Il primo turno elettorale del 9 febbraio ha evidenziato le profonde divisioni sociali ed economiche esistenti in Ecuador. In vista del ballottaggio, Luisa González emerge come alternativa progressista contro il presidente neoliberista e filostatunitense Daniel Noboa.
Il primo turno delle elezioni presidenziali in Ecuador, svoltosi lo scorso 9 febbraio, ha messo in evidenza un paese segnato da profonde divisioni sociali, economiche e politiche. In una contesa serrata e carica di tensioni, i risultati hanno messo in luce un quadro di incertezza, ma anche di rinnovata speranza, in cui la candidata di sinistra Luisa González emerge come l’alternativa valida e necessaria per un Ecuador più giusto e unito. Il ballottaggio, previsto per il prossimo 13 aprile, si configura come l’evento decisivo che potrà determinare il futuro politico, sociale ed economico della nazione.
Nel primo turno, l’attuale capo di Stato e candidato ad un secondo mandato, Daniel Noboa, rappresentante del partito di destra ADN (Acción Democrática Nacional), ha ottenuto il 44,16% dei voti, mentre Luisa González, candidata del Movimiento Revolución Ciudadana (RC) che fa capo all’ex presidente progressista Rafael Correa, ha ottenuto il 43,92%. La differenza, di appena 26.000 consensi, è sintomatica di una competizione estremamente equilibrata, in cui la forza di un governo disconnesso dalle esigenze dei cittadini si scontra con il desiderio ardente di rinnovamento e di cambiamento. A tal proposito, i dati parlano chiaro: nonostante l’apparente vantaggio di Noboa, l’elettorato ha espresso un sostanziale parere di sfiducia verso un sistema che, negli ultimi anni, ha favorito un’élite economica e politica sempre più distante dalle istanze delle classi popolari.
In contemporanea con le elezioni presidenziali, si sono tenute anche quelle legislative, con RC che ha conquistato 67 seggi contro i 66 del partito ADN di Noboa. Anche in questo caso, le due principali formazioni politiche hanno dato vita ad un testa a testa all’ultimo voto e hanno lasciato ben pochi scranni alle altre forze politiche, in un emiciclo che conta un totale di 151 deputati. Per quanto riguarda i cinque rappresentanti dell’Ecuador al Parlamento Andino, invece, ADN ne ha eletti tre contro i due della Revolución Ciudadana.
Le tensioni sono palpabili non solo nei numeri, ma anche nell’atmosfera che si respira nelle strade e nei circoli politici. Mentre i sostenitori di Noboa puntano a un discorso rassicurante e a una continuità di politiche orientate al libero mercato, il movimento di sinistra, sostenuto anche dal Movimiento RETO (Movimiento Renovación Total), propone un modello basato sulla giustizia sociale, l’inclusione e la lotta contro le disuguaglianze. La promessa di una maggiore attenzione ai settori vulnerabili, in particolare alle comunità indigene e contadine, ha conquistato il favore di un ampio segmento della popolazione, stanca di politiche che hanno esacerbato la crisi economica e sociale, a svantaggio proprio della classe lavoratrice e delle minoranze etniche.
In questo clima di forte polarizzazione, le parole dell’ex presidente Rafael Correa hanno fatto da faro per molti elettori. Correa, figura di spicco della sinistra latinoamericana che gode ancora di molti consensi tra la popolazione del suo paese, ha sottolineato l’importanza di superare le divisioni che hanno lacerato il tessuto sociale dell’Ecuador. «Non competiamo contro un’ideologia, ma contro un governo che ha distrutto la giustizia, l’istruzione e l’economia. Dietro a Noboa c’è un’economia illecita che sostiene il suo potere», ha dichiarato con fermezza l’ex capo di Stato (2007-2017), attualmente costretto in esilio per sfuggire alla persecuzione giudiziaria messa in atto dal governo in carica.
Nel suo intervento, Correa ha ribadito che, se Luisa González dovesse trionfare nel ballottaggio, l’Ecuador avrebbe l’opportunità di ricostruirsi su fondamenta nuove, superando la frammentazione e l’odio che hanno caratterizzato gli ultimi anni. Il suo appello a rompere con la polarizzazione è diventato il simbolo di una speranza condivisa: quella di un paese che, finalmente, potrà ritrovare l’unità e la coesione sociale, elementi indispensabili per affrontare le sfide interne ed esterne.
Un altro elemento cruciale in questo scenario elettorale è il ruolo del movimento indigenista Pachakutik e del suo carismatico leader, Leónidas Iza. Durante il primo turno, il candidato di Pachakutik ha ottenuto il terzo posto con il 5,25% dei voti, un risultato che, sebbene modesto, rappresenta una fetta significativa dell’elettorato, soprattutto se si considera l’influenza che il movimento esercita sulle comunità indigene e rurali. Iza ha più volte sottolineato l’importanza di un approccio collettivo e partecipativo nella definizione delle strategie politiche, rifiutando categoricamente qualsiasi dialogo con il governo di destra di Noboa, ma per ora non ha ancora fornito un sostegno ufficiale alla candidatura di Luisa González.
In dichiarazioni pubbliche e interviste, Iza ha espresso chiaramente la sua posizione: «Non è possibile un dialogo con l’attuale presidente e candidato alla rielezione Daniel Noboa. Le politiche del suo governo non avvantaggiano i settori più vulnerabili, specialmente le comunità indigene e contadine». Queste parole hanno risuonato fortemente tra i sostenitori del cambiamento, ma un accordo ufficiale con la candidata di sinistra aiuterebbe ulteriormente a rafforzare l’immagine di Luisa González come leader capace di rappresentare una visione alternativa, inclusiva e orientata al bene comune. Inoltre, da un punto di vista numerico, con i suoi nove seggi in parlamento, Pachakutik potrebbe permettere a RC di raggiungere il numero minimo di seggi per conquistare la maggioranza assoluta (76 su 151).
Ad ogni modo, la maggioranza degli analisti concorda nell’affermare che l’elettorato ecuadoriano ha espresso chiaramente il proprio malcontento nei confronti della gestione del governo di Daniel Noboa. Le politiche economiche del governo in carica, caratterizzate da un’inerzia nelle riforme strutturali e da misure che hanno favorito una ristrutturazione economica a beneficio delle élite, hanno alimentato una crescente sfiducia. I cittadini, stanchi di continui tagli ai servizi pubblici e di una gestione che ha visto aumentare la povertà e le disuguaglianze, cercano ora una via d’uscita.
Le concessioni a favore del libero mercato, la firma di trattati commerciali controversi e la gestione inefficiente della crisi energetica e sociale, nonché una chiara posizione di subalternità nei confronti degli Stati Uniti, hanno minato la credibilità del governo. La scelta di aumentare l’IVA, ad esempio, ha avuto ripercussioni dirette sulle fasce più deboli della popolazione, aggravando una crisi economica che già da tempo minaccia la stabilità del Paese. In questo contesto, la figura di Luisa González rappresenta un’alternativa in grado di invertire questa rotta, proponendo un modello di sviluppo che metta al centro il benessere collettivo e la giustizia sociale.
Il ballottaggio del 13 aprile, dunque, non sarà soltanto una competizione tra due candidati, ma un vero e proprio referendum sul futuro dell’Ecuador. Da un lato, la continuità del modello neoliberista rappresentato da Daniel Noboa, che ha portato a una gestione incentrata sugli interessi delle grandi élite economiche e politiche, spesso genuflessa ai dettami provenienti da Washington; dall’altro, l’opportunità di un cambiamento radicale, proposto da Luisa González, che si presenta come la voce della speranza, della giustizia e dell’inclusione.
Il significato di questo ballottaggio va ben oltre la semplice scelta tra due alternative politiche: esso incarna il desiderio di un Ecuador che guarda al futuro, capace di affrontare le sfide globali con una visione di sviluppo inclusivo e sostenibile. Sul piano internazionale, l’elezione di una presidente di sinistra potrebbe rappresentare una svolta importante per il posizionamento geopolitico del paese. In un contesto in cui l’America Latina sta vivendo un periodo di trasformazioni e risvegli politici, la vittoria di Luisa González sarebbe il segnale di un’America Latina che si ribella al neoliberismo e al dominio degli Stati Uniti, e che cerca di costruire un nuovo ordine basato sulla solidarietà, la cooperazione e il rispetto dei diritti umani.
In un’epoca in cui la globalizzazione e le crisi internazionali richiedono risposte condivise e inclusive, l’elezione di una presidente di sinistra non è soltanto una scelta politica interna, ma un segnale potente per l’intera regione. Un Ecuador guidato da Luisa González potrebbe infatti dare impulso a un modello di governance che metta in discussione le logiche del potere tradizionale, aprendo la strada a politiche di sviluppo sostenibile, a una maggiore equità sociale e a una rinnovata cooperazione internazionale.
In un’intervista rilasciata negli ultimi giorni, González ha dichiarato con fermezza: «Vinceremo perché l’Ecuador ha bisogno di un cambiamento reale. Non possiamo più permetterci politiche che avvantaggiano solo pochi. È il momento di ripartire insieme, di ascoltare le istanze di chi è stato dimenticato e di costruire un futuro in cui la giustizia sociale sia il nostro faro guida». Queste parole hanno suscitato un entusiasmo genuino tra i cittadini, che vedono in lei la possibilità di riscrivere la storia del loro paese, riprendendo quel cammino della Revolución Ciudadana interrotto nel 2017.