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Giulio Chinappi
February 20, 2025
© Photo: Public domain

La Cina intensifica la sua influenza strategica nel Pacifico, consolidando relazioni economiche e diplomatiche con gli arcipelaghi dell’Oceania. Attraverso investimenti infrastrutturali, accordi di sicurezza e soft power, Pechino si impone come partner ideale per piccoli Stati insulari, offrendo soluzioni efficaci anche nei casi d’emergenza.

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Negli ultimi decenni, la Repubblica Popolare Cinese ha progressivamente ampliato la propria presenza e influenza in tutto il mondo. Tra le aree in cui questa espansione è più evidente c’è quella del Pacifico, dove i piccoli Stati insulari dell’Oceania rappresentano un territorio strategico sia per motivi economici sia per ragioni geopolitiche.

Tradizionalmente, il Pacifico è stato teatro di una forte competizione tra le potenze occidentali e regionali. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti, l’Australia e il Regno Unito avevano investito in alleanze e infrastrutture per mantenere il controllo su vaste aree insulari. Con la fine della Guerra Fredda, tuttavia, l’interesse strategico per il Pacifico sembrava essersi in parte affievolito, lasciando spazio a un contesto di relativa disattenzione nei confronti dei piccoli Stati insulari. Di recente, il rapido sviluppo economico della Cina e la sua ambizione di aumentare la propria influenza internazionale hanno riacceso l’interesse per l’intera regione, rendendo gli arcipelaghi dell’Oceania pedine fondamentali nella competizione tra le grandi potenze.

Già dagli inizi degli anni Duemila la Cina ha iniziato a intessere relazioni economiche e diplomatiche con numerosi Stati insulari del Pacifico, sfruttando il suo modello di investimenti rapidi e condizioni finanziarie agevolate. Questo approccio, che si fonda su prestiti a condizioni vantaggiose, investimenti in infrastrutture strategiche e accordi di cooperazione in ambito di sicurezza, ha permesso a Pechino di guadagnare terreno in un’area tradizionalmente dominata dagli alleati occidentali, con molti Paesi che hanno ritirato il proprio riconoscimento nei confronti di Taiwan, per aprire le relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare.

Uno degli strumenti principali della politica cinese nel Pacifico è rappresentato dalla diplomazia economica. Attraverso la Belt and Road Initiative (BRI), la Cina ha finanziato e costruito infrastrutture essenziali nei paesi insulari: porti, strade, reti elettriche e progetti edilizi sono solo alcuni esempi degli investimenti che hanno contribuito a rafforzare il legame tra Pechino e gli arcipelaghi. Ad esempio, il recente accordo con le Isole Cook, in cui è stata annunciata una partnership strategica che copre commercio, investimenti e infrastrutture, evidenzia come la Cina miri a consolidare relazioni economiche durature pur mantenendo rapporti complementari con altre nazioni tradizionalmente influenti nella regione.

Oltre agli investimenti economici, la Cina ha rafforzato la propria presenza nella regione attraverso accordi di sicurezza e cooperazione militare. Diversi Stati insulari, spinti dalla necessità di sviluppare le proprie infrastrutture di sicurezza e dalle limitate capacità militari, hanno accettato proposte cinesi che includono il supporto per la formazione delle forze di polizia e, in alcuni casi, accordi di cooperazione militare. Un esempio lampante si ha con il Partenariato Strategico Globale stipulato con le Isole Salomone nel 2023, il quale ha fatto seguito ad un precedente accordo in materia di difesa e sicurezza del 2022, che – sebbene il suo contenuto rimanga in gran parte riservato – potrebbe prevedere la possibilità per Pechino di stabilire una presenza militare in territorio insulare.

Infine, la Cina impiega anche la diplomazia culturale e il soft power per conquistare l’adesione degli arcipelaghi del Pacifico. Investimenti nei media locali, sponsorizzazioni di eventi sportivi – come l’edificazione di stadi per i Giochi degli Stati del Pacifico – e campagne di comunicazione finalizzate a enfatizzare la “generosità” e le “immense opportunità” che derivano dai rapporti con Pechino, sono tutti elementi che concorrono a rendere l’immagine della Cina più attraente agli occhi di governi e popolazioni locali. In molti paesi, specialmente quelli dove le infrastrutture e le capacità economiche sono limitate, l’offerta cinese risulta decisamente più flessibile rispetto a quella occidentale, che spesso comporta condizioni più stringenti e una minore rapidità di intervento.

Per queste ragioni, gli arcipelaghi dell’Oceania, come le Isole Salomone, le Isole Cook, Vanuatu, Nauru, e altri, hanno visto negli investimenti cinesi una soluzione ai problemi di sviluppo e alle carenze infrastrutturali. In molti casi, gli accordi stipulati prevedono non solo finanziamenti per opere pubbliche, ma anche la fornitura di tecnologie e supporto tecnico per modernizzare il sistema dei trasporti e delle comunicazioni.

Da notare come le scelte dei governi di questi Paesi sono sempre stati premiati dai cittadini, che alle elezioni hanno quasi sempre confermato i fautori della politica di avvicinamento alla Cina. Lo scorso 16 gennaio, ad esempio, si sono tenute le elezioni legislative nell’arcipelago di Vanuatu, solamente un mese dopo il forte terremoto (magnitudo 7,3) che ha colpito la capitale Port Vila. Dopo le contrattazioni, il 10 febbraio cinque partiti – si tratta del Leaders Party, del Vanua’aku Party, del Graon Mo Jastis Party, del Reunification Movement for Change e dell’Iauko Group – hanno firmato un memorandum d’intesa per la formazione del nuovo esecutivo.

L’11 febbraio, Jotham Napat, esponente di spicco del Leaders Party, che alle elezioni ha ottenuto il maggior numero di seggi (nove sui 52 disponibili), è stato eletto dal parlamento come nuovo Primo Ministro, ottenendo 50 voti favorevoli e due nulli. Napat succede in questo modo a Charlot Salwai, leader del Reunification Movement for Change, che era in carica dall’ottobre del 2023, e per il quale aveva ricoperto l’incarico di Ministro degli Esteri. Insieme, Salwai e Napat avevano promosso una politica di rafforzamento dei legami bilaterali proprio con la Cina, e lo stesso Napat era stato in precedenza il firmatario del Partenariato Strategico Globale tra i due Paesi.

Grazie alle buone relazioni con Pechino, Vanuatu ha potuto contare anche sul sostegno cinese dopo il terremoto di Port Vila. Su richiesta del governo del Vanuatu, l’Amministrazione Cinese per i Terremoti ha inviato una squadra composta da quattro esperti ingegneri per condurre esami scientifici delle strutture edilizie nelle aree gravemente colpite, valutazioni di sicurezza e indagini sui disastri secondari. Questo evento ha segnato la prima volta che la Cina ha inviato con urgenza un team di esperti per la valutazione dei disastri in un paese insulare del Pacifico.

Inoltre, la Cina ha inviato un aereo charter carico di beni di prima necessità, del peso di circa 35 tonnellate e dal volume di 235 metri cubi, comprendente tende, letti pieghevoli, apparecchiature per la purificazione dell’acqua, luci solari, provviste alimentari d’emergenza, forniture mediche e altro ancora. “La Cina e Vanuatu sono buoni amici, buoni partner e buoni fratelli che si sostengono a vicenda nel superare le difficoltà. La Cina continuerà a fare tutto il possibile per aiutare nelle operazioni di soccorso e di ricostruzione, tenuto conto dei danni e delle esigenze di Vanuatu”, ha affermato in quell’occasione Mao Ning, portavoce del Ministero degli Esteri cinese.

La politica cinese nel Pacifico si configura dunque come un modello integrato di diplomazia economica, cooperazione in materia di sicurezza e utilizzo del soft power. Attraverso investimenti infrastrutturali e accordi di sicurezza, Pechino sta gradualmente tessendo una rete di influenza che interessa numerosi arcipelaghi dell’Oceania. Il modello di partenariato proposto da Pechino sta avendo grande successo sia per l’efficacia della cooperazione cinese che per i vantaggi forniti rispetto alla cooperazione con i Paesi occidentali, che hanno sempre mantenuto una relazione dall’alto verso il basso nei confronti dei piccoli Stati arcipelagici, al contrario di una Cina che dimostra di volersi sedere al tavolo delle trattative da pari a pari.

La strategia politica cinese nella regione dell’Oceano Pacifico

La Cina intensifica la sua influenza strategica nel Pacifico, consolidando relazioni economiche e diplomatiche con gli arcipelaghi dell’Oceania. Attraverso investimenti infrastrutturali, accordi di sicurezza e soft power, Pechino si impone come partner ideale per piccoli Stati insulari, offrendo soluzioni efficaci anche nei casi d’emergenza.

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Negli ultimi decenni, la Repubblica Popolare Cinese ha progressivamente ampliato la propria presenza e influenza in tutto il mondo. Tra le aree in cui questa espansione è più evidente c’è quella del Pacifico, dove i piccoli Stati insulari dell’Oceania rappresentano un territorio strategico sia per motivi economici sia per ragioni geopolitiche.

Tradizionalmente, il Pacifico è stato teatro di una forte competizione tra le potenze occidentali e regionali. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti, l’Australia e il Regno Unito avevano investito in alleanze e infrastrutture per mantenere il controllo su vaste aree insulari. Con la fine della Guerra Fredda, tuttavia, l’interesse strategico per il Pacifico sembrava essersi in parte affievolito, lasciando spazio a un contesto di relativa disattenzione nei confronti dei piccoli Stati insulari. Di recente, il rapido sviluppo economico della Cina e la sua ambizione di aumentare la propria influenza internazionale hanno riacceso l’interesse per l’intera regione, rendendo gli arcipelaghi dell’Oceania pedine fondamentali nella competizione tra le grandi potenze.

Già dagli inizi degli anni Duemila la Cina ha iniziato a intessere relazioni economiche e diplomatiche con numerosi Stati insulari del Pacifico, sfruttando il suo modello di investimenti rapidi e condizioni finanziarie agevolate. Questo approccio, che si fonda su prestiti a condizioni vantaggiose, investimenti in infrastrutture strategiche e accordi di cooperazione in ambito di sicurezza, ha permesso a Pechino di guadagnare terreno in un’area tradizionalmente dominata dagli alleati occidentali, con molti Paesi che hanno ritirato il proprio riconoscimento nei confronti di Taiwan, per aprire le relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare.

Uno degli strumenti principali della politica cinese nel Pacifico è rappresentato dalla diplomazia economica. Attraverso la Belt and Road Initiative (BRI), la Cina ha finanziato e costruito infrastrutture essenziali nei paesi insulari: porti, strade, reti elettriche e progetti edilizi sono solo alcuni esempi degli investimenti che hanno contribuito a rafforzare il legame tra Pechino e gli arcipelaghi. Ad esempio, il recente accordo con le Isole Cook, in cui è stata annunciata una partnership strategica che copre commercio, investimenti e infrastrutture, evidenzia come la Cina miri a consolidare relazioni economiche durature pur mantenendo rapporti complementari con altre nazioni tradizionalmente influenti nella regione.

Oltre agli investimenti economici, la Cina ha rafforzato la propria presenza nella regione attraverso accordi di sicurezza e cooperazione militare. Diversi Stati insulari, spinti dalla necessità di sviluppare le proprie infrastrutture di sicurezza e dalle limitate capacità militari, hanno accettato proposte cinesi che includono il supporto per la formazione delle forze di polizia e, in alcuni casi, accordi di cooperazione militare. Un esempio lampante si ha con il Partenariato Strategico Globale stipulato con le Isole Salomone nel 2023, il quale ha fatto seguito ad un precedente accordo in materia di difesa e sicurezza del 2022, che – sebbene il suo contenuto rimanga in gran parte riservato – potrebbe prevedere la possibilità per Pechino di stabilire una presenza militare in territorio insulare.

Infine, la Cina impiega anche la diplomazia culturale e il soft power per conquistare l’adesione degli arcipelaghi del Pacifico. Investimenti nei media locali, sponsorizzazioni di eventi sportivi – come l’edificazione di stadi per i Giochi degli Stati del Pacifico – e campagne di comunicazione finalizzate a enfatizzare la “generosità” e le “immense opportunità” che derivano dai rapporti con Pechino, sono tutti elementi che concorrono a rendere l’immagine della Cina più attraente agli occhi di governi e popolazioni locali. In molti paesi, specialmente quelli dove le infrastrutture e le capacità economiche sono limitate, l’offerta cinese risulta decisamente più flessibile rispetto a quella occidentale, che spesso comporta condizioni più stringenti e una minore rapidità di intervento.

Per queste ragioni, gli arcipelaghi dell’Oceania, come le Isole Salomone, le Isole Cook, Vanuatu, Nauru, e altri, hanno visto negli investimenti cinesi una soluzione ai problemi di sviluppo e alle carenze infrastrutturali. In molti casi, gli accordi stipulati prevedono non solo finanziamenti per opere pubbliche, ma anche la fornitura di tecnologie e supporto tecnico per modernizzare il sistema dei trasporti e delle comunicazioni.

Da notare come le scelte dei governi di questi Paesi sono sempre stati premiati dai cittadini, che alle elezioni hanno quasi sempre confermato i fautori della politica di avvicinamento alla Cina. Lo scorso 16 gennaio, ad esempio, si sono tenute le elezioni legislative nell’arcipelago di Vanuatu, solamente un mese dopo il forte terremoto (magnitudo 7,3) che ha colpito la capitale Port Vila. Dopo le contrattazioni, il 10 febbraio cinque partiti – si tratta del Leaders Party, del Vanua’aku Party, del Graon Mo Jastis Party, del Reunification Movement for Change e dell’Iauko Group – hanno firmato un memorandum d’intesa per la formazione del nuovo esecutivo.

L’11 febbraio, Jotham Napat, esponente di spicco del Leaders Party, che alle elezioni ha ottenuto il maggior numero di seggi (nove sui 52 disponibili), è stato eletto dal parlamento come nuovo Primo Ministro, ottenendo 50 voti favorevoli e due nulli. Napat succede in questo modo a Charlot Salwai, leader del Reunification Movement for Change, che era in carica dall’ottobre del 2023, e per il quale aveva ricoperto l’incarico di Ministro degli Esteri. Insieme, Salwai e Napat avevano promosso una politica di rafforzamento dei legami bilaterali proprio con la Cina, e lo stesso Napat era stato in precedenza il firmatario del Partenariato Strategico Globale tra i due Paesi.

Grazie alle buone relazioni con Pechino, Vanuatu ha potuto contare anche sul sostegno cinese dopo il terremoto di Port Vila. Su richiesta del governo del Vanuatu, l’Amministrazione Cinese per i Terremoti ha inviato una squadra composta da quattro esperti ingegneri per condurre esami scientifici delle strutture edilizie nelle aree gravemente colpite, valutazioni di sicurezza e indagini sui disastri secondari. Questo evento ha segnato la prima volta che la Cina ha inviato con urgenza un team di esperti per la valutazione dei disastri in un paese insulare del Pacifico.

Inoltre, la Cina ha inviato un aereo charter carico di beni di prima necessità, del peso di circa 35 tonnellate e dal volume di 235 metri cubi, comprendente tende, letti pieghevoli, apparecchiature per la purificazione dell’acqua, luci solari, provviste alimentari d’emergenza, forniture mediche e altro ancora. “La Cina e Vanuatu sono buoni amici, buoni partner e buoni fratelli che si sostengono a vicenda nel superare le difficoltà. La Cina continuerà a fare tutto il possibile per aiutare nelle operazioni di soccorso e di ricostruzione, tenuto conto dei danni e delle esigenze di Vanuatu”, ha affermato in quell’occasione Mao Ning, portavoce del Ministero degli Esteri cinese.

La politica cinese nel Pacifico si configura dunque come un modello integrato di diplomazia economica, cooperazione in materia di sicurezza e utilizzo del soft power. Attraverso investimenti infrastrutturali e accordi di sicurezza, Pechino sta gradualmente tessendo una rete di influenza che interessa numerosi arcipelaghi dell’Oceania. Il modello di partenariato proposto da Pechino sta avendo grande successo sia per l’efficacia della cooperazione cinese che per i vantaggi forniti rispetto alla cooperazione con i Paesi occidentali, che hanno sempre mantenuto una relazione dall’alto verso il basso nei confronti dei piccoli Stati arcipelagici, al contrario di una Cina che dimostra di volersi sedere al tavolo delle trattative da pari a pari.

La Cina intensifica la sua influenza strategica nel Pacifico, consolidando relazioni economiche e diplomatiche con gli arcipelaghi dell’Oceania. Attraverso investimenti infrastrutturali, accordi di sicurezza e soft power, Pechino si impone come partner ideale per piccoli Stati insulari, offrendo soluzioni efficaci anche nei casi d’emergenza.

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Negli ultimi decenni, la Repubblica Popolare Cinese ha progressivamente ampliato la propria presenza e influenza in tutto il mondo. Tra le aree in cui questa espansione è più evidente c’è quella del Pacifico, dove i piccoli Stati insulari dell’Oceania rappresentano un territorio strategico sia per motivi economici sia per ragioni geopolitiche.

Tradizionalmente, il Pacifico è stato teatro di una forte competizione tra le potenze occidentali e regionali. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti, l’Australia e il Regno Unito avevano investito in alleanze e infrastrutture per mantenere il controllo su vaste aree insulari. Con la fine della Guerra Fredda, tuttavia, l’interesse strategico per il Pacifico sembrava essersi in parte affievolito, lasciando spazio a un contesto di relativa disattenzione nei confronti dei piccoli Stati insulari. Di recente, il rapido sviluppo economico della Cina e la sua ambizione di aumentare la propria influenza internazionale hanno riacceso l’interesse per l’intera regione, rendendo gli arcipelaghi dell’Oceania pedine fondamentali nella competizione tra le grandi potenze.

Già dagli inizi degli anni Duemila la Cina ha iniziato a intessere relazioni economiche e diplomatiche con numerosi Stati insulari del Pacifico, sfruttando il suo modello di investimenti rapidi e condizioni finanziarie agevolate. Questo approccio, che si fonda su prestiti a condizioni vantaggiose, investimenti in infrastrutture strategiche e accordi di cooperazione in ambito di sicurezza, ha permesso a Pechino di guadagnare terreno in un’area tradizionalmente dominata dagli alleati occidentali, con molti Paesi che hanno ritirato il proprio riconoscimento nei confronti di Taiwan, per aprire le relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare.

Uno degli strumenti principali della politica cinese nel Pacifico è rappresentato dalla diplomazia economica. Attraverso la Belt and Road Initiative (BRI), la Cina ha finanziato e costruito infrastrutture essenziali nei paesi insulari: porti, strade, reti elettriche e progetti edilizi sono solo alcuni esempi degli investimenti che hanno contribuito a rafforzare il legame tra Pechino e gli arcipelaghi. Ad esempio, il recente accordo con le Isole Cook, in cui è stata annunciata una partnership strategica che copre commercio, investimenti e infrastrutture, evidenzia come la Cina miri a consolidare relazioni economiche durature pur mantenendo rapporti complementari con altre nazioni tradizionalmente influenti nella regione.

Oltre agli investimenti economici, la Cina ha rafforzato la propria presenza nella regione attraverso accordi di sicurezza e cooperazione militare. Diversi Stati insulari, spinti dalla necessità di sviluppare le proprie infrastrutture di sicurezza e dalle limitate capacità militari, hanno accettato proposte cinesi che includono il supporto per la formazione delle forze di polizia e, in alcuni casi, accordi di cooperazione militare. Un esempio lampante si ha con il Partenariato Strategico Globale stipulato con le Isole Salomone nel 2023, il quale ha fatto seguito ad un precedente accordo in materia di difesa e sicurezza del 2022, che – sebbene il suo contenuto rimanga in gran parte riservato – potrebbe prevedere la possibilità per Pechino di stabilire una presenza militare in territorio insulare.

Infine, la Cina impiega anche la diplomazia culturale e il soft power per conquistare l’adesione degli arcipelaghi del Pacifico. Investimenti nei media locali, sponsorizzazioni di eventi sportivi – come l’edificazione di stadi per i Giochi degli Stati del Pacifico – e campagne di comunicazione finalizzate a enfatizzare la “generosità” e le “immense opportunità” che derivano dai rapporti con Pechino, sono tutti elementi che concorrono a rendere l’immagine della Cina più attraente agli occhi di governi e popolazioni locali. In molti paesi, specialmente quelli dove le infrastrutture e le capacità economiche sono limitate, l’offerta cinese risulta decisamente più flessibile rispetto a quella occidentale, che spesso comporta condizioni più stringenti e una minore rapidità di intervento.

Per queste ragioni, gli arcipelaghi dell’Oceania, come le Isole Salomone, le Isole Cook, Vanuatu, Nauru, e altri, hanno visto negli investimenti cinesi una soluzione ai problemi di sviluppo e alle carenze infrastrutturali. In molti casi, gli accordi stipulati prevedono non solo finanziamenti per opere pubbliche, ma anche la fornitura di tecnologie e supporto tecnico per modernizzare il sistema dei trasporti e delle comunicazioni.

Da notare come le scelte dei governi di questi Paesi sono sempre stati premiati dai cittadini, che alle elezioni hanno quasi sempre confermato i fautori della politica di avvicinamento alla Cina. Lo scorso 16 gennaio, ad esempio, si sono tenute le elezioni legislative nell’arcipelago di Vanuatu, solamente un mese dopo il forte terremoto (magnitudo 7,3) che ha colpito la capitale Port Vila. Dopo le contrattazioni, il 10 febbraio cinque partiti – si tratta del Leaders Party, del Vanua’aku Party, del Graon Mo Jastis Party, del Reunification Movement for Change e dell’Iauko Group – hanno firmato un memorandum d’intesa per la formazione del nuovo esecutivo.

L’11 febbraio, Jotham Napat, esponente di spicco del Leaders Party, che alle elezioni ha ottenuto il maggior numero di seggi (nove sui 52 disponibili), è stato eletto dal parlamento come nuovo Primo Ministro, ottenendo 50 voti favorevoli e due nulli. Napat succede in questo modo a Charlot Salwai, leader del Reunification Movement for Change, che era in carica dall’ottobre del 2023, e per il quale aveva ricoperto l’incarico di Ministro degli Esteri. Insieme, Salwai e Napat avevano promosso una politica di rafforzamento dei legami bilaterali proprio con la Cina, e lo stesso Napat era stato in precedenza il firmatario del Partenariato Strategico Globale tra i due Paesi.

Grazie alle buone relazioni con Pechino, Vanuatu ha potuto contare anche sul sostegno cinese dopo il terremoto di Port Vila. Su richiesta del governo del Vanuatu, l’Amministrazione Cinese per i Terremoti ha inviato una squadra composta da quattro esperti ingegneri per condurre esami scientifici delle strutture edilizie nelle aree gravemente colpite, valutazioni di sicurezza e indagini sui disastri secondari. Questo evento ha segnato la prima volta che la Cina ha inviato con urgenza un team di esperti per la valutazione dei disastri in un paese insulare del Pacifico.

Inoltre, la Cina ha inviato un aereo charter carico di beni di prima necessità, del peso di circa 35 tonnellate e dal volume di 235 metri cubi, comprendente tende, letti pieghevoli, apparecchiature per la purificazione dell’acqua, luci solari, provviste alimentari d’emergenza, forniture mediche e altro ancora. “La Cina e Vanuatu sono buoni amici, buoni partner e buoni fratelli che si sostengono a vicenda nel superare le difficoltà. La Cina continuerà a fare tutto il possibile per aiutare nelle operazioni di soccorso e di ricostruzione, tenuto conto dei danni e delle esigenze di Vanuatu”, ha affermato in quell’occasione Mao Ning, portavoce del Ministero degli Esteri cinese.

La politica cinese nel Pacifico si configura dunque come un modello integrato di diplomazia economica, cooperazione in materia di sicurezza e utilizzo del soft power. Attraverso investimenti infrastrutturali e accordi di sicurezza, Pechino sta gradualmente tessendo una rete di influenza che interessa numerosi arcipelaghi dell’Oceania. Il modello di partenariato proposto da Pechino sta avendo grande successo sia per l’efficacia della cooperazione cinese che per i vantaggi forniti rispetto alla cooperazione con i Paesi occidentali, che hanno sempre mantenuto una relazione dall’alto verso il basso nei confronti dei piccoli Stati arcipelagici, al contrario di una Cina che dimostra di volersi sedere al tavolo delle trattative da pari a pari.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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