assicurato allo Stato dalla vendita all’estero di macchinari ed equipaggiamenti. Le attuali economie avanzate, strutturatesi nella forma odierna sulla base degli indirizzi strategici affermatisi a partire dagli anni ’80, poggiano soprattutto su attività ad alto valore aggiunto riconducibili al settore terziario, che apportano un contributo alla formazione del Pil di gran lunga superiore a quello assicurato dai comparti ricompresi nei settori primario e secondario. Nelle economie moderne, servizi finanziari e assicurativi, consulenze, nuovi sistemi di comunicazione e design risultano predominanti rispetto ad agricoltura, manifattura, estrazione di idrocarburi e minerali.

Un Paese come gli Stati Uniti può quindi contare sul colossale apporto alla “produzione di ricchezza” fornito dalle spese sanitarie gonfiate a dismisura, dalla crescita esorbitante delle cause legali fittizie che arricchiscono interi eserciti di avvocati, dal sistema carcerario privatizzato che fa lobby al Congresso per ottenere leggi in grado di garantire il maggior numero di detenuti possibile, ecc.

Se, come evidenziano i dati della Banca Mondiale, in termini di Pil nominale l’economia russa (2,2 trilioni di dollari nel 2022) risulta paragonabile per dimensioni a quella italiana (2.3 miliardi), sotto il profilo della parità di potere d’acquisto (6.45 trilioni, contro i 3,4 dell’Italia) arriva addirittura a superare quella tedesca (5,75 trilioni) e giapponese (6,21 trilioni). Il centro studi londinese World Economics, che si avvale di metodi di calcolo giudicati più appropriati e tiene conto anche dell’apporto fornito dall’economia informale, ha tuttavia pubblicato una stima del Pil a parità di potere d’acquisto della Federazione Russa in riferimento al 2024 che risultava del 38% superiore a quella formulata dalla Banca Mondiale, a 8,3 trilioni di dollari.

Ma, evidenzia l’economista Jacques Sapir, neppure il Ppa riflette appieno la rilevanza della Federazione Russa, i cui vantaggi strategici connessi a “stazza”, posizione geografica e struttura economica a trazione agricolo-industriale-edilizia le conferiscono una capacità di resistenza pressoché inconcepibile per ogni altro Paese.

L’economia della Russia, che con una popolazione universitaria di 2,2 volte inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti forma il 30% di ingegneri in più, si incardina infatti su produzioni fondamentali, perché necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari. Idrocarburi, metalli, cereali, fertilizzanti, mangimi sono risorse imprescindibili per garantire riscaldamento e sicurezza sia alimentare che energetica. Condizioni assicurate in periodi di stabilità, ma che divengono improvvisamente vacillanti in presenza di congiunture geopolitiche altamente conflittuali, in cui si riscopre il primato di petrolio, gas, alluminio, nichel, grano, ecc. rispetto a tutto il resto. La rivista «The American Conservative» nota in proposito che: «la spettacolare crescita dei settori ad alta intensità di capitale, insieme alla loro ricchezza nominale e produttività, ha portato molti a Washington e in varie capitali occidentali non solo ad abbracciarli, ma anche a preferirli politicamente, culturalmente e ideologicamente. Noi americani siamo particolarmente orgogliosi, ad esempio, del successo dei nostri giganti della tecnologia come motori di innovazione, crescita e prestigio nazionale. Internet e le varie applicazioni per gli smartphone sono considerate da molti intrinsecamente democratizzanti, fungendo effettivamente da canale di diffusione per i valori americani e di promozione degli interessi nazionali statunitensi. Questo amore per i settori dei servizi si traduce in una tendenza a identificare le industrie ad alta intensità di manodopera del passato – energia, agricoltura, estrazione di risorse, produzione – come reliquie del passato. Ma questa prospettiva distorta ci ha lasciato impreparati per un mondo in cui i beni tangibili sono ancora una volta di vitale importanza, come dimostrato plasticamente dalla guerra in Ucraina».

Paese, quest’ultimo, che secondo i calcoli del Kiel Institute ha beneficiato tra il 24 febbraio 2022 e il 31 dicembre 2024 di assistenza finanziaria e militare da parte dell’Occidente per un controvalore di 246,5 miliardi di dollari. Eppure, come ha dichiarato lo scorso gennaio il segretario generale della Nato Mark Rutte, lo schieramento atlantista «da Los Angeles ad Ankara» è in grado di produrre nell’arco di un anno un volume di materiale militare equivalente a quello che la Russia fabbrica in appena tre mesi. Segno che la Federazione Russia dispone di una capacità industriale notevolissima, supportata da catene di approvvigionamento di materiali critici e componentistica solide e perfettamente funzionanti.

Il finanziamento dello sforzo bellico, per di più, non ha distorto la struttura economica russa; lo si evince da una stima formulata da una fonte “al di sopra di ogni sospetto” come «Military Balance», secondo cui le spese militari sostenute da Mosca nel corso del 2024 avrebbero assorbito 145,9 miliardi di dollari, pari al 6,7% del Pil. Una percentuale tutto sommato contenuta, specialmente se raffrontata a quelle raggiunte sia dall’Unione Sovietica (61%) che dagli Stati Uniti (53%) nelle fasi più acute della Seconda Guerra Mondiale.

La vera forza dell’arsenale difensivo a disposizione della Russia risiede quindi nelle caratteristiche della sua struttura economica nella centralità che il Paese riveste rispetto al commercio internazionale, oltre che nell’indisponibilità del resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria imposta dal cosiddetto “Occidente collettivo”. Tutti aspetti, questi ultimi, che politici e specialisti di spicco sia in Europa che negli Stati Uniti, persuasi che le misure punitive “da fine del mondo” avrebbero condannato la Russia all’isolamento e alla bancarotta nell’arco di poche settimane, non sono stati minimamente in grado di prevedere, nell’ambito di quello che l’economista Patricia Adams considera «il più monumentale errore di calcolo della storia moderna».

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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